Ci sono momenti in cui scrivere è urgente, ma la prosa perde. Per salutare Sergio Staino, per ringraziare la sua generosità umana e politica, dovremmo gettare la penna e prendere in mano la matita, se solo sapessimo usarla come lui. Ci piacerebbe metterci a disegnare per ripagarlo con un ricordo folgorante come la verità delle vignette che ci ha donato, munite di quella presa diretta capace di far comprendere in un baleno come è il mondo e, in taluni casi, presentire come sarà.
Basta girare gli occhi alle vignette qui sotto, un campione delle tante regalate a Magistratura democratica e alla fortunata esperienza di Agemda, per avere idea di quella immediatezza che trafigge il cuore e arriva alla mente prima di ogni possibile editoriale. Vale quello che Graham Greene, a proposito della velocità della poesia, mise in bocca a un suo personaggio: «la prosa si muove con troppa lentezza, la poesia piomba come un’aquila e ti pugnala prima che te ne accorga». E così, ecco che la struggente speranza che spinge i migranti a varcare il mare si rivela nelle lapidarie parole con le quali uno di essi, pronto a salire su un barcone, risponde alla preoccupata domanda della figlia di Bobo: – Perché vi mettete in mare se sapete che forse morite? – …Per il forse. Un’epifania fulminea, destinata a rimanere impressa nella mente più di mille saggi di sociologia del fenomeno migratorio. Sono disegni, ma sono veri e propri interruttori mentali: giri pagina e ti si accende la lampadina. Sono vignette, ma sono anche vernici fissative: ancorano nei pensieri le questioni politiche, il senso delle cose, l’indignazione che muove l’impegno intellettuale.
Una buona dose di satira Sergio Staino l’ha offerta a noi magistrati per metterci in guardia da noi stessi, dalla ignavia che consegue al prevalere della propensione burocratica: – Buon uomo, la giustizia è come la fortuna…nella sua casualità è uguale per tutti. Sono le frasi di un giudice che, rappresentato in posa solenne e abiti curiali, è intento a propinare una lezioncina di legalità a un povero cristo. Tante volte questa vignetta mi ha sospinto verso una suggestione proveniente da altre letture: il magistrato-funzionario paragonato a una scimmia che getta in terra noci di cocco dall’alto di un albero, colpendo persone a caso. Allo stesso modo di questa immagine, la satira di Staino mette alla berlina un modello di giustizia e di giudice rinunciatario, frutto di un disimpegno intellettuale tornato di moda, oltre che di carenza di risorse e proliferare incontrollato di leggi sibilline. È senza dubbio la rappresentazione più efficace di una giustizia che, contrariamente a quanto la Costituzione da essa pretende, finisce per confermare e addirittura calcificare l’ordine naturale dei rapporti di forza. Il forte sempre più forte, il debole sempre più debole. Un vero e proprio tormento per chi ha a cuore il progetto di emancipazione dell’art. 3 capoverso della Costituzione.
A rileggere la satira di Staino, rappresentata dalla sintesi che pubblichiamo, viene il dubbio che si sia fatta poca strada in direzione di un progresso autentico. Gli interventi risalgono agli anni compresi tra il 2004 e il 2009, ma le migrazioni continuano a essere il terreno di prova per la democrazia includente e la guerra è tornata a far tuonare la sua voce nel silenzio della politica e del diritto internazionale. Segno che l’umanità procede in avanti con i sassi nelle tasche. Nelle vignette di Staino, però, non c’è mai rassegnazione allo stato delle cose. C’è, nella sua satira, un tratto di tenerezza verso gli uomini che la distingue dal tono più corrosivo e cinico di altri autori. Bobo conosce la frustrazione delle sconfitte, ma, se ti giri, lo trovi lì, dalla stessa parte. Magari un po’intristito, comunque pronto a consolare e ricominciare, a rispondere alle domande e alle inquietudini delle nuove generazioni.
In questi giorni molti salutano insieme Sergio Staino e Bobo, l’alter ego di carta che non avrà parole nuove per raccontarci il mondo. Noi, però, sappiamo che le pagine delle nostre agende e i fogli dei giornali sono ancora qui, davanti a noi. Basta prenderli in mano per tornare a dialogare. Addio, Sergio. A domani, Bobo.