1. Il decreto-legge 17 febbraio 2017 n. 13 era nell'aria da molto tempo, nella parte (di cui si occupa questo articolo) concernente la c.d. accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, mentre la parte del contrasto dell'immigrazione illegale (in sostanza, la ripresa del sistema dei Cie) è stata oggetto di annunci nelle ultime settimane, frutto dell'attivismo del nuovo ministro dell'Interno dopo gli attentati di Berlino e di Istanbul e dell'ulteriore aumento delle migrazioni provenienti dalla rotta libica. Non pare tuttavia che il tempo trascorso dai primi annunci in materia di protezione, risalenti alla primavera del 2016, sia stato utilizzato per un effettivo confronto con gli operatori del settore o per l'adeguato finanziamento della riforma. D'altro canto, l'abitudine ormai invalsa di considerare alfiere del “sempre no” chiunque muova critiche argomentate porta con sé la crescente incapacità dei destinatari di tenere conto dell'utilità per loro stessi di quelle critiche.
2. A costo di risultare rétro, non si possono dimenticare i rilievi da sempre mossi dalla dottrina al ricorso alla decretazione di urgenza nella materia processuale, retta dal principio tempus regit actum. Nel caso del D.l. 13/2017, l'innegabile esigenza di fronteggiare l'incremento dei procedimenti di protezione internazionale poteva essere soddisfatta da un'ampia discussione su disegni di legge governativi trattati in “corsia preferenziale” dalle Camere, evitando il rischio di innovazioni immediatamente applicabili ma cancellate in sede di conversione. D'altronde, come mostrano gli artt. 2 e 21, molte delle norme più importanti del D.l. saranno operative entro sei mesi o dopo sei mesi dalla sua emanazione, il che contraddice la stessa annunciata straordinaria necessità ed urgenza delle norme emanate e rischia di comportarne l'invalidazione da parte della Consulta per difetto di quei requisiti.
3. La specializzazione del giudice dell'immigrazione è indubbiamente un condivisibile obiettivo del decreto: chi finora si è occupato di asilo ha dovuto imparare sul campo, con una sperimentazione sul corpo vivo delle parti solo negli ultimi anni accompagnata da iniziative di formazione e autoformazione, le tante complessità fattuali e giuridiche della materia. Cercare di uscire dalla dimensione puramente artigianale e amatoriale, come mostrano di voler fare gli artt. 1-2 del D.l., non può che essere positivo. Resta il dubbio tuttavia che il sistema scelto, quello dell'istituzione di sezioni dedicate in via esclusiva alla protezione, possa dar luogo alla creazione di un giudice totalmente separato dal restante mondo giudiziario e dalle cognizioni e attitudini necessarie per operare nei suoi vari settori: in tal caso, passati i primi tempi di attuazione “entusiasta”, l'andata a regime della nuova normativa si accompagnerebbe prevedibilmente alla minore considerazione degli altri operatori, foriera di marginalizzazione della materia. Passando ai dettagli, è da rilevare che:
a) la mancata concentrazione nel nuovo giudice delle competenze sull'immigrazione riservate al giudice di pace e al giudice amministrativo non aiuta la visione d'insieme dei fenomeni;
b) l'accentramento della competenza per territorio in soli 14 Tribunali ridurrà il diritto degli stranieri alla prossimità del giudice e ostacolerà l'attività dei difensori provenienti da sedi diverse;
c) le piante organiche degli uffici dove si radica il nuovo giudice specializzato (e della stessa Cassazione che non potrà più giovarsi del filtro dell'appello) non vengono aumentate, mentre il sistema delle applicazioni straordinarie (art. 11 del decreto) riguarderà i soli incrementi straordinari dei procedimenti;
d) non sono menzionati i compiti dei giudici onorari, laddove un giudice onorario specializzato (come i componenti delle sezioni agrarie o gli esperti dei Tribunali minorili e di sorveglianza) può aversi solo se previsto dalla legge; l'art. 2 del D.l. 13/2017 del resto elenca una serie di requisiti e di doveri dei giudici professionali che non si può pensare di estendere agli onorari senza un'apposita previsione normativa, e anche un apposito trattamento economico e previdenziale.
4. La videoregistrazione del colloquio con la Commissione territoriale con l'ausilio di sistemi di riconoscimento vocale, prevista dall'art. 6 (norma omnibus che modifica un gran numero di articoli del D.lgs. 25/2008), costituisce una delle principali novità del D.l. e va salutata con favore. Occorrerà tuttavia un notevole sforzo organizzativo per rendere effettiva l'innovazione e concretamente utilizzabili i suoi risultati da parte del giudice e dei difensori. Né dovrebbe negarsi allo straniero la facoltà di rifiutare per gravi ragioni la videoregistrazione, dotata pur sempre di una potenzialità distorsiva della genuinità del colloquio, o trascurarsi la permeabilità dei sistemi informatici, attestata dalle cronache anche recenti, dovuta all'assenza di un piano nazionale della sicurezza: attacchi mirati alle copie informatiche delle videoregistrazioni potrebbero porre in pericolo la sicurezza dei richiedenti asilo a rischio di persecuzione.
5. La possibilità di tenere l'udienza per la convalida urgente di misure di trattenimento incidenti sulla libertà personale mediante collegamento audiovisivo a distanza, prevista dagli artt. 8 e 10 del D.l., impedirà al giudice di esaminare il richiedente nel luogo dove si trova e di verificarne le condizioni (spesso deficitarie) di accoglienza. E costringerà il difensore alla difficile scelta tra il presenziare alla convalida accanto al suo assistito o accanto al giudice: in ciascuna delle due ipotesi la pienezza della sua funzione risulterà compressa, secondo un modello finora proprio dei soli processi di criminalità organizzata.
6. La previsione da parte dell'art. 6 del decreto di un unico grado di merito caratterizzato da una cognizione di regola cartolare, nel quale l'udienza è solo un'eventualità e ha forma camerale, costituisce indubbiamente il maggiore vulnus ai principi del contraddittorio e della pubblicità del processo, pur consolidati nella normativa e nella giurisprudenza costituzionale e della Corte europea dei diritti dell'uomo, e da ultimo riaffermato dalla Cassazione con sentenza n. 395/2017 (richiamata nel comunicato del 14.2.2017 della sezione Anm della Cassazione). Il giudice dovrà addirittura visionare la videoregistrazione del colloquio con la Commissione territoriale in assenza delle parti (e senza l'ausilio di mediatori culturali, che lo aiutino a comprendere la semantica dei gesti e delle espressioni) per stabilire se è necessaria l'audizione dello straniero.
6.1. L'audizione sarà invece dovuta se nel ricorso al Tribunale la parte invocherà “elementi non dedotti nel corso della procedura amministrativa di primo grado”: così testualmente il comma 11° del nuovo art. 35-bis D.lgs. 25/08 introdotto dall'art. 6 del D.l., che in tal modo sembra quasi considerare il processo come una mera prosecuzione (in quale grado?) della fase amministrativa “di primo grado”. Ad ogni modo, è evidente il rischio di “eterogenesi dei fini” della previsione, che potrà incoraggiare tattiche difensive strumentali, finalizzate a ottenere la fissazione dell'udienza: mentre oggi il cambiamento di versione dalla fase amministrativa a quella giudiziaria è ragionevolmente considerato un elemento di minore attendibilità del racconto di persecuzione, in futuro tale valutazione non sarà possibile, perché giustificata dall'esercizio di una facoltà difensiva prevista dalla legge. In altri termini, lo straniero avrà interesse a mentire nel ricorso al Tribunale pur di ottenere di essere ascoltato dal Tribunale stesso sulle verità raccontate alla Commissione, e da questa non credute.
6.2 L'audizione peraltro rimarrà dovuta sia quando il giudice, visionata la videoregistrazione del colloquio con la Commissione, la riterrà necessaria, sia quando riterrà indispensabile richiedere chiarimenti alle parti. Si tratterà probabilmente di ipotesi tutt'altro che rare, tenuto conto del principio di attenuazione dell'onere della prova e dell'obbligo di cooperazione istruttoria gravante sul giudice, sì che la pratica potrebbe dimostrare la residualità delle ipotesi di accoglimento, e ancor più di rigetto, de plano, limitate a ipotesi di fondatezza o infondatezza così manifeste da rendere superflua la verifica diretta dei timori personali del richiedente da parte del giudice.
7. L'eliminazione dell'appello, indubbiamente suggestiva sul piano mediatico e gradita a molta parte della magistratura, sopprimerà per la sola materia della protezione internazionale un essenziale momento di uniformazione degli orientamenti giurisprudenziali e finirà per gravare pesantemente sui carichi della Cassazione (tenuta a decidere entro sei mesi dalla presentazione del ricorso), che finora si era occupata in misura ridotta della materia proprio a causa dell'efficacia del filtro dell'appello. C'è da sperare che la discussione parlamentare ripristini forme di controllo di merito sulla decisione del Tribunale, magari mediante lo strumento agile e deformalizzato del reclamo al collegio, e in generale tenga il massimo conto delle opinioni e delle perplessità della dottrina e degli addetti ai lavori. Che – per adoperare un'espressione da qualche mese un po' meno in voga – non sono sempre “gufi”.