1. Premessa
La disamina del regime di efficacia nel tempo delle norme prodotte dalle disposizioni adottate merita una considerazione preliminare.
La nuova disciplina della protezione complementare (umanitaria e per casi speciali) ha evidentemente perseguito lo scopo, finale, di restituire effettività al diritto costituzionale di asilo, ritenuto solo in parte attuato dalle norme internazionali e sovranazionali e dai relativi strumenti di recepimento. Ma ha anche perseguito un’ulteriore finalità, strumentale alla prima, quella di elidere, ex tunc, gli effetti restrittivi del d.l. n. 113/2018, costruendo un ponte tra la ultrattività della disciplina previgente al decreto legge del 2018 e le nuove norme introdotte nel d.l. n. 130/2020, convertito in legge n. 173/2020. Un ponte teso ad estinguere, medio tempore, tutti gli effetti restrittivi del diritto di asilo, prodotti dal d.l. 113/2018 sui procedimenti amministrativi e sui processi, in corso alla data di entrata in vigore del d.l. 130/2020, in materia di protezione internazionale.
Vedremo nel prosieguo come il ponte sia stato costruito. Non prima di aver svolto una ulteriore considerazione, forse utile alla comprensione della specifica problematica di diritto transitorio.
Nel regime previgente il d.l. n. 113/2018, il decisore delle domande di asilo poteva disporre, per dare effettiva attuazione all’art. 10, comma 3, Cost., non solo delle norme di recepimento della disciplina convenzionale ed eurounitaria, ma anche del permesso di protezione per seri motivi umanitari di cui all’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286/1998 (T.U. Imm.), contenente una clausola generale suscettibile di adattare i presupposti della protezione degli stranieri a variabili fonti di minaccia dei diritti umani.
Com’è noto, per effetto del regime giuridico introdotto dal d.l. n. 113/2018 la clausola generale aperta fu sostituita da un ristretto novero di ipotesi di protezione per casi speciali, tendenzialmente tassative nella intenzione del Governo legislatore.
Con l’entrata in vigore del nuovo regime introdotto dal d.l. n. 130/2020, convertito in l. 173/2020, il decisore torna, invece e per la prima volta, ad avere a sua disposizione entrambi gli strumenti:
- la clausola generale dell’art. 5, comma 6, T.U. Imm. con il diretto richiamo degli obblighi costituzionali e internazionali ed il rinvio, applicativo, al permesso per protezione speciale;
- le ipotesi tipiche dei casi speciali, con i nuovi ampliati presupposti dal d.l. n. 130/2020.
I due menzionati strumenti, per la prima volta affiancati, sono integrati con le norme di recepimento del principio di non refoulement: anch’esso attuato con il permesso per protezione speciale, strumento di protezione dello straniero dalla violazione degli obblighi consacrati nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). La nuova disciplina, secondo la nuova formulazione, è esplicitamente rivolta alla tutela della dignità umana dal rischio di trattamento inumano e degradante e dal pericolo di violazioni gravi della vita privata e familiare (con riferimento agli artt. 3 ed 8 CEDU) che lo straniero dovesse correre in conseguenza del suo allontanamento dal territorio nazionale.
I tre strumenti, da un lato attraverso il richiamo dei presupposti dell’art. 10 comma 3 Cost, più ampi dei presupposti della protezione di fonte internazionale, dall’altro attraverso il richiamo degli artt. 3 ed 8 CEDU oltre che dei permessi casi speciali, garantiscono un ampio raggio di copertura dei diritti umani dello straniero, oggi più estesa della protezione garantita, in passato, dal permesso per seri motivi umanitari di matrice costituzionale.
Il permesso per protezione speciale di matrice costituzionale, internazionale e convenzionale[1] offre più solida copertura normativa agli approdi cui nel tempo è pervenuta, in via interpretativa, la giurisprudenza nazionale[2].
2. La disciplina transitoria
In questo mutato contesto si inserisce la disposizione transitoria. L’articolo 15 del d.l. n. 130/2020, rubricato Disposizioni transitorie, prescrive al primo comma che le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 1, lettere a), e) ed f) si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del decreto avanti alle commissioni territoriali, al questore e alle sezioni specializzate dei tribunali, con esclusione dell’ipotesi prevista dall’articolo 384, comma 2, del codice di procedura civile. Mentre prevede al secondo comma che le disposizioni di cui all’articolo 2, comma 1, lettere a), b, c), d) ed e) si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto avanti alle commissioni territoriali.
L’art. 15 del decreto citato è entrato in vigore il 22 ottobre 2020 ed a seguito di conversione in legge risulta immutato ed attualmente vigente nell’ordinamento.
Questo breve commento posa le sue ragioni su due passaggi di lettura del testo che si sottopongono all’attenzione del giurista.
Il primo volto a dare rilievo al fatto che la norma contenuta nell’art. 15 prevede l’immediata applicazione delle disposizioni che richiama. Dunque, l’immediata applicazione delle disposizioni normative in essa contenute e non, invece, l’immediata applicazione delle norme che risultano dall’inserimento di dette disposizioni normative nell’ordinamento giuridico. In altre parole l’immediata applicazione della norma modificante, non della norma modificata.
La distinzione tra disposizione modificante e norma modificata appare come uno snodo ermeneutico dirimente ai fini della determinazione della portata dell’art. 15, per quel che si dirà, con riferimento a tutti e tre gli interventi normativi che hanno toccato la protezione umanitaria o complementare.
Una diversa impostazione è invece adottata dalla tesi secondo la quale, non le singole disposizioni normative modificative delle distinte previsioni di legge ma il complessivo nuovo regime della protezione[3], dovrebbe trovare immediata applicazione.
La distinzione qui proposta appare destinata a produrre conseguenze diversificate sul piano del regime transitorio con riferimento ai tre distinti interventi di modifica adottati dal legislatore, con il risultato di evitare che si dia ingiustificatamente «luogo a trattamenti differenziati»[4].
Il secondo passaggio sul quale si intende porre attenzione muove dalla identificazione delle diverse modalità con le quali il legislatore ha apportato le modifiche normative in esame, adottando tecniche differenti in grado di produrre modifiche normative (sulle «norme» e non sulle «disposizioni») con efficacia nel tempo, tra loro, differenziata.
Ed invero va considerato che, mentre sull’art. 5, comma 6, del T.U. Imm. il legislatore è intervenuto ripristinando una parte (solo una parte) del contenuto normativo espunto dal d.l. n. 113/2018, sull’art. 19 T.U. Imm. si è invece intervenuti sostituendo integralmente il comma 1.1 (oltre che introducendo il nuovo comma 1.2). E, terzo piano di intervento, sulla disciplina dei permessi per casi speciali per motivi di salute e per calamità, introdotta ex novo dal d.l. n. 113/2020, si sono sostituite od aggiunte alcune espressioni volte ad ampliare la portata dei presupposti.
Il mero esame di queste differenze dovrebbe consentire di trarre alcune conclusioni sul regime differenziato di applicazione delle norme nel tempo.
Com’è noto il nuovo Governo legislatore ha inteso evitare le problematiche interpretative cui è andato incontro il d.l. n. 113/2018 in punto di abrogazione del permesso di soggiorno per gravi motivi umanitari, come disciplinato principalmente dall’art. 5, comma 6, del T.U. Imm. Problematiche che portarono ad un contrasto di orientamenti in primo luogo tra Commissione Nazionale Asilo e Commissioni Territoriali, da una parte, e Giudici di merito, dall’altra. Poi anche ad un contrasto interno alla Corte di Cassazione risolto definitivamente dalle sentenze n. 29459 e n. 29460 del 2019 della Corte di Cassazione, in favore della efficacia dell’art. 5, comma 6, nel testo previgente con riferimento alle domande, anche amministrative, proposte prima del 5 ottobre 2018[5].
La mancata disciplina della successione di norme nel tempo ad opera del d.l. n. 113/2018 fu scelta consapevole del legislatore che, anche in sede di conversione in legge e pur a fronte delle prime avvisaglie di conflitti interpretativi, scelse di non intervenire omettendo di prevedere una norma transitoria.
L’applicazione dell’art. 11 delle preleggi al codice civile orientato dai principi generali dell’ordinamento ed in particolare dal rispetto del principio, di rango costituzionale, di eguaglianza e di quello dell’affidamento, posero correttamente rimedio alla mancanza di una disciplina interna al d.l. n. 113/2018.
Ma, prima dell’intervento delle Sezioni Unite, il contrasto rimase aperto per oltre un anno (dal giorno successivo alla entrata in vigore della norma, sino al 13 novembre 2019[6]) e determinò, com’è noto, l’esplosione del numero dei ricorsi proposti avverso l’impennata di dinieghi emessi dalle commissioni territoriali, fondati sulla ritenuta efficacia immediata, nei procedimenti in corso, dell’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari: dinieghi aumentati in misura esponenziale come conseguenza anche della restrittiva applicazione dei permessi per casi speciali e di protezione speciale. Il tutto con un aggravio delle sopravvenienze nei Tribunali che è ancora oggi motivo di sofferenza degli uffici di primo grado, tutt’ora prevalentemente impegnati a trattare le impugnazioni delle domande di asilo presentate in via amministrativa prima del 5.10.2018.
Va salutata quindi con favore la diversa opzione adottata dal Governo e dal Parlamento in occasione dell’adozione delle nuove norme.
Nella relazione di presentazione al Parlamento della legge di conversione del d.l. n. 130/2020 si legge infatti che «L’articolo 15 introduce disposizioni transitorie dirette a prevenire le incertezze interpretative sull’applicabilità del nuovo assetto normativo ai procedimenti in corso. Il comma 1 si riferisce a norme che possono incidere sull’esatta determinazione dell’attuale posizione giuridica degli stranieri. La previsione della loro immediata applicabilità ai procedimenti in corso, nella fase sia amministrativa che giurisdizionale, previene la duplicazione dei procedimenti amministrativi e di eventuali contenziosi, evitando la presentazione di nuove istanze, domande o ricorsi».
Questo breve commento non esaminerà l’impatto e l’efficacia nel tempo delle norme menzionate dal comma secondo dell’art. 15 del d.l. n. 130/2020 che concerne i soli procedimenti amministrativi in corso. Nella citata relazione al Parlamento si legge infatti che «La disposizione transitoria di cui al comma 2 si riferisce all’articolo 2 del decreto-legge, che apporta modifiche ad alcune procedure speciali che si svolgono davanti alle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e introduce specifiche garanzie per alcune categorie di soggetti vulnerabili, tra i quali i minori non accompagnati, oltre a prevedere specifiche garanzie per l’esame preliminare delle domande reiterate». L’applicabilità dell’art. 15, comma secondo, del d.l. n.130/2020, con riferimento ai procedimenti amministrativi in corso non pone particolari problemi trattandosi di norme sul procedimento e non di norme di diritto sostanziale. Né l’immediata applicabilità di queste disposizioni - quelle di cui all’articolo 2, comma 1, lettere a), b, c), d) ed e) – dovrebbe ridondare sui procedimenti giudiziari relativi ai provvedimenti emessi all’esito dei procedimenti amministrativi riformati, se non come eventuale vizio del provvedimento impugnato, vizio il cui effetto è delimitato dalla funzione, integralmente devolutiva, del ricorso giurisdizionale.
Il tema della portata dell’art. 15, comma 1, del d.l. n. 130/2020 merita invece di esser distintamente affrontato con riferimento alle singole disposizioni di cui si prescrive l’immediata applicazione, alla data di entrata in vigore del decreto legge, davanti alle Sezioni specializzate dei Tribunali.
Ciò perché, come si esporrà in seguito, l’intervento modificativo sulla disciplina preesistente ha prodotto una efficacia nel tempo differenziata, ad avviso di chi scrive necessariamente differenziata.
2.1. L’efficacia nel tempo dell’art. 1, comma 1 del d.l. n. 130/2020, lett. a)
L’art. 1 al comma 1 del d.l. n. 130/2020, lett. a), è intervenuto sull’art. 5, comma 6, del T.U. Imm. prevedendo che ad esso sia apportata la seguente modificazione: «dopo le parole "Stati contraenti" sono aggiunte le seguenti: ", fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano"».
La disposizione ha quindi introdotto una nuova norma, diversa sia da quella contenuta nel testo previgente al d.l. n. 113/2018, che prevedeva i seri motivi umanitari come fatto costitutivo del diritto al permesso di soggiorno, sia da quella prodotta dall’entrata in vigore del d.l. n. 113/2018, che tale presupposto del diritto aveva espunto unitamente all’obbligo di rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano.
Il testo dell’art. 5, comma 6, T.U. Imm. rimane pertanto amputato - anche dopo la modifica introdotta dal d.l. n. 130/2020 - del riferimento ai «seri motivi, in particolare di carattere umanitario» disposta a suo tempo dal d.l. n. 113/2018.
In altre parole poiché la nuova norma contenuta nel d.l. n. 130/2020, limitandosi a reinserire nella disciplina ordinaria il doveroso rispetto degli obblighi costituzionali ed internazionali (anche diversi dalla CEDU) gravanti sullo Stato italiano, quale motivo ostativo al rifiuto del permesso di soggiorno, interviene sul testo in precedenza già modificato dal d.l. n. 113/2018, essa lascia intatto il quadro giuridico regolativo della successione di leggi nel tempo, con riferimento alla modifica introdotta dal d.l. n. 113/2018 all’art. 5, comma 6, T.U. Imm.
Ciò è ricavabile dal fatto che la disposizione transitoria di cui all’art. 15 del d.l. n. 130/2020 non tocca altre disposizioni normative al di fuori di quelle in esso contenute, potendo così produrre l’effetto di rendere immediatamente applicabile ai procedimenti in corso il solo ripristino della clausola di rispetto degli obblighi internazionali, non anche l’intero testo risultante dalla modifica. E dunque non anche il testo risultante dall’intervento del d.l. n. 113/2018, contenente l’eliminazione della clausola dei seri motivi umanitari, la cui abrogazione resta efficace a partire dalle domande presentate dopo la sua entrata in vigore, come da orientamento consacrato nelle decisioni della Corte di cassazione a sezioni unite già citate.
Ragionando diversamente, volendo estendere l’applicazione del nuovo testo dell’art. 5, comma 6, alle domande di asilo proposte prima del 5.10.2018, si giungerebbe ad attribuire all’art. 15 del d.l. n. 130/2020 l’effetto di rendere applicabile alle domande presentate prima del 5 ottobre 2018 l’integrale nuovo testo dell’art. 5, comma 6, e non la sola disposizione normativa re-introdotta dal d.l. n. 130/2020. Ma questo contrasta con il dato testuale e la collocazione sistematica dell’art. 15 d.l. cit che prevede l’applicazione ai procedimenti in corso della sola modifica all’art. 5 comma 6 T.U.Imm. in esso apportata, quella avente ad oggetto il reinserimento dell’obbligo di rispetto dei vincoli costituzionali ed internazionali.
Ne consegue che l’efficacia temporale disciplinata dall’art. 15 sia da circoscrivere alla disposizione contenuta nel d.l. n. 130/2020 laddove in essa si torna a prevedere che «dopo le parole "Stati contraenti" siano aggiunte le seguenti: ", fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano"». Il risultato sistematico ottenuto da questa interpretazione anche con riferimento alla sola disciplina contenuta nell’art. 5, comma 6, è del tutto ragionevole e congruente con l’obiettivo del legislatore che, come si è anticipato, in tal modo ha eliminato, in parte qua, gli effetti del d.l. n. 113/2018 sin dalla sua entrata in vigore e quindi con i limiti di efficacia nel tempo che la norma aveva secondo l’orientamento consacrato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, correggendo quindi gli effetti del d.l. n. 113/2018, in ossequio al severo monito del Presidente della Repubblica, senza perciò intervenire sulla ultrattività del previgente testo dell’art. 5, comma 6.
In poche parole l’art. 15 del d.l. n. 130/2020, non intervenendo sulla efficacia nel tempo delle modifiche apportate all’art. 5, comma 6, del T.U. Imm. dal d.l. n. 113/2018, delimita nel tempo la propria efficacia alle sole situazioni giuridiche toccate dallo stesso d.l. n. 113/2018: quelle vantate con domanda amministrativa successiva al 5 ottobre 2018. E solo ad esse.
Da ciò ne consegue che, per le domande di protezione internazionale presentate prima del 5 ottobre 2018, il d.l. n. 113/2018, entrato in vigore in quella data, si deve confermare il principio di diritto consacrato nelle decisioni della Corte di Cassazione (sentenze delle Sezioni Unite n. 29459 e n. 29460 del 2019) laddove si è affermato che: «in tema di successione di leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con D.L. n. 113 del 2018, convertito con la legge n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dall’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998 e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella legge n. 132 del 2018 comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per “casi speciali” previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto decreto legge».
Sicché alla luce della suddetta ricostruzione, alle domande di protezione internazionale presentate prima del 5 ottobre 2018 dovrebbe ritenersi applicabile la disciplina dei presupposti di riconoscimento della protezione umanitaria, di cui all’art. 5, comma 6, T.U. Imm. nella versione antecedente al d.l. n. 113/2018, che, nella parte in cui ha eliminato i gravi motivi umanitari dai presupposti per il rilascio di permesso di soggiorno, resta irretroattivo anche a seguito delle modifiche apportate con l’entrata in vigore del d.l. n. 130/2020.
In sintesi, partendo dal rilievo testuale per cui l’art. 1, lett. a), del d.l. n. 130/2020 non sostituisce integralmente il previgente art. 5, comma 6, del T.U. Imm. ma, unicamente, vi reintroduce il dovere di rispetto degli obblighi costituzionali e internazionali espunto dal d.l. n. 113/2018, non si può che pervenire a ritenere la sua efficacia nel tempo ancora condizionata dalla efficacia nel tempo del d.l. n. 113/2018, relativa quindi alle sole domande amministrative di asilo successive al 5 ottobre 2018.
Mentre davanti alle Sezioni specializzate alle domande di protezione internazionale proposte in sede amministrativa dopo il 5 ottobre 2018 si applicherà, sempre, il nuovo art. 5, comma 6, T.U. Imm. nella formulazione che è al contempo l’effetto del d.l. n. 113/2018, che ha eliminato i seri motivi umanitari, e del d.l. n. 130/2020 che ha reinserito il doveroso rispetto degli obblighi costituzionali ed internazionali.
2.2. L’efficacia nel tempo delle nuove norme contenute nel nuovo testo dell’articolo 19, comma 1.1. T.U. Imm.
Lo stesso criterio di giudizio può esser adottato per determinare la portata dell’art. 15 del d.l. n. 130/2020 sul nuovo art. 19 T.U. Imm. Com’è noto si è ritenuto che la norma costituisse attuazione del “principio di non refoulement” sancito dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato e dall’art. 3 CEDU.
La portata della norma ha sempre avuto un raggio più ampio della procedura di esame delle domande di protezione internazionale (nella quale operava in ipotesi di ricorrenza di una causa di esclusione della protezione internazionale eventualmente riconoscibile). Avendo la norma trovato distinta applicazione, al di fuori del procedimento di protezione internazionale, ogniqualvolta l’Amministrazione avesse riconosciuto la sussistenza della condizione di cui all’art. 19, comma 1, T.U. Imm., ovvero quando l’Autorità giurisdizionale fosse chiamata a valutare la legittimità di un provvedimento di espulsione o respingimento precedentemente adottato nei confronti del cittadino straniero o la domanda di estradizione o di mandato di cattura europeo. Il permesso di soggiorno correlato alle ipotesi di divieto di respingimento, non integranti fattispecie di protezione internazionale od impedite dalla sussistenza di causa di esclusione, prima del d.l. n. 113/2018 era individuato ai sensi dell’art. 32 comma 3 d.lgs. n. 25/2008 nel permesso previsto dall’art. 5, comma 6, T.U. Imm.
Ma il vecchio testo dell’art. 19 1.1. T.U. Imm è stato, dall’art. 1, comma 1, lett. e), n. 1, del d.l. n. 130/2020, integralmente sostituito dal seguente: «1.1. Non sono ammessi il respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti o qualora ricorrano gli obblighi di cui all’articolo 5, comma 6. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell’esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani. Non sono altresì ammessi il respingimento o l’espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che esso sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica nonché di protezione della salute nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, resa esecutiva dalla legge 24 luglio 1954, n. 722, e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine.».
Il nuovo testo contiene, come evidenzia la relazione al disegno di legge di conversione del d.l. n. 130/2020, «una complessiva riformulazione» diretta a dare piena attuazione agli artt. 3 ed 8 CEDU. Un intervento dunque di portata del tutto differente da quello attuato sull’art.5, comma 6, T.U. Imm., cui pure è testualmente connesso.
Ne consegue che le conclusioni cui si è pervenuti nell’esame della portata dell’art. 15 del decreto con riferimento all’art. 5, comma 6, T.U. Imm. non possono esser riprodotte con riferimento a questa distinta modifica.
Qui non si è più in presenza di una modifica della modifica contenuta nel precedente d.l. n. 113/2018, ma di una sostituzione integrale che non incontra i limiti di efficacia temporale delle precedenti modifiche, come quelle sulle quali è invece intervenuta la modifica apportata all’art. 5, comma 6, T.U. Imm.
In questo senso milita anche un passaggio importante della Relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del d.l. n. 130 del 2020, ove si afferma che la previsione dell’art. 15 d.l. cit. ha lo scopo di prevenire le incertezze interpretative sull’applicabilità del nuovo assetto normativo ai procedimenti in corso, in particolare «evitando la presentazione di nuove istanze, domande o ricorsi».
Se questo è vero, il nuovo art. 19, commi 1.1. e 2, avrà, per effetto dell’art 15 del d.l. n. 130/2020, efficacia dalla data di entrata in vigore e con riferimento a tutti i procedimenti amministrativi e giudiziari pendenti, con il solo limite posto dalla norma ai giudizi che conseguono ad un annullamento con rinvio, disposto dalla Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c.
Il nuovo art. 19 T.U. Imm. potrà convivere dunque, in relazione ai procedimenti relativi alle domande presentate prima del 5 ottobre 2018, con il vecchio testo dell’art. 5, comma 6, T.U. Imm., avendo la maggiore estensione materiale propria del principio di non refoulement, estensione maggiore rispetto all’ambito delle situazioni giuridiche vantate con domanda amministrativa di protezione internazionale[7].
La conferma di questa impostazione, che vede distinti ed affiancati i presupposti del diritto costituzionale di asilo e del principio di non respingimento, potrebbe ricavarsi anche dalle modifiche intervenute nella legge di conversione del d.l. n. 130/2020, che – come risulta dal testo sopra riportato – ha aggiunto all’art. 19 T.U. Imm., comma 1.1, primo periodo, dopo le parole: «inumani o degradanti», le seguenti: «o qualora ricorrano gli obblighi di cui all'articolo 5, comma 6», con ciò estendendo alla previsione delle situazioni protette dagli obblighi costituzionali e internazionali di cui all’art. 5, comma 6, T.U. Imm. il richiamo del permesso per protezione speciale; chiudendo in tal guisa il cerchio del sistema dei permessi di soggiorno e trasferendo dall’art. 5, comma 6, T.U. Imm., dove era collocato il permesso per seri motivi umanitari, all’art. 19 T.U. Imm. la norma attuativa del sistema dei permessi di soggiorno generati dal diritto costituzionale di asilo, ma diversi dalle misure di protezione maggiori[8].
Per il futuro la disciplina degli strumenti attuativi del diritto costituzionale di asilo e del principio internazionale di non refoulement risulta avere un quadro normativo più certo e chiaro. Quello per cui, fatti salvi gli obblighi costituzionali ed internazionali, diversi ed ulteriori che dovessero gravare sullo Stato italiano, sarà la norma di attuazione del principio sovranazionale di non respingimento (e non più l’istituto del permesso di soggiorno per seri motivi umanitari) ad operare come clausola di salvaguardia dei diritti umani degli stranieri, per il tramite del nuovo permesso di soggiorno per protezione speciale di cui all’art. 19, comma 1.2, T.U. Imm., rilasciabile in attuazione vuoi degli obblighi costituzionali o internazionali di protezione dello straniero, vuoi degli obblighi convenzionali, previsti nella CEDU, da bilanciarsi, con esclusivo riferimento ai rischi di violazione della vita privata e familiare, con le ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica nonché di protezione della salute.
2.3 L’efficacia nel tempo delle modifiche ai permessi per casi speciali
L’art. 1, comma 1, lett. e), n. 3, del d.l. n. 130/2020, ha previsto che nell’art. 19, al comma 2, lettera d-bis), T.U. Imm., primo periodo, le parole «condizioni di salute di particolare gravità» sono sostituite dalle seguenti: «gravi condizioni psico-fisiche o derivanti da gravi patologie». E poi, alle lett. f), che all’articolo 20-bis T.U. Imm.: “1) al comma 1, le parole «contingente ed eccezionale» sono sostituite dalla seguente: «grave»; 2) al comma 2, le parole «per un periodo ulteriore di sei mesi» sono soppresse, la parola «eccezionale» è sostituita dalla seguente: «grave» le parole «, ma non può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro» sono soppresse.
Si tratta dei permessi per casi speciali introdotti dal d.l. n. 113-2018 per soggetti in condizioni di salute di particolare gravità o espatriati per contingente ed eccezionale calamità, con efficacia (per le domande ante 5 ottobre 2018) non sostitutiva della protezione umanitaria di cui all’art. 5, comma 6, del T.U. Imm.
Il d.l. n. 130/2020 ha ampliato i presupposti per il riconoscimento di tali permessi sostituendo le espressioni ed incidendo sulle clausole restrittive che hanno di fatto reso molto raro il riconoscimento del diritto. Dal punto di vista della disciplina transitoria poiché i permessi previsti dal d.l. n. 113/2018 avevano presupposti più limitati rispetto a quelli per il rilascio del permesso per seri motivi umanitari, si riteneva che, in relazione ad essi si dovesse pervenire alle stesse conclusioni raggiunte dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite in relazione all’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari. In difetto di espressa previsione di norma transitoria il permesso di soggiorno per gravi motivi umanitari si è ritenuto che potesse trovare applicazione alle domande anteriori al 5 ottobre 2018, anche quando la protezione fosse giustificata solo da motivi di salute o di calamità.
Per la stessa ragione esposta in relazione alle modifiche apportate all’art. dell’art. 5, comma 6, T.U. Imm, la modifica contenuta nel d.l. n. 130/2020, ampliativa dei presupposti della disciplina della protezione per casi speciali, introdotta dal d.l. n. 113-2018, non può, ai sensi dell’art. 15 del d.l. n. 130-2020, superare il limite della efficacia nel tempo della norma modificata, applicabile solo alle domande presentate dopo il 5 ottobre 2018.
Anche qui, come in relazione all’art. 5, comma 6, T.U. Imm. si dovrebbe ritenere che la immediata applicazione prevista nell’art. 15 del d.l. n. 130/2020 sia delimitata, con riferimento ai procedimenti in corso, solo alla portata della modifica concernente l’ampliamento dei presupposti per il riconoscimento del permesso per casi speciali, la cui efficacia nel tempo è circoscritta alle domande proposte dopo l’entrata in vigore del d.l. 113/2018.
3. La efficacia “verticale” dell’art. 15 del d.l. n. 130/2020
L’art. 15, comma 1, nel prevedere l’immediata applicabilità del novum del d.l. n. 130/2020 ai processi in corso davanti alle Sezioni specializzate non contempla i giudizi pendenti davanti alle Corti d’appello (necessariamente introdotti prima dell’entrata in vigore, il 18 agosto 2017, del decreto legge c.d. “Minniti-Orlando” che ha eliminato il doppio grado per queste controversie).
Prevede invece, espressamente, l’esclusione dell’ipotesi prevista dall’articolo 384, comma 2, del codice di procedura civile (giudizio di rinvio a seguito di annullamento disposto dalla Cassazione).
Quanto al primo aspetto, dalla omissione della menzione dei procedimenti di appello sembra possa ricavarsi la conferma delle sopra esposte interpretazioni.
Il fatto che il legislatore non abbia contemplato i processi pendenti davanti alle Corti d’appello si spiega con il dato cronologico inconfutabile per cui essi non possono che esser tutti relativi a domande amministrative proposte prima del 5 ottobre 2018, dato che il giudizio di appello è stato abrogato in data anteriore, dal suddetto decreto legge Minniti-Orlando.
Per tale motivo non si pone neppure astrattamente il problema dell’applicabilità della disciplina sostanziale del d.l. n. 130/2020 ai giudizi pendenti in appello, perché essi hanno, e non possono che avere, ad oggetto domande presentate prima del 5 ottobre 2018, considerato che, per quanto sopra esposto, il d.l. n. 130 ha un limite alla sua retroattività nel giorno di entrata in vigore del d.l. n. 113/2018.
Stessa spiegazione dovrebbe trovare l’esclusione del giudizio di rinvio a seguito di annullamento disposto dalla Corte di Cassazione. Sembra da escludersi che possano pendere giudizi di rinvio a seguito di annullamento, disposto da parte della Corte di Cassazione, con riferimento a decisioni giudiziarie relative a domande amministrative successive al 5 ottobre 2018. ma presentate in data anteriore al 22 ottobre 2020.
Resta la lacuna con riferimento alle decisioni riservate ai Giudici di Pace pendenti alla data di entrata in vigore del dl 130/2020 ed implicanti il più ampio divieto di respingimento di cui all’art. 19, comma 1.1, T.U. Imm. come modificato dal d.l. n. 130/2020.
In merito a tali procedimenti si potrebbe riscontrare una incongruente disarmonia, forse di rilievo costituzionale, per quei procedimenti pendenti alla data del 22 ottobre 2020.
4. Conclusioni
L’ opzione interpretativa proposta in questo breve commento, fondata su una articolata distinzione degli effetti nel tempo delle modifiche apportate dal d.l. n. 130/2020 convertito, con modifiche, con legge n. 173/2020, individua nel diverso regime temporale di efficacia delle nuove norme lo strumento per dare continuità cronologica e garanzia di attuazione alla protezione dei diritti umani dello straniero in Italia, attraverso la doppia clausola aperta contenuta nell’art. 5, comma 6, T.U. Imm. e nell’art. 19 1.1. T.U.Imm. . Attuazione l’una del diritto costituzionale di asilo di cui all’art. 10 c. 3 Cost. e l’altra dell’obbligo di non respingimento di matrice internazionale, entrambi assistiti, sul piano amministrativo, dal permesso di soggiorno per protezione speciale di cui all’art. 19 al quale, dopo il comma 1.1 è stato inserito il comma 1.2 , con la previsione di rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale per tutte le diverse ipotesi «ove ricorrano i requisiti di cui ai commi 1 e 1.1.», tra le quali la legge di conversione ha inserito il doveroso rispetto degli obblighi costituzionali.
Tale proposta interpretativa mira inoltre ad evitare il rischio di incongrue e forse incostituzionali differenziazioni, come problematica conseguenza del riconoscimento di gradi di protezione differenti in ragione del diverso organo giudiziario davanti al quale è pendente il procedimento alla data di entrata in vigore della novella[9].
Come si è tentato di argomentare essa costituisce il portato di una ricostruzione sistematica del diritto di asilo e del principio internazionale di non refoulement, ricostruzione che, muovendo dal nucleo di tutela di cui all’art. 10, comma 3, Cost. a protezione del rischio di violazione delle libertà democratiche nel paese di rimpatrio, irradia la tutela dello straniero, a determinate specifiche condizioni previste dalla legge ordinaria, alla tutela della vulnerabilità dello straniero che, pur sempre minacciata dal rimpatrio, può sorgere dalle condizioni personali dello straniero riscontrabili nel nostro paese[10], indipendenti quindi dai fattori espulsivi prodotto dalle condizioni subite nel paese di origine.
[1] Per una prima disamina si legga E. Rossi, Novità in tema di permessi di soggiorno e protezione speciale nel d.l. n. 130 del 2020, in Forum di Quaderni Costituzionali, 1, 2021. Disponibile in: www.forumcostituzionale.it; C. De Chiara, Il diritto di asilo e il d.l. 130/2020: progressi e occasioni mancate. Disponibile in Questione Giustizia online.
[2] Cfr. Corte di Cassazione Ord. n. 1104 del 2020 commentata da C. Pratesi, in La protezione umanitaria nel solco della Costituzione. Disponibile in Questione Giustizia online.
[3] Per una disamina delle conseguenze di tale diversa impostazione si veda CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO, Relazione su novità normativa Rel. n. 94, Roma, 20 novembre 2020 OGGETTO: PROTEZIONE INTERNAZIONALE - Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare - D.l. 21 ottobre 2020, n. 130, consultabile alla pagina https://www.cortedicassazione.it/corte-di-cassazione/it/dettaglio_ecs.page?contentId=ECS24678
[4] Rischi descritti nella Relazione del Massimario, p. 8 , di cui alla nota precedente.
[5] Tra i primi commenti si legga C. Padula, Quale sorte per il permesso di soggiorno umanitario dopo il dl 113/2018? in Questione Giustizia online consultabile alla pagina https://www.questionegiustizia.it/articolo/quale-sorte-per-il-permesso-di-soggiorno-umanitario-dopo-il-dl-1132018-_21-11-2018.php.
[6] Il 13 novembre 2019 la data di deposito delle sentenze n. 29459 e n. 29460 delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione.
[7] Per una disamina più ampia del rapporto tra diritto costituzionale di asilo (e sue forme di attuazione) da una parte e principio di non refoulement dall’altra, sia consentito rinviare a L. Minniti, Il nucleo e l’orbitale del diritto costituzionale d’asilo, in I flussi migratori e le sfide all’Europa, a cura di E. Sciso , pag. 295 e seg., G. Giappichelli Editore, Torino 2020.
[8] «Le ipotesi di vulnerabilità che giustificavano in passato il riconoscimento della protezione umanitaria da parte dei tribunali erano numerose e sempre nuove: si pensi alla vulnerabilità per quanto accaduto nel Paese di transito, per la presenza di conflitti a bassa intensità nel Paese di origine, per emergenze sanitarie che pure non incidano in modo grave sulla salute al momento della richiesta di protezione» così la nota 12 p. 7 di CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO Relazione su novità normativa Rel. n. 94 Roma, 20 novembre 2020 OGGETTO: PROTEZIONE INTERNAZIONALE - Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare - D.l. 21 ottobre 2020, n. 130, consultabile alla pagina https://www.cortedicassazione.it/corte-di-cassazione/it/dettaglio_ecs.page?contentId=ECS24678
[9] Rischio questo ben rappresentato dal prospetto sinottico inserito nella Relazione del Massimario cit. alla nota 4.
[10] C. Favilli, La protezione umanitaria per motivi di integrazione sociale. Prime riflessioni a margine della sentenza della Corte di cassazione n. 4455/2018. Disponibile su Questione Giustizia online.
Il presente contributo rappresenta la rielaborazione di un intervento svolto in occasione del seminario Il diritto di asilo dopo il d.l. n. 130/2020 in tema di immigrazione e protezione internazionale, organizzato presso la Scuola Superiore Sant’Anna il 16 dicembre 2020. Il contributo sarà pubblicato nella sezione monografica del fascicolo n. 1/2021 del Forum di Quaderni Costituzionali dal titolo: Adelante con juicio. Asilo e protezione degli stranieri dopo il d.l. n. 130 del 2020, a cura di F. Biondi Dal Monte ed E. Rossi.