Dopo aver rilevato il contrasto all’interno della Corte in ordine agli effetti della mancata specifica certificazione della data apposta sulla procura da parte del difensore, le Sezioni Unite, con sentenza del 1.6.2021 n. 15177[1] hanno affermato che «l’art. 35 bis, c.13 d.lgs. n. 25/2008, nella parte in cui prevede che "La procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima" ha richiesto, quale elemento di specialità rispetto alle ordinarie ipotesi di rilascio della procura speciale regolate dagli artt. 83 e 365 c.p.c., il requisito della posteriorità della data rispetto alla comunicazione del provvedimento impugnato, prevedendo una speciale ipotesi di "inammissibilità del ricorso", nel caso di mancata certificazione della data di rilascio della procura in suo favore da parte del difensore». Con un secondo principio di diritto, le Sezioni Unite hanno precisato che: «La procura speciale per il ricorso per cassazione per le materie regolate dall’art. 35 bis, c. 13 d.lgs. n. 25/2008 e dalle disposizioni di legge successive che ad esse rimandano deve contenere in modo esplicito l’indicazione della data successiva alla comunicazione del provvedimento impugnato e richiede che il difensore certifichi, anche solo con una unica sottoscrizione, sia la data della procura successiva alla comunicazione che l’autenticità della firma del conferente».
Pochi giorni dopo la pubblicazione della decisione delle Sezioni Unite, la Terza Sezione Civile, con ordinanza n. 17970/2021 del 7.6.2021 (depositata il 23.6.2021) – in ossequio a quanto affermato dal Giudice delle Leggi (Corte Cost. 33 del 2021, § 3.2) con riferimento al rapporto tra Sezioni semplici e Sezioni Unite della Corte di Cassazione nell’interpretazione di una norma ritenuta non compatibile con la Costituzione - ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della predetta norma, «nella sua portata di diritto vivente, per effetto della pronuncia n. 15177 del 2021 delle Sezioni unite della Corte di cassazione» per contrasto con gli artt. 30, 10, 24, 11 e 117 Cost. (quest’ultimo in relazione agli artt. 28 e 46 par. 11 della Direttiva 2013/32/UE, agli artt. 18, 19 e 47 della Carta dei diritti UE e degli artt. 6, 7, 13 e 14 della CEDU).
La prioritaria rilevanza dell’interpretazione della norma oggetto delle predette decisioni risulta evidente in considerazione delle immediate ricadute in termini di effettività della tutela dei richiedenti asilo, i quali, in seguito all’abrogazione del secondo grado di merito ad opera della legge 46/2017, possono impugnare la decisione sfavorevole, nei ristretti ambiti in cui è consentito, solo dinanzi ai giudici di legittimità (laddove l’impugnazione, in ossequio all’interpretazione offerta dalle Sezioni Unite della norma in esame, rischia di concludersi con una pronuncia in rito).
Le questioni esaminate nelle pronunce in esame attengono, principalmente, alla ratio della norma, alla legittimità di un’interpretazione volta a ricostruire in termini di specialità il sistema della protezione internazionale (e, più in generale, il diritto degli stranieri) ed alla verifica del rispetto del principio di costituzionale di razionale eguaglianza e del principio Ue di equivalente trattamento.
Con riferimento alla ratio legis, le Sezioni Unite – intervenute sulla norma in esame a distanza di oltre quattro anni dalla sua entrata in vigore - ne individuano il principale fondamento nella garanzia che il richiedente protezione sia ancora presente nel territorio dello Stato, onde impedire l’accesso al giudizio di cassazione al soggetto espulso o allontanatosi dall’Italia (ed onde evitare una pronuncia inutiliter data).
Nell’ordinanza 17970/2021, invece, la Terza Sezione dubita della conformità a Costituzione ed al diritto UE del sillogismo in forza del quale la certificazione della data di rilascio della procura assicurerebbe la posteriorità del ricorso rispetto al provvedimento impugnato e, dunque, la presenza del richiedente asilo sul territorio dello Stato.
Le diverse soluzioni prospettate dai giudici di legittimità, con riferimento alla finalità di una decisione “utile”, devono essere valutate alla luce della disciplina relativa alla sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto di rigetto della domanda di protezione (originariamente prevista in modo automatico) nonché alle previsioni del diritto dell’Unione relative alla rinuncia alla domanda di protezione internazionale. Secondo la Terza Sezione risultando del tutto indimostrata non solo la pretesa territorialità dell’asilo ma la stessa sua astratta perseguibilità mediante la previsione dell’obbligo certificazione della data della procura, (Cass 17970/21 § 6.4.1.).
Ma la legittimità costituzionale del requisito aggiuntivo della certificazione della data dovrà, necessariamente, essere scrutinato anche con riferimento alla specialità del procedimento, compiutamente invocata dalle Sezioni Unite in più passaggi della motivazione. Occorrerà, pertanto, valutare se domande volte ad ottenere tutela di diritti fondamentali della persona – che, come sottolineato dalla dottrina[2] sono «per definizione applicabili a chiunque, senza discriminazioni» – giustifichino l’introduzione di disposizioni, come quella oggetto delle decisioni sopra indicate, idonee a realizzare un «processo ragionevolmente differenziato» anche sotto il profilo in esame. Non può non sottolinearsi, infatti, come la pretesa “specialità” dei procedimenti in esame, relativi a diritti peculiari per caratteristiche intrinseche e condizioni di esercizio[3] dovrebbe portare a ritenere prospettabile una soluzione che, in via interpretativa, potenzi - non riduca - le garanzie del richiedente (in termini di possibilità di esercizio effettivo del diritto di difesa). In ossequio all’art. 24 Cost ed all’art. 47 CDFUE.
Si tratta infatti di evitare che il processo di traduca in un ostacolo e sia invece strumento di tutela del diritto di asilo garantito in Italia dall’art. 10 co. 3 Cost. .
Con riferimento alla verifica della tenuta della norma in esame rispetto ai principi del diritto dell’Unione, le Sezioni Unite hanno ricordato come, anche nella materia relativa alla protezione internazionale, la Corte di Giustizia abbia precisato che le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, nella parte in cui non trovino specifica regolamentazione a livello UE, non possano essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di diritto interno (principio di equivalenza).
Ma, ad avviso delle Sezioni Unite, la verifica relativa al principio di equivalenza non potrebbe aver luogo nel caso in esame per l’assorbente ragione in forza della quale non esisterebbe «alcuna materia regolata dal diritto interno omogenea a quella della protezione internazionale e dell’asilo che qui viene precipuamente in discussione e che goda di una tutela maggiormente protettiva con riguardo alla proposizione del ricorso per cassazione».
Diversamente rispetto a quanto opinato dalle Sezioni Unite, il Collegio rimettente, tenendo conto «dell’oggetto, della causa e degli elementi fondamentali di tali ricorsi»[4] ha ravvisato caratteri di omogeneità nei procedimenti aventi ad oggetto l’attribuzione di uno status, nel procedimento di apolidia ed in quello volto ad ottenere, in via esclusiva, la protezione umanitaria. In forza della ritenuta omogeneità tra i predetti procedimenti e quello volto ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale, alla luce del giudizio di equivalenza, i giudici della Terza Sezione Civile hanno ravvisato una violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e del diritto di difesa (art. 24 Cost. (in quanto la norma in esame introdurrebbe, per una determinata categoria di diritti degli stranieri, un regime processuale peggiorativo sia rispetto ai cittadini che rispetto ad altri diritti degli stranieri (non richiedenti protezione internazionale).
Sarà, dunque, il Giudice delle Leggi a valutare se la disciplina differenziata esistente tra stranieri che invocano la protezione internazionale e cittadini ed italiani che chiedono tutela per diritti diversi da quello relativo allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria sia giustificato da una causa normativa non palesemente irrazionale o arbitraria e risponda al principio di ragionevolezza.
Di recente la Corte Costituzionale si è misurata in maniera incisiva con il parametro della ragionevolezza, ravvisandone la violazione per un difetto di proporzionalità e di equilibrio interno della norma, e facendone il terreno più frequente della sua opera di bilanciamento proprio in materia di diritti dei richiedenti asilo[5].
Infine, sia consentito evidenziare che nella decisione delle Sezioni Unite si conferisce autonomo rilievo non solo al fine «di evitare eventuali prassi di rilascio della procura a ricorrere in Cassazione in un momento anteriore a quello della comunicazione del decreto oggetto di impugnazione», ma anche al fine, autonomamente valorizzato, «di contenere il carico di ricorsi in ingresso presso la Corte di Cassazione» (nel § 43).
Finalità la cui legittima perseguibilità, per mezzo della norma speciale in esame, la Corte Costituzionale sarà chiamata a valutare con la bussola costituita dal rango primario dei beni tutelati.
In un ambito giurisdizionale che, giova ricordare, già privato del riesame nel merito, ha incontrato riforme processuali e sostanziali che hanno determinato molteplici conflitti giurisprudenziali, su questioni di diritto che hanno diviso anche la Corte di Cassazione: come sulla funzione dell’audizione giudiziaria del richiedente asilo, sulla funzione del giudizio di credibilità delle sue dichiarazioni, sui presupposti dell’obbligo di cooperazione istruttoria gravante sul decisore, sugli obblighi informativi nel procedimento di trasferimento in forza del regolamento Dublino III, sugli strumenti per garantire il divieto di respingimento indiretto nel procedimento di trasferimento in forza del regolamento Dublino III. Oltre che sulle numerose questioni di diritto intertemporale determinate dalla stratificata successione di leggi che nel tempo hanno investito la materia.
Tutte questioni di diritto rispetto alle quali la Corte suprema ha consolidato, sta consolidando o dovrà consolidare nel prossimo futuro principi di diritto la cui osservanza, da parte dei giudici di merito, la stessa Corte è chiamata a sindacare proprio nei giudizi che rischiano la pronuncia in rito in forza della norma sottoposta dalla terza Sezione al controllo di legittimità costituzionale.
[1] In Foronews, 14 giugno 2021, con nota di F. Del Rosso, Procura speciale e controversie in materia di immigrazione. La risposta delle sezioni unite (un doveroso richiamo ed un sentito ricordo agli scritti di un Autore che ci ha lasciato prematuramente e che, con la sua preparazione e la sua sensibilità, ha dato un contributo prezioso allo studio del processo per la tutela dei diritti dei richiedenti protezione).
[2] C. Favilli, Editoriale, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, 2/2017.
[3] Cfr conclusioni dell’avvocato generale Yves Bot nella causa C-429/2015, paragrafi 70 e 75, ove si afferma che chi legittimamente cerca una protezione internazionale versa in condizioni umane e materiali estremamente difficili e, di conseguenza, la procedura da questi avviata presso le autorità nazionali competenti deve garantirgli il mantenimento dei suoi diritti essenziali.
[4] (Cfr. Corte di Giustizia sentenza del 27 giugno 2013, Agrokonsulting-04, C-93/12, punto 39).
[5] (Cfr. Corte Costituzionale sentenza n.186/2020 in materia di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, commentata su questa rivista da F. Mangano in https://www.questionegiustizia.it/articolo/la-corte-costituzionale-e-l-iscrizione-anagrafica-dei-richiedenti-asilo-corte-cost-n-186-del-2020
Luca Minniti, Giudice presso il Tribunale di Firenze, Sezione Specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea
Martina Flamini, giudice del Tribunale di Milano