Per chi, come me, avvocata familiarista, legge il progetto della riforma del processo di famiglia approvata alla Camera nel marzo 2016 e in questo periodo all'esame del Senato, la domanda è se la riforma renderà più rapido e efficace il processo che riguarda tutte le persone coinvolte nelle crisi familiari, con assoluta prevalenza e centralità dei diritti dei minori.
Si parla da diversi anni di una “cultura della famiglia” anche in ambito giudiziario, per la specializzazione e la formazione continua, affiancata all'esperienza, della magistratura ordinaria delle sezioni cui è demandata la materia nei Tribunali e nelle Corti d'Appello, e minorile, sia giudicante che inquirente, e l'analogo impegno dell'avvocatura, attraverso le associazioni.
Normativa, dottrina e giurisprudenza italiana ed europea sono concordi nel ritenere prioritario l'interesse del minore e centrale la responsabilità genitoriale, che ha sostituito, con la recente riforma della filiazione, la potestà (prima patria, risalente all'impostazione patriarcale del ventennio, poi genitoriale, ma pur sempre potestà...).
Il legislatore, con i suoi consueti compromessi e contraddizioni, è intervenuto sul piano sostanziale per adeguare la normativa alle trasformazioni della famiglia, con la legge sull'affido condiviso del 2006, la legge sulla filiazione del 2014, la recente legge del maggio 2016 sulle unioni civili e le convivenze di fatto.
A questo adeguamento sostanziale non si è accompagnata la riforma processuale, per cui oggi esistono due organi diversi che si ripartiscono la materia di famiglia, uno dei quali, il Tribunale per i Minorenni, risale al 1934, con normativa degli anni quaranta del secolo scorso.
Gli obiettivi che gli operatori del diritto di famiglia hanno da tempo individuato e sollecitato al legislatore sono:
- unificazione delle competenze
- in un Tribunale ordinario con prossimità territoriale
- con sezioni che valorizzino la specializzazione del giudice
- con previsioni chiare circa il ruolo del consulente (non giudice onorario) inserito nel contraddittorio delle parti
- nel rispetto dei principi processualcivilistici di
- urgenza della tutela
- pieno esercizio del diritto di prova
- apertura del processo al divenire della fattispecie
- qualità del giudizio di impugnazione
- effettività dell'esecuzione
A fronte di tali richieste, emerse in più autorevoli sedi, la riforma prospetta una Sezione Distrettuale del Tribunale ordinario che è, con diverso nome, l'attuale Tribunale per i Minorenni, con gli stessi giudici togati e onorari, lo stesso personale amministrativo, localizzazione regionale lontana per molti territori, e le attuali competenze in materia di adozione e responsabilità genitoriale, mentre identiche rimangono le competenze delle sezioni famiglia del Tribunale ordinario.
Restano quindi insolute le criticità attuali:
- della distanza della Sezione Distrettuale rispetto al Tribunale Ordinario;
- della figura dell'esperto in camera di consiglio, la cui valutazione è sottratta al contraddittorio;
- del rito relativo alla responsabilità genitoriale demandato a un'assoluta discrezionalità del giudice, immotivatamente diverso da quello avanti alla sezione specializzata del Tribunale ordinario.
Suscitano dubbi anche le previsioni, per il rito dinanzi al Tribunale ordinario,
- di preclusioni agli atti introduttivi, mutuate dal rito del lavoro, in una materia in cui il tentativo di conciliazione ha tante più probabilità di efficacia , quanto le parti hanno evitato di incancrenire il rapporto con l'esposizione esaustiva delle criticità;
- della figura del curatore del minore, con incarico gratuito, che svuota sostanzialmente il ruolo dell'avvocato del minore.
Condivisibile invece la parte della riforma che prevede:
- la reclamabilità dei provvedimenti anticipatori e provvisori con il rito cautelare,
- la sentenza parziale in sede presidenziale
- stesse regole di competenza e rito per i figli nati fuori o dentro il matrimonio.
Nel suo libro “Si fa presto a dire famiglia” (Laterza , 2016) Melita Cavallo, già Presidente del Tribunale dei minori di Roma, Napoli, Milano, scrive “quando una persona si sente accolta, e non solo o esclusivamente indagata, si pone meglio. Riesce a dire la verità, ad essere sincera, permettendo la nascita di un rapporto di fiducia. Chi viene da noi deve trovare fiducia nella Giustizia e, quindi, nel Giudice.”
Ma per accogliere e non semplicemente indagare le persone che portano in giudizio le crisi familiari, in un rapporto di fiducia, oltre la competenza, la professionalità, la sensibilità degli operatori giudiziari, giudici, avvocati e consulenti, è necessario un adeguamento delle risorse di personale, tecnologie, strumenti, oltre il rafforzamento delle piante organiche perché solo un giudice (e, per altri aspetti un avvocato) non oberato dal carico di lavoro e dall'inefficienza del sistema potrà offrire alla famiglia in crisi e soprattutto ai minori coinvolti, loro malgrado, nella crisi familiare, quell'ascolto competente e attento che porta a giudizi buoni e giusti.