Il contraddittorio e la fuga dell’imputato dal processo
La regolare instaurazione del contraddittorio – funzionale all’esercizio del diritto di difesa – è un diritto fondamentale che ha rilievo costituzionale e riceve protezione anche da norme di carattere sovranazionale. Di qui il rilievo delle garanzie che devono presidiare la celebrazione del processo in assenza, già riformato nel 2014 e oggi nuovamente interessato – con un rafforzamento di garanzie – dalla cd. "riforma Cartabia".
Il contributo – nel ripercorrere la novella e nell’esaminarne la coerenza con i principi costituzionali, convenzionali ed eurounitari – affronta in conclusione il tema del possibile “abuso del sistema di garanzie” e del pregiudizio che detto abuso può determinare per il diritto delle vittime di reato ad ottenere una risposta di giustizia dal sistema giudiziario.
1. Il contraddittorio e la sua declinazione / 2. Il processo contro l’imputato assente / 3. La riforma Cartabia / 4. Le fonti sovranazionali: la direttiva UE 2016/343 / 5. La coerenza della riforma Cartabia con la direttiva UE 2016/343 / 6. L’abuso del diritto nell’interpretazione della Corte di giustizia dell’Unione europea / 7. Il diritto delle vittime ad avere un processo e l’abuso del contraddittorio
1. Il contraddittorio e la sua declinazione
La regolare instaurazione del contraddittorio è sempre stata uno dei punti di crisi del processo penale. Va da sé che, senza contraddittorio, non esiste processo penale, né sarebbe possibile operare un bilanciamento fra il diritto dell’imputato di venire a conoscenza del processo per esercitare la propria difesa, con altri principi inerenti alla tutela di beni pubblici di rilievo costituzionale, collegati all’obbligatorietà e all’efficienza del processo penale. Non a caso, l’art. 24 della Costituzione dichiara che: «La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento», laddove l’aggettivo «inviolabile» crea un canale diretto con la formula dell’art. 2, sui diritti «inviolabili» dell’uomo. È fuor di dubbio che, nel catalogo di diritti «inviolabili» ascrivibile all’art, 2 Cost., rientra il diritto alla difesa. Per giurisprudenza costituzionale, il principio di cui all’art. 24 Cost. costituisce uno dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale italiano, essendo «intimamente connesso con lo stesso principio di democrazia l’assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio» (Corte cost., n. 18/1982). Che si tratti di un principio supremo dell’ordinamento non bilanciabile neanche con gli obblighi nascenti da fonti internazionali, introdotti nell’ordinamento attraverso il canale di cui all’art. 10 Cost., lo ha ribadito la fondamentale sentenza della Corte costituzionale n. 238/2014, in materia di diniego dell’obbligo di esecuzione di una sentenza della Corte internazionale di giustizia in relazione al principio supremo di cui all’art. 24 Cost.
La concreta possibilità dell’imputato di difendersi dalle accuse sollevate contro di lui in un processo penale è l’architrave su cui si fonda il diritto inviolabile alla difesa. Le fonti internazionali hanno specificamente articolato i contenuti del contraddittorio. In particolare, la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, in tema di giusto processo (art. 6) precisa:
«3. Ogni accusato ha più specialmente diritto a:
a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile, e in un modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico;
b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare la sua difesa;
c) difendersi da sé o avere l’assistenza di un difensore di propria scelta e, se non ha i mezzi per ricompensare un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio quando lo esigano gli interessi della giustizia;
d) interrogare o far interrogare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’interrogazione dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;
e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nell’udienza».
Com’è noto, le formule della Cedu sul giusto processo sono state riprese quasi testualmente dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, che ha novellato il testo dell’art. 111 Costituzione.
Una volta preso atto dei contenuti specifici e del valore insuperabile del contraddittorio, occorre confrontarsi con gli strumenti e i rimedi processuali predisposti dall’ordinamento per garantire il diritto alla difesa anche nei casi di silenzio o di fuga dell’imputato dal processo. D’altro canto, non si possono ignorare i rischi che possono derivare dall’abuso del diritto.
La possibilità di celebrare un processo in absentia si regge sulla necessità che l’imputato abbia contezza del processo e delle contestazioni sollevate a suo carico.
2. Il processo contro l’imputato assente
Con la legge 28 aprile 2014, n. 67, l’istituto della contumacia è stato sostituito dall’istituto dell’assenza dell’imputato. Il nuovo testo dell’art. 420-bis prevedeva una serie di indici sintomatici, riferiti a fatti e atti avvenuti nella fase pre-processuale, per valutare la regolare instaurazione del contraddittorio nei confronti dell’imputato non presente.
In particolare, il comma secondo prevedeva:
«2. Salvo quanto previsto dall’articolo 420-ter, il giudice procede altresì in assenza dell’imputato che nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia, nonché nel caso in cui l’imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell’avviso dell’udienza ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo».
I tali casi, accertata la regolare instaurazione del contraddittorio, l’imputato assente si considerava rappresentato, a tutti gli effetti, dal difensore. Le sezioni unite della Cassazione, con la sentenza n. 23948/2020 (deliberata in data 28 novembre 2019), hanno escluso che l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio da parte dell’indagato fosse sufficiente ai fini della dichiarazione d’assenza, escludendo che la norma avesse introdotto delle vere e proprie “presunzioni” di conoscenza. Al riguardo, hanno affermato il seguente principio di diritto:
«Ai fini della dichiarazione di assenza non può considerarsi presupposto idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio da parte dell’indagato, dovendo il giudice, in ogni caso, verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata l’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo abbia avuto conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla stessa».
3. La riforma Cartabia
La cd. “riforma Cartabia”, di cui al d.lgs n. 150/2022, come noto, ha ridisegnato interamente la disciplina dell’assenza risultante dalla legge 28 aprile 2014, n. 67. L’obiettivo della riforma è quello di ridefinire i casi in cui l’imputato si deve ritenere presente o assente nel processo, prevedendo che il processo possa svolgersi in assenza dell’imputato solo quando esistono elementi idonei a dare certezza del fatto che egli è a conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza è dovuta a una sua scelta volontaria e consapevole. La rimodulazione, resasi necessaria anche per adeguare la normativa interna alle fonti sovranazionali (in particolare alla direttiva UE 2016/343 e alla giurisprudenza della Corte Edu), ha investito sia il profilo dei presupposti legittimanti la celebrazione del processo in assenza, sia quello dei rimedi. Quanto al primo aspetto, si osserva che, in attuazione della delega contenuta all’art. 1, comma 7, lett. a della legge 27 settembre 2021, n. 134, che chiamava il legislatore a «ridefinire i casi in cui l’imputato si deve ritenere presente o assente nel processo, prevedendo che il processo possa svolgersi in assenza dell’imputato quando esistono elementi idonei a dare certezza del fatto che egli è a conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza è dovuta a una sua scelta volontaria e consapevole», sono state eliminate le presunzioni di conoscenza prima elencate al comma 2 dell’art. 420-bis, attribuendo al giudice la centralità nella verifica in concreto circa la reale conoscenza del processo da parte dell’imputato.
Il nuovo testo dell’art. 420-bis introdotto dalla riforma Cartabia consente, in effetti, la prosecuzione del processo “in assenza” dell’imputato, nei seguenti casi:
a) quando l’imputato è stato citato a comparire a mezzo di notificazione dell’atto in mani proprie o di persona da lui espressamente delegata al ritiro dell’atto;
b) quando l’imputato ha espressamente rinunciato a comparire o, sussistendo un impedimento ai sensi dell’art. 420-ter, ha rinunciato espressamente a farlo valere;
c) quando il giudice ritiene altrimenti provato che l’imputato ha effettiva conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza all’udienza è dovuta a una scelta volontaria e consapevole;
d) quando l’imputato è stato dichiarato latitante o si è in altro modo volontariamente sottratto alla conoscenza della pendenza del processo.
Il legislatore ha affidato al giudice un ampio margine di discrezionalità per verificare, in concreto, se sussistano i presupposti per la celebrazione del “processo in assenza”: in particolare, il giudice «tiene conto, a tal fine, delle modalità della notificazione, degli atti compiuti dall’imputato prima dell’udienza, della eventuale nomina di un difensore di fiducia o comunque di ogni altra circostanza rilevante» (c.vo aggiunto). Qualora sussistano le condizioni sopraindicate, l’imputato – come noto – viene dichiarato assente e rappresentato dal difensore.
4. Le fonti sovranazionali: la direttiva UE 2016/343
La nuova disciplina del processo in absentia deve essere letta alla luce della direttiva UE 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali. L’articolo 1 di tale direttiva, intitolato «Oggetto», così dispone:
«La presente direttiva stabilisce norme minime comuni concernenti:
a) alcuni aspetti della presunzione di innocenza nei procedimenti penali;
b) il diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali».
In particolare, vanno richiamati testualmente i principali considerando e gli artt. 8 e 9.
I considerando 9, 10, 33, da 35 a 39, 42, 43 e 47 della direttiva 2016/343 sono così formulati:
«(9) La presente direttiva intende rafforzare il diritto a un equo processo nei procedimenti penali, stabilendo norme minime comuni relative ad alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo.
(10) Stabilendo norme minime comuni sulla protezione dei diritti procedurali di indagati e imputati, la presente direttiva mira a rafforzare la fiducia degli Stati membri nei reciproci sistemi di giustizia penale (...).
(33) Il diritto a un equo processo è uno dei principi fondamentali di una società democratica. Il diritto degli indagati e imputati di presenziare al processo si basa su tale diritto e dovrebbe essere garantito in tutta l’Unione [europea].
(35) Il diritto degli indagati e imputati di presenziare al processo non è assoluto: a determinate condizioni, gli indagati e imputati dovrebbero avere la possibilità di rinunciarvi, esplicitamente o tacitamente, purché in modo inequivocabile.
(36) In determinate circostanze, dovrebbe essere possibile pronunciare una decisione sulla colpevolezza o innocenza dell’indagato o imputato anche se l’interessato non è presente al processo. Ciò potrebbe verificarsi qualora l’indagato o imputato sia stato informato in tempo utile del processo e delle conseguenze di una mancata comparizione e ciò nonostante non compaia in giudizio. Il fatto che l’indagato o imputato sia informato del processo dovrebbe essere inteso nel senso che l’interessato è citato personalmente o è informato ufficialmente con altri mezzi della data e del luogo fissati per il processo, in modo tale da consentirgli di venire a conoscenza del processo. Il fatto che l’indagato o imputato sia informato delle conseguenze di una mancata comparizione dovrebbe essere inteso, in particolare, nel senso che l’interessato è informato del fatto che potrebbe essere pronunciata la decisione nel caso in cui non compaia in giudizio.
(37) Dovrebbe inoltre essere possibile celebrare un processo che possa concludersi con una decisione di colpevolezza o innocenza in assenza dell’indagato o imputato, qualora quest’ultimo sia stato informato del processo e abbia conferito mandato a un difensore, nominato da lui o dallo Stato, per rappresentarlo in giudizio e che abbia rappresentato l’indagato o imputato.
(38) Nell’esaminare se il modo in cui sono state fornite le informazioni sia sufficiente per assicurare che l’interessato sia a conoscenza del processo, si dovrebbe, se del caso, prestare particolare attenzione anche alla diligenza delle autorità pubbliche nell’informare l’interessato e alla diligenza di cui ha dato prova l’interessato al fine di ricevere le informazioni a lui destinate.
(39) Qualora gli Stati membri prevedano la possibilità che i processi siano svolti in assenza dell’indagato o imputato, ma le condizioni per prendere una decisione in assenza di un determinato indagato o imputato non siano soddisfatte, poiché la persona in questione non può essere rintracciata nonostante i ragionevoli sforzi profusi, ad esempio in caso di fuga o di latitanza, dovrebbe essere comunque possibile adottare la decisione in assenza dell’indagato o imputato ed eseguirla. In tal caso, gli Stati membri dovrebbero garantire che l’indagato o imputato, una volta informato della decisione, soprattutto in caso di arresto, sia informato anche della possibilità di impugnare la decisione e del diritto a un nuovo processo, o a un altro mezzo di ricorso giurisdizionale. (...)
(42) Gli Stati membri dovrebbero garantire che, nell’attuazione della presente direttiva, soprattutto per quanto riguarda il diritto di presenziare al processo e il diritto a un nuovo processo, si tenga conto delle esigenze specifiche delle persone vulnerabili. Conformemente alla raccomandazione della Commissione del 27 novembre 2013 sulle garanzie procedurali per le persone vulnerabili indagate o imputate in procedimenti penali [GU 2013, C 378, p. 8], per indagati o imputati vulnerabili si dovrebbero intendere tutti gli indagati o imputati che non sono in grado di capire o partecipare efficacemente al procedimento penale per ragioni di età, condizioni mentali o fisiche o eventuali disabilità.
(43) I minori sono vulnerabili e dovrebbero beneficiare di un livello di protezione specifico. Pertanto, in ordine ad alcuni diritti previsti dalla presente direttiva, dovrebbero essere stabilite garanzie procedurali specifiche.
(47) La presente direttiva difende i diritti fondamentali e i principi riconosciuti dalla Carta e dalla Cedu [Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950], compresi la proibizione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti, il diritto alla libertà e alla sicurezza, il rispetto della vita privata e familiare, il diritto all’integrità della persona, i diritti del minore, l’inserimento delle persone con disabilità, il diritto a un ricorso effettivo e il diritto a un equo processo, la presunzione di innocenza e i diritti della difesa. Si dovrebbe tenere conto in particolare dell’articolo 6 del Trattato sull’Unione Europea [Tue], che afferma [che] l’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta, e che i diritti fondamentali, garantiti dalla Cedu e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali».
L’articolo 8 di detta direttiva, intitolato «Diritto di presenziare al processo», prevede quanto segue:
«1. Gli Stati membri garantiscono che gli indagati e imputati abbiano il diritto di presenziare al proprio processo.
2. Gli Stati membri possono prevedere che un processo che può concludersi con una decisione di colpevolezza o innocenza dell’indagato o imputato possa svolgersi in assenza di quest’ultimo, a condizione che:
a) l’indagato o imputato sia stato informato in un tempo adeguato del processo e delle conseguenze della mancata comparizione; oppure
b) l’indagato o imputato, informato del processo, sia rappresentato da un difensore incaricato, nominato dall’indagato o imputato oppure dallo Stato.
3. Una decisione adottata a norma del paragrafo 2 può essere eseguita nei confronti dell’indagato o imputato.
4. Qualora gli Stati membri prevedano la possibilità di svolgimento di processi in assenza dell’indagato o imputato, ma non sia possibile soddisfare le condizioni di cui al paragrafo 2 del presente articolo perché l’indagato o imputato non può essere rintracciato nonostante i ragionevoli sforzi profusi, gli Stati membri possono consentire comunque l’adozione di una decisione e l’esecuzione della stessa. In tal caso, gli Stati membri garantiscono che gli indagati o imputati, una volta informati della decisione, in particolare quando siano arrestati, siano informati anche della possibilità di impugnare la decisione e del diritto a un nuovo processo o a un altro mezzo di ricorso giurisdizionale, in conformità dell’articolo 9.
6 L’articolo 9 della direttiva, intitolato «Diritto a un nuovo processo», è così formulato:
«Gli Stati membri assicurano che, laddove gli indagati o imputati non siano stati presenti al processo e non siano state soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 8, paragrafo 2, questi abbiano il diritto a un nuovo processo o a un altro mezzo di ricorso giurisdizionale, che consenta di riesaminare il merito della causa, incluso l’esame di nuove prove, e possa condurre alla riforma della decisione originaria. In tale contesto, gli Stati membri assicurano che tali indagati o imputati abbiano il diritto di presenziare, di partecipare in modo efficace, in conformità delle procedure previste dal diritto nazionale e di esercitare i diritti della difesa».
5. La coerenza della riforma Cartabia con la direttiva UE 2016/343
Considerando questa disciplina nel suo complesso, deve escludersi che la direttiva abbia operato un bilanciamento fra il diritto al contraddittorio dell’imputato e l’esigenza di efficienza del processo penale, in considerazione del valore dei beni pubblici alla cui tutela il sistema penale è sotteso. Nell’esigenza di armonizzare la disciplina degli Stati membri, la direttiva conferma il carattere del contraddittorio come diritto inviolabile, poiché, nelle ipotesi in cui in concreto si verifichi una lesione del diritto dell’imputato di essere informato e di partecipare al processo, è previsto che tale lesione debba comunque essere sanata ex post, prevedendo il diritto a un nuovo processo o a un rimedio giurisdizionale che consenta il riesame nel merito della causa. Ciò non toglie che il diritto, non scalfibile, al contraddittorio debba essere contemperato con l’esigenza di efficienza del processo penale. L’esigenza è di impedire che un uso strumentale del diritto al contraddittorio, come la fuga dell’imputato dal processo, possa essere utilizzato per paralizzare il processo penale e pregiudicare i diritti delle parti private interessate all’accertamento dei fatti-reato. Infatti, il processo in absentia è comunque consentito (salvo i rimedi per l’imputato inconsapevole) ove l’indagato o imputato non possa essere rintracciato «nonostante i ragionevoli sforzi profusi» dagli Stati membri.
A questi criteri si è ispirata la riforma Cartabia, come osserva la Relazione dell’Ufficio del massimario della Corte suprema di cassazione. La disciplina dell’assenza dell’imputato, collocata dall’art. 23 d.lgs n. 150/2022 nell’art. 420-bis cpp, che viene pressoché integralmente riformulato, ruota intorno a due elementi fondamentali: lo smantellamento di ogni forma di presunzione e del sistema di conoscenza legale, sostituito da quello di effettività; la centralità del giudice nella verifica in concreto della reale conoscenza del processo da parte dell’imputato. Nel nuovo sistema delineato dal d.lgs n. 150/2022, la valutazione in ordine alla possibilità di procedere in assenza è ancora affidata al giudice dell’udienza preliminare, nel caso di procedimenti per i quali essa è prevista, e anzi quell’udienza costituisce la sede propria e unica in cui tale accertamento deve essere effettuato, atteso che (come rilevato dalla Relazione illustrativa) è in tale momento che si incardina il rapporto processuale e deve essere valutata la piena consapevolezza dell’imputato in ordine alla celebrazione del processo, sicché non è necessario che tale valutazione sia poi rinnovata nelle fasi successive del giudizio, le quali costituiscono, nell’ottica della riforma, una mera prosecuzione del processo[1]. In attuazione del criterio di cui alla lett. c dell’art. 7 della legge delega, il d.lgs n. 150/2022 ha introdotto due ulteriori ipotesi di assenza, all’espresso fine – secondo quanto si legge nella Relazione illustrativa – di adeguarsi alle previsioni della direttiva UE 343/2016. Stabilisce il novellato comma 2 dell’art. 420-bis che si procede in assenza anche quando il giudice ritiene «altrimenti provato» che l’imputato abbia conoscenza effettiva della pendenza del processo e che, pertanto, la sua assenza in udienza è dovuta a una scelta consapevole. La disposizione si riferisce a situazioni in cui, pur non essendovi stata una notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza a mani dell’imputato, tuttavia ricorrono una molteplicità di elementi che inducono comunque il giudice a ritenere che egli abbia avuto cognizione del processo. Viene attribuito al giudice il compito di operare in concreto, e caso per caso, tale valutazione. A tal fine, l’art. 420-bis, comma 2, indica alcuni elementi che sono indici meramente sintomatici e puramente esemplificativi della conoscenza del processo e che il giudice può valutare ai fini dell’accertamento che è chiamato ad operare. Il giudice potrà altresì considerare ogni altro elemento che egli ritenga rilevante, dal momento che – come sottolineato anche nella Relazione illustrativa ed evidenziato dal tenore letterale della disposizione – l’elencazione contenuta nel comma 2 è meramente esemplificativa, potendo il giudice trarre elementi di valutazione anche da altre circostanze. La regola della necessaria conoscenza dello svolgimento del processo incontra due deroghe indicate nel comma 3 dell’art. 420-bis. Questo consente che, anche in mancanza delle condizioni indicate nei commi precedenti, si proceda in assenza nei confronti dell’imputato latitante o che si sia volontariamente sottratto alla conoscenza della pendenza del processo. In tali ipotesi, non vi è la certezza che egli sia consapevole dell’esistenza di un processo, e tuttavia il legislatore dispone che questo faccia comunque il suo corso. Tale deroga, che costituisce attuazione del criterio dettato dall’art. 1, comma 7, lett. f della legge delega, è conforme alla direttiva UE 2016/343, che all’art. 8, par. 3, consente agli Stati membri di svolgere il processo in assenza quando l’imputato non può essere rintracciato, «nonostante gli sforzi profusi». Ulteriore ipotesi di deroga è prevista nel caso di volontaria sottrazione alla conoscenza del processo, la quale ricorre quando l’imputato, avendo avuto una qualche informazione in ordine al fatto che si svolgerà un processo nei suoi confronti, fa in modo di non ricevere alcuna comunicazione ufficiale da parte degli organi a ciò preposti. In tal caso, la deroga si giustifica in ragione della volontà dell’imputato non solo di sottrarsi al processo, ma prima ancora di ostacolarne lo svolgimento impedendo di esserne formalmente informato. Anche in tal caso, spetta al giudice accertare se ricorrano i presupposti di tale ipotesi derogatoria e, in caso affermativo, darne conto con specifica motivazione[2].
L’art. 420-bis, peraltro, predispone altresì dei rimedi “interni” all’udienza preliminare per le ipotesi in cui si sia proceduto in assenza pur in mancanza dei presupposti. Due sono le ipotesi che vengono in considerazione e differenti sono i rimedi per esse apprestati. Innanzitutto, è possibile che l’assenza sia stata correttamente dichiarata dal giudice e tuttavia l’imputato, prima della decisione, sia comparso in udienza. Ciò comporta che il giudice debba revocare, anche d’ufficio, l’ordinanza che ha dichiarato l’assenza e debba altresì rimettere l’imputato in termini per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto.
A tal fine, tuttavia, devono ricorrere le condizioni specificamente indicate dal comma 6 dell’art. 420-bis, che è onere dell’imputato provare. Queste consistono:
a) nell’esistenza di caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento che gli abbiano impedito in modo assoluto di comparire in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto e nel fatto di essere stato nella assoluta impossibilità di trasmettere tempestivamente la prova dell’impedimento, senza che sia ravvisabile una sua colpa;
b) nelle ipotesi in cui il giudice abbia ritenuto “altrimenti provata” l’effettiva conoscenza del processo, ovvero nel caso di latitanza o di volontaria sottrazione, l’imputato deve fornire la prova di non aver avuto conoscenza del processo e di non essere stato in grado, senza sua colpa, di intervenire in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto;
c) quando risulti comunque che non ricorrevano i presupposti per dichiarare l’assenza.
L’art. 420-bis contempla altresì un rimedio generale per l’ipotesi in cui il giudice si avveda che l’assenza sia stata erroneamente dichiarata. In tal caso, egli revoca anche d’ufficio l’ordinanza che ha dichiarato l’assenza e provvede a norma del comma 5, rinviando l’udienza e disponendo che l’avviso di fissazione dell’udienza, la richiesta di rinvio a giudizio e il verbale dell’udienza siano notificati all’imputato a mezzo polizia giudiziaria.
Quindi, tutti i parametri imposti dalla direttiva n. 343/2016 citata appaiono rispettati nell’attuale normativa italiana, se interpretata in maniera conforme alla direttiva stessa.
6. L’abuso del diritto nell’interpretazione della Corte di giustizia dell’Unione europea
La Corte di Lussemburgo, in una recente decisione del 19 maggio 2022 (nella causa C-569/20), ha affrontato il tema dell’interpretazione della direttiva UE 2016/343 nel caso di fuga dell’imputato dal processo.
La fattispecie alla base della decisione concerneva, in particolare, un imputato accusato in Bulgaria di partecipazione a un’organizzazione criminale rivolta alla commissione di reati tributari punibili con la detenzione. L’interessato non era stato in alcun modo rintracciato. A nulla erano valse le ricerche condotte tra i componenti della sua famiglia, i precedenti datori di lavoro e gli operatori della telefonia mobile. Il giudice deduceva, quindi, che l’accusato si era dato alla fuga. Sennonché, incerto sulla portata della direttiva UE 2016/343, il Tribunale della Bulgaria decideva di sospendere il procedimento e di attivare lo strumento di cui all’art. 267 Tfue, al fine di interpellare la Corte di giustizia in proposito.
I giudici di Lussemburgo hanno riconosciuto l’effetto diretto degli artt. 8, parr. 4 e 9 dello strumento in questione, in quanto – hanno argomentato – tali previsioni: «enunciano in modo incondizionato e sufficientemente preciso l’ambito di applicazione e la portata del diritto a un nuovo processo».
La conclusione cui è giunta la Corte di giustizia legittima ogni persona, avente un diritto a un nuovo processo alla luce della direttiva in discorso, a pretendere la sua osservanza davanti ai giudici nazionali, sia laddove lo Stato abbia omesso di implementare l’atto de quo nei termini fissati per il suo recepimento, sia qualora, pur nel rispetto delle tempistiche, abbia attuato la direttiva in maniera non corretta.
In proposito, la Corte di giustizia ha statuito che la direttiva osta a una disciplina nazionale che esclude il diritto a un nuovo processo per la sola ragione che l’imputato si è dato alla fuga e che le autorità non sono riuscite a rintracciarlo.
In relazione a una tale circostanza – hanno proseguito i giudici eurounitari – ciò che occorre accertare è la presenza di «indizi precisi e oggettivi», tali da far ritenere che il prevenuto, «pur essendo stato informato di essere accusato di aver commesso un reato e, sapendo quindi che un processo si sarebbe svolto nei suoi confronti, agisca deliberatamente in modo da evitare di ricevere ufficialmente le informazioni relative alla data e al luogo del processo».
Tale fattispecie può considerarsi, secondo la Corte, rientrante nell’art. 8, par. 2, dir. UE 2016/343, con conseguente possibilità di svolgere un procedimento in assenza, senza il diritto ai rimedi successivi di cui all’art. 9 della medesima fonte.
Questa interpretazione è corroborata dal considerando n. 38, secondo cui, al fine di vagliare se il modo in cui le informazioni fornite sia sufficiente per garantire la conoscenza del processo da parte dell’interessato, occorre tenere conto non solo della diligenza delle autorità, ma anche di quella del prevenuto.
In conclusione, la Corte ha statuito che gli artt. 8 e 9 della direttiva devono essere interpretati nel senso che un prevenuto che le autorità non sono riuscite a rintracciare, nonostante i loro ragionevoli sforzi, può essere oggetto di un processo in assenza. La regola generale, tuttavia, è che egli, al momento della notifica dell’eventuale condanna, deve avere il diritto a un nuovo processo o comunque a un rimedio giurisdizionale equivalente, in grado di consentire un nuovo esame del merito della causa. Vi è, però, al contempo, un limite all’esercizio di tale diritto. Secondo i rilievi della pronuncia, siffatto limite sussiste qualora, sulla scorta di indizi oggettivi e precisi, si evinca che l’accusato ha ricevuto informazioni sufficienti per potersi avvedere del fatto che si sarebbe svolto un processo nei suoi confronti e, nonostante ciò, «con atti deliberati e al fine di sottrarsi all’azione della giustizia, ha impedito alle autorità di informarlo ufficialmente di tale processo».
Si è così giunti alla conclusione secondo cui, salva la possibilità di svolgere in siffatte circostanze un giudizio in absentia, in linea di principio deve essere assicurata al condannato una restitutio in integrum, con una ripetizione del processo. L’interessato non può, tuttavia, approfittare di tale situazione, di modo che la garanzia non sorge laddove egli sia stato ufficialmente informato di essere accusato di un reato e sussistano indizi oggettivi e precisi da cui si ricava la sua volontà di sottrarsi alla ricezione delle informazioni sul processo fornite dalle autorità.
Secondo i chiarimenti della Corte di giustizia, i rimedi successivi potrebbero essere negati ove, sulla scorta di indizi oggettivi e precisi, il giudice accerti che l’interessato, ufficialmente informato di essere accusato di un reato, abbia, con atti deliberati e al fine di sottrarsi all’azione della giustizia, impedito alle autorità, nonostante i loro ragionevoli sforzi, di informarlo del processo. Nel caso di condotta sottrattiva dell’imputato, quindi, egli può essere processato in absentia in ragione di tale comportamento senza conoscere dell’attività giudiziaria svolta nei propri confronti, poiché egli si «è sottratto alla conoscenza». Si tratta dell’unica ipotesi in cui si possa procedere pur se la parte ignori la vocatio in ius. Anche la corte di Strasburgo ha ammesso, in certi casi, che la dichiarazione di assenza per facta concludentia possa essere compatibile con l’art. 6 Cedu, in quanto dimostrativi del fatto che l’accusato sa che una procedura penale è diretta contro di lui e conosce la natura e la causa dell’accusa, ma non ha l’intenzione di prendere parte al processo (Pittito c. Italia). Ma quid iuris, si chiede la Corte, qualora le autorità abbiano tentato in ogni modo di venire a contatto con l’imputato con indagini circostanziate e meticolose, e ciò nonostante non siano riuscite a trovarlo? Questo può essere considerato un inequivocabile indizio che l’interessato è a conoscenza del processo e non intende parteciparvi. Il concetto di inesigibilità della condotta potrebbe trovare qui naturale applicazione, perché nessuna censura ai sensi del diritto convenzionale potrebbe muoversi nei confronti dello Stato membro diligente. La chiave di volta risiede nel considerando 38: «nell’esaminare se il modo in cui sono state fornite le informazioni sia sufficiente per assicurare che l’interessato sia a conoscenza del processo si dovrebbe prestare particolare attenzione anche alla diligenza delle autorità pubbliche nell’informare l’interessato e alla diligenza di cui ha dato prova l’interessato al fine di ricevere le informazioni a lui destinate» – quindi esiste in capo all’interessato un vero e proprio obbligo di diligenza nel ricevere le notificazioni. La Corte di giustizia decide in merito a un caso di un imputato che ha ricevuto informazioni sufficienti per sapere che si sarebbe svolto un processo nei suoi confronti (senza alcun riferimento a documenti ufficiali come unica fonte conoscitiva) e che, con il fine di sottrarsi all’azione di giustizia, abbia dolosamente impedito alle autorità di informarlo con un documento ufficiale.
Gli obblighi informativi delle autorità non sono assoluti: se esse agiscono con la massima diligenza possibile al fine di rendere edotto l’interessato dell’atto imputativo e, ciononostante, non riescono nell’intento per cause connesse alla condotta del soggetto da informare, allora l’eventuale condanna dell’assente non solo potrà essere legittimamente adottata, ma anche successivamente eseguita senza che sia consentita l’attivazione dei rimedi di cui all’art. 9 della direttiva. La Corte di giustizia ammette che la consapevolezza di essere interessato da attività giudiziaria può essere anche reperita altrimenti, ad esempio da articoli di giornale o comunicazioni ufficiose. La Corte di giustizia, in buona sostanza, si dimostra assolutamente consapevole del pericolo di abuso del diritto e di fuga dal processo da parte degli imputati che si rendono irreperibili.
Vale la pena di riportare testualmente i passi principali della motivazione della sentenza in questione e il dispositivo:
«24. Con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 8 e 9 della direttiva 2016/343 debbano essere interpretati nel senso che un imputato, che le autorità nazionali competenti, nonostante i loro ragionevoli sforzi, non riescono a rintracciare e al quale tali autorità non sono riuscite, per tale motivo, a comunicare le informazioni relative al processo nei suoi confronti, possa essere oggetto di un processo e, se del caso, di una condanna in contumacia, senza avere la possibilità, a seguito della notifica di tale condanna, di far valere direttamente il diritto, conferito da tale direttiva, di ottenere la riapertura del processo o l’accesso a un mezzo di ricorso giurisdizionale equivalente che conduca ad un nuovo esame, in sua presenza, del merito della causa.
(…)
30. Pertanto, quando ricorrono le condizioni enunciate a detto articolo 8, paragrafo 2, il processo svolto in contumacia può concludersi con una decisione che, conformemente a quanto previsto dal paragrafo 3 del medesimo articolo, può essere eseguita, senza alcun obbligo per lo Stato membro di cui trattasi di prevedere il diritto a un nuovo processo.
(…)
36. Per quanto riguarda l’interpretazione teleologica dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2016/343, occorre osservare che il postulato esposto al punto 34 della presente sentenza garantisce il rispetto della finalità di tale direttiva, che consiste, come enunciato ai suoi considerando 9 e 10, nel rafforzare il diritto a un processo equo nei procedimenti penali, in modo da aumentare la fiducia degli Stati membri nei reciproci sistemi di giustizia penale.
37. Alla luce di tale finalità, le disposizioni di detta direttiva concernenti il diritto di presenziare al processo e il diritto a un nuovo processo devono essere interpretate in modo da garantire il rispetto dei diritti della difesa, evitando nel contempo che una persona che, pur essendo stata informata dello svolgimento di un processo, abbia rinunciato, espressamente o tacitamente, ma in modo inequivocabile, a presenziare al processo, possa, a seguito di una condanna in contumacia, rivendicare lo svolgimento di un nuovo processo e, in tal modo, ostacolare abusivamente l’efficacia dell’azione penale e la buona amministrazione della giustizia.
(…)
41. Di conseguenza, spetta al giudice nazionale che è chiamato a esaminare se siano soddisfatte le condizioni previste all’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2016/343, verificare se un documento ufficiale, che indichi in modo inequivocabile la data e il luogo fissati per il processo e, in caso di mancata rappresentanza da parte di un avvocato incaricato, le conseguenze di un’eventuale mancata comparizione, sia stato portato all’attenzione dell’interessato.
(…)
44. Qualora non abbia ricevuto il documento ufficiale (…), l’interessato può tuttavia essere oggetto di una decisione esecutiva pronunciata in contumacia, come risulta dal considerando 39 della direttiva 2016/343.
45. Ciò premesso, come peraltro enunciato da tale considerando, il diritto a un nuovo processo, ai sensi dell’articolo 9 di tale direttiva, deve essere riconosciuto a detto interessato, qualora le condizioni previste all’articolo 8, paragrafo 2, di detta direttiva non siano soddisfatte.
(…)
47. Tale direttiva osta, pertanto, a una normativa nazionale che esclude il diritto a un nuovo processo per il solo motivo che l’interessato si è dato alla fuga e che le autorità non sono riuscite a rintracciarlo.
48. Solo qualora da indizi precisi e oggettivi risulti che l’interessato, pur essendo stato ufficialmente informato di essere accusato di aver commesso un reato e, sapendo quindi che un processo si sarebbe svolto nei suoi confronti, agisca deliberatamente in modo da evitare di ricevere ufficialmente le informazioni relative alla data e al luogo del processo, si può ritenere che tale interessato, fatte salve tuttavia le esigenze particolari delle persone vulnerabili di cui ai considerando 42 e 43 della direttiva 2016/343, sia stato informato del processo e abbia rinunciato volontariamente e in modo inequivocabile ad esercitare il suo diritto di presenziare a quest’ultimo. La situazione di un tale interessato che abbia ricevuto informazioni sufficienti per sapere che si sarebbe svolto un processo nei suoi confronti e, con atti deliberati e al fine di sottrarsi all’azione della giustizia, abbia impedito alle autorità di informarlo ufficialmente del processo in tempo adeguato, mediante il documento menzionato al punto 41 della presente sentenza, rientra, quindi, nell’ipotesi prevista all’articolo 8, paragrafo 2, di detta direttiva.
(…)
50. La suesposta interpretazione dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2016/343 è corroborata dal considerando 38 di tale direttiva, in base al quale, per esaminare se il modo in cui sono state fornite le informazioni sia sufficiente per assicurare che l’interessato sia a conoscenza del processo, si deve prestare particolare attenzione, da un lato, alla diligenza delle autorità pubbliche nell’informare l’interessato e, dall’altro, alla diligenza di cui quest’ultimo ha dato prova al fine di ricevere dette informazioni.
51. Tale interpretazione rispetta, inoltre, il diritto a un equo processo, menzionato al considerando 47 della direttiva 2016/343 e come sancito dall’articolo 47, commi secondo e terzo, nonché dall’articolo 48 della Carta, che, come precisato dalle spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17), corrispondono all’articolo 6 della CEDU [v., in tal senso, sentenza del 13 febbraio 2020, Spetsializirana prokuratura (Udienza in assenza dell’imputato), C-88/18, EU:C:2020:94, punti 34 e 35].
(…)
52. Infatti, come risulta dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, né la lettera né lo spirito dell’articolo 6 della CEDU impediscono a una persona di rinunciare di sua spontanea volontà alle garanzie di un equo processo esplicitamente o tacitamente. La rinuncia al diritto di comparire all’udienza deve risultare in modo inequivocabile ed essere accompagnata da garanzie minime corrispondenti alla sua gravità. Essa non deve inoltre contrastare con un interesse pubblico importante (Corte EDU, 1º marzo 2006, Sejdovic c. Italia, CE:ECHR:2006:0301JUD005658100, § 86, nonché Corte EDU, 13 marzo 2018, Vilches Coronado e altri c. Spagna, CE:ECHR:2018:0313JUD005551714, § 36).
53. Da tale giurisprudenza risulta in particolare che una tale rinuncia ricorre allorché si constati che l’imputato è stato informato del procedimento penale a suo carico, che egli conosce la natura nonché la causa dell’accusa e che egli non intende presenziare al processo o intende sottrarsi all’azione penale (v., segnatamente, Corte EDU, 1º marzo 2006, Sejdovic c. Italia, CE:ECHR:2006:0301JUD005658100, § 99, e Corte EDU, 23 maggio 2006, Kounov c. Bulgaria, CE:ECHR:2006:0523JUD002437902, § 48). Tale intento può, in particolare, essere constatato quando la citazione a comparire non ha potuto essere consegnata a causa di un cambiamento di indirizzo che l’imputato ha omesso di comunicare alle autorità competenti. In una siffatta ipotesi, l’interessato non può far valere un diritto a un nuovo processo (v., in tal senso, Corte EDU, 26 gennaio 2017, Lena Atanasova c. Bulgaria, CE:ECHR:2017:0126JUD005200907, § 52).
54. Nel caso di specie, è alla luce dell’interpretazione dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2016/343 derivante dalle suesposte considerazioni che spetta al giudice del rinvio, al fine di determinare se IR debba beneficiare del diritto a un nuovo processo o a un altro mezzo di ricorso giurisdizionale, che consenta di riesaminare il merito della causa, accertare se quest’ultimo sia stato informato in un tempo adeguato del processo nonché, in caso di mancata rappresentanza da parte di un avvocato incaricato, delle conseguenze della mancata comparizione, e se egli abbia rinunciato, tacitamente ma in modo inequivocabile, al suo diritto di presenziare a tale processo.
(…)
59. Dall’insieme delle suesposte considerazioni risulta che si deve rispondere alle questioni sottoposte dichiarando che gli articoli 8 e 9 della direttiva 2016/343 devono essere interpretati nel senso che un imputato che le autorità nazionali competenti, nonostante i loro ragionevoli sforzi, non riescono a rintracciare e al quale dette autorità non sono riuscite, per tale motivo, a comunicare le informazioni sul processo svolto nei suoi confronti, può essere oggetto di un processo e, se del caso, di una condanna in contumacia, ma deve in tale caso, in linea di principio, avere la possibilità, a seguito della notifica di tale condanna, di far valere direttamente il diritto, riconosciuto da tale direttiva, di ottenere la riapertura del processo o l’accesso a un mezzo di ricorso giurisdizionale equivalente che conduca ad un nuovo esame del merito della causa in sua presenza. Tale diritto può tuttavia essere negato a detto imputato qualora da indizi precisi e oggettivi risulti che quest’ultimo ha ricevuto informazioni sufficienti per essere a conoscenza del fatto che si sarebbe svolto un processo nei suoi confronti e, con atti deliberati e al fine di sottrarsi all’azione della giustizia, ha impedito alle autorità di informarlo ufficialmente di tale processo.
Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:
Gli articoli 8 e 9 della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, devono essere interpretati nel senso che un imputato che le autorità nazionali competenti, nonostante i loro ragionevoli sforzi, non riescono a rintracciare e al quale dette autorità non sono riuscite, per tale motivo, a comunicare le informazioni sul processo svolto nei suoi confronti, può essere oggetto di un processo e, se del caso, di una condanna in contumacia, ma deve in tale caso, in linea di principio, avere la possibilità, a seguito della notifica di tale condanna, di far valere direttamente il diritto, riconosciuto da tale direttiva, di ottenere la riapertura del processo o l’accesso a un mezzo di ricorso giurisdizionale equivalente che conduca ad un nuovo esame del merito della causa in sua presenza. Tale diritto può tuttavia essere negato a detto imputato qualora da indizi precisi e oggettivi risulti che quest’ultimo ha ricevuto informazioni sufficienti per essere a conoscenza del fatto che si sarebbe svolto un processo nei suoi confronti e, con atti deliberati e al fine di sottrarsi all’azione della giustizia, ha impedito alle autorità di informarlo ufficialmente di tale processo».
7. Il diritto delle vittime ad avere un processo e l’abuso del contraddittorio
Se il diritto al contraddittorio per l’imputato rientra nella spazio inviolabile della difesa, anche il diritto delle vittime di reato ad avere un processo rientra nella sfera della difesa, principio supremo garantito dall’art. 24 Cost. e riconosciuto dal diritto comunitario. In proposito, si ricorda che la direttiva UE 2012/29 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato – recepita dall’Italia con d.lgs n. 212/2015 –, prevede anche per la vittima del reato, intesa non solo come vittima diretta, ma anche come familiare di una persona la cui morte sia stata causata direttamente da un reato (art. 2, comma 1, lett. a, ii), il diritto di partecipare ai procedimenti penali e il conseguente diritto di ottenere, da essi, l’accertamento dei fatti e le statuizioni risarcitorie.
La Corte Edu, nei casi Abu Zubaydah c. Lituania (31 maggio 2018, § 610) e Al Nashiri c. Romania (31 maggio 2018, § 641), ha affermato che:
«laddove nelle indagini siano coinvolte accuse di gravi violazioni dei diritti umani, il diritto alla verità sulle circostanze rilevanti del caso non appartiene solo alla vittima del reato e alla sua famiglia, ma anche ad altre vittime di violazioni simili e il pubblico in generale, che ha il diritto di sapere cosa è successo. Una risposta adeguata da parte delle autorità nelle indagini sulle denunce di gravi violazioni dei diritti umani può essere generalmente considerata essenziale per mantenere la fiducia del pubblico nella sua adesione allo Stato di diritto e per prevenire qualsiasi apparenza di impunità, collusione o tolleranza di atti illeciti. Per le stesse ragioni, deve esserci un elemento sufficiente di controllo pubblico dell’indagine o dei suoi risultati per garantire la responsabilità sia in pratica che in teoria (vedi El-Masri, precitata, §§ 191-192; Al Nashiri c. Polonia, precitata, § 495, e Husayn (Abu Zubaydah) c. Polonia, precitata, § 489, con i riferimenti alla giurisprudenza ivi indicati)».
Sempre secondo la Corte Edu, l’indagine dovrà portare all’identificazione e alla punizione dei responsabili perché, se così non fosse, nonostante la sua importanza fondamentale, l’interdizione inderogabile della tortura e di pene o trattamenti inumani o degradanti sarebbe inefficace nella pratica, e sarebbe possibile in alcuni casi per gli agenti dello Stato calpestare, godendo pressoché dell’impunità, i diritti di chi è stato sottoposto al loro controllo (si vedano, tra molte altre sentenze: Assenov e altri c. Bulgaria, 28 ottobre 1998, § 102; Labita c. Italia, 6 aprile 2000, § 131; Krastanov c. Bulgaria, 3 settembre 2004, § 57; Vladimir Romanov c. Russia, 24 luglio 2008, § 81; Ali e Ayşe Duran c. Turchia, 8 aprile 2008, § 60; Georgiy Bykov c. Russia, 14 ottobre 2010, § 60; El-Masri c. Ex-Repubblica di Macedonia, 13 dicembre 2012, §§ 182 e 185, e la giurisprudenza ivi citata; Dembele c. Svizzera, 24 settembre 2013, § 62; Alberti c. Italia, 24 giugno 2014, § 62; Saba c. Italia, 1° luglio 2014, § 76; Dimitrov e altri c. Bulgaria, 1° luglio 2014, § 135). Si creerebbe, così, un’insopportabile lesione del diritto della famiglia della vittima a che venga celebrato il processo a carico degli imputati. Diritto, peraltro, garantito dall’obbligo procedurale degli Stati di garantire il diritto alla vita e il divieto di tortura derivante dal combinato disposto degli articoli 1, 2 e 3 Cedu (si vedano le decisioni della Corte Edu Mustafa Tunç e Fecire Tunç c. Turchia [GC], § 169, 14 aprile 2015, e tutte le altre appena citate). Tali arresti, di fatto, stabiliscono che le autorità giudiziarie nazionali non devono in alcun caso mostrarsi disposte a lasciare impunite delle aggressioni contro l’integrità fisica e morale delle persone. Ciò è indispensabile per mantenere la fiducia del pubblico e garantire la preminenza del diritto, e serve a prevenire ogni accenno di tolleranza di atti illegali o di possibile collusione nella loro perpetrazione (vds., dal punto di vista dell’art. 2, Öneryıldız c. Turchia [GC], n. 48939/99, § 96). In verità, per l’ordinamento italiano si tratta di raccomandazioni del tutto ovvie, in quanto l’esigenza di non lasciare impunite le aggressioni contro l’integrità fisica e morale delle persone costituisce un obbligo di natura costituzionale sancito solennemente dall’art. 112 Cost.
Pertanto, nello spazio del giusto processo, ai sensi dell’art. 6 Cedu e 111 Cost., convergono il diritto delle vittime ad avere un processo e il diritto dell’imputato a essere informato delle accuse e a partecipare al procedimento a suo carico. Naturalmente il diritto al processo delle vittime non può prevalere, né può essere bilanciato con il diritto inviolabile al contraddittorio. Tuttavia, il diritto alla verità e alla giustizia non può e non deve più essere paralizzato da condotte elusive dell’imputato, ispirate all’abuso del diritto: questo non è più consentito alla luce della riforma Cartabia e della Direttiva UE 2016/343, come interpretata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (19 maggio 2022, C-569/20).
1. Vds. Corte suprema di cassazione, Ufficio del massimario, Relazione su novità normativa. La “riforma Cartabia”, Roma, 5 gennaio 2023, pp. 94-95 (www.sistemapenale.it/pdf_contenuti/1673352536_relazione-massimario-2-2023.pdf).
2. Vds. Corte suprema di cassazione, Ufficio del massimario, Relazione, cit., p. 98.