1. La legge 27 settembre 2021 ,n. 134 e il diritto alla ragionevole durata del processo
La riforma della prescrizione attuata con la l. 9 gennaio 2019, n. 3, che disponeva la sospensione del relativo termine dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, aveva suscitato forti polemiche.
Infatti nella nostra esperienza giudiziaria la prescrizione del reato funge di fatto da limite temporale dei processi, le cui cadenze vengono programmate appunto in ragione dell’esigenza di concludere il giudizio prima che il reato si estingua, ove possibile.
La sospensione del corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado evitava così che si concludesse con un sostanziale non liquet un processo già pervenuto a una prima decisione sul merito, ma comportava la conseguenza di privare di fatto di un predeterminato limite di durata i processi penali[1].
Un intento di contemperamento tra le opposte esigenze ha condotto, con la l. 27 settembre 2021, n. 134, alla conclusione per cui, ribadito più chiaramente che il corso della prescrizione del reato cessa definitivamente, non è solo sospeso, con la pronunzia della sentenza di primo grado (art. 161 bis c.p.), si sono previsti termini di durata massima dei giudizi di impugnazione, la cui violazione comporta l’improcedibilità dell'azione penale (art. 344 bis c.p.p.). Ma anche in questa articolazione delle due prospettive non mancano le incoerenze.
Sono infatti incompatibili con la logica della durata ragionevole del processo sia la previsione che la violazione dei termini massimi di durata non rileva, e dunque «la declaratoria di improcedibilità non ha luogo quando l'imputato chiede la prosecuzione del processo» anche oltre il prescritto termine (art. 344 bis comma 7 c.p.p.); sia la previsione che l’improcedibilità per durata irragionevole del processo non opera per i delitti puniti con l'ergastolo, indipendentemente dalla complessità dell’accertamento (art. 344 bis comma 9 c.p.p.).
Infatti il diritto alla ragionevole durata del processo è ovviamente riconosciuto dalla l. 24 marzo 2001, n. 89, anche all’imputato di un reato punito con l’ergastolo; e la richiesta dell’imputato di prosecuzione del processo oltre i termini imposti dall’art. 344 bis non esclude il diritto della parte civile «alla ragionevole durata del processo, con le connesse conseguenze indennitarie in caso di violazione»[2].
Tuttavia l’equilibrio faticosamente raggiunto ha una sua ragionevolezza.
L’art. 344 bis c.p.p. prevede che costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale la mancata definizione, con la lettura del dispositivo della decisione, entro il termine di due anni del giudizio di appello (art. 344 bis comma 1 c.p.p.), oltre che del giudizio conseguente all'annullamento della sentenza con rinvio al giudice competente per l'appello (art. 344 bis comma 8 c.p.p.), e la mancata definizione del giudizio di cassazione entro il termine di un anno (art. 344 bis comma 2 c.p.p.): termini che decorrono dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine per il deposito della motivazione della sentenza previsto per il giudizio d’appello dall’art. 544 c.p.p., come eventualmente prorogato ai sensi dell’art. 154 disp. att. c.p.p., e per il giudizio di cassazione dall’art. 617 comma 2 c.p.p.(art. 344 bis comma 8 c.p.p.).
Ma sono previste proroghe diversificate in ragione della gravità dei reati, quando «il giudizio di impugnazione è particolarmente complesso, in ragione del numero delle parti o delle imputazioni o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare», con la conseguenza che per i reati aggravati ai sensi dell'articolo 416-bis.1 comma 1 c.p. la durata massima del giudizio può determinarsi in complessivi cinque anni in appello e in complessivi due anni e sei mesi in Cassazione.
Tre dei molti problemi interpretativi che la nuova disciplina certamente porrà[3] paiono esigere una urgente soluzione condivisa, onde evitare che applicazioni contraddittorie comportino danni irreparabili.
2. Il concorso tra la causa di improcedibilità ex art. 344 bis c.p.p. e le cause di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p.
Viene innanzitutto in rilievo il caso del concorso tra la causa di improcedibilità ex art. 344 bis c.p.p. e le cause di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p.
Secondo la giurisprudenza «la declaratoria di improcedibilità per difetto di querela prevale su quella determinata dall'estinzione del reato per morte dell'imputato giacché la mancanza di una condizione di procedibilità osta a qualsiasi altra indagine in fatto»[4].
Se ne è desunto che «potrebbe, dunque, ritenersi che, ove sia maturato il termine di durata del giudizio di impugnazione, al giudice sia ormai preclusa la possibilità di emettere una sentenza di proscioglimento dell’imputato secondo una delle formula contemplate dall’art. 129, comma 1, c.p.p., trattandosi, comunque, di una pronuncia sull’azione penale che ne presuppone la procedibilità e la possibilità di esaminare il merito dell’imputazione»[5].
Sennonché questa giurisprudenza, che si riferisce all’originaria mancanza di una condizione di procedibilità, come la querela, e al suo concorso con una causa di estinzione del reato, non può ritenersi riferibile anche alla sopravvenuta improcedibilità ex art. 344 bis dell’azione penale, cui deve ritenersi quantomeno applicabile in via analogica l’art. 129 comma 2 c.p.p., con la conseguenza che, anche quando risultino scaduti i termini previsti dall’art. 344 bis c.p.p. «ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta»[6].
Né sembra condivisibile l’analogo orientamento giurisprudenziale per cui «la deliberazione della sentenza di non luogo a procedere prevista dall'art. 13, comma 3-quater, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, per il caso di avvenuta espulsione dello straniero, preclude la pronuncia di proscioglimento nel merito ai sensi dell'art. 129, comma 2, c.p.p., in quanto l'esecuzione dell'ordine di espulsione è causa sopravvenuta di improcedibilità dell'azione penale che impedisce l'instaurazione del rapporto processuale»[7].
E’ vero infatti che l’art. 129 comma 2 c.p.p. si riferisce solo al concorso tra le cause di proscioglimento nel merito e una causa di estinzione del reato. Ma non pare possa dubitarsi che la ratio della norma possa estendersi anche al caso del concorso tra cause di proscioglimento nel merito e sopravvenuta improcedibilità ex art. 344 bis c.p.p.
L’imputato potrebbe certo rinunciare all’improcedibilità, come è possibile a norma dell’art. 344 bis comma 7 c.p.p., ove ritenesse che vi siano gli estremi per un immediato proscioglimento nel merito.
Ma l’art. 129 comma 2 c.p.p. riconosce al giudice un potere officioso; e sarebbe davvero singolare se l’irragionevole durata del processo precludesse al giudice di riconoscere la già raggiunta evidenza «che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato».
3. La sopravvenuta improcedibilità ex art. 344 bis c.p.p. e il giudicato parziale
Altra questione problematica si pone perché l’art. 344 bis comma 8 c.p.p. prevede che i termini di procedibilità dell’azione penale «si applicano anche nel giudizio conseguente all'annullamento della sentenza con rinvio al giudice competente per l'appello», «fermo restando quanto previsto dall'art. 624».
Sennonché l’art. 624 c.p.p. prevede la formazione progressiva del giudicato nei casi di annullamento parziale in cassazione della sentenza di merito, che acquista appunto autorità di cosa giudicata rispetto alle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata.
Si pone così il problema di stabilire se la sopravvenuta improcedibilità ex art. 344 bis c.p.p. travolga anche il giudicato parziale già formatosi, posto che, secondo la giurisprudenza, per parti della sentenza, deve intendersi qualsiasi statuizione avente un'autonomia giuridico-concettuale, e, quindi, occorre fare riferimento, «non solo alle decisioni che concludono il giudizio in relazione a un determinato capo d'imputazione, ma anche a quelle che, nell'ambito di una stessa contestazione, individuano aspetti non più suscettibili di riesame»[8].
Può ad esempio accadere così che si sia formato il giudicato sulla responsabilità dell’imputato e il giudizio debba proseguire in sede di rinvio solo per la determinazione della pena; e secondo la giurisprudenza è esclusa la rilevabilità di cause di estinzione del reato, sopravvenute o preesistenti, quando l'annullamento parziale abbia a oggetto statuizioni diverse dall'accertamento del fatto e della responsabilità dell'imputato[9].
In realtà non può dubitarsi che il giudicato formatosi in relazione a distinti capi di imputazione definisca l’intero giudizio per quei capi; e renda perciò inapplicabile l’improcedibilità ex art. 344 bis c.p.p. .
Ma nei casi in cui il giudicato si sia formato solo su distinti punti della decisione relativa a un capo di imputazione interessato dall’annullamento per le parti residue, lo stesso giudizio di rinvio deve concludersi entro i termini previsti dall’art. 344 bis c.p.p.: con la conseguenza che l’improcedibilità eventualmente sopravvenuta travolge anche il relativo giudicato parziale.
Se con la disciplina previgente il giudicato parziale precludeva in ogni caso l’estinzione del reato, anche per la sopravvenuta prescrizione, con l’art. 344 bis c.p.p. il giudicato parziale non preclude la dichiarazione della sopravvenuta improcedibilità.
Né potrebbe avere rilievo il fatto che, secondo la giurisprudenza, il giudicato parziale risulti addirittura eseguibile per la certezza della pena irrogata, perché l’art. 344 bis c.p.p. prevede comunque l’improcedibilità dell’azione penale se lo stesso giudizio di rinvio non sia definito entro i termini prescritti.
Quand’anche la pena sia eseguibile, nondimeno il giudizio di rinvio non è definito; e l’art. 344 bis c.p.p. prevede l’improcedibilità in ogni caso in cui il giudizio di impugnazione o di rinvio non sia appunto definito.
Questo aspetto certamente problematico della nuova disciplina dovrebbe indurre la Corte di cassazione a un più esteso impiego dei poteri riconosciutile dall’art. 620 lettera l) c.p.p.[10].
Occorre infatti distinguere tra la valutazione delle prove, che è funzionale al giudizio di fatto, e la valutazione del fatto, che è funzionale sia al giudizio di diritto sia alla determinazione delle sue conseguenze. E la Corte di cassazione non può ovviamente valutare le prove, ma può certamente valutare i fatti, così come accertati dai giudici del merito, al fine di «rideterminare la pena sulla base delle statuizioni del giudice di merito o di adottare i provvedimenti necessari» (art. 620, lettera l c.p.p.).
L’alternativa sarebbe il superamento di una giurisprudenza consolidata da decenni e il recepimento della dottrina secondo la quale il giudicato ex art. 624 c.p.p. si forma sui capi, vale a dire sui reati o sulle domande, non sui punti e sulle questioni[11].
4. I problemi interpretativi relativi alla disciplina transitoria
I problemi interpretativi più gravi si pongono tuttavia con riferimento alla disciplina transitoria dettata dallo stesso art. 2, l. 27 settembre 2021, n. 134, ai commi da 3 a 5, che sono del seguente tenore:
«3. Le disposizioni di cui al comma 2 del presente articolo si applicano ai soli procedimenti di impugnazione che hanno a oggetto reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020.
4. Per i procedimenti di cui al comma 3 nei quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, siano già pervenuti al giudice dell'appello o alla Corte di cassazione gli atti trasmessi ai sensi dell'articolo 590 del codice di procedura penale, i termini di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 344-bis del codice di procedura penale decorrono dalla data di entrata in vigore della presente legge.
5. Nei procedimenti di cui al comma 3 nei quali l'impugnazione è proposta entro la data del 31 dicembre 2024, i termini previsti dai commi 1 e 2 dell'articolo 344-bis del codice di procedura penale sono, rispettivamente, di tre anni per il giudizio di appello e di un anno e sei mesi per il giudizio di cassazione. Gli stessi termini si applicano nei giudizi conseguenti ad annullamento con rinvio pronunciato prima del 31 dicembre 2024. In caso di pluralità di impugnazioni, si fa riferimento all'atto di impugnazione proposto per primo».
Il 1° gennaio 2020 è la data di entrata in vigore dell’art. 159 comma 2 c.p., così come modificato dall’art. 1 comma 1, lettera e), l. 9 gennaio 2019, n. 3, che disponeva la sospensione della prescrizione dopo la pronuncia della sentenza di primo grado.
L’art. 159 comma 2 c.p. è stato poi abrogato dall’art. 1 l. 27 settembre 2021, n. 134, che ha altresì inserito l’art. 161 bis c.p. del seguente tenore:
«art. 161-bis (Cessazione del corso della prescrizione). - Il corso della prescrizione del reato cessa definitivamente con la pronunzia della sentenza di primo grado. Nondimeno, nel caso di annullamento che comporti la regressione del procedimento al primo grado o a una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della pronunzia definitiva di annullamento».
Sicché il corso della prescrizione si arresta comunque per i reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020; e solo per questi reati trova applicazione la nuova disciplina dettata dall’art. 344 bis c.p.p., intesa appunto a sostituire all’estinzione del reato per prescrizione l’improcedibilità dell’azione penale per eccessiva durata dei giudizi di impugnazione.
Del tutto ragionevolmente si è previsto dunque che per i reati non più soggetti a prescrizione nei giudizi di impugnazione (in applicazione dell’abrogato art. 159 comma 1 c.p. o del sopravvenuto art. 161 bis c.p.) vigono i termini di procedibilità dell’azione penale; per i reati commessi in precedenza può invece sopravvenire l’estinzione per prescrizione anche nel corso dei giudizi di impugnazione, in applicazione della disciplina vigente prima della l. 9 gennaio 2019, n. 3.
Nei procedimenti che hanno a oggetto reati commessi a far data dal 1° gennaio 2020, cui la nuova disciplina si applica (comma 3), se l’impugnazione è proposta entro il 31 dicembre 2024, i termini previsti dall’art. 344 bis comma 1 e art. 344 bis comma 2 c.p.p. sono, rispettivamente, di tre anni per il giudizio di appello e di un anno e sei mesi per il giudizio di cassazione (comma 5).
Tuttavia, se alla data di entrata in vigore della l. 27 settembre 2021, n. 134 (19 ottobre 2021), gli atti del procedimento siano già pervenuti al giudice dell'appello o alla Corte di cassazione, si applicano comunque i più brevi termini previsti dall’art. 344 bis comma 1 e art. 344 bis comma 2 c.p.p., sebbene con decorrenza dalla data di entrata in vigore della legge (comma 4): la deroga transitoria alla normativa a regime è dunque limitata in questi casi alla sola decorrenza dei termini di procedibilità dell’azione penale[12].
Nella già citata relazione del Massimario della Corte di cassazione si sostiene invece che, anche quando gli atti del procedimento siano già pervenuti al giudice dell'appello o alla Corte di cassazione, ai relativi giudizi di impugnazione si applichino i più lunghi termini previsti dal comma 5 (tre anni per il giudizio di appello e un anno e sei mesi per il giudizio di cassazione)[13].
Sennonché è vero che quella del comma 5 è la norma generale, applicabile a tutte le impugnazioni proposte entro il 31 dicembre 2024, ma è altresì vero che quella del comma 4 è una norma speciale, applicabile a tutte le impugnazioni che, pur proposte entro il 31 dicembre 2024, erano già pervenute con i relativi atti al giudice competente a pronunciarsi su di esse all’entrata in vigore della l. 27 settembre 2021.
Gli ambiti di applicazione dei commi 5 e 4 sono dunque concentrici, come sempre avviene nel rapporto tra norme generali e norme speciali; ma la disciplina dettata dal comma 4 prevale appunto in ragione della sua specialità. E contrariamente a quanto si sostiene, questa differenziazione dei termini ha una chiara ratio nella considerazione che solo nel caso previsto dal comma 5 i tempi di trasmissione degli atti al giudice competente sono computati ai fini della ragionevole durata del giudizio.
E’ previsto poi che i termini stabiliti in via transitoria dal comma 5 si applichino anche «nei giudizi conseguenti ad annullamento con rinvio pronunciato prima del 31 dicembre 2024».
Sicché il regime transitorio non si applica ai giudizi di rinvio se, pur essendo stato proposto il ricorso per cassazione entro il 31 dicembre 2024, l’annullamento con rinvio sia stato pronunciato a decorrere dall’1 gennaio 2025.
Ma nei giudizi di rinvio disposti entro il 31 dicembre 2024 il termine di procedibilità dell’azione penale è di tre anni davanti al giudice d’appello e di un anno e sei mesi per l’eventuale nuovo giudizio di cassazione; mentre non sono previsti termini di procedibilità se il rinvio è disposto al giudice di primo grado, perché, come prevede l’art. 161 bis c.p., «nel caso di annullamento che comporti la regressione del procedimento al primo grado o a una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della pronunzia definitiva di annullamento».
Il comma 5 dell’art. 2 l. 27 settembre 2021, n. 134, aggiunge infine che, «in caso di pluralità di impugnazioni, si fa riferimento all'atto di impugnazione proposto per primo».
Sicché, quando contro la medesima sentenza siano state proposte più impugnazioni, di cui solo alcune successive al 31 dicembre 2024, si applicano per tutte le impugnazioni i termini di durata del giudizio relativi alla prima.
Tuttavia questa disposizione non può trovare applicazione quando solo per una delle impugnazioni proposte contro la stessa sentenza gli atti siano già pervenuti al giudice dell'appello o alla Corte di cassazione alla data di entrata in vigore della legge (19 ottobre 2021).
La già indicata ratio del comma 4 presuppone infatti che al giudice competente a pronunciarsi siano pervenuti gli atti relativi a tutte le impugnazioni proposte.
Vero è che, secondo quanto si è affermato talora in giurisprudenza, «la trasmissione integrale alla corte d'appello degli atti del processo di primo grado ex art. 590 c.p.p., e la conseguente emissione del decreto di citazione in appello ex art. 601 c.p.p., deve essere effettuata immediatamente a seguito della presentazione del gravame e non dopo l'intero decorso dei termini di impugnazione, al fine di assicurare la ragionevole durata del processo»[14].
Ma quando siano più d’uno gli imputati legittimati a impugnare, l’integralità degli atti trasmessi a norma dell’art. 590 c.p.p. va riferita a tutte le impugnazioni effettivamente proposte. Sicché, se alla data del 19 ottobre 2021 non erano pervenuti al giudice dell’impugnazione gli atti relativi a tutte le impugnazioni proposte, non può trovare applicazione il quarto comma dell’art. 2 l. 27 settembre 2021, n. 134[15].
[1] A. Nappi, Prescrizione e ragionevole durata del processo, in Giustizia insieme, 23 marzo 2020.
[2] A. Nappi, Nuova guida al codice di procedura penale, §73.3, www.guidanappi.it.
[3] Per un elenco di problemi aperti si veda G. Spangher, Art. 344 bis c.p.p.: questioni di incostituzionalità e criticità applicative, in Giustizia insieme 2 dicembre 2021.
[4] Cass., sez. un., 24 settembre 2009, Martinenghi, m. 245163, Cass., sez. II, 22 ottobre 2015, Gioia, m. 265098.
[5] Riforma della giustizia penale: la relazione del Massimario sulla ‘legge Cartabia’, con focus sul nuovo istituto della 'improcedibilità', in Sistema penale 16 novembre 2021.
[6] A. Nappi, Nuova guida al codice di procedura penale, §73.3, www.guidanappi.it.
[7] Cass., sez. V, 7 maggio 2021, K, m. 281681.
[8] Cass., sez. un., 11 maggio 1993, Ligresti, m. 193419, Cass., sez. V, 24 marzo 2021, Cataldo, m. 281106.
[9] Cass., sez. IV, 16 aprile 2004, Arcidiacono, m. 228593, Cass., sez. II, 14 marzo 2007, Mazzei, m. 236462, Cass., sez. IV, 20 novembre 2008, Talarico, m. 242494, Cass., sez. II, 9 febbraio 2010, Guerriero, m. 246806, Cass., sez. III, 3 aprile 2013, Del Bergiolo, m. 256377, Cass., sez. I, 24 settembre 2015, Catanese, m. 264815, Cass., sez. II, 12 gennaio 2016, Serafino, m. 265792; sicché la stessa applicabilità dell'art. 129 è impedita dal giudicato: Cass., sez. un., 26 mar-zo 1997, Attinà, m. 207640, Cass., sez. I, 18 gennaio 2001, Picone, m. 218217, Cass., sez. IV, 28 novembre 2018, Malventi, m. 274828, Cass., sez. I, 24 settembre 2015, Catanese, m. 264815.
[10] A. Nappi, Nuova guida al codice di procedura penale, §73.3, www.guidanappi.it.
[11] F. Cordero, Procedura penale, III ed., Giuffrè, 1995, p. 801.
[12] G. Spangher, Irretroattività e regime transitorio della declaratoria di improcedibilità (l. n. 134 del 2021), in Giustizia insieme, 22 novembre 2021.
[13] Riforma della giustizia penale: la relazione del Massimario sulla ‘legge Cartabia’, con focus sul nuovo istituto della 'improcedibilità', in Sistema penale 16 novembre 2021.
[14] Cass., sez. II, 27 settembre 2017, Bouazdia, m. 271201.
[15] A. Nappi, Nuova guida al codice di procedura penale, sub art. 344 bis, www.guidanappi.it.
Il presente contributo costituisce anticipazione del numero 4/2021 di Questione Giustizia trimestrale, di prossima uscita, dedicato alla riforma della giustizia penale.