Magistratura democratica

Indipendenza e responsabilità dei pubblici ministeri: principi europei e modello italiano

di Filippo Donati

Il contributo investiga quali siano i caratteri definitori del modello europeo di pubblico ministero, prendendone in esame due aspetti complementari: quello dell’indipendenza dell’ufficio requirente e quello della sua responsabilità (accountability). Dopo un breve excursus sulle garanzie europee dell’indipendenza del giudice, l’analisi è condotta avendo riguardo alla giurisprudenza della Cgue e a quella della Corte Edu, spostandosi poi sul soft law prodotto dalla cd. “Commissione di Venezia”, dal CCPE e dall’ENCJ. Come esempio di hard law sovranazionale, è invece preso in considerazione il caso dell’EPPO. Infine, ci si domanda se e quanto il modello italiano di pubblico ministero corrisponda a quello emergente dalle fonti suddette.

1. Premessa / 2. Il quadro normativo europeo / 3. L’indipendenza dei pubblici ministeri secondo i giudici europei / 4. Indipendenza e responsabilità dei pubblici ministeri / 5. Considerazioni conclusive

 

1. Premessa

Siamo chiamati a una riflessione sul modello di funzione requirente adottato in Italia, alla luce dell’esperienza europea.

Non procederò a un esame delle specificità dei modelli organizzativi adottati nei singoli Stati membri dell’Unione europea, di cui si sono occupati altri relatori. Cercherò invece di svolgere alcune brevi considerazioni sui principi di fondo elaborati a livello europeo con riguardo alla funzione requirente, per valutare se il modello italiano possa considerarsi in linea con tali principi.

 

2. Il quadro normativo europeo 

I trattati istitutivi dell’Unione europea rimettono alla competenza degli Stati membri l’organizzazione del sistema giudiziario nazionale. 

La Corte di giustizia ha tuttavia chiarito che, nell’esercizio di tale competenza, gli Stati devono garantire una tutela giurisdizionale effettiva nei settori in cui opera il diritto dell’Unione europea, come richiesto dall’art. 19 Tue e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. L’accesso a un giudice indipendente e imparziale rappresenta un presupposto essenziale per poter assicurare una tutela giudiziale effettiva dei diritti. La nozione di indipendenza presuppone che «l’organo di cui trattasi eserciti le sue funzioni giurisdizionali in piena autonomia, senza vincoli gerarchici o di subordinazione nei confronti di alcuno e senza ricevere ordini o istruzioni da alcuna fonte, e che esso sia quindi tutelato da interventi o pressioni dall’esterno idonei a compromettere l’indipendenza di giudizio dei suoi membri e ad influenzare le loro decisioni». La garanzia di indipendenza si impone sia per i giudici dell’Unione, sia per i giudici nazionali in quanto «tenuti ad applicare il diritto dell’Unione»[1]. Essa, infatti, «attiene al contenuto essenziale del diritto fondamentale a un equo processo, che riveste importanza cardinale quale garanzia della tutela dell’insieme dei diritti derivanti al singolo dal diritto dell’Unione e della salvaguardia dei valori comuni agli Stati membri enunciati all’articolo 2 TUE, segnatamente, del valore dello Stato di diritto»[2].

Tali principi riguardano l’esercizio della funzione giurisdizionale. Di qui l’interrogativo se, in assenza di una specifica disciplina applicabile all’esercizio negli Stati membri della funzione requirente, il requisito di indipendenza, senz’altro necessario per i giudici, debba essere garantito a livello nazionale anche per i pubblici ministeri[3].

 

3. L’indipendenza dei pubblici ministeri secondo i giudici europei

Pur in mancanza di indicazioni espresse sul piano normativo, la giurisprudenza europea ha ritenuto che il requisito dell’indipendenza debba essere assicurato anche per la funzione requirente, nonostante tutte le peculiarità che caratterizzano l’organizzazione dei pubblici ministeri e la distinguono da quella degli organi giurisdizionali. 

Pur senza sindacare le scelte degli Stati membri in materia di organizzazione delle procure, la Corte di giustizia ritiene che non possa essere considerato come autorità giudiziaria emittente, ai sensi dell’art. 6, par. 1 della decisione quadro 2002/584 sul mandato di arresto europeo, un pubblico ministero che non offra adeguate garanzie di indipendenza dal potere politico. L’autorità giudiziaria emittente, ha osservato la Corte, «deve poter assicurare all’autorità giudiziaria dell’esecuzione che, alla luce delle garanzie offerte dall’ordinamento giuridico dello Stato membro emittente, essa agisce in modo indipendente nell’esercizio delle sue funzioni inerenti all’emissione di un mandato d’arresto europeo» e di non essere esposta, nell’esercizio di tali funzioni, «a un qualsivoglia rischio di essere soggetta, in particolare, a istruzioni individuali da parte del potere esecutivo»[4]

La Corte di giustizia ha inoltre precisato, sempre con riferimento alla disciplina del mandato d’arresto europeo, che il requisito di indipendenza, che esclude che il potere decisionale dei pubblici ministeri «formi oggetto di istruzioni esterne al potere giudiziario, provenienti in particolare dal potere esecutivo, non vieta le istruzioni interne che possono essere impartite ai magistrati della procura dai loro superiori gerarchici, essi stessi magistrati della procura, sulla base del rapporto di subordinazione che disciplina il funzionamento del pubblico ministero». Conseguentemente, rientrano nella nozione di «autorità giudiziaria emittente», ai sensi dell’art. 6, par. 1 della decisione quadro 2002/584, «i magistrati della procura di uno Stato membro, incaricati dell’azione pubblica e collocati sotto la direzione e il controllo dei loro superiori gerarchici, qualora il loro status conferisca loro una garanzia di indipendenza, in particolare rispetto al potere esecutivo, nell’ambito dell’emissione del mandato d’arresto europeo»[5].

È stata però la Corte europea dei diritti dell’uomo a riconoscere, in termini generali, che il requisito dell’indipendenza deve essere assicurato anche ai pubblici ministeri. 

Può essere qui utile richiamare la recente sentenza della Corte Edu nel caso Kövesi[6]. Laura Codruţa Kövesi, oggi procuratore capo europeo, venne revocata dall’incarico direttivo dell’ufficio nazionale anticorruzione della Romania per avere espresso opinioni fortemente critiche nei confronti di una proposta di legge del Governo in materia di depenalizzazione che, a suo avviso, avrebbe ridotto l’indipendenza della magistratura e pregiudicato la lotta contro la criminalità. A seguito del parere contrario espresso dal Consiglio superiore della magistratura, il Capo dello Stato rifiutò di sottoscrivere la proposta del Ministro della giustizia di revoca dall’incarico di Kövesi. La Corte costituzionale, tuttavia, accolse il conflitto di attribuzioni sollevato dal Ministro e ordinò al Capo dello Stato di firmare il provvedimento ministeriale di rimozione del magistrato.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ravvisato, nel caso di specie, una violazione della libertà di espressione garantita dall’articolo 10 della Cedu. La rimozione di Laura Codruţa Kövesi, infatti, era stata una conseguenza delle critiche mosse dalla stessa alla proposta di legge governativa. La Corte europea, nella propria decisione, non ha però mancato di sottolineare la necessità di garantire l’indipendenza dei pubblici ministeri, in quanto presupposto essenziale per l’indipendenza del sistema giudiziario nel suo complesso. 

La Cedu, in definitiva, tutela l’indipendenza dei giudici e dei pubblici ministeri. La prematura e non sufficientemente motivata rimozione dalla carica di un procuratore, pertanto, determina una violazione della Cedu.

 

4. Indipendenza e responsabilità dei pubblici ministeri

Per ricostruire i principi generalmente condivisi a livello europeo in ordine alla funzione requirente, è opportuno un richiamo anche alle raccomandazioni e ai pareri della Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (Commissione di Venezia)[7], del Consiglio consultivo dei procuratori europei (CCPE)[8] e della Rete europea dei consigli di giustizia (ENCJ)[9]

Le organizzazioni appena richiamate, com’è noto, non hanno poteri normativi. I pareri e le raccomandazioni che esse adottano sono spesso richiamati da altre istituzioni, e finiscono per assumere un non trascurabile peso, come strumenti di orientamento o di soft law.

Con riferimento alla funzione requirente, pur nella consapevolezza della marcata differenza tra i sistemi adottati nei vari Paesi dell’Unione europea, è opinione condivisa che i pubblici ministeri svolgano un ruolo cruciale per la tutela dei principi dello Stato di diritto. Si tratta infatti di organi cui è affidato il fondamentale compito di tutelare l’interesse generale al rispetto della legge, in particolare nel settore penale. I pubblici ministeri sono chiamati a garantire la legalità anche nei confronti dei titolari del potere politico. Per poter svolgere adeguatamente il ruolo loro affidato, pertanto, i pubblici ministeri debbono operare in maniera indipendente e imparziale.

La Commissione di Venezia, in particolare, ha sottolineato che il pubblico ministero deve agire in modo equo e imparziale, come se fosse un’autorità giudiziaria. Il pubblico ministero, quindi, non ha il compito di perseguire necessariamente l’obiettivo della condanna dell’imputato, dovendo invece mettere a disposizione del giudice tutti gli elementi di prova attendibili acquisiti nel corso delle indagini. 

Per garantire il corretto esercizio della funzione requirente, gli Stati debbono assicurare l’indipendenza dei pubblici ministeri, anche se la peculiarità della funzione può richiedere un’organizzazione diversa da quella apprestata per la funzione giurisdizionale. In questa prospettiva, ad esempio, si riconosce la possibilità di adottare per gli uffici di procura un’organizzazione gerarchica. Si ritiene dunque ammissibile che i pubblici ministeri possano essere assoggettati a direttive, orientamenti e istruzioni dei loro superiori, purché, a garanzia della loro indipendenza, le istruzioni siano impartite in forma scritta, in maniera da consentire all’interessato di muovere contestazioni, laddove le istruzioni non siano conformi alla legge. La garanzia di inamovibilità, se non nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, è volta a tutelare l’indipendenza. 

È ammessa la possibilità del parlamento e del governo di formulare criteri di carattere generale, in materia ad esempio di priorità nel perseguimento di certi tipi di reato, non invece quella di dettare istruzioni specifiche nei confronti dei pubblici ministeri con riguardo a singoli procedimenti.

Come per la funzione giurisdizionale, anche per la funzione requirente la garanzia di indipendenza non può essere dissociata dalla responsabilità, intesa come accountability. Al pari di qualsiasi altra autorità statale, compresi i giudici, «il pubblico ministero deve essere responsabile e rendere conto del proprio operato dinanzi ai cittadini»[10].

In ogni Stato democratico, la titolarità di un potere implica l’obbligo di rendere conto del modo in cui lo stesso viene esercitato. La responsabilità, per gli organi requirenti come per quelli giurisdizionali, implica non solo il rispetto della legge e degli obblighi professionali che incombono ai magistrati, ma anche un dovere trasparenza nei confronti della collettività con riguardo all’attività svolta e ai programmi di lavoro. 

Come l’indipendenza non può giungere al punto tale da consentire comportamenti autoreferenziali dei pubblici ministeri, così la responsabilità non può essere strutturata in maniera tale da limitare la loro indipendenza. Si tratta di un equilibrio difficile da raggiungere, ma indispensabile. Pubblici ministeri e giudici possono riuscire a conquistare la fiducia della società soltanto se dimostrano, all’esterno, che operano con indipendenza, imparzialità ed efficienza. 

La fiducia dei cittadini è la più forte garanzia contro possibili attacchi del potere politico all’indipendenza della magistratura, come purtroppo insegna la recente esperienza della Polonia, dove l’indipendenza dei pubblici ministeri[11] e, più in generale, dell’intero sistema giudiziario è oggi gravemente compromessa[12]

 

5. Considerazioni conclusive

Le considerazioni sin qui svolte permettono di dare una risposta all’interrogativo iniziale.

Il modello requirente italiano, pur avendo indubbiamente caratteristiche particolari, rispetta i principi di fondo condivisi a livello europeo. Il nostro sistema, infatti, garantisce pienamente l’indipendenza “esterna” dei pubblici ministeri, assicurando forti garanzie contro pressioni da parte del potere politico. La cd. “riforma Castelli”[13], pur accentuando il carattere verticistico della Procura, non ha affatto intaccato l’indipendenza dei componenti dell’ufficio contro indebiti condizionamenti da parte del superiore. La Commissione europea, nel rapporto 2020 sullo Stato di diritto, ha ritenuto che, in Italia, «i pubblici ministeri, in quanto membri della magistratura, sono indipendenti e godono delle stesse garanzie dei giudici» e che «questa situazione è in linea con la tendenza diffusa in Europa ad accordare maggiore indipendenza alla Procura, rilevata dalla Commissione di Venezia»[14]

Sotto questo profilo, dunque, il modello italiano non costituisce un unicum in Europa. La specificità del nostro sistema riguarda, semmai, il rapporto tra indipendenza e responsabilità, troppo sbilanciato sul primo versante rispetto al secondo. Ancora poca è la trasparenza sull’attività svolta e sui programmi di lavoro delle procure, e poco sfruttati risultano i canali di comunicazione con l’esterno. 

Il regolamento istitutivo della Procura europea (EPPO)[15] rispetta i principi comuni in materia di funzione requirente. Il regolamento garantisce infatti l’indipendenza di tutti gli organi dell’EPPO[16], nonostante che la nomina degli organi di vertice sia effettuata dal Parlamento europeo e dal Consiglio[17]. Il regolamento stabilisce inoltre che l’EPPO deve rendere conto della propria attività dinanzi agli organi rappresentativi dell’Unione europea e degli Stati membri[18], e deve pubblicare una relazione annuale sulle sue attività svolte e sui programmi di lavoro e trasmetterla al Parlamento europeo, ai parlamenti nazionali, al Consiglio e alla Commissione. 

Un modello, quello di EPPO, che cerca di bilanciare indipendenza e responsabilità. Sotto questo specifico profilo, dunque, potrebbe rappresentare un punto di riferimento per affrontare la sfida più difficile di oggi: recuperare la fiducia dei cittadini nella magistratura, attualmente al minimo storico. 

 

 

1. Cgue, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C-64/16, 27 febbraio 2018.

2. Cgue, LM, C-216/18, 25 luglio 2018.

3. Il regolamento (UE) 2017/1939, all’art. 6, dispone che «il procuratore capo europeo, i sostituti del procuratore capo europeo, i procuratori europei, i procuratori europei delegati, il direttore amministrativo nonché il personale dell’EPPO agiscono nell’interesse dell’Unione nel suo complesso, come definito per legge, e non sollecitano né accettano istruzioni da persone esterne all’EPPO, Stati membri dell’Unione europea, istituzioni, organi, uffici o agenzie dell’Unione»; inoltre le istituzioni degli Stati membri e dell’Unione europea sono obbligate a rispettare «l’indipendenza dell’EPPO», con divieto «di influenzarla nell’assolvimento dei suoi compiti». Il regolamento, però, è volto a costituire un nuovo sistema a livello dell’Unione, non invece a dettare dei principi che gli Stati nazionali devono applicare nei propri ordinamenti interni.

4. Cfr. Cgue [GS], OG e PI (Procure di Lubecca e Zwickau), C508/18 e C82/19 PPU, 27 maggio 2019 (EU:C:2019:456), punto 74; PF (Procuratore generale di Lituania), C509/18, 27 maggio 2019 (EU:C:2019:457).

5. Cfr. Cgue, sez. I, Parquet général du Grand-Duché de Luxembourg (Procuratori di Lione e di Tours), cause riunite C566/19 PPU e C626/19 PPU, 12 dicembre 2019 (ECLI:EU:C:2019:1077), punti 57-58.

6. Corte Edu, sez. IV, Kövesi c. Romania, ric. n. 3594/19, 5 maggio 2020 (divenuta definitiva il 5 agosto 2020).

7. Cfr. il Rapporto sulle norme europee in materia di indipendenza del sistema giudiziario. Part II. Il pubblico ministero, adottato dalla Commissione di Venezia alla sua 85ª sessione plenaria (Venezia, 17-18 dicembre 2010), Strasburgo, 3 gennaio 2011, Studio n. 494/2008, CDL-AD(2010)040.

8. Cfr. Il parere n. 13(2018) del CCPE, Independence, accountability and ethics of prosecutors, Strasburgo, 23 novembre 2018, CCPE(2018)2.

9. Cfr. ENCJ, Independence and Accountability of the ProsecutionReport 2014-2016, www.encj.eu/images/stories/pdf/workinggroups/independence/encj_report_independence_accountability_prosecution_2014_2016.pdf.

10. Cfr. Commissione di Venezia, Rapporto sulle norme europee, op. cit.

11. Sulla situazione dei pubblici ministeri in Polonia cfr., di recente, J. Iwanicki, Un Paese che punisce, e J. Bilewicz, Le nuove disposizioni sul sistema della pubblica accusa in Polonia e la loro applicazione pratica, entrambi in questa Rivista online, rispettivamente 4 e 5 marzo 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/un-paese-che-punisce, www.questionegiustizia.it/articolo/le-nuove-disposizioni-sul-sistema-della-pubblica-accusa-in-polonia-e-la-loro-applicazione-pratica, ora in questo fascicolo. 

12. Nel rapporto sulla situazione dello Stato di diritto in Polonia, allegata alla relazione 2020 sullo Stato di diritto in Europa presentata dalla Commissione il 30 settembre 2020 (Bruxelles, 30 settembre 2020 – SWD (2020) 320 final), si afferma che «le riforme dell’ordinamento giudiziario introdotte in Polonia dal 2015 (…) hanno aumentato l’influenza del potere esecutivo e del potere legislativo sul sistema giudiziario e hanno quindi indebolito l’indipendenza della magistratura». Detta relazione offre un dettagliato quadro sulle procedure di infrazione e sulle sentenze dalla Corte di giustizia con riguardo alle riforme che in Polonia hanno inciso sull’indipendenza del potere giudiziario. Per una illustrazione nel dettaglio delle riforme del sistema giudiziario della Polonia, cfr. A. Bodnar, Protecion of Human Rights after the Constitutional Crisis in Poland, in S. Baer, - O. Lepsius - C. Schönberger - C. Waldhoff - C. Walter (a cura di), Jarhbuch des oeffentliches rechts der gegenwart, vol. 66, Mohr Siebeck, Tubinga, 2018, pp. 639 ss.; F. Zoll e L. Wortham, Judicial Independence and Accountability: Withstanding Political Stress in Poland, in Fordham International Law Journal, vol. 42, n. 3/2019, spec. pp. 889 ss. 

13. D.lgs 20 febbraio 2006, n. 106, recante «Disposizioni in materia di riorganizzazione dell’Ufficio del Pubblico Ministero, a norma dell’art. 1, comma 1, lett. D) della legge 25 luglio 2005, n. 150».

14. Cfr. Commissione europea, Relazione sullo Stato di diritto 2020, capitolo sullo Stato di diritto in Italia, SWD/2020/311 final. 

15. Regolamento (UE) 2017/1939, relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata sull’istituzione della Procura europea (“EPPO”)

16. Cfr. art. 6 regolamento (UE) 2017/1939, secondo cui «L’EPPO è indipendente. Nell’esercizio delle loro funzioni nel quadro del presente regolamento, il procuratore capo europeo, i sostituti del procuratore capo europeo, i procuratori europei, i procuratori europei delegati, il direttore amministrativo nonché il personale dell’EPPO agiscono nell’interesse dell’Unione nel suo complesso, come definito per legge, e non sollecitano né accettano istruzioni da persone esterne all’EPPO, Stati membri dell’Unione europea, istituzioni, organi, uffici o agenzie dell’Unione. Gli Stati membri dell’Unione europea, le istituzioni, gli organi, gli uffici e le agenzie dell’Unione rispettano l’indipendenza dell’EPPO e non cercano di influenzarla nell’assolvimento dei suoi compiti».

17. Il procuratore capo europeo è nominato di comune accordo dal Parlamento europeo e dal Consiglio (che decide a maggioranza semplice) per un mandato non rinnovabile di sette anni, previa selezione da parte di un comitato di esperti, composto di dodici persone scelte tra ex membri della Corte di giustizia e della Corte dei conti, ex membri nazionali di Eurojust, membri dei massimi organi giurisdizionali nazionali, procuratori di alto livello e giuristi di notoria competenza (art. 14 regolamento). Per i procuratori europei è prevista la designazione di una terna da parte di ciascuno Stato membro e la nomina da parte del Consiglio, previo parere del comitato di selezione sopra richiamato.

18. Cfr. art. 7 regolamento (UE) 2017/1939.