L’eliminazione dell’udienza (e dell’audizione) nel procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale.
Un esempio di sacrificio delle garanzie
Il pericolo insito nella eliminazione dell’udienza nel procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale è esaminato attraverso l’analisi degli orientamenti della giurisprudenza di merito, nonché di quella di legittimità e delle Corti sovranazionali, sviluppatasi in una materia contraddistinta dalla necessità di tutelare diritti fondamentali dell’individuo costituzionalmente tutelati. Si rappresenta il rischio dell’erosione delle garanzie processuali dovuta al governo della economia sul diritto e sul processo.
1. Il contesto. Il governo dell’economia sul diritto (e sul processo)
Negli ultimi anni l’assoggettamento del diritto, e in special modo del processo, al governo dell’economia, ha guidato le scelte delle tecniche adottate dal legislatore che è stato indotto ad affiancare al valore, tradizionalmente preminente, della tutela dei diritti, principii quali l’adeguatezza[1], la proporzionalità[2] e la meritevolezza[3]; i risultati sono consistiti nella divaricazione del trattamento per categorie di diritti, rispetto ad alcune delle quali sono stati apprestati strumenti più raffinati e risorse maggiori (e migliori).
In tempi recenti si è accresciuta la consapevolezza, negli operatori e negli studiosi, che esistono «diritti più diritti di altri»[4], il che impone di fare i conti con la loro (fisiologica) diseguaglianza; questa, a sua volta, è frutto di una selezione compiuta a monte dal legislatore e che, notoriamente, si riflette nelle scelte di differenziazione delle forme della tutela giurisdizionale[5].
Dal 2014, quando il legislatore ha apertamente proclamato l’intento di “degiurisdizionalizzare” la giustizia civile, pur senza far espresso riferimento al mercato, all’economia o allo sviluppo, come invece ha fatto a partire dalla l. 80/05 e sino alla l. 98/13, la tendenza appare guidata dalla introduzione di misure volte a scoraggiare il ricorso alla giurisdizione, al quale fanno da contrappeso lo strisciante disinteresse per l’esatta attuazione della legge sostanziale e la visione della giustizia civile come costo sociale: prova ne sono, in via esemplificativa, gli incentivi alla composizione delle controversie in funzione di autonomia privata e l’inasprimento dei costi per l’accesso alla giustizia statale; le sanzioni per i casi in cui la scelta di rivolgersi al giudice senza prima aver tentato la via della conciliazione non sia adeguatamente giustificata; la riduzione massima degli spazi di tutela in forma specifica del posto di lavoro e gli incentivi alla conciliazione; la compressione del diritto di impugnare e l’incremento dei costi per i gradi di giudizio successivi al primo; la compressione delle garanzie della pubblicità dell’udienza nel procedimento dinanzi alla Corte di cassazione e nei procedimenti in materia di immigrazione; l’attribuzione di valore lato sensu vincolante per il giudice civile delle decisioni dell’autorità antitrust in materia di illeciti concorrenziali e la conseguente accentuazione dello spostamento dell’ago della bilancia della giustizia dalla giurisdizione all’amministrazione[6].
Che la regia delle riforme che hanno interessato le regole che disciplinano la tutela dei diritti sia stata costituita da valori economici non è più un mistero: la l. 80/05 varò la riforma processuale entro un piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale del Paese; la l. 69/09 la inserì fra le disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività; l’art. 49 l. 99/09 incluse la nuova azione di classe per la tutela del consumatore nel quadro di disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia; la l. 148/11, di conversione del dl. 138/11, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, delegò il Governo ad adottare la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, attuata con d.lgs 155/12; la l. 27/12 modificò l’azione di classe nel contesto di un intervento per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività; la l. 92/12 collocò il rito specifico accelerato per le controversie in tema di licenziamento del lavoratore in una prospettiva «di crescita»; nella stessa prospettiva la l. 134/12 introdusse il filtro in appello; secondo la l. 98/13 le modifiche processuali sarebbero dovute servire al rilancio dell’economia; nel dl. 132/14 e nella l. 162/14 le finalità di politica economica non sono state più apertamente indicate «poiché ormai si sono impadronite del sistema[7]» e la loro filosofia, battezzata dal neologismo «degiurisdizionalizzazione», denota l’inequivoco intento di diminuire il peso della giustizia civile, puntando sull’autonomia privata in funzione compositiva delle controversie; il dl. 83/2015 ha introdotto misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria, incidendo sulla disciplina delle procedure di esecuzione concorsuale e individuale e introducendo, inter alia, l’art. 2929 bis cc; il dl. 168/16, ha recato misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di cassazione, in un’ottica di efficienza degli uffici giudiziari; interventi evidentemente ispirati alla tutela del mercato e della concorrenza sono costituiti dalle regole processuali contenute nel d.lgs 3/17, che ha dato attuazione della direttiva 2014/104/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione europea; il dl. 13/17, convertito con modificazioni dalla l. 46/17, ha istituito nuove sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Ue (art. 1, comma 1°, dl.), presso i tribunali ordinari del luogo in cui hanno sede le corti d’appello, affiancandole alle altre già contemplate dal nostro ordinamento giudiziario, che sono il tribunale per i minorenni (art. 49, Rd n. 12/1941) le sezioni specializzate agrarie (art. 1, l. n. 320/1963) e quelle in materia di impresa (art. 1 d.lgs n. 168/2003) e ha ridisegnato il procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale, ora consistente in un rito camerale sui generis con udienza eventuale e senza appello[8]; la l. 24/17, recante disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, ha, tra l’altro, introdotto una nuova forma di condizione di procedibilità per le azioni risarcitorie da malpractice medica, ispirata al modello dell’art. 445 bis cpc, e ha ulteriormente esteso l’ambito di applicazione del rito sommario di cognizione.
2. Il deficit di garanzie del procedimento relativo al riconoscimento della protezione internazionale
L’esempio della tutela giurisdizionale dei diritti dei migranti appare paradigmatico della tendenza a misurare le garanzie processuali in ossequio al diktat del risparmio di risorse.
Sotto questo aspetto, pare utile, preliminarmente, sgombrare il campo da un equivoco che, in apparenza innocuo, è sembrato giustificare la scelta di pretermettere alcune delle tradizionali garanzie connesse al quomodo della protezione dei diritti, specie se collegati a principii e valori fondamentali[9].
Quello per il riconoscimento della protezione internazionale[10] non è un procedimento bifasico eventuale.
A ben vedere, questa definizione appare fuorviante e, sotto certi aspetti, pericolosa.
Il fatto che il diritto del migrante ad ottenere la protezione internazionale vada proposto davanti ad un organo amministrativo e che poi la sua decisione possa essere sottoposta alla impugnazione davanti alla autorità giudiziaria non vale affatto a disegnare un unico procedimento bifasico, con fase giurisdizionale eventuale.
A parte l’ovvia (ma evidentemente meritevole di essere ribadita) considerazione secondo cui le regole, i principii e le garanzie del procedimento amministrativo e dei rapporti tra l’amministrazione e il richiedente sono ontologicamente diversi da quelli che devono – secondo la Costituzione repubblicana e le fonti sovranazionali – governare un processo civile (id est un modello di processo civile contenzioso avente ad oggetto diritti fondamentali), giova tener presente che, per un verso, ogni procedimento giurisdizionale è «eventuale», in quanto presuppone vuoi una «crisi di cooperazione tra consociati», che può esservi oppure no, vuoi una scelta (che in quanto tale non può essere coartata né essere esercitata d’ufficio) di esercitare il diritto di azione oppure no[11]; per altro verso, che accorpare la fase amministrativa a quella giurisdizionale significa operare una superfetazione, volta ad agevolare la commistione tra le due e a rendere accettabile il sacrificio di garanzie processuali – quale quella consistente nel “diritto all’audizione” – perché l’ascolto del richiedente, tutto sommato, si è comunque svolto davanti alla autorità amministrativa[12].
Il sacrificio delle garanzie sull’altare del risparmio di risorse si coglie nitidamente dalla tendenziale soppressione dell’udienza, dall’eliminazione del grado di appello[13] e dal peculiare regime della decisione di rigetto della domanda, con riguardo alla revoca dell’ammissione al patrocinio a spese delle Stato[14].
Con specifico riferimento alla esclusione dell’udienza, l’art. 35 bis, comma 10°, d.lgs 25/2008 dispone che sia fissata esclusivamente quando il giudice: a) visionata la videoregistrazione del colloquio, ritiene necessario disporre l’audizione dell’interessato; b) ritiene indispensabile richiedere chiarimenti alle parti; c) dispone consulenza tecnica ovvero, anche d’ufficio, l’assunzione di mezzi di prova. Ai sensi dell’11° comma, l’udienza è altresì disposta quando ricorra almeno una delle seguenti ipotesi: a) la videoregistrazione non è disponibile[15]; b) l’interessato ne abbia fatto motivata richiesta nel ricorso introduttivo e il giudice, sulla base delle motivazioni esposte dal ricorrente, ritenga la trattazione del procedimento in udienza essenziale ai fini della decisione; c) l’impugnazione si fonda su elementi di fatto non dedotti nel corso della procedura amministrativa di primo grado[16].
2.1 Le prassi
Le prime prassi delle sezioni specializzate, a meno di un anno dalla introduzione del nuovo rito camerale (entrato in vigore a far data dal 18 agosto 2017), sembrerebbero porre alcuni spunti di riflessione.
Fermo restando il rigetto delle eccezioni di legittimità costituzionale per contrasto con l’art. 77 Cost. (risulta che spesso le parti istanti hanno contestato il difetto dei presupposti di necessità ed urgenza in capo alla scelta del legislatore di introdurre una riforma processuale con le forme del decreto legge)[17] e la particolare complessità di alcuni tipi di controversie che coinvolgono anche situazioni giuridiche soggettive di carattere pretensivo connesse alla semplice richiesta di riconoscimento della protezione internazionale[18], parrebbe frequente la scelta di escludere la fissazione dell’udienza attraverso una forzatura ed un allargamento delle ipotesi in cui questo è consentito e sulla base di argomentazioni secondo cui comunque il diritto al contraddittorio sussisterebbe e sarebbe garantito, seppur in forma scritta e seppur nelle anguste ma sufficienti forme del rito camerale[19].
Ma se la cd. «cameralizzazione» dei diritti non è un fenomeno recente, seppur da più parti criticato[20], il punto sembra consistere nel rischio dello smarrimento dell’oralità, quale pilastro del processo civile, a sua volta strumentale alla più alta forma di garanzia del contraddittorio.
Il quadro emergente dalla analisi di alcuni provvedimenti di merito è, sotto questo profilo, indicativo: presso il Tribunale di Torino[21] non mancano esempi di decreti in cui è stato ritenuto che l’art. 35 bis, comma 11, lettera a), d.lgs 25/2008 debba essere letto nel senso che il giudice debba disporre l’udienza qualora non siano disponibili o la videoregistrazione o il verbale della audizione, mentre qualora siano agli atti o l’una o l’altro la disposizione non si applicherebbe; con decreto del 10 dicembre 2017, inedito, è stato stabilito che «l’art. 14 del d.lgs n. 25 del 2008 – come modificato dalla l. n. 46 del 2017 – denominato “Verbale del colloquio personale”, dopo aver disciplinato la videoregistrazione nonché il verbale di trascrizione della stessa, al comma 7 afferma «Quando il colloquio non può essere videoregistrato per motivi tecnici o nei casi di cui al comma 6-bis» (ipotesi in cui sia il richiedente a formulare istanza motivata di non volersi avvalere della videoregistrazione) «…è redatto verbale sottoscritto dal richiedente e si applicano, in quanto compatibili le disposizioni del presente articolo». Siffatta locuzione non può che essere intesa nel senso che – laddove la videoregistrazione non possa essere effettuata, per malfunzionamento ma, evidentemente, anche per la mancanza dell’apparato tecnico – sarà il verbale a tener il luogo della videoregistrazione, debitamente sottoscritto dal Presidente o dal componente della Commissione che ha condotto il colloquio, dall’interprete e dal richiedente (comma 2, art. 14 cit.), e sarà questo ad essere consegnato in copia, trascritto in lingua italiana, al richiedente (comma 4, art. 14 cit.). Di conseguenza, l’art. 35 bis, comma 11, lettera a), del d.lgs n. 25 del 2008 deve essere letto nel senso che il giudice (id est il Collegio) debba disporre l’udienza qualora non siano disponibili ola videoregistrazione oil verbale della audizione, mentre qualora siano agli atti o l’una o l’altro non troverà applicazione la disposizione in oggetto.
Anche il Tribunale di Napoli, con decreto del 23 ottobre 2017, inedito, ha escluso che la mancata ammissione dell’audizione dell’interessato «costituisca di per sé un vulnus per la difesa dello stesso, in quanto il Tribunale è in possesso di documentazione cartacea contenente il verbale sottoscritto del colloquio dell’interessato effettuato in sede amministrativa», anche alla luce della giurisprudenza eurounitaria che «[…] ha già avuto modo di spiegare che l’obbligo assoluto di tenere un’udienza pubblica in tutte le procedure giurisdizionali non è previsto né dall’ art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue né dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4/11/1950 (Corte di Giustizia, seconda sezione 26/7/2017 sentenza Moussa Sacko c/Commissione Territoriale di Milano)», sicché «l’omissione dell’udienza de qua risponde all’esigenza, sentita sia dagli Stati Membri della Ue che dai richiedenti asilo, che sia presa una decisione in tempi rapidi, se ad essa si può pervenire attraverso un esame documentale adeguato e completo»; con decreto del 30 ottobre 2017, inedito, è stato ritenuto che debba essere «rigettata l’istanza, articolata nel ricorso introduttivo, di comparizione del ricorrente, il che implica anche il rigetto della richiesta di fissazione della presupposta udienza, sia perché genericamente proposta sia perché non ritenuta dal Collegio essenziale ai fini della decisione l’audizione del ricorrente in ciò considerato che nel ricorso introduttivo non sono stati prospettati elementi di fatto diversi da quelli già dedotti innanzi alla Commissione territoriale. Inoltre, l’esecuzione della videoregistrazione del colloquio informativo del richiedente asilo dinanzi alle Commissioni non è, allo stato, disponibile per motivi tecnici, posto che a norma del comma 8, dell’art. 14, e del comma 16 dell’art 35 bis della legge le “specifiche tecniche” necessarie per predisporre il sistema di video registrazione saranno stabilite con decreto direttoriale da adottarsi nei tempi e nei modi previsti».
3. Il “diritto all’udienza” e le sue limitazioni
Sennonché, alcune considerazioni di ordine teorico-sistematico si impongono per tentare di capire se di un sacrificio ragionevole si tratti, ogni qual volta ad una parte di un procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale sia preclusa la possibilità di comparire dinanzi al giudice[22].
Sebbene sia tecnicamente corretto tener distinte le nozioni di (a) diritto di essere ascoltato (nel senso di diritto di esporre le proprie ragioni); (b) diritto di essere ascoltato personalmente; c) diritto a una udienza[23], non c’è dubbio che quest’ultimo comprenda in sé il primo e, con le dovute limitazioni, il secondo.
Occorre dunque chiedersi se l’obliterazione del diritto all’udienza sia congrua rispetto al fine (acceleratorio, come emerge dalla relazione illustrativa al decreto legge 13/2017), giacché la lentezza (rectius, la durata irragionevole) dei processi civili non sembra dipendere dallo svolgimento dell’udienza ma, semmai, dal numero elevato delle controversie e dalla cronica inadeguatezza delle risorse impiegate.
Sembra opportuno considerare e valutare se il sacrificio del principio della pubblicità del giudizio, sancito dall’art. 6 Cedu[24] e ricavabile dall’art. 101, comma 1°, Cost.[25] sia ragionevole, giacché la circostanza che, in questa materia, il giudice possa disporre della videoregistrazione (quando ciò avverrà) potrebbe non essere sufficiente a giustificare la scelta del legislatore; se si considerano i dati empirici raccolti anche grazie all’esperienza della Clinica legale del diritto dell’immigrazione e della cittadinanza, istituita presso il Dipartimento di giurisprudenza dell’Università Roma Tre[26], si prende coscienza del fatto che le audizioni dinanzi alle Commissioni territoriali hanno una durata compresa tra le due e le quattro ore, con estenuanti pause dovute alla traduzione delle domande e delle risposte e alla successiva verbalizzazione. La scelta del legislatore comporta il rischio che il giudice impieghi all’incirca un paio d’ore di lavoro per la visione della videoregistrazione, anziché adoperarsi in udienza per rivolgere chiare e mirate domande al ricorrente, dopo avere studiato il verbale e il ricorso.
Sul piano sistematico, non si può non considerare l’eliminazione del grado di appello, il che determina il concreto rischio che l’intero processo per il riconoscimento della protezione internazionale, snodatosi tra primo grado e giudizio di Cassazione, si svolga senza la possibilità per le parti – rectius, i loro avvocati – di interloquire oralmente comparendo davanti al giudice; sul punto, può essere utile ricordare quanto affermato nel 2015 dalla Corte costituzionale[27], secondo la quale il principio di pubblicità del giudizio, connaturato ad un ordinamento democratico[28] e che tutela dal rischio di una «giustizia segreta»[29], può essere derogato nelle fasi di impugnazione, se per un verso, la pubblicità è assicurata nelle fasi di merito e, per altro verso, vengono in rilievo questioni di diritto eminentemente tecniche. In effetti, è arduo rintracciare nel procedimento ex art. 35 bis d.lgs 25/2008 alcuno degli elementi indicati dalla Suprema Corte per giustificare la deroga al principio di pubblicità, in quanto, per un verso, nel primo grado non è garantita la possibilità di comparire in udienza – la prassi degli uffici lo dimostra – e, per l’altro, la natura delle controversie è tale da determinare prevalentemente l’insorgenza di questioni controverse sotto il profilo dell’accertamento dei fatti più che delle soluzioni tecnico-giuridiche.
Se nella giurisprudenza della Corte Edu sono frequenti le pronunce che ammettono la derogabilità del diritto all’udienza, in presenza di interessi talvolta prevalenti[30], con specifico riferimento alla direttiva 2013/32/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, la Corte di giustizia Ue[31] ha stabilito che, in particolare, i suoi articoli 12, 14, 31 e 46, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati «nel senso che non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione, a condizione che, da una parte, in occasione della procedura di primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale, conformemente all’articolo 14 di detta direttiva, e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio, qualora quest’ultimo sia avvenuto, sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo, in conformità dell’articolo 17, paragrafo 2, della direttiva medesima, e, dall’altra parte, che il giudice adito con il ricorso possa disporre tale audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto contemplato all’articolo 46, paragrafo 3, di tale direttiva».
Non sembra chiaro il concetto di manifesta infondatezza cui la Corte ha fatto riferimento, giacché potrebbe concernere l’ipotesi di cui all’art. 32, par. 2, della direttiva, che consente al diritto nazionale di qualificare manifestamente infondata una domanda qualora rientri in una delle fattispecie delineate dall’art. 31, par. 8, ovvero accolga una nozione più ampia di certezza ed evidenza della infondatezza della domanda.
Sembra ragionevole ritenere che la Corte abbia inteso riferirsi ai casi di manifesta infondatezza tipizzati dall’ordinamento dell’Unione, come parrebbe rivelare il richiamo contenuto nella sola motivazione all’art. 32, par. 2, della direttiva, che a sua volta richiama l’art. 31, par. 8[32].
Parrebbe quindi da escludersi che la Corte abbia voluto riferirsi ai soli casi di manifesta infondatezza – tra quelli di cui all’art. 31, par. 8, della direttiva – introdotti nell’ordinamento nazionale grazie alla facoltà riconosciuta dal richiamato art. 32, par. 2; nonostante nell’ordinamento italiano sia prevista una sola delle ipotesi di manifesta infondatezza elencate all’art. 31, par. 8, della direttiva – e cioè l’ipotesi che «il richiedente ha sollevato esclusivamente questioni che non hanno alcuna attinenza con i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale»[33] – anche le altre ipotesi di cui all’art. 31, par. 8, cit., dovrebbero essere comprese tra quelle che consentono di evitare l’audizione davanti al giudice; se così fosse, il giudice potrebbe fare a meno dell’udienza soltanto nel caso in cui il richiedente abbia sollevato esclusivamente questioni prive di attinenza con i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale.
4. Il costo delle garanzie processuali e il valore dell’oralità
Allargando l’orizzonte dell’indagine, si colgono delle vistose disomogeneità interpretative: infatti, colpisce l’attenzione dell’interprete la tendenza della giurisprudenza interna a valorizzare l’audizione della parte e la sua effettiva partecipazione all’udienza nei procedimenti di convalida e proroga del trattenimento: Cass. 13 novembre 2017, n. 26803 ha stabilito che «in tema di procedimento di convalida del trattenimento dello straniero nel centro di identificazione ed espulsione, ai sensi degli artt. 14 del d.lgs 286/98, le garanzie del contraddittorio, consistenti nella partecipazione necessaria del difensore e nell'audizione dell'interessato, per il procedimento di convalida del trattenimento, trovano applicazione senza che sia necessaria la richiesta dell'interessato di essere sentito. Pertanto, costituisce eccezione rilevante e fondata quella sollevata dal difensore del trattenuto il quale alleghi la violazione del diritto di difesa dello straniero che, pur chiedendolo, non venga accompagnato davanti al giudice della convalida in ragione di trattamenti di semplice profilassi, che non costituiscano pericoli per la salute pubblica»[34].
Il quadro che emerge è obiettivamente complesso giacché frutto di una tensione e della ricerca di un equilibrio tra esigenze di effettività della tutela e adeguata ed efficiente allocazione delle risorse della giustizia[35].
A ben vedere, basterebbe considerare quanto sforzo di produzione giurisprudenziale (e di difesa da parte degli avvocati) sia derivato dalla scelta del legislatore di eliminare l’udienza (seppur nei termini indicati) per ritenere inefficiente, secondo una logica economica, tale scelta.
Il cuore del problema sembra risiedere, sul piano generale, nella prospettiva dalla quale ci si pone e, sul piano particolare, nell’indagine intorno al principio di oralità.
Se si qualificano le garanzie processuali alla stregua di un costo, il destino che attende gli operatori del diritto sarà, con ogni probabilità, quello di un continuo confronto e scontro su quali e in che misura sacrificare; se, al contrario, le si concepisce un valore imprescindibile, sulla base della considerazione che non tutti i diritti sono «monetizzabili» (e men che meno quelli correlati alla effettività del diritto di azione e di difesa, quale sembra ragionevole considerare “il diritto all’udienza”), sarà possibile porre un argine alla dittatura dell’economia sulla giustizia e tentare così di curare una della cause della crisi della giurisdizione civile[36].
Quanto all’oralità, forse è tempo di ricominciare ad indagarne la portata.
Ferma restando la distinzione tra trattazione orale e pubblica udienza, poiché una cosa è il diritto al contraddittorio (art. 24 Cost.), altra cosa il diritto all’udienza pubblica (art. 101 Cost.), il punto non sta tanto nella violazione del diritto alla difesa, quanto nella (tendenziale) soppressione della udienza, intesa come (unico) punto di contatto tra le parti e il giudice.
L’eliminazione di questo contatto non sembra marginale[37], perché trattasi di un valore risalente all’illuminismo e fatto proprio dalle moderne costituzioni successive alla rivoluzione francese[38].
Addirittura, il valore della udienza (pubblica) era già contemplato dallo Statuto albertino, il quale, all’art. 72, prevedeva che «Le udienze dei tribunali in materia civile e i dibattimenti in materia criminale saranno pubblici conformemente alle leggi».
La Costituzione repubblicana lo ha, implicitamente, recepito, considerando che, pur contenuto nell’art. 101 del progetto presentato all’assemblea costituente il 31 gennaio 1947, non fu riportato nel testo definitivo solo perché ritenuto superfluo in un sistema democratico in cui il potere giurisdizionale è esercitato in nome del popolo (art. 101 Cost.)[39].
In questa sede non è certamente possibile addentrarsi oltre nell’indagine sull’oralità – di cui l’udienza è l’architrave – ma occorre prendere consapevolezza del suo progressivo smarrimento[40] e interrogarsi sul suo valore, per capire se trattasi di un retaggio del passato del quale poter progressivamente fare a meno, o se sia consustanziale alla garanzia di un processo – e di una decisione – giusti.
Vale, dunque, la pena di ricordare il pensiero di Chiovenda che, nel paragrafo dei Principii[41] intitolato Concetto, vantaggi e importanza processuale dell’oralità, così scriveva: «[…] il principio dell’oralità non esige punto l’esclusione della scrittura dal processo, come il nome potrebbe far credere agli inesperti: poiché la scrittura, da mezzo perfezionato, qual essa è, di esprimere il pensiero e di conservarne durabilmente l’espressione, non può non avere nel processo quel posto, che ha in ogni rapporto della vita. Ma appunto esso vuole che non le sia fatto, se non quel posto che le compete secondo le condizioni della vita moderna e secondo l’utile effettivo che può dare ai giudizii. Ora, in tutti quei casi in cui occorre valutare l’attendibilità delle dichiarazioni di qualcuno, sia parte, sia teste, sia perito, è certo che il contatto diretto e personale di costui col giudice pone questo in grado di meglio apprezzare la deposizione. Che se la verità dei fatti debba risultare da contraddittorio, sia di parti, sia di testi, sia si periti, il confronto perde ogni efficacia nello scritto che lo riproduce».
[1] Su cui v. D. Dalfino, Accesso alla giustizia, principio di effettività e adeguatezza della tutela giurisdizionale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2014, p. 907.
[2] Su cui v., da ultimo, A. Panzarola, Jeremy Bentham e la «Proportionate justice», in Riv. dir. proc., 2016, p. 1459; Caponi, Il principio di proporzionalità nella giustizia civile: prime note sistematiche, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2011, pp. 389 ss.
[3] Intesa come requisito dell’interesse ad agire, su cui v. M.F. Ghirga, La meritevolezza della tutela richiesta. Contributo allo studio sull’abuso dell’azione giudiziale, Milano, Giuffré, 2004; E ad., Abuso del processo e sanzioni, Milano, 2012, dal quale si cita, nonché in AA.VV., L’abuso del processo. Atti del XXVIII Convegno Nazionale dell’associazione italiana fra gli studiosi del processo civile, Urbino 23-24 settembre 2011, Bologna, Bononia University Press, 2012, pp. 87 ss.
[4] Cfr. M.G. Garofalo, Intervento, in AA.VV., Processo e tecniche di attuazione dei diritti, a cura di S. Mazzamuto, Napoli, Jovene, 1989, p. 1176.
[5] È noto, infatti, che le rationes della tutela differenziata costituiscono un post rispetto alle scelte legislative, cioè alla selezione degli interessi meritevoli di tutela operata dalla legge sul piano sostanziale. Da questa prospettiva, come notato da G. Costantino, Le espropriazioni forzate speciali. Lineamenti generali, Milano, Giuffrè, 1984, p. 10, «i princìpi di uguaglianza, infatti, nel processo, possono operare sia per quanto riguarda la posizione delle parti tra loro, sia per quanto riguarda la posizione di una delle parti rispetto a quella di chi vanti analoghe situazioni sostanziali».
[6] Per questi riferimenti e per approfondimenti, sia consentito rinviare a A.D. De Santis, Contributo allo studio della funzione deterrente del processo civile, Napoli, Jovene, 2018, pp. 89 ss.
[7] Cfr. R. Caponi, Doing Business come scopo del processo civile?, in Foro it., 2015, V, p. 15.
[8] Sui dubbi di legittimità costituzionale di questa scelta, v. A.D. De Santis, Le novità in tema di tutela giurisdizionale dei diritti dei migranti. Un’analisi critica, in Riv. dir. proc., 2017, p. 1218; F. del Rosso, L’istituzione di sezioni specializzate in materia di immigrazione e il nuovo rito per il riconoscimento della protezione internazionale, in Giusto proc. civ., 2017, pp. 939 ss.; v. anche la ricostruzione sistematica svolta da M. Acierno, La nuova disciplina sull’immigrazione, in Libro dell’anno del diritto, Roma, Treccani, 2018, pp. 523 ss.; per un commento critico, v. C. Asprella, Un nuovo rito applicabile in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale, in Corriere giur., 2017, p. 855.
[9] Sulla natura di diritto soggettivo della pretesa al riconoscimento della protezione internazionale, v. Cons. Stato 18 dicembre 2015, n. 5738, in Foro amm. 2015, p. 3079.
[10] L’art. 6, comma 1°, lett. g), dl. introduce dunque un nuovorito, collocato nell’art. 35 bis d.lgs 25/2008 e che sostituisce quello sommario di cognizione di cui all’abrogato art. 19 d.lgs 150/2011.
L’art. 35 bis, comma 1°,d.lgs 25/2008 stabilisce che «le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti previsti dall’art. 35, sono regolate dalle disposizioni di cui agli articoli 737 e ss. cpc, ove non diversamente disposto dal presente articolo».
[11] Cfr. A. Proto Pisani, Note sulla tutela civile dei diritti, in Foro it., 2002, V, pp. 165 ss.
[12] Ragionando in questo modo, ogni giudizio, civile, amministrativo e tributario, di natura impugnatoria di provvedimenti amministrativi resi all’esito di procedimenti amministrativi in cui sia consentito alla parte privata di interloquire con la amministrazione, potrebbe andare incontro alla eliminazione tendenziale dell’udienza.
[13] Per una critica a queste scelte, v. V. Gaeta, La riforma della protezione internazionale: una prima lettura, in questa Rivista online www.questionegiustizia.it/articolo/sulla-riforma-della-protezione-internazionale_27-02-2017.php; F. del Rosso, L’istituzione di sezioni specializzate in materia di immigrazione e il nuovo rito per il riconoscimento della protezione internazionale,cit., pp. 944 ss.
[14] Su cui v. A. Piccininni e N. Zorzella, Come limitare l’accesso alla giustizia dei richiedenti asilo e contestualmente mortificare l’attività professionale di chi potrebbe tutelarli, in www.questionegiustizia.it.; già in senso critico, v. A.D. De Santis, Le novità in tema di tutela giurisdizionale dei diritti dei migranti. Un’analisi critica, cit., pp. 1234 ss.
[15] Sul punto (approfondito già da G. Buffone, Un doppio regime per l’audizione dell’interessato, in Guida dir., 2017, 20, 76), va rilevato che il dl. prevedeva l’obbligatorietà della videoregistrazione del colloquio, mentre con la l. di conversione è stato introdotto il comma 6 bis all’art. 14 d.lgs 25/2008, che opportunamente consente al richiedente di formulare istanza motivata di non avvalersi del supporto della videoregistrazione. Tuttavia, su tale istanza decide la stessa commissione territoriale con provvedimento espressamente indicato come non impugnabile, il che suscita qualche dubbio di legittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 24 e 113 Cost.
[16] Il testo originario del dl. prevedeva la possibile fissazione dell’udienza qualora con il ricorso introduttivo fossero stati introdotti nuovi elementi non dedotti nella fase amministrativa. In sede di conversione l’ipotesi è stata limitata alla sola introduzione di nuovi elementi di fatto, il che ben potrebbe offrire l’occasione ai difensori più smaliziati di ottenere comunque la fissazione dell’udienza, riportando strumentalmente nel ricorso nuovi elementi di fatto, anche se non sostenuti da alcuna richiesta istruttoria o produzione documentale.
[17] Cfr. Trib. Venezia 7 dicembre 2017, accessibile al seguente link: https://bit.ly/2rlAVnx.
[18] Cfr. infatti Trib. Firenze 14 dicembre 2017, accessibile al seguente link https://bit.ly/2rmZCQB e richiamata da D. Genovese, La tutela delle vittime di tratta di fronte alla Sezione specializzata in materia di protezione internazionale di Firenze, in questa Rivista on line, www.questionegiustizia.it/articolo/la-tutela-delle-vittime-di-tratta-di-fronte-alla-s_04-05-2018.php.
[19] Cfr., infatti, Trib. Milano 20 febbraio 2018, inedito, che richiama i principi espressi da Corte cost. 17 aprile 1985, n. 103, in Foro it., 1986, I, p. 888.
[20] Cfr. L. Lanfranchi, La cameralizzazione del giudizio sui diritti, in Giur. it., 1989, IV, p. 33; V. Denti, I procedimenti camerali come giudizi sommari di cognizione: problemi di effettività e di costituzionalità della tutela, in AA.VV., I procedimenti in camera di consiglio e la tutela dei diritti, Atti del XVII Convegno nazionale dell’associazione italiana fra gli studiosi del processo civile, Palermo 6-7 ottobre 1989, Milano, Giuffrè, 1991, pp. 31 ss.; E. Grasso, I procedimenti camerali e l’oggetto della tutela, ibid., pp. 49 ss.
Che il fenomeno sia in crescita si coglie dal vero e proprio rompicapo costituito dall’art. 61, 7° comma, d.lgs 169/2011, recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, secondo il quale l’opposizione al piano di pagamento si propone alla Corte d’appello civile e dispone che «si procede in camera di consiglio e si applicano gli artt. 702 bis e seguenti del codice di procedura civile».
[21] Cfr. Trib. Torino 12 dicembre 2017, inedito.
[22] I numeri e l’ampiezza del fenomeno migratorio che coinvolge il nostro paese sono spesso stati accostati a quelli di una vera e propria emergenza; sul punto, v. A. Scalera - A. Pahlasindgh, La “questione migranti” nei Paesi Ue: alcuni dati, in questa Rivista on line, www.questionegiustizia.it/articolo/la-questione-migranti-nei-paesi-ue_alcuni-dati_13-10-2017.php.
[23] Cfr. C. De Chiara, Fase amministrativa e fase giurisdizionale: partecipazione del richiedente all’udienza ed ascolto in sede giudiziale: il dovere di cooperazione dell’Autorità e il principio dispositivo, Relazione tenuta in occasione dell’incontro «Il diritto di asilo e alla protezione internazionale», organizzato dalla Scuola superiore della magistratura In collaborazione con la Scuola superiore dell’Amministrazione dell’interno, Roma, 7, 8, 9 febbraio 2018, il cui dattiloscritto è stato consultato per gentile concessione dell’Autore, il quale evidenzia che «L’art. 14 della direttiva 2013/32/Ue riconosce al richiedente la facoltà (e dunque attribuisce un corrispondente obbligo allo Stato membro competente a decidere sulla sua richiesta) di sostenere un «colloquio personale» nella prima fase del procedimento, quella che in Italia, come detto, ha natura amministrativa e si svolge davanti alla competente Commissione territoriale per la protezione internazionale. Se si esamina la giurisprudenza delle corti appartenenti ai due ordinamenti sovranazionali europei, si nota che quella della Cedu è incentrata sul diritto all’udienza, perché dell’udienza parla l’art. 6 della Convenzione. Essa è giunta alla conclusione che dell’udienza è consentito fare a meno allorché essa «non sia necessaria, a causa di circostanze eccezionali del caso, per esempio quando non si pongono questioni di fatto o di diritto che non possano essere adeguatamente risolte sulla base dei documenti allegati e delle osservazioni scritte delle parti» (Döry c. Svezia 12 novembre 2002; Fredin c. Svezia 23 febbraio 1994; Fischer c. Austria 26 aprile 1995; e molte altre). Del diritto di essere ascoltato personalmente, a rigore, non si fa parola».
[24] A norma dell’art. 6 Cedu ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata pubblicamente da un tribunale indipendente e imparziale. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità può pregiudicare gli interessi della giustizia.
[25] Cfr. Corte cost. 21 maggio 2014, n. 135, in Giur. costit. 2014, p. 2256, con nota di R. Adorno; Corte cost. 12 marzo 2010, n. 93, in Foro it. 2010, I, p. 2008; Corte cost. 23 aprile 1998, n. 141, in Foro it. 1999, I, p. 767, con nota di M. Annecchino; Corte cost. 16 febbraio 1989, n. 50, in Foro it. 1990, I, p. 822; Corte cost. 2 febbraio 1971, n. 12, in Giur. costit., 1971, p. 103; nel senso che la pubblicità dell’udienza sia un «cardine dell’ordinamento», v. Cass. 16 marzo 2012, n. 4268 e Cass. 18 luglio 2008, n. 19947.
[26] I dati e i materiali sono accessibili al seguente link http://clinicalegale.giur.uniroma3.it/.
[27] Cfr. Corte cost. 5 giugno 2015, n. 97, in Giur. costit., 2015, p. 813.
[28] Cfr. Cass. 2 marzo 2017, n. 5371.
[29] Cfr. Corte dir. uomo 10 aprile 2012, Lorenzetti c. Italia; Corte dir. uomo 8 luglio 2008, Perre e altri c. Italia; Corte dir. uomo 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza c. Italia.
[30] Cfr. Corte dir. uomo 12 maggio 2009, in Riv. dir. internaz., 2010, p. 140, secondo cui l'art. 6 par. 1, Cedu non esige necessariamente lo svolgimento di un'udienza pubblica in tutti i processi; le autorità nazionali potrebbero ritenere, ad esempio, che l'organizzazione sistematica di dibattimenti costituisca un ostacolo al rispetto della durata ragionevole del processo; Corte dir. uomo 21 luglio 2009, Seliwiak c. Polonia; Grande Camera, 18 ottobre 2006, Hermi c. Italia; 8 febbraio 2005, Miller c. Svezia; 25 luglio 2000, Tierce e altri c. San Marino; 27 marzo 1998, K.D.B. c. Paesi Bassi; 29 ottobre 1991, Helmers c. Svezia; 26 maggio 1988, Ekbatani c. Svezia, secondo cui «i giudizi di impugnazione dedicati esclusivamente alla trattazione di questioni di diritto possono soddisfare i requisiti di cui all’art. 6, par. 1, della Convenzione, nonostante la mancata previsione di una pubblica udienza» giacché «la valenza del controllo immediato del quisque de populo sullo svolgimento delle attività processuali, reso possibile dal libero accesso all’aula di udienza ..., si apprezza ... in modo specifico quando il giudice sia chiamato ad assumere prove, specialmente orali-rappresentative, e comunque ad accertare o ricostruire fatti; mentre si attenua grandemente, allorché al giudice competa soltanto risolvere questioni interpretative di disposizioni normative»; v., però, Corte dir. uomo, 31 maggio 2016, in Foro it., Rep. 2016, voce Diritti politici e civili, n. 240, secondo cui «L'art. 6 par. 3 d) Cedu sancisce il principio secondo il quale, prima che un imputato possa essere dichiarato colpevole, tutti gli elementi a carico devono in linea di principio essere prodotti dinanzi a lui in pubblica udienza, ai fini di un dibattimento in contraddittorio; questo principio non è privo di eccezioni, che tuttavia possono essere accettate soltanto fatti salvi i diritti della difesa; come regola generale, questi impongono di dare all'imputato una possibilità adeguata e sufficiente di contestare le testimonianze a carico e di interrogarne gli autori, al momento della loro deposizione o in una fase successiva»; nonché Corte dir. uomo 10 aprile 2012, Lorenzetti c. Italia, cit., in cui è stato affermato il contrasto del procedimento per ingiusta detenzione con l’art. 6 Cedu, nella parte in cui non consente che, almeno su richiesta della parte, si possa procedere con la presenza del pubblico.
[31] Corte giust. Ue 26 luglio 2017 Moussa Sacko c. Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano C-348/16.
[32] In tal senso, v. C. De Chiara, Fase amministrativa e fase giurisdizionale: partecipazione del richiedente all’udienza ed ascolto in sede giudiziale: il dovere di cooperazione dell’Autorità e il principio dispositivo, cit.
[33] Cfr. art. 28 bis, comma 2, lett. a), d.lgs n. 25/2008; peraltro, le fattispecie di manifesta infondatezza della domanda contemplate dall’art. 31, par. 8, della direttiva sono significative: si pensi a quella di cui alla lett. c) (presentazione di informazioni o documenti falsi od omissione di informazioni pertinenti o documenti relativi all’identità o cittadinanza), alla lett. d) (probabile distruzione in mala fede di tali documenti), alla lett. e) (rilascio di dichiarazioni palesemente incoerenti e contraddittorie, false o evidentemente improbabili che contraddicono informazioni sufficientemente verificate sul paese di origine), alla lett. g) (scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di allontanamento, alla lett. h) (ingresso illegale nello Stato o prolungamento illegale del soggiorno senza presentare domanda di protezione internazionale).
[34] Il principio vale anche per l’udienza di proroga del trattenimento, come chiarito da Cass. 14 novembre 2017, n. 26919; deve peraltro essere segnalato che la Corte, con ordinanza interlocutoria del 19 dicembre 2017, n. 30454, ha disposto la trasmissione degli atti alla pubblica udienza in considerazione dell’esigenza di riesaminare gli argomenti svolti da Cass. 10 maggio 2017, n. 11468 e 3 maggio 2017, n. 10743.
[35] Cfr. S. Chiarloni, Ragionevolezza costituzionale e garanzie del processo, in Riv. dir. proc., 2013, spec. p. 534.
[36] Cfr., esemplificativamente, B. Ackerman, We the People. 3. The Civil Right Revolution, Cambridge (MA)-London, 2014, pp. 14 ss., 154 ss.; sul versante italiano, v., specificamente, G. Costantino, Governance e giustizia - Le regole del processo civile italiano, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2011, suppl. al n. 4; B. Capponi, Le crisi della giurisdizione civile, in Corriere giur.,2014, pp. 1277 ss.; N. Picardi, La giurisdizione all’alba del terzo millennio, Milano, Giuffrè, 2007.
[37] Come ricordato da G. Scarselli, In difesa della pubblica udienza in Cassazione, in Foro it., 2017, V, pp. 30 ss.
[38] Cfr. G. Chiovenda, La riforma del processo civile, in Saggi di diritto processuale civile, Milano, Giuffré rist. 1993, III, p. 294.
[39] Cfr. F. Cipriani, Il procedimento camerale in Cassazione, in Giusto proc. civ., 2009, p. 829.
[40] Come dimostra il testo degli art. 375 e 380 bis cpc per il procedimento davanti alla Corte di cassazione.
[41] Cfr. G. Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, Napoli, Jovene, rist. 1965, 680, spec. p. 681.