La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha lanciato una nuova serie di studi sulle sue pronunce più importanti ("study cases") relative ad alcuni articoli della Convenzione. Dopo che nel 2012 hanno visto la luce due studi, uno sull'art. 4 (divieto di riduzione in schiavitù e lavoro forzato) ed uno sull'art. 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza), nell'anno da poco terminato ha visto la luce uno studio sull'art.6 (diritto a un processo equo) con specifico riferimento al processo civile.
Si tratta di un documento di estremo interesse per il giurista pratico, una guida da cui estrarre criteri per l'applicazione della CEDU nell'esercizio quotidiano della giurisdizione e, per quanto riguarda in particolare il giudice, per l'organizzazione del proprio lavoro.
Sono ben noti i danni - economici per lo Stato, d’immagine per la giustizia, di perdurante inattuazione dei diritti per i cittadini - provocati dalla valanga di ricorsi per violazione del principio della ragionevole durata del processo che ha investito la Corte di Strasburgo negli anni '90, seguita a partire dal 1997 dalle Risoluzioni del consiglio dei Ministri del CdE, dalle condanne per violazione dell'art. 13 (diritto a un ricorso effettivo), dall'adozione della legge Pinto fino agli epigoni della violazione del diritto alla ragionevole durata nel procedimento ai sensi di tale legge (si veda, per la prima parte di questa non edificante storia, La durata ragionevole del processo, Quaderni del CSM, n. 113/2000).
Questione Giustizia ha da sempre sottolineato come la responsabilità per l'efficienza e la buona organizzazione dell'amministrazione della giustizia compete allo Stato ed in particolare, per previsione costituzionale, al Ministro della Giustizia. Senza "turn-over" e adeguata formazione del personale amministrativo, senza adeguata assistenza al giudice, senza risorse umane e strutturali adeguate, senza un impegno di spesa proporzionato ed una capacità di spesa per progetti innovativi l'obiettivo di una giustizia efficiente e di qualità resta irraggiungibile.
Ciò non significa che un contributo fondamentale al suo raggiungimento possa essere dato dai dirigenti degli uffici giudiziari e dai giudici grazie a corretti metodi di organizzazione e gestione della corte, dei ruoli e dei casi.
La guida sull'articolo 6 può fornire loro utili indicazioni nella prospettiva della riduzione dei tempi dei processi e della riduzione dell'arretrato. Ecco i principi espungibili in punto di ragionevole durata:
- Gli Stati contraenti sono obbligati ad organizzare la giurisdizione in modo da garantire l'attuazione del principio della ragionevole durata
- La giustizia deve essere amministrata senza ritardi che ne compromettano efficacia e credibilità
- La durata del processo si determina secondo le regole sulla litispendenza salvi i casi in cui sia prevista una procedura preliminare amministrativa obbligatoria nel qual caso il calcolo deve includere la durata della procedura amministrativa (principio che sembra applicabile al procedimento di mediazione).
- In caso di fasi stragiudiziali gestite (ad es. da notai o altri professionisti) in connessione a un procedimento giudiziario e sotto il controllo del giudice, la durata di tal fasi deve essere tenuta in considerazione.
- Il procedimento termina con l'esaurimento dei ricorsi.
- La durata della fase esecutiva deve includersi nella durata del procedimento, che si esaurisce solo col soddisfacimento del diritto.
- Deve tenersi conto dell'eventuale procedimento incidentale davanti ad una Corte costituzionale se gli esiti del giudizio hanno un’influenza sul procedimento (anche se la determinazione della ragionevolezza del termine tiene conto della natura dell'organo)
- In caso di intervento di terzo, questi può contestare la durata del processo solo dal momento della sua chiamata o costituzione in giudizio, mentre chi si costituisce in qualità di erede ha diritto a lamentarsi dell'intera durata
- La ragionevolezza del termine va valutata in concreto tenendo conto di tutti gli aspetti del procedimento; in particolare:
- Vari ritardi (ad es. rinvii) di per sé non condannabili, possono divenire rilevanti se sommati tra loro.
- Il ritardo nel corso di una fase del processo è tollerabile se la durata complessiva rimane ragionevole.
- Non sono accettabili lunghi periodi di "stagnazione" immotivata.
- La fase di rinvio alla CGUE non è considerata nel calcolo del termine.
- I criteri per determinare la ragionevolezza della durata sono:
- La complessità del caso, sia in fatto che in diritto, incluso il numero delle parti ma non la complessità della procedura
- Il comportamento delle parti: le parti non sono tenute ad una cooperazione attiva ne può loro rimproverarsi l'utilizzo di tutti gli strumenti che loro offre il sistema; hanno un obbligo di diligenza, devono evitare comportamenti dilatori e non devono abusare dei diritti; il loro comportamento va tenuto in considerazione ai fini della determinazione della durata ragionevole (esempi: mancanza di sollecitudine nel sottomettere le istanze al giudice; frequenti o ripetuti mutamenti di avvocato; richieste o omissioni che hanno un impatto sulla durata del processo; tempi per ricercare una soluzione transattiva; astensione dalle udienze; erronea adizione di corte incompetente); le tattiche dilatorie delle parti non esonerano il giudice dal dovere di assicurare la ragionevole durata del processo.
- La condotta delle autorità competenti: lo Stato è responsabile per l’attività degli organi giudiziari e di tutti i soggetti pubblici e su di esso grava l'onere di organizzare il sistema giudiziario in modo da garantire il principio della ragionevole durata;
- Anche se vige il principio dispositivo, il giudice deve garantire l'applicazione dell'art.6;
- Anche quando è richiesto l'ausilio di un esperto, sta al giudice garantire organizzazione e speditezza del procedimento; la ripetizione di consulenze sul medesimo oggetto può incidere negativamente, se non giustificata, sulla ragionevole durata del processo.
- Un arretrato eccessivo non costituisce giustificazione.
- Un arretrato creatosi in modo improvviso e imprevedibile può costituire elemento di giustificazione qualora siano state adottate misure urgenti per contrastarlo; la prioritarizzazione dei casi può essere un criterio da adottarsi come misura provvisoria.
- L'introduzione di riforme normative finalizzate a velocizzare i procedimenti non giustifica tempi irragionevoli, dovendo lo Stato organizzare adeguatamente l'entrata in vigore delle nuove misure.
- Ripetuti mutamenti del giudice non hanno rilevanza.
- Vi sono casi in cui è richiesta una particolare celerità e diligenza:
- Cause sullo stato e la capacità delle persone
- Affidamento di minori, dritto di visita, responsabilità genitoriale
- Cause di lavoro, previdenziali e assistenziali
- Casi in cui una delle parti soffre di gravi patologie con aspettativa di vita ridotta
- Cause in cui si discute del diritto all’aumento di una pensione di invalidità che costituisce l’essenziale risorsa economica della persona
- Casi in cui si discute del diritto all'educazione.
L’esame dei procedimenti ex legge Pinto per irragionevole durata del processo mostra come l’ingiustificata lunghezza dei processi civili dipenda da alcuni fattori essenziali. Tra questi ve ne sono di correlati a questioni di organizzazione dell’ufficio, di organizzazione del ruolo e di c.d. “case management”; altri si legano ai nodi complessi (per durata e tipologia di attività) del giudizio ordinario, l’istruttoria e la decisione. Può essere utile, allora, ricordare o richiamare alcuni consigli pratici funzionali al contenimento dei tempi del processo:
- Il giudice deve conoscere il suo ruolo, la sua composizione, lo stato delle cause in modo da programmare il lavoro, distinguendo ciò che è semplice o seriale e che può essere definito rapidamente e ciò che ritiene studio e tempi più lunghi; “consolle” consente un monitoraggio completo e costante e un controllo sulla formazione di arretrato;
- Il giudice deve promuove la chiara definizione del thema probandum richiedendo alle parti quali siano i fatti effettivamente controversi (e quindi da provare) e i fatti non contestati (che stanno fuori dal thema probandum);
- Il calendario del processo deve essere utilizzato, senza rigidità ma sistematicamente, per dare ordine allo svolgimento delle cause, controllare costantemente la tempistica del processo, contenere in termini temporali precisi l’attività delle parti, dei difensori, degli ausiliari;
- le prove devono essere ammesse solo in caso di effettiva rilevanza e di accertata ammissibilità con contenimento della lista testi a quanto necessario in relazione ai fatti da provare;
- devono essere messe al bando pratiche incivili e scandalose di assunzione delle prove da parte degli avvocati, l’assunzione diretta da parte del giudice in un contesto di conoscenza della causa consentendo tra l’altro un ampio ricorso alla decisione immediata;
- la CTU deve essere disposta solo laddove vi sia una necessità effettiva e la relativa conoscenza non sia acquisibile altrimenti;
- l’ “abuso” della consulenza cui si assiste in materia di famiglia (con allungamento di mesi di un processo per il quale la Corte richiedere speciale celerità) può essere evitato nella più parte di casi attraverso l’ascolto del minore (finalmente obbligatorio anche nel nostro ordinamento) da parte del giudice con l’assistenza di personale specializzato della USL:
- i tempi della consulenza devono essere rigorosamente controllati, attraverso una gestione rigorosa delle proroghe dei termini, uno scadenzario che consenta - allo scadere del termine per il deposito - l’immediato invio di un sollecito al deposito immediato e, se del caso, la revoca del CTU con trasmissione degli atti al Presidente del Tribunale per l’accertamento di eventuale illecito disciplinare (con immediato effetto didattico nei confronti dei vari professionisti);
- la motivazione delle decisioni deve essere sintetica con abbandono di prassi deteriori quali: la citazione pedissequa e inconcludente del contenuto delle deposizioni testimoniali, che – grazie al “copia e incolla” – può coprire decine di pagine; la trattazione di questioni non sollevate dalle parti e che si trasformano in obiter dicta; la discettazione dotta, infarcita magari di citazioni relativamente rilevanti CEDU o CGUE o dell’illustrazione superflua del proprio sapere ultranazionale, che non sia funzionale alla risoluzione di questioni nuove e veramente complesse; la citazione per esteso di interi brani di pronunce della Cassazione su principi consolidati o di intere serie di massime tralaticie; la mancanza di consequenzialità logica nella ricostruzione del fatto e nella qualificazione giuridica della fattispecie; e adozione di buone prassi, quali: una partizione logica della decisione; una ricostruzione sintetica dei fatti, con mera indicazione dei riferimenti che basano le raggiunte conclusioni (ad es.: cf. teste XY; informazioni GdF pag 3; estratto conto banca XX dell’anno Z; non contestazione ….) e indicazione dei criteri logici e delle massime di esperienza utilizzate a fini ricostruttivi; riferimento sintetico alla giurisprudenza se consolidata o prevalente; adozione di un principio di economia processuale e di semplicità, per cui solo le cause di grande complessità richiedono motivazioni complesse.
Il testo della guida può essere letto qui, in inglese e francese