«E’ evidente che ci sono fascisti in toga che vogliono distruggere qualsiasi legislazione femminista».
Questa frase ad effetto, potremmo dire lapidaria, non è stata detta, come potrebbe sembrare per la sua intensità incontrollata, nel corso di una discussione da osteria tra persone più o meno amiche o comunque con una certa confidenza e in un contesto privato, ma è stata postata sui social il 16 novembre 2022 dal deputato al Congresso dei Deputati del partito Podemos, Javier Sánchez Serna, a sostegno delle dichiarazioni della ministra dell'Uguaglianza, Irene Montero, dello stesso partito politico. Di fronte, infatti, a critiche provenienti da esponenti di spicco della magistratura, che avevano rilevato gravi difetti tecnici nella riforma legislativa, popolarmente chiamata "Legge Sì è Sì" (LO 10/22 del 6 settembre), promossa dal suddetto ministero sui reati di violenza sessuale, la Ministra ha accusato di sessismo i giudici, che non la applicherebbero correttamente a causa dei loro stereotipi di genere maschilista. (La suddetta Legge ha dovuto, poi, essere modificata dal Parlamento, con LO 4/23 del 27 aprile, al fine di risolvere i suddetti difetti tecnici, dopo diverse risoluzioni della Corte Suprema, invertendo praticamente la normativa legale precedente alla riforma).
La sfortunata frase che si commenta ha avuto ampia risonanza mediatica e rivela, di per sé, la mancanza di filtri con cui alcuni degli attuali membri del Potere Esecutivo e Legislativo si riferiscono all’operato di un altro potere dello Stato, quello Giudiziario, che invece, in quanto potere diffuso, è tenuto a rispettare in ogni momento il principio di imparzialità-neutralità previsto dai più alti principi normativi.
E’ vero che l’articolo 117 della Costituzione Spagnola, proclamando che i giudici, membri del potere giudiziario, «sono indipendenti, inamovibili, responsabili e soggetti solo allo Stato di diritto», non menziona espressamente il principio di imparzialità del giudice, ma la Corte Costituzionale, con consolidata giurisprudenza, ritiene che detto principio sia implicito nel diritto ad un processo con ogni garanzia, sancito dal secondo comma dell'articolo 24 della Costituzione.
D’altra parte, la legge organica che regola il potere giudiziario, che sviluppa e ribadisce i suddetti principi costituzionali, LO 6/85 (LOPJ), prevede espressamente al suo articolo 6 che: «I giudici e i tribunali non applicheranno regolamenti o qualsiasi altra disposizione contraria alla costituzione, alla legge o al principio di gerarchia normativa».
Infine, gli articoli 389 e segg. di detto testo normativo dichiarano l'incompatibilità dell'ufficio di giudice o magistrato, tra gli altri, con qualsiasi incarico elettivo popolare o di designazione politica dello Stato, delle comunità autonome, delle province e dei comuni, con qualsiasi impiego, posizione o professione retribuita escluso l'insegnamento, la ricerca o la produzione e creazione letteraria o artistica, con l'esercizio della professione forense e dell'avvocatura e con l'adesione a partiti o sindacati politici.
È chiaro che, conformemente al suddetto quadro normativo, il giudice spagnolo ha piena libertà, come tutti i cittadini, per quanto riguarda l'esercizio dei propri diritti alla libertà di espressione e di manifestazione pacifica; ma nonostante ciò, e soprattutto nel campo della politica, attualmente fortemente radicalizzato e ideologizzato, l'esercizio di tali diritti da parte degli esponenti della Magistratura è fortemente messo in discussione ed è oggetto di continue critiche, che mirano a screditare l'immagine professionale di coloro che esercitano tali diritti in modo pubblico, accusati di non saper essere imparziali nell’applicazione delle norme promosse da una diversa corrente politico/ideologica.
Non vi è dubbio che coloro che svolgono la funzione giurisdizionale sono allo stesso tempo membri di uno dei poteri dello Stato, e cittadini, ed è irrazionale aspettarsi che il giudice sia privo di opinioni politiche o di altro genere in relazione ad una qualsiasi delle questioni che possono avere rilevanza per la convivenza sociale, e ritenere che solo in questo caso le sue risoluzioni possono essere veramente neutre o imparziali e, di conseguenza, giuste; così come è razionalmente insostenibile pensare che un giudice togato non sia in grado di superare ogni apriorismo personale di fronte alla soluzione del caso sottoposto alla sua giurisdizione, senza dover rinunciare alla propria personale identità politica o ideologica.
Pertanto, solo nel caso in cui il giudice non sia in grado di superare le sue convinzioni a priori attraverso l'applicazione tecnica della legge, o non sia disposto a rispettare i principi di legalità e di indipendenza, anteponendo la propria visione personale a quella vincolante del sistema normativo, si potrebbe concludere che siano violati i principi essenziali della funzione giudiziaria.
In questo stato di cose, e con l’obiettivo di raggiungere un equilibrio tra l’esercizio dei diritti fondamentali dei membri del Potere Giudiziario e l’immagine di indipendenza e imparzialità che deve coinvolgere la figura del giudice, la Commissione Etica del Consejo General del Poder Judicial spagnolo ha emanato numerose risoluzioni in cui, richiamando i cosiddetti Principi di Bangalore, approvati dalla Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, auspica che i giudici esercitino i diritti di libertà di espressione e di manifestazione in modo particolarmente attento, evitando posizioni che possano essere identificate dall’opinione pubblica come ideologicamente allineate con un'opzione politica parziale e non plurale, e raccomandando che, per quanto possibile, l'esercizio della libertà di espressione si svolga con la prudenza e la moderazione necessarie a preservarne l'indipendenza, l’apparenza di imparzialità e nel rispetto della neutralità politica. Si raccomanda inoltre di limitarsi, per quanto possibile, a commentare o criticare riforme giuridiche o iniziative parlamentari solo dal punto di vista tecnico, o a partecipare solo ad eventi in difesa dello stato di diritto e delle istituzioni fondamentali dello Stato. Insomma, in un’epoca di estremismi, ai giudici viene chiesto di agire sempre con quella che potremmo definire estrema moderazione.
Tuttavia, e nonostante l'estrema moderazione richiesta ai membri della magistratura nelle loro manifestazioni pubbliche, il problema della continua ingerenza degli altri poteri sulla magistratura, lungi dall'essere qualcosa di aneddotico o marginale, si aggrava e si generalizza.
Lo scorso dicembre, con un atto senza precedenti, la deputata del partito Junts, Miriam Noguera, nel suo discorso davanti alla Tribuna del Congresso dei Deputati, definì «indecenti» alcuni membri della magistratura, identificandoli per nome e cognome, e aggiungendo che dovrebbero essere rimossi dalla loro posizione. Il suddetto gruppo politico ha inoltre proposto alla coalizione di governo di cui fa parte, la creazione di una Commissione parlamentare che, al fine di accertare l'esistenza di casi di lawfare, o di azioni giudiziarie intraprese con lo scopo di danneggiare detto partito, consenta di identificare i giudici intervenuti in tali azioni per ritenerli responsabili.
Tale richiesta, che se concretizzata in questi termini, rappresenterebbe un gravissimo attentato all’indipendenza della Magistratura, che sarebbe di fatto soggetta a interessi meramente di parte, ha trovato ampia risposta anche da parte dello stesso Governo, mettendo in evidenza le forti tensioni che minacciano il fragile equilibrio del principio di divisione dei poteri, dal momento che non è più richiesto solo un giudice imparziale e soggetto solo allo Stato di diritto, ma anche autocensurato e soggetto alle correnti ideologiche del momento e senza possibilità di disaccordo.
Ritornando al citato articolo 6 della LOPJ, a cui abbiamo fatto riferimento in precedenza, la formulazione letterale del precetto non costituisce in ogni caso l'attribuzione ai giudici di una sorta di controllo diffuso di costituzionalità, compito attribuito monopolisticamente alla Corte Costituzionale, che potrebbe entrare in conflitto con il loro dovere di imparzialità e neutralità politica, ma si limita a riconoscere ai membri della magistratura il potere di non applicare una norma o una disposizione di rango inferiore che possa essere considerata contraria alla Costituzione o, se del caso, alle norme primarie del diritto comunitario (Trattato UE, Trattato sul funzionamento delle Comunità europee, Trattato sull’Unione europea e Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea). Nel caso in cui, invece, il giudice ritenga che una norma di carattere giuridico primario possa violare la Costituzione, deve sollevare la questione di legittimità costituzionale (art. 163 CE) davanti alla Corte Costituzionale, una volta concluso il processo ed entro il termine per emettere sentenza, con sospensione provvisoria del procedimento fino alla risoluzione della questione.
In conclusione, se è vero che le decisioni giudiziarie possono costituire oggetto di critica sociale, sarebbe auspicabile che tali critiche, soprattutto quando provengono dalla sfera politica, fossero condotte in modo tecnico, analizzando i motivi giuridici o gli elementi di fatto invocati, evitando il mero scontro ideologico o la denigrazione del giudice per qualunque atto della sua vita privata che tenda a mettere in discussione il suo dovere di imparzialità, ed evitando altresì di compromettere il libero esercizio della sua funzione giurisdizionale.