Magistratura democratica
giurisprudenza di legittimità

La tormentata vita del voto di scambio politico mafioso

di Calogero Gaetano Paci
Procuratore della Repubblica Aggiunto di Reggio Calabria
Note a margine di recenti e contrastanti orientamenti della Corte di Cassazione
La tormentata vita del voto di scambio politico mafioso

1. La nuova formulazione dell’art. 416 ter c.p.

Davvero singolare il destino della nuova fattispecie incriminatrice del voto di scambio politico mafioso: sono passati appena alcuni mesi dalla sua approvazione il 17 aprile scorso in Parlamento, dopo oltre un ventennio di giuste e fondate critiche mosse all’originaria configurazione che limitava lo scambio alla sola erogazione del denaro, e già si ritrova oggetto di ulteriori strali a seguito della sentenza n. 36382, depositata il 28 agosto 2014, con cui è stata annullata con rinvio la sentenza della Corte di Appello di Palermo che aveva condannato l’ex europarlamentare Antonello Antinoro per il delitto di cui all’art. 416 ter c.p.

Per la verità le critiche erano state espresse già al momento del varo della riforma: si era parlato di un regalo alle mafie per via dell’abbassamento dei limiti edittali di pena al di sotto di quelli previsti per il delitto di associazione mafiosa, o ancora di un generalizzato colpo di spugna del fenomeno del voto di scambio a causa del mancato inserimento del requisito della “disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa”, inizialmente previsto nella proposta approvata dal Senato il 28 gennaio 2014.

Queste critiche, tuttavia, si erano rivelate ben presto inconsistenti.

Infatti, da un lato, l’equiparazione sanzionatoria era parsa irrazionale ed anche incostituzionale perche avrebbe determinato la punizione di un soggetto estraneo all’organizzazione mafiosa con la stessa pena prevista per il partecipe, nonostante che, il primo, con la sua condotta, concorra a realizzare soltanto una parte del programma criminoso, cosi come descritto nel comma 3° dell’art. 416 bis c.p.; inoltre perché, con una tale equiparazione, un reato di condotta, quale era ed è rimasto quello di cui all’art. 416 ter c.p., sarebbe stato punito come un reato di evento, malgrado l’innegabile maggiore valenza offensiva di quest’ultimo.

In secondo luogo, il requisito della “disponibilità”, già ampiamente analizzato ed ormai non più utilizzato dalla giurisprudenza di legittimità nell’ambito dell’elaborazione sul concorso esterno, non solo si è rivelato scarsamente utile ma è anche dannoso perche non consente di definire in termini oggettivi la condotta del politico che chiede i voti in quanto difetta dei requisiti minimi (disponibilità come stato psicologico interiore?) per assicurare lo standard di tassatività e determinatezza alla fattispecie.

Anche l’obiezione secondo cui la nuova fattispecie non permetterebbe una adeguata copertura del vasto e multiforme fenomeno del voto di scambio non va oltre lo slogan d’effetto demagogico poiché non tiene conto che la rilevanza penale del patto politico mafioso può essere sussunta nell’ambito dello schema del concorso esterno, tutte le volte che si sia in presenza di un accordo “serio e concreto” in forza del quale un politico promette di assecondare le istanze mafiose in cambio dei voti (Cass. Sez. Un., 33748 del 12 luglio 2005, Mannino, Sez. Sec., 15115, 6 marzo 2012, Iraci), ovvero ancora i reati di corruzione o di coartazione elettorale (art. 96 e 97 D.P.R. 36157, art. 85 e 87 D.P.R. 75060) che possono anche concorre con la fattispecie del 416 ter c.p.

In realtà le critiche alla nuova fattispecie hanno in qualche modo finito per oscurare la ragione fondamentale della riforma, ossia l’introduzione della locuzione “altre utilità”, necessaria per colpire lo scambio di promesse oltre la mera erogazione di somme di denaro.

2. Il percorso motivazionale della sentenza Antinoro

Le critiche mosse alla riforma sono state puntualmente riproposte all’indomani del deposito della sentenza Antinoro considerata come l’immediata ed evidente dimostrazione del suo esito fallimentare.

In realtà l’esame dell’iter motivazionale consente di evidenziare che la Corte ha riconosciuto nella modifica legislativa operata dalla legge n. 62 del 2014 non soltanto l’effetto di ampliare l’ambito della controprestazione, ma altresì una modifica strutturale dello scambio delle promesse che, in virtù dell’espresso richiamo al 3° comma dell’art. 416 bis c.p., ora deve necessariamente ricomprendere anche le modalità mafiose con cui i voti vengono procurati.

In sostanza non è più sufficiente, secondo il ragionamento della Sesta Sezione, che un accordo venga raggiunto ma occorre che esso preveda anche l’impegno del gruppo mafioso ad operare secondo le tipiche modalità previste dal richiamato 3° comma.

A questa conclusione la Corte perviene in base alla ricostruzione del dibattito parlamentare nel corso del quale era stata formulata una proposta (la n. 204 C. del 15 marzo 2013) con cui veniva espressamente esclusa la rilevanza del metodo mafioso, in considerazione della sua estraneità alla struttura di reato di pericolo o a consumazione anticipata della fattispecie.

La mancata approvazione di tale testo ed il riferimento alle “modalità” tipizzate nel 3° comma costituirebbe l’indice inequivoco della volontà del legislatore di attribuire positiva rilevanza costitutiva al metodo mafioso.

Il ragionamento della Corte, tuttavia, per quanto apprezzabile nello sforzo di potenziare il tasso di materialità e di offensività della fattispecie, finisce per trasformare un significativo elemento di prova del patto in un requisito sostanziale della fattispecie.

Anche nella nuova formulazione della fattispecie, invero, il nucleo sostanziale strutturale continua ad essere costituito dallo scambio reciproco delle promesse in cui l’innesto del 3° comma dell’art. 416 bis c.p. è operato necessariamente in funzione della individuazione del protagonista qualificante dell’accordo, ossia l’organizzazione mafiosa, senza il quale la disposizione non avrebbe senso poiché il suo ambito di applicazione sarebbe stato già coperto dai richiamati artt. 96 e 97 D.P.R. 36157, 85 e 87 D.P.R. 75060.

Come era stato notato con riferimento alla originaria formulazione, anche nella nuova versione dell’art. 416 ter probabilmente si annida una imprecisione lessicale nell’utilizzazione del termine “modalità” per indicare l’imprescindibile ruolo di una organizzazione mafiosa, la cui caratteristica ontologica, per note ragioni storiche e socio-criminologiche, è anche quella di condizionare il libero esercizio del diritto di voto.

L’argomentazione della Corte ha completamente trascurato l’analisi del soggetto qualificante ed è stata condotta tutta sul fragile crinale dei lavori preparatori, di regola mai decisivi ma in questo caso addirittura scarsamente affidabili per via della tortuosità che ha caratterizzato il dibattito parlamentare, in cui sono spesso prevalse logiche di puro propagandismo politico-mediatico ostentate a scapito dell’esigenza di dotare la magistratura di uno strumento realmente incisivo ed al contempo rispettoso delle garanzie costituzionali.

Per avere un’idea di un diverso percorso argomentativo ancorato alla piena considerazione del ruolo dell’organizzazione mafiosa è utile considerare la decisione del 22 gennaio 2013 con cui la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, sia pure nella vigenza dell’originaria formulazione della norma, ha confermato definitivamente le condanne emesse a carico dei correi dell’Antinoro per il medesimo fatto di reato.

Aderendo all’orientamento secondo cui il perfezionamento del reato si realizzazione al momento della formulazione delle reciproche promesse e non della loro successiva concretizzazione, la Corte non ha esitato a confermare la pronuncia della Corte di Appello evidenziando che nessun dubbio poteva essere sollevato sull’accertato accordo stretto dall’Antinoro con diversi esponenti della famiglia mafiosa, che avevano assunto l’impegno di procurare i voti in suo favore e che “conteneva in re ipsa la forza di intimidazione tipica dell’organizzazione mafiosa, che proprio il numero di detti membri esprimeva.”

Il richiamo alla fattispecie concreta oggetto del giudizio dimostra che, quando si raggiunge la prova dell’esistenza di un tale accordo, è davvero difficile dubitare della serietà e della concretezza dell’impegno assunto dall’organizzazione mafiosa, che raramente si determina a stipularlo per fini diversi da quello di mobilitarsi con tutte le sue risorse in favore del candidato, e perciò, oltre ad attentare alla libertà di autodeterminazione politica dei cittadini, si trasforma anche in un pericolo permanente alla integrità delle Istituzioni in caso di elezione del candidato sostenuto.

L’esigenza di bloccare sul nascere tale progressione criminosa è alla base della tutela anticipata che la norma offre a presidio della reale agibilità del sistema democratico e che non pare compatibile con l’adozione di orientamenti interpretativi che ne subordinano la realizzazione ad ulteriori presupposti che non rientrano nella struttura della fattispecie.

3. Verso una pronunzia delle Sezioni Unite?

A distanza di poco più di 10 giorni dal deposito delle motivazioni della sentenza Antinoro, sempre la Sesta Sezione penale ha depositato le motivazioni di una sentenza di annullamento (n. 37374, imp. Polizzi) con rinvio di una decisione del Tribunale del riesame di Palermo che aveva annullato una ordinanza di custodia cautelare emessa per il delitto in questione sul presupposto della mancata integrazione degli estremi della intimidazione ovvero della prevaricazione mafiosa.

Il percorso argomentativo sviluppato dalla Corte parte dalla riaffermazione della natura di pericolo del reato fondato “sulla mera conclusione dell’accordo” e concentra l’analisi sull’unico elemento sostanziale presupposto dalla fattispecie, cioè “la presenza di una associazione di stampo mafioso che si occupa anche del condizionamento del voto”, la cui “particolare qualità” va accertata e dimostrata.

Le modalità esecutive dell’accordo non rientrano nella condotta tipica, possono costituire un post factum non punibile o integrare ulteriori ipotesi di reato (si va dalla coartazione elettorale, passando per la violenza privata sino all’estorsione o all’associazione mafiosa vera e propria) ma in ogni caso le concrete modalità di ricerca dei voti costituiscono espressione della vita e dell’operato dell’organizzazione, della sua capacità di “assoggettamento di aree territoriali e corpi sociali alla forza del vincolo mafioso..”.

La conclusione, comune a tanta parte dell’elaborazione giurisprudenziale precedente, è che l’indicazione di voto sia percepita all’esterno come proveniente dal gruppo mafioso che esercita il suo condizionamento sul territorio.

In altri termini il metodo mafioso che la sentenza Antinoro si sforza di recuperare nella struttura della fattispecie non è  altro” rispetto all’accertamento della qualità mafiosa dell’organizzazione ed alla serietà e concretezza del patto raggiunto.

La completezza delle argomentazioni sviluppate dalla sentenza Polizzi non dovrebbe lasciare adito ad ulteriori oscillazioni giurisprudenziali sebbene in atto il contrasto permane e non è perciò escluso un intervento delle Sezioni Unite.

22/09/2014
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