Audizione e valutazione di credibilità del richiedente davanti alla Commissione territoriale
È possibile avviare un confronto dialettico, nell’analisi di una domanda di protezione internazionale, nella fase amministrativa, senza necessario intervento della difesa tecnica? L’articolo tenta di rispondere alla domanda partendo dall’esame della struttura organizzativa dell’autorità decidente amministrativa italiana, mettendola a raffronto con i principali modelli europei, il tedesco, il francese e l’inglese e provando a valorizzarne le peculiari caratteristiche. Si analizzano, inoltre, gli strumenti utilizzati nella ricerca della verosimiglianza delle dichiarazioni del richiedente, inquadrandoli in un modello strutturato, concepito da Easo (European asylum support office), sulla base di un’esperienza internazionale pluridecennale in materia. Nella conduzione delle interviste, si utilizza il metodo dialogico di comunicazione (Dcm), messo a punto da studiosi norvegesi ed articolato in otto fasi che vanno dalla preparazione al colloquio personale fino alle eventuali azioni di follow-up. Nella valutazione degli elementi di prova, vengono invece illustrati i criteri di giudizio sulla credibilità (coerenza interna e coerenza esterna) ed i parametri relativi all’esame dei documenti (rilevanza, esistenza, contenuto, forma giuridica, aspetti esteriori e precisione). A proposito della valutazione dei documenti, si pone in luce la rilevanza del Protocollo di Istanbul e delle Linee guida, approvate dal Ministero della salute ad aprile 2017. In conclusione, si dà conto di alcune direttrici concrete di ampliamento degli strumenti istruttori in uso alle Commissioni territoriali, che possono portare, nel procedimento, nuovi punti di vista, e si getta uno sguardo all’assetto innovativo, ormai prossimo, determinato dai mutamenti organizzativi disposti con il d.lgs 22 dicembre 2017, n. 220.
1. Lo strano caso delle Commissioni territoriali (uno sguardo in giro per l’Europa)
Non sono solito scrivere in prima persona. Una remota educazione borghese mi ha insegnato a nascondere la concreta materialità dell’esser-ci dietro l’impersonalità della terza persona. Tuttavia, devo derogare alla suddetta regola implicita per ricordare gli albori dell’esperienza dell’esame amministrativo delle domande di status di rifugiato in Italia. In particolare, mi riferisco ad una stagione durata un paio d’anni, fra il 2001 ed il 2002, quando, sotto il vigore della Legge Martelli e l’avvio dell’iter parlamentare che avrebbe portato alla Legge Bossi-Fini, l’organo amministrativo all’epoca competente per l’esame delle domande, la Commissione centrale per lo status di rifugiato, si muoveva lungo la Penisola, soprattutto al Sud, teatro degli sbarchi, nel tentativo di decidere velocemente le istanze delle persone ospitate nei centri governativi di accoglienza.
Proprio in occasione di alcune di quelle attività extra-Urbe condotte dalla Commissione, ebbi modo di verificare come fosse ritenuta del tutto estranea alla procedura di riconoscimento la presenza del procuratore del richiedente ed il suo intervento in audizione. Fin da allora, mi pareva che un tale atteggiamento non fosse utile né opportuno.
Da quel tempo, molte cose sono cambiate ed ora il diritto all’assistenza ed alla rappresentanza legale è esplicitamente riconosciuto dalla vigente normativa derivante dal diritto europeo[1]. Il richiedente ha infatti diritto a farsi assistere da un avvocato fin dalla fase amministrativa. Tuttavia, l’onere derivante da tale attività ricade sullo stesso cittadino straniero. Non è infrequente, perciò, vedere, nei corridoi e nelle aule degli uffici delle Commissioni territoriali, avvocati che accompagnano i propri clienti ed anzi, il fenomeno è gradatamente in crescita. È pur vero, però, che, in assenza di previsione di un gratuito patrocinio anche in fase amministrativa, la difesa tecnica possa non esserci in numerosi procedimenti.
Che vi fosse un rischio di una visione unilaterale delle questioni da affrontare e decidere nell’ambito della protezione internazionale, era chiaro al legislatore fin dalla istituzione delle nuove autorità decidenti, le Commissioni territoriali, per la prima volta previste e regolate dalla l. 30 luglio 2002, n. 189 e dal dPR 16 settembre 2004, n. 303. Proprio per questa ragione, la composizione di tali organi è, in qualche modo, sorprendente e costituisce un unicum in Europa, con una sola, molto interessante, eccezione.
Ma andiamo per ordine. Per scoprire la singolarità della strutturazione delle Commissioni territoriali, occorre dare un’occhiata oltre le Alpi, alla scoperta delle organizzazioni degli uffici analoghi negli altri Stati membri dell’Unione europea.
In linea di massima, possiamo individuare tre modelli di organizzazione. Il primo è quello tedesco, adottato anche in Austria, il secondo è di matrice francese, rinvenibile anche in Belgio, il terzo è quello inglese.
L’Ufficio federale per la migrazione ed i rifugiati (Bundesamt für migration und flüchtlinge - Bamf), è l’autorità tedesca competente per le decisioni in materia di protezione internazionale. Si tratta di una struttura nata nel 1946, alla fine della seconda guerra mondiale, allo scopo di dare accoglienza agli stranieri senza alloggio o sfollati, in una prima fase originari della Lituania e dell’Estonia[2].
La struttura del Bamf si caratterizza per la presenza, accanto ad un’articolata sede centrale, di un’organizzazione periferica con 22 uffici decentrati, localizzati in tutti i Länder del Paese[3].
Il Bamf è un’autorità federale, sotto il controllo del Ministero federale dell’interno. Negli uffici decentrati, si conduce la procedura, con l’elaborazione delle domande, l’audizione e la decisione sui casi più complessi. Ci sono poi dei “Centri di decisione” dove vengono assunti provvedimenti relativi a richiedenti già sentiti in precedenza. Si tratta di casi concernenti richiedenti provenienti da Stati non sicuri, come la Siria, l’Iraq e l’Eritrea.
I decisori del Bamf fanno parte integrante del servizio. I loro compiti sono essenzialmente quelli di condurre l’audizione e di assumere la decisione. Fra i requisiti necessari per potere essere assunti in quel ruolo, si annoverano la conoscenza approfondita del diritto dei rifugiati e dell’immigrazione così come della situazione politica dei Paesi di origine dei richiedenti.
Il sistema decentrato tedesco è ampiamente riprodotto in Austria. L’Ufficio responsabile per la protezione internazionale è l’Agenzia federale per l’immigrazione e l’asilo(Bundesamt für fremdenwesen und asyl - Bfa). Si tratta di un’Autorità federale che si rapporta direttamente al Ministro federale dell’interno. La struttura centrale (Direttorato) è collocata a Vienna e ci sono direttorati regionali (Rd) in ogni provincia[4].
Il Bfa, dal 1 gennaio 2014, è responsabile per la decisione amministrativa sulle domande di protezione internazionale, per il permesso di soggiorno sui motivi eccezionali umanitari ed anche per alcuni altri procedimenti relativi a cittadini stranieri.
Nell’organizzazione interna, il funzionario che conduce l’audizione non è competente all’adozione della decisione.
Un altro modello di organizzazione delle autorità decidenti amministrative è quello imperniato sull’esperienza francese. L’Ufficio francese per la protezione dei rifugiati e degli apolidi (Office français de protection des réfugiés et apatrides - Ofpra) è una struttura pubblica istituita con legge del 25 luglio 1952. L’organismo è stato posto sotto la tutela amministrativa del Ministero degli esteri sino al 2007. Successivamente, è stato collocato sotto la vigilanza del Ministero dell’interno. Il rapporto che lega le due entità è relativo ai soli aspetti finanziari e amministrativi mentre è del tutto preservata l’indipendenza funzionale dell’Ofpra. La tutela è regolata da un contratto sugli obiettivi e sui servizi (Contrat d'objectifs et de performance (Cop)[5].
L’Ufficio, che ha sede a Fontenay-sous-Bois, ha un’organizzazione centralizzata, con la sola eccezione di un’articolazione situata nella Guyana francese, competente per le domande d’asilo presentate nei dipartimenti francesi in America. La struttura di valutazione e decisione si articola su sei divisioni, raggruppate in due poli, uno specializzato su Americhe ed Africa, l’altro su Europa ed Asia[6].
Tutte le audizioni personali sono svolte da funzionari della protezione dell’Ofpra. Il verbale dell’audizione e lo schema di decisione sono poi sottoposti al dirigente della sezione. Da settembre 2013, è stato avviato un procedimento per la delega della firma, allo scopo di accelerare i tempi dei procedimenti[7].
Il sistema organizzativo del Belgio può essere fatto rientrare in quello che abbiamo definito come modello francese. Il Commissariato generale per i rifugiati e gli apolidi (Cgra - Commissariat général aux réfugiés et aux apatrides) è l’autorità centrale amministrativa responsabile per l’esame e la decisione delle prime istanze di protezione internazionale. Pur essendo vigilato dal Ministero per l’asilo e la migrazione, d’intesa con il Ministero dell’interno, il Cgra è indipendente e non è soggetto ad istruzioni da parte dei competenti ministeri, fatti salvi alcuni aspetti organizzativi e alcune questioni relative ai casi da esaminare con priorità[8]. Anche la struttura decisionale del Cgra è articolata su sezioni geografiche, attualmente nel numero di sei, dedicate a Africa, Balcani, Medio Oriente/Asia, Congo, Europa dell’Est, ed a progetti specifici. Il funzionario istruttore, in quel sistema, è responsabile della valutazione della credibilità e delle valutazioni relative all’inclusione. La decisione finale spetta al Commissario generale. La competenza alla decisione, tuttavia, può essere delegata. L’art. 57, c. 9, della l. 15 dicembre 1980 (sull’accesso al territorio, il soggiorno, lo stabilimento e l’allontanamento degli stranieri) prevede che la decisione sulle domande possa essere assunta, per delega, anche dagli aggiunti del Commissario generale e dal personale del Commissariato appartenente, come minimo, alla classe A3.
A suo modo peculiare è il sistema del Regno unito, in cui l’ufficio competente alla valutazione ed all’esame delle domande di protezione internazionale è incardinato direttamente nella struttura del Governo. Si tratta dell’Asylum intake and casework directorate, inserito nell’UK Visas and immigration che costituisce un dipartimento del Secretary of State for the Home department (Home office). I caseworkers dell’Home office sono responsabili per la conduzione delle audizioni e per l’assunzione delle decisioni, anche se non sempre si tratta della stessa persona per un caso determinato. L’autorità amministrativa in questione si articola su uffici regionali, competenti ad assumere le decisioni nelle procedure ordinarie[9].
A fronte di tre modelli organizzativi, quello tedesco, incentrato su un’agenzia vigilata dal Ministero dell’interno e basata su strutture decentrate nei Länder, quello francese, anch’esso fondato su un’agenzia ma accentrato in una sede unica articolata per sezioni geografiche e quello britannico, in cui l’ufficio competente è inserito direttamente nella struttura del Ministero dell’interno ed opera attraverso uffici regionali, l’elemento comune deriva dal fatto che il personale competente alla valutazione e decisione delle domande è alle dirette dipendenze dell’ente a cui è affidata la funzione pubblica relativa alla protezione internazionale.
2. Peculiarità dell’organizzazione italiana
La situazione italiana si caratterizza, rispetto ai modelli sopra indicati, per la particolare composizione dell’organo di decisione. È infatti noto che le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, fin dalla loro istituzione, avvenuta con l’art. 32, l. 30 luglio 2002, n. 189, sono organi collegiali composti da quattro membri, di cui due sono riconducibili al Ministero dell’interno (il presidente, appartenente alla carriera prefettizia, ed un funzionario della Polizia di Stato) mentre gli altri due sono espressione dell’Unhcr e del mondo degli enti locali. Peraltro, anche la Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, organo cui era affidata la competenza decisoria sulle prime istanze antecedentemente alla l. 30 luglio 2002, n. 189[10], aveva al suo interno un componente dell’Unhcr, sia pure con funzione esclusivamente consultiva.
In qualche modo, quindi, è possibile dire che il legislatore ha inteso portare una sorta di confronto contradditorio fin nelle stanze riservate della decisione, attraverso una composizione plurale dell’autorità amministrativa decisoria che non ha paragoni nel resto d’Europa, in questo modo sopperendo ad un quadro normativo che non prevede la necessità della difesa tecnica nella fase amministrativa. Come precedentemente detto, infatti, l’art. 16 del d.lgs 28 gennaio 2008, n. 25, prevede che il cittadino straniero possa farsi assistere, ma a proprie spese, da un avvocato. Esiste quindi la possibilità della difesa tecnica ma non la necessità ed inoltre non è previsto, nella suddetta fase amministrativa, il patrocinio a carico dello Stato.
In maniera singolare, l’unico esempio in Europa di un organismo a composizione plurale non si trova nella fase amministrativa ma in quella giudiziale.
La Corte nazionale del diritto d’asilo (Cour nationale du droit d'asile - Cnda) è l’organo giudiziario incaricato di decidere i ricorsi presentati contro le decisioni amministrative dell’Ofpra. Detto giudice è il successore della Commission des recours des réfugiés, istituita con L. n. 52-893 del 25 luglio 1952. Assunta poi l’attuale denominazione, la Cour nationale du droit d'asile è stata collocata nell’ambito del Conseil d’Etat, a partire dal 1° gennaio 2009.
La particolare evoluzione storica di quell’istituto ha fatto parlare di un’identità fluttuante dell’organismo ed infatti la funzione giurisdizionale dello stesso non è citata nella legge istitutiva predetta. La peculiare caratteristica della struttura risulta evidente nella composizione iniziale della Commission des recours des réfugiés, che prevedeva tre membri, un presidente, consigliere di Stato, un rappresentante dell’Unhcr, un rappresentante del consiglio di amministrazione dell’Ofpra. Anche dopo la trasformazione in Cour nationale du droit d’asile, l’originale composizione dell’organismo è mantenuta, prevedendosi la presenza di un membro dell’Unhcr con voto deliberante, caso unico nell’attuale esperienza giurisdizionale francese[11].
La struttura del Collegio giudicante è ora regolata dall’art. L732-1 del Code de l’entrée e du sejour des étrangers e du droit d’asile[12], che definisce una formazione del Collegio giudicante che include tre giudici: il presidente, nominato tra i membri del Consiglio di Stato, dei Tribunali amministrativi e delle Corti amministrative d’appello, tra i membri della Corte dei Conti o delle Camere regionali dei Conti oppure tra i magistrati ordinari; una personalità qualificata di nazionalità francese, nominata dall’Unhcr; una personalità qualificata di nazionalità francese, nominata dal Vice presidente del Consiglio di Stato, in ragione delle competenze nei campi giuridico e geopolitico.
3. Tecniche di intervista in Commissione
Perlustrato l’aspetto organizzativo e le sue peculiarità, occorre ora esaminare le tecniche di conduzione dell’audizione e di valutazione degli elementi di prova adottate nella fase amministrativa italiana del procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale. Preciso che non rientra nel campo di esame dell’articolo l’analisi dei principi generali in materia di valutazione delle prove, quali la distribuzione dell’onere della prova ed il beneficio del dubbio, essendo diretto lo scritto a palesare quali siano gli strumenti utilizzati nel lavoro concreto delle Commissioni territoriali.
Le tecniche sono diffuse lungo tutto l’assetto amministrativo italiano nel campo in esame, attraverso un’attenta e costante azione di formazione promossa ed organizzata dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo, in attuazione dell’art. 4, c. 3 ter, del d.lgs 28 gennaio 2008, n. 25.
I corsi in questione, frutto di un’elaborazione di Easo (European asylum support office), sono adottati dalla Commissione nazionale e somministrati omogeneamente a tutti i componenti delle Commissioni territoriali, attraverso trainers specificamente formati dal predetto Ufficio europeo[13]. Il nucleo centrale dei corsi in questione comprende: le tecniche di intervista, i requisiti di inclusione e la valutazione degli elementi di prova[14].
Le tecniche di intervista utilizzate nella fase amministrativa, secondo il modello di formazione Easo, derivano dall’applicazione del metodo dialogico di comunicazione (Dcm), messo a punto dai norvegesi Kari Trøften Gamst e Åse Langballe[15].
Il metodo in questione è organizzato in otto fasi, incluse le attività preliminari e conseguenti al colloquio. La struttura del metodo dialogico di comunicazione è concepita in modo da ottimizzare la quantità e la qualità delle informazioni raccolte nel corso del colloquio personale.
La prima fase è relativa alla preparazione al colloquio personale, nel corso della quale si devono raccogliere ed esaminare tutti i documenti ed informazioni disponibili, allo scopo di predefinire gli aspetti da approfondire nel corso dell’audizione. Sempre nella fase in questione, è necessario preparare l’ambiente, avendo cura di strutturare le posizioni di coloro che parteciperanno al colloquio, assicurandosi che tra l’intervistatore ed il richiedente vi sia sempre un diretto contatto visivo. È poi opportuno che il funzionario si prepari mentalmente all’incontro, in modo da affrontare professionalmente il caso affidato, tenendo conto di eventuali interferenze che potrebbero distrarne l’attenzione.
La seconda fase è dedicata all’inizio ed alla costruzione del rapporto. Prima di arrivare alla vera e propria intervista, è infatti essenziale costruire e mantenere un rapporto con il richiedente, per poter raccogliere informazioni numerose ed accurate.
Si passa, poi, alla terza fase, introduttiva, nella quale l’intervistatore deve fornire al richiedente informazioni riguardanti il ruolo dell’interprete, l’obbligo di riservatezza, gli obblighi del richiedente, la struttura del colloquio ed il verbale.
Successivamente, si devono introdurre, nella quarta fase, i singoli argomenti specifici. Si raccomanda, in proposito, di presentare i temi di approfondimento in modo tale che il richiedente possa comprendere bene di cosa si tratta e possa concentrarsi nell’esposizione di ciò che intende raccontare al riguardo.
Nell’affrontare un argomento, e siamo quindi alla quinta fase, occorre consentire che si dipani, il più liberamente possibile, la narrazione libera dell’interessato. Il richiedente deve avere l’opportunità di fornire un resoconto personale, senza interruzioni, dei motivi alla base della domanda di protezione. In questo modo, si possono ottenere numerose informazioni accurate e dettagli che potranno essere verificati nelle fasi successive del colloquio.
Dopo la fine della fase di narrazione libera, l’intervistatore dovrà fermarsi a riflettere sugli argomenti trattati e sulle informazioni fornite dal richiedente, in modo tale da poter comprendere quali siano i temi da sottoporre ad approfondimento. Si passa, allora alla sesta fase, quella della verifica, in cui l’intervistatore dovrà acquisire elementi utili alla valutazione della credibilità delle dichiarazioni del richiedente.
Si arriva, così alla settima fase, della chiusura del colloquio, nella quale l’intervistatore deve verificare di avere esplorato tutti gli argomenti rilevanti, deve completare il verbale, farlo leggere al richiedente per eventuali necessità di emenda.
L’ultima fase, l’ottava, è relativa ad eventuali azioni di follow-up, a favore del richiedente ed eventualmente a supporto, umano e professionale, dello stesso funzionario intervistatore.
4. La valutazione della credibilità in Commissione
4.1. Un metodo strutturato
L’approccio alla valutazione della credibilità delle dichiarazioni del richiedente è inserito, nel contesto della formazione somministrata ai componenti delle Commissioni territoriali, nell’ambito di un metodo strutturato complessivo che raccoglie le diverse fasi della procedura allo scopo di condurle ad unità di significato, con lo scopo di trattare in modo simile casi simili[16]. Il metodo in questione si compone di tre aspetti o passaggi. Il primo è relativo all’individuazione dei fatti essenziali ed all’individuazione degli elementi di prova. Il concetto di fatto essenziale è molto rilevante e si sostanzia nell’elemento fattuale emerso nel corso dell’istruttoria, tale da poter astrattamente integrare uno dei requisiti legali per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria[17]. Nella prima fase del metodo in questione occorre anche raccogliere gli elementi di prova, che devono essere collegati ai relativi fatti essenziali. Il secondo step è relativo all’esame degli elementi di provareperiti, da condurre sulla base delle norme vigenti in materia, sintetizzate negli strumenti concettuali che saranno illustrati successivamente. L’esame in questione avrà come risultato l’enumerazione dei fatti che si ritengono accettabili[18]. Nella terza e conclusiva fase, sulla base dei fatti accettati, si dovrà procedere al risk assessment, alla valutazione del rischio, per verificare la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento di una forma di protezione internazionale o della protezione umanitaria o, in caso negativo, per concludere la procedura con una decisione di rigetto.
Il metodo strutturato, nato da una prassi internazionale ultradecennale, ha avuto una conferma, circa il solido fondamento giuridico, dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza M. M. v Ireland[19]. In quell’ambito, la Corte di Lussemburgo ha precisato che l’esame dei fatti e delle circostanze previste dall’art. 4 della direttiva qualifiche ha luogo in due fasi distinte. La primariguarda l’accertamento delle circostanze di fatto che possono costituire elementi di prova a sostegno della domanda, mentre la secondaconcerne la valutazione giuridica di tali elementi, che consiste nel decidere se, alla luce dei fatti che caratterizzano una fattispecie, siano soddisfatti i requisiti sostanziali previsti per il riconoscimento di una protezione internazionale.
4.2. La credibilità delle dichiarazioni
Tutti gli operatori pratici della protezione internazionale sanno bene che, spesso, l’unico elemento di prova disponibile è costituito dalle dichiarazioni del richiedente. Proprio per questa ragione, una corretta valutazione del caso può discendere solo da una chiara definizione dei parametri di giudizio. Si deve aggiungere, come necessario corollario alla teoria del metodo strutturato, che la valutazione delle dichiarazioni, così come, in genere, quella degli elementi di prova, non deve essere effettuata complessivamente su tutti i fatti essenziali ma su ciascuno di essi, avendo cura di discernere, attraverso l’attività valutativa, quali fatti possano essere accettati e quali no.
Com’è noto, i criteri legali per la valutazione delle dichiarazioni del richiedente sono contenuti all’art. 3, d.lgs 19 novembre 2007, n. 251. Nell’ambito del metodo oggetto della formazione Easo, utilizzata per i componenti delle Commissioni territoriali, essi sono raggruppati nei concetti di livello di dettaglio, coerenza interna e coerenza esterna del racconto.
Con riguardo al primo criterio, si deve valutare se il racconto sia circostanziatoed infatti più dettagli vengono forniti e più chiaro sarà il quadro fattuale su cui fondare la decisione. Il racconto deve poi essere coerente internamente, vale a dire contrassegnato da continuità logica e senza contraddizioni. Inoltre, non ci devono essere discrepanze con eventuali ulteriori dichiarazioni, documenti scritti ed altri elementi di prova prodotti dal richiedente. Sempre nella coerenza interna, collochiamo il criterio della plausibilità che attiene a ciò che dovrebbe essere verosimile secondo il senso comune. Si tratta di un parametro scivoloso, essendo legato a percezioni fortemente influenzate dal contesto culturale di chi opera, da utilizzare con cautela e preferibilmente a supporto di altri risultati dell’attività valutativa e non isolatamente[20].
La credibilità esternaè relativa alla concordanza delle dichiarazionicon ciò che è possibile conoscere della realtà del Paese d’origine, attraverso informazioni pertinenti ed aggiornate (Coi - Country of origin infomation) che provengano da fonti affidabili ed imparziali[21].
Occorre, infine, evidenziare che l’applicazione dei criteri di valutazione della credibilità deve tenere conto delle caratteristiche della persona del richiedente (età, genere, istruzione, condizioni di salute) dell’interprete e dello stesso intervistatore e che, in ogni caso di risultato negativo della valutazione sugli elementi di prova, il decisore deve dare l’opportunità al richiedente di formulare le proprie osservazioni al riguardo.
4.3. La valutazione dei documenti
Si è detto che, in molti casi, l’unico elemento di prova valutabile da parte del decisore è costituito dalle dichiarazioni. È tuttavia possibile che nella procedura vengano prodotti dal richiedente documenti scritti di diversa natura ed anzi, un’osservazione empirica evidenzia che tali fattispecie sono in continuo aumento. La sfida connessa alla valutazione di tali elementi di prova attiene al fatto che, a dispetto della forma documentale con la quale gli stessi si presentano, nella relativa valutazione non si possono seguirele regole dettate dal codice civile (artt. 2700 ss., cc) con riguardo agli atti prodotti sul territorio nazionale né, di norma, è possibile attivare il procedimento per la legalizzazione (art. 33, dPR 28 dicembre 2000, n. 445) e validazione del documento prodotto all’estero, in quanto esso prevede la collaborazione tra le autorità diplomatiche nazionali e quelle dello Stato d’origine del richiedente. Un tale dialogo è da escludere ogni qualvolta ci sia la possibilità di persecuzione del richiedente da parte di agenti statali.
Proprio per tale motivo, i parametri da utilizzare nel processo di valutazione sono analoghi a quelli illustrati per le dichiarazioni orali, con gli adattamenti connessi alla natura degli elementi di prova in discorso.
In primo luogo, deve essere esorcizzata la tentazione di allontanare da sé il lavoro di valutazione documentale attraverso la mera non considerazione degli atti o con l’avalutativa acquisizione degli stessi[22].
Secondo una prassi internazionale consolidata, l’esame in questione deve essere condotto attraverso specifici parametri[23].
In primo luogo, occorre valutare la rilevanza dell’atto e cioè se lo stesso si riferisce a specifici fatti essenziali emersi nel corso dell’istruttoria. Si deve poi considerare l’esistenza del documento e cioè se, sulla base delle informazioni sul Paese d’origine, il documento prodotto possa essere realmente esistente e se sia potuto entrare nella disponibilità del richiedente.
Attraverso le Coi si potrà, inoltre, valutare se le caratteristiche esteriori dell’atto (bolli, sottoscrizioni, formato) siano conformi alla prassi del Paese di provenienza.
Si dovrà provvedere anche all’esame del contenuto allo scopo di escludere contraddizioni interne, incoerenze con le dichiarazioni del richiedente e con le Coi, e verificare se il testo si attaglia con precisione ai fatti essenziali che è diretto a provare.
Infine, andrà considerata anche la forma giuridica in cui il documento è presentato, ovvero se esso appaia come copia o come originale, pur con le cautele indicate in apertura del paragrafo.
4.4. Certificazioni mediche e psicologiche
Il peso che le certificazioni sanitarie vanno assumendo nella procedura per il riconoscimento della protezione internazionale è crescente e noto. La cornice normativa è data dall’art. 8, c. 3-bis, del d.lgs 28 gennaio 2008, n. 25, per il quale la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale «sulla base degli elementi forniti dal richiedente, può altresì disporre, previo consenso del richiedente, visite mediche dirette ad accertare gli esiti di persecuzioni o danni gravi subiti, effettuate secondo le linee guida di cui all’articolo 27, comma 1-bis, del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, e successive modificazioni. Se la Commissione non dispone una visita medica, il richiedente può effettuare la visita medica a proprie spese e sottoporne i risultati alla Commissione medesima ai fini dell’esame della domanda.».
Nella prassi operativa, si constata che i documenti in questione possono rilevare per aspetti differenti. In primo luogo, la consulenza medica può essere diretta a dimostrare la correlazione tra asserita persecuzioneo danno gravee segni di tortura o trattamenti inumani o degradantirinvenibili sulla persona del richiedente.
In secondo luogo, la documentazione medica può asseverare patologie del richiedente da tenere in debito conto in fase di audizione e di valutazione della credibilità ed ancora per il possibile riconoscimento della protezione umanitaria[24].
La fonte primaria della prassi internazionale in materia di valutazione medica di torture e trattamenti inumani o degradanti, è costituita dal Protocollo di Istanbul, approvato dall’Onu nel 2004[25].
Nel documento in questione, al punto 82, si stabilisce quali caratteristiche debba avere l’organo incaricato della consulenza e la relazione conclusiva[26]. Il soggetto designato all’attività di verifica deve essere indipendente e deve essere scelto per la sua imparzialità e competenza.
Il lavoro dovrebbe concludersi con una relazione scritta, da produrre in un tempo ragionevole, e deve includere indicazione dell’ambito dell’attività, delle procedure e metodi seguiti così come delle conclusioni e raccomandazioni.
Il punto 187[27] tratta invece delle conclusioni della relazione medica che dovrebbero essere dirette a specificare il grado di coerenza tra le lesioni accertate e la causa prospettata dal paziente. I termini codificati per l’espressione di tale valutazione vanno da “Non coerente” a “Specifico”, con dettagliata e puntuale declaratoria di ciascuna definizione.
In ogni caso, va sottolineato che il consulente medico non ha la competenza per dare un giudizio sull’esistenza dei requisiti legali per il riconoscimento della protezione internazionale così come il decisore non deve dare valutazioni di carattere medico[28].
È, infine, utile, rammentare che il Ministero della salute, con decreto del 3 aprile 2017, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 95 del 24 aprile 2017, ha approvato le «Linee guida per la programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione nonché per il trattamento dei disturbi psichici dei titolari dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale». L’intero capitolo 4 è dedicato alla produzione di certificazione medico-legale nella procedura di protezione internazionale (sia nella fase amministrativa sia nella fase giudiziale). Il documento richiama frequentemente il Protocollo di Istanbul e stabilisce, tra l’altro, le modalità per l’individuazione dei centri di riferimento per la certificazione[29] e la struttura e contenuto della predetta certificazione[30].
4.5. Lo standard della prova
Come detto in precedenza, questo scritto non prende in considerazione i principi generali in materia di valutazione delle prove ma cerca di evidenziare gli strumenti concreti utilizzati nella fase amministrativa. Tuttavia, si fa eccezione alla regola sopra indicata per parlare brevemente dello standard della prova.
Come è noto, il processo civile italiano, come in generale la tradizione giuridica di civil law, si caratterizza per il principio di libero convincimento del giudice. L’art. 116 cpc, infatti, prescrive che «Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti»[31].
Il concetto di standard della prova, attraverso i diffusi percorsi formativi erogati dalla Commissione nazionale per il Diritto d’asilo sulla base della metodologia di Easo, è invece passata nella fase amministrativa quale utile strumento di giudizio.
La definizione del parametro in questione si fonda su di una consolidata esperienza giurisprudenziale anglosassone, iniziata con una cruciale sentenza della Corte suprema degli Stati uniti d’America (U.S. Supreme court, INS v. Cardoza-Fonseca, 480 U.S. 421 (1987)[32]. La Corte Suprema, in quella sentenza, ha individuato nel “timore” l’elemento essenziale del rifugio previsto dalla Convezione di Ginevra del 1951. Sulla base di ciò, ha stabilito che la soglia di prova in materia deve attestarsi sulla ragionevole possibilità della persecuzione, proprio per il fatto che si tratta di stati d’animo il cui principale mezzo probatorio è costituito dalle dichiarazioni dell’interessato.
La giurisprudenza inglese si è avvicinata a tale approccio con la decisione della House of Lords nella causa R v Secretary of State for the home department[33]. In quel caso, si è precisato che, per avere un timore fondato di persecuzione, occorre che sia dimostrata una ragionevole probabilitàche il richiedente sia perseguitato[34].
Anche l’Unhcr si è occupato del parametro probatorio[35], affermando che: «In generale, il timore espresso deve essere considerato fondato se il richiedente può provare in modo ragionevole, che la vita nel suo Paese di origine gli era divenuta intollerabile per le ragioni indicate nella definizione, o che lo sarebbe per le stesse ragioni se egli vi tornasse.» La differenza tra ragionevole possibilità, ragionevole probabilità e modo ragionevole non ha rilievo sostanziale ed identifica una soglia probatoria inferiore rispetto alla certezza, al criterio di «al di là di ogni ragionevole dubbio» ed a quello di «più probabile che no»[36].
Conclusioni
Il panorama complessivo dei metodi attraverso i quali si tenta di acquisire diverse prospettive sulle dichiarazioni e sugli elementi di prova forniti dal richiedente nella fase amministrativa va completata con un accenno alla possibilità di fruire di consulenze. L’art. 8, c. 3 bis, prevede che : «Ove necessario ai fini dell’esame della domanda, la Commissione territoriale può consultare esperti su aspetti particolari come quelli di ordine sanitario, culturale, religioso, di genere o inerenti ai minori».
Sulla base della suddetta previsione normativa si stanno sviluppando diversi strumenti di approfondimento, condotti da esperti indipendenti, che consentono di portare una visione diversa sul caso esaminato.
Il primo caso è quello del cd. referral anti tratta, ora regolato dalle Linee guida predisposte dalla Commissione nazionale per il diritto d’asilo[37]. Lo scopo delle Linee Guida è quello, da un lato, di individuare un meccanismo per realizzare il coordinamento e la collaborazione tra le Commissioni territoriali e gli Enti del pubblico e del privato sociale che realizzano programmi di emersione, assistenza e integrazione sociale in favore delle vittime di grave sfruttamento e tratta di persone, al fine di favorire l’adeguata tutela e protezione di cui necessitano, dall’altro, di consentire alla Commissione territoriale di poter fruire di elementi ulteriori, provenienti da enti professionalmente attrezzati, allo scopo di decidere con maggiore consapevolezza le domande di protezione internazionale fondate su fenomeni di tratta.
Il secondo caso è relativo agli approfondimenti medico-legali concernenti, in particolare, la coerenza tra le patologie del richiedenti ed i fatti di tortura ed i maltrattamenti od i trattamenti inumani e degradanti che ne costituirebbero il nesso causale. Un esempio è dato dal «Protocollo per la definizione delle procedure relative ad approfondimenti medico-legali su persone richiedenti la protezione internazionale»[38], sottoscritto dalla Prefettura, dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale e dell’Azienda sanitaria provinciale di Crotone. Il servizio viene erogato da personale medico specializzato e formato sulla specifica esigenza, che opera secondo i dettami del Protocollo di Istanbul[39].
Si deve segnalare, alla fine delle trattazione dell’argomento, che il sistema di organizzazione delle Commissioni territoriali conoscerà, nei prossimi mesi, un profondo cambiamento, il più significativo dalla loro istituzione.
Il d.lgs 22 dicembre 2017, n. 220, ha infatti emendato l’art. 4 del d.lgs 28 gennaio 2008, n. 25, prevedendo una diversa composizione degli organi suddetti, con la partecipazione di un funzionario della carriera prefettizia, nelle funzioni di presidente, un esperto in materia di protezione internazionale e di tutela dei diritti umani, designato dall’Unhcr, e due funzionari amministrativi con compiti istruttori.
Il concorso per la nuova figura di funzionario istruttore è stato espletato e la relativa graduatoria di merito è stata di recente approvata[40].
Con il nuovo assetto, il sistema organizzativo amministrativo italiano per il riconoscimento della protezione internazionale va evolvendosi chiaramente verso una maggiore professionalizzazione, sulla direttrice tracciata dagli omologhi uffici di altri Paesi europei, non perdendo, peraltro, su questa strada, il tratto caratteristico della pluralità di vedute, in seno al collegio giudicante, che viene mantenuta attraverso la figura dell’esperto designato dall’Unhcr.
Nell’auspicio del Legislatore, ciò dovrebbe garantire un accrescimento dell’efficienza della fase amministrativa, mantenendo e valorizzando le caratteristiche del sistema italiano in chiave di miglioramento qualitativo del processo decisionale.
Ma questa è un capitolo nuovo della storia dell’asilo in Italia, le cui proposizioni sono tutte da scrivere.
[1] Art. 16, d.lgs 28 gennaio 2008, n. 25.
[2] V. Bamf, Chronical, in www.bamf.de.
[3] V. Bamf, Structure, in www.bamf.de.
[4] Bfa, Asylum procedure, p. 4, in www.bfa.gv.at.
[5] Ofpra, Présentation générale, in www.ofpra.gouv.fr/fr/l-ofpra/presentation-generale.
[6] Ofpra, Organisation, in www.ofpra.gouv.fr/fr/l-ofpra/organisation/les-divisions-geographiques.
[7] Ofpra, Decision, in www.ofpra.gouv.fr/fr/asile/l-instruction-des-demandes-de/la-decision.
[8] Aida, Country Report: Belgium, pp. 18 e 19, in www.asylumineurope.org/sites/default/files/report-download/aida_be_2017update.pdf.
[9] Indipendent chief inspector of borders and immigration, An inspection of asylum intake and casework, London, 2017, p. 10.
[10] Il quadro normativo precedente era costituito, nel campo dello status di rifugiato, dal dl 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla l. 28 febbraio 1990, n. 39 e dal dPR 15 maggio 1990, n. 136.
[11] Cnda, Histoire de la Cour nationale du droit d'asile, in www.cnda.fr/La-CNDA/Histoire-de-la-Cour-nationale-du-droit-d-asile.
[12] Se ne consulti il testo in www.legifrance.gouv.fr.
[13] Sull’articolazione del percorso formativo di Easo, si veda Easo, learnig path, in www.easo.europa.eu/sites/default/files/public/EASO-Learning-path.pdf.
[14] Si veda l’audizione del Prefetto Sarti, Presidente della Commissione nazionale per il diritto d’asilo, resa innanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate, nella seduta del 19 ottobre 2017, in http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/stenografici/html/69/audiz2/audizione/2017/10/19/indice_stenografico.0095.html.
[15] Easo, Manuale relativo al modulo Tecniche di colloquio, Lussemburgo, dicembre 2014.
[16] Easo, Practical Guide: Evidence Assessment, Introduction, Lussemburgo, 2015.
[17] Ibidem, p. 2 e Uk Home Office, Asylum policy instruction assessing credibility and refugee status, Gennaio 2015, p. 11.
[18] Easo, Practical Guide: Evidence Assessment, p. 18.
[19] Cgue, I, C‑277/11, 22 novembre 2012.
[20] Easo, Practical guide: Evidence Assessment, pp.10-12.
[21] La giurisprudenza di Cassazione sul Coi è copiosa. La Suprema Corte si è espressa sulle fonti delle informazioni (Cass., sez. VI, 10 gennaio 2013, n. 2013), sulla necessità del confronto tra le informazioni assunte e le dichiarazioni del richiedente (Cass., sez. VI, 28 maggio 2013, n. 13172) e sull’obbligo di inserire, nella parte motiva dei provvedimenti, le fonti di informazione utilizzate e la loro datazione (Cass., sez. VI, 19 febbraio 2015, n. 3347). Un’ampia ricognizione della giurisprudenza di Cassazione sulle Cpi è trattata in Acierno – Flamini, Il dovere di cooperazione del giudice, nell’acquisizione e nella valutazione della prova, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 1/2017, p. 18).
[22] Sul punto la Corte di cassazione ha stabilito che «in presenza di eccezioni di contestazione della conformità dei documenti agli originali …», il giudice non può limitarsi ad ignorare la questione o ad esprimere valutazioni disancorate da un impegno attivodi ricerca di riscontri ma «ha il dovere di compiere un'attività istruttoria ufficiosa - se del caso utilizzando canali diplomatici e rogatoriali, amministrativi (come l'acquisizione della domanda di asilo, se mancante) od altro -, senza potersene lamentare una presunta insufficienza, essendo necessario temperare l'asimmetria derivante dalla posizione delle parti» (Cass. sez. VI, 13 dicembre 2016, n. 25534).
[23] Easo, Practical Guide: Evidence Assessment, p. 13.
[24] Sulla cornice di riferimento per l’uso dei documenti sanitari nella procedura per il riconoscimento della protezione internazionale, si veda Ministero della Salute, Linee guida per l’assistenza, la riabilitazione e il trattamento dei disturbi psichici dei rifugiati e delle vittime di tortura, pp. 50-51.
[25] Office of the United nations high Commissioner for human rights, Istanbul Protocol, Manual on the Effective investigation and documentation of torture and other cruel, Ginevra, 2004.
[26] Ibidem, p. 18.
[27] Ibidem, pp. 83-84.
[28] Easo, Practical guide: Evidence Assessment, p. 13.
[29] Ministero della salute, Linee guida per l’assistenza, la riabilitazione e il trattamento dei disturbi psichici dei rifugiati e delle vittime di tortura, p. 52.
[30] Ministero della Salute, Linee guida per l’assistenza, la riabilitazione e il trattamento dei disturbi psichici dei rifugiati e delle vittime di tortura, p. 54.
[31] La Corte di cassazione si è soffermata sul livello della prova nella materia della protezione internazionale decidendo che il richiedente può anche provare in via indiziaria la credibilità dei fatti da esso segnalati purché gli elementi allegati abbiano carattere di precisione,gravità e concordanza desumibili dai dati anche documentali offerti (Cass., sez. VI, 11 luglio 2016, n. 14157).
[32] Un bel commento della sentenza si trova in Asuncion, Ins v. Cardoza-Fonseca: establishment of a more liberal asylum standard, in The American University Law Review, Spring, 1988.
[33] House of Lords, R v. Secretary of State for the home department,16 dicembre 1987.
[34] Una più analitica ricostruzione dello sviluppo di tali concetti nella giurisprudenza anglosassone, si veda The travaux preparatoires, with a comment by Dr Weis ed anche Uk Home Office, Asylum policy instruction assessing credibility and refugee status, pp. 6-7.
[35] Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifiugiati, Manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status di rifugiato, § 42.
[36] Uk Home Office, Asylum Policy Instruction Assessing credibility and refugee status, pp. 11-12.
[37] Commissione nazionale per il diritto d’asilo, Unhcr: L’identificazione delle vittime di tratta tra i richiedenti protezione internazionale e procedure di referral Linee Guida per le Commissioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, agosto 2017, Roma.
[38] Una segnalazione sulla sottoscrizione dell’atto si trova in www.prefettura.it/crotone/news/6126571.htm.
[39] Vedi sub § 4.4.
[40] Si veda il comunicato stampa del Ministero dell’interno in www.interno.gov.it/it/sala-stampa/comunicati-stampa/approvata-graduatoria-i-250-posti-funzionario-amministrativo-ministero-dellinterno.