1. Le disposizioni contenute nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ormai a tutti noto come PNRR, che riguardano il servizio giudiziario, sono contenute essenzialmente nella legge 6 agosto 202 n. 113 e nei successivi decreti ministeriali che danno in pratica avvio alle procedure di reclutamento degli addetti all’Ufficio del Processo e prevedono l’immissione temporanea in servizio, a tempo determinato, di personale amministrativo presso i soli uffici giudicanti.
Va naturalmente accolta con favore l’iniezione di risorse umane in quanto questa si inserisce sulla scia del ripristino delle assunzioni nel settore giustizia, incominciata nel gennaio 2018 dopo un ventennio circa di blocco delle assunzioni e di riduzione delle piante organiche del personale amministrativo degli uffici giudiziari.
Peraltro tale incremento è limitato nel tempo, in sintonia con le previsioni del PNRR che impediscono assunzioni a tempo indeterminato, ed interviene in un settore della pubblica amministrazione, che, proprio per l’inerzia legislativa e ministeriale di un ventennio, sconta una cronica carenza di personale amministrativo, in quanto i nuovi ingressi, fino ad ora, hanno a mala pena coperto i vuoti determinati dai pensionamenti.
Per l’effetto, il personale che viene assunto è precario e non è assolutamente certo che verrà stabilizzato. La tendenza ad utilizzare personale precario per risolvere i problemi di organico del personale amministrativo nel settore della giustizia si pone in insanabile contrasto con la necessità di ragionare in termini progettuali per affrontare la crisi della lunghezza dei processi, determinata essenzialmente dalla formazione di un arretrato nei decenni precedenti.
2. Ciò premesso appare chiaro come il personale a tempo determinato non possa essere utilizzato per turare le falle o rabberciare una coperta corta, ma debba essere incardinato nell’ambito di scelte organizzative a medio termine, con obiettivi periodici, prefissati e raggiungibili, da monitorare costantemente. L’individuazione di questi ultimi spetta alla doppia dirigenza, magistratuale ed amministrativa, che governa gli uffici giudiziari.
Se il fine ultimo del PNRR per quanto riguarda il settore in esame consiste sicuramente nella riduzione dei tempi del processo e nel perseguimento della sua ragionevole durata, innanzi tutto mediante l’abbattimento dell’arretrato, ciò si consegue con un uso sapiente delle dotazioni tecnologiche, con un’accorta allocazione degli strumenti materiali e con una valorizzazione delle risorse umane. Insomma con una cultura organizzativa, sicuramente presente in alcune realtà giudiziarie ma non uniformemente diffusa.
Per essere ancora più chiari ed espliciti, ben vengano queste risorse umane ma abbiamo una classe dirigente dei singoli uffici giudiziari capace di utilizzarla?
Sembra quanto meno opportuno ipotizzare dei poli distrettuali, con il diretto coinvolgimento dei vertici degli uffici apicali e sulla falsariga delle unità di crisi creati in occasione della crisi pandemica, per una gestione tendenzialmente uniforme a livello distrettuale. Con ampi poteri decisionali territoriali a fronte, tuttavia, di una verificabile responsabilità gestionale di risultato.
Per altro verso, l’immissione di personale precario determina evidenti difficoltà nell’ottica di un pieno coinvolgimento dello stesso nel conseguimento degli obiettivi.
Infatti, anche se viene prevista la preferenza per coloro che abbiano già svolto esperienze di tirocinio formativo all’interno degli uffici giudiziari, ciò non toglie che il personale da assumere vada adeguatamente formato nell’ottica di un investimento professionale che rischia di essere frustrato, in considerazione del tempo limitato del rapporto lavorativo. Così come coloro che vengono assunti sono ovviamente attratti da altre auspicabili alternative lavorative, in considerazione della natura meramente temporanea della loro assunzione nell’amministrazione giudiziaria.
In definitiva, la mancanza di una prospettiva di stabilizzazione del personale assunto in forza del PNRR inevitabilmente legittima forme di precariato, come tali non garantite nella stabilizzazione del rapporto e sottoposte a costanti fibrillazioni nell’agognata, non da tutti ma sicuramente dalla maggioranza degli assunti, meta della conversione in un rapporto a tempo determinato.
D’altro canto, proprio una tendenziale prospettiva a lungo termine di tutto l’ambiente lavorativo, a prescindere ovviamente dalle singole determinazioni individuali, serve a cementare il lavoro di squadra.
Come ormai dovrebbe essere riconosciuto da tutti, la decisione delibativa che viene resa pubblica non è solo l’opzione discrezionale del singolo giudice, fagocitatore del diritto nel caso di specie, ma il frutto organizzato di un lavoro collettivo.
3. Sotto un secondo profilo, la scelta legislativa di assumere personale amministrativo solo per gli uffici giudicanti determina una giustizia a due velocità, con evidente privilegio per il settore civile, il cui processo civile telematico, PCT, è notevolmente più sviluppato rispetto all’ancora embrionale processo penale telematico PPT.
D’altronde, per la riduzione della lunghezza dei processi penali ci si intende muovere con modifiche legislative non solo di carattere ordinamentale, ma anche squisitamente processuali quali il novello istituto della improcedibilità per avvenuto decorso del tempo
L’obiettivo di ridurre se non propria abbattere l’arretrato ha presumibilmente indotto a prevedere l’innesto di personale amministrativo solo per gli uffici giudicanti, senza alcuna previsione di rafforzamento per gli uffici requirenti.
Ciò non sembra tener conto del carattere necessariamente lineare del processo penale, in cui l’esito finale del giudizio in Cassazione risente inevitabilmente della capacità di dialogo e del flusso di affari in linea orizzontale, tra gli uffici frontalieri di primo e secondo grado, cioè tra le procure, di primo grado e Generali con i rispettivi tribunali e Corti d’appello, oltre che in linea verticale, tra gli uffici circondariali e quelli distrettuali.
Anche in questo contesto la prassi giudiziaria ha dimostrato che ove il dialogo funziona, i risultati sono evidenti in quanto la capacità di gestione e smaltimento del flusso degli affari non può essere rimessa al singolo ufficio giudiziario ma è condizionata dai reciproci rapporti e dalle rispettive interrelazioni.
A mo’ di esempio, uno fra i tanti, il numero di richieste di archiviazione ed i tempi di decisione sulle stesse non dipendono solo dall‘ufficio di Procura o dal Gip, isolatamente considerati, ma dall’uniformità di giudizio e dalla prevedibilità delle decisioni oltre che dall’esistenza di un Ufficio, generalmente definito degli Affari Semplici, in Procura che abbia precise direttive dal Procuratore in tema di esercizio dell’azione penale con riferimento alle distinte tipologie di reati e dal conseguente numero di giudici che vengono assegnati a tale settore giudicante, in considerazione del flusso di procedimenti.
4. Da ultimo, in queste considerazioni è sempre emersa la necessità di saper gestire le risorse da parte dei dirigenti, in specie giudiziari, ma ciò impone soprattutto che la struttura posta come staff dei giudici venga utilizzata per un miglioramento qualitativo e non solo quantitativo del sistema giudiziario.
E’ innegabile che il PNRR determina la ristrutturazione dell’apparato statale e che nel settore giustizia l’obiettivo è espressamente individuato nella durata del processo.
Quest’ultimo è sicuramente un valore, ma proprio il legittimo perseguimento di tale obiettivo non deve far dimenticare come la pandemia abbia ulteriormente accentuato le enormi ed inaccettabili differenze sociali, già esistenti prima dello scoppio della crisi sanitaria.
Quindi la razionalizzazione e l’efficientamento degli uffici giudiziari non deve puntare solo ad obiettivi quantitativi, quali l’abbattimento dell’arretrato e la riduzione dei tempi del processo, ma contestualmente deve puntare ad eliminare le diseguaglianze, formali e sostanziali, anche al fine di allentare le tensioni sociali secondo gli obiettivi costituzionalmente imposti del perseguimento dell’uguaglianza effettiva, in un’ottica evolutiva del diritto.
Si pensi alla necessità di tutelare le forme di lavoro dipendente, precario e subordinato, le vittime della violenza di genere, l’ambiente, i diritti della persona umana, senza ovviamente dimenticare il tema della corruzione e della criminalità organizzata, i cui appetiti sono indubbiamente stimolati dal flusso di denaro connesso alla ricostruzione.
In definitiva la ristrutturazione dello Stato, conseguente alla rinascita dopo la crisi pandemica non può essere attenta solo agli indicatori economici del prodotto interno lordo, ma deve garantire un reddito dignitoso per tutti i cittadini ed anche, conformemente al dettato costituzionale dell’art. 10 Cost, riconoscere i diritti dello straniero.
D’altronde, la cittadinanza digitale, un formidabile grimaldello per superare confini meramente territoriali ma contestualmente un pericoloso strumento per accentuare le differenze tra chi è in possesso di dotazioni tecnologiche da chi ne è privato, impone una rivisitazione dei concetti di cittadinanza e di nazionalità.
Mai come adesso il compito della giurisdizione è quello di rispettare il dovere costituzionale del perseguimento dell'uguaglianza sostanziale. Non solo dei cittadini ma di tutte le persone.