Magistratura democratica
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Chi vuole cambiare la Giustizia e perché

di Carlo Sorgi
già magistrato

Il nazionalismo è una ideologia che ha sempre avuto bisogno, per accendere gli animi e conquistare consensi e seguaci, di un nemico esterno. Il sovranismo è un neologismo entrato di recente nel lessico del dibattito politico. Come il nazionalismo ha bisogno di un nemico per meglio mobilitare i suoi accoliti e partigiani. Ma questo nemico è soprattutto interno. Anche se ispirato da fattori e forze internazionali il nemico dei sovranisti è il sistema di principi, regole e valori che hanno governato il Paese negli anni precedenti[1]. Il populismo può considerarsi il collegamento ideologico tra questi due fenomeni, in quanto entrambi, per affermarsi, hanno bisogno di un riferimento diretto ai concetti astratti di popolo e nazione[2]. «I populismi, allorquando vanno al potere, come oggi in Italia, aggiungono un’intrinseca vocazione anti-rappresentativa e anticostituzionale, proveniente da due perversioni ideologiche dell’idea di democrazia. La prima è l’identificazione dei vincitori delle elezioni con il popolo, degli eletti con gli elettori, della volontà del ceto politico con la volontà popolare, dei rappresentanti con i rappresentati. La seconda è la riduzione della democrazia all’onnipotenza della maggioranza governativa assunta quale espressione diretta della sovranità popolare, e quindi la negazione di quel tratto distintivo della democrazia costituzionale che è l’insieme dei limiti e dei vincoli sostanziali imposti dalla Costituzione alla legislazione e più in generale ai poteri politici[3]».

Seguendo il ragionamento di Antonio Scurati[4] si delinea all’orizzonte del nostro presente un pericolo per la qualità della democrazia. Una trasformazione dalla classica democrazia parlamentare liberale alla c.d. democrazia autoritaria, con alcune regole tipiche del populismo, quali appellarsi al senso di insicurezza e di paura delle persone e passare dalla paura all’odio nei confronti di chi non riconosciamo come rassicurante, i diversi sia da un punto di vista culturale che religioso che sessuale. L’odio e la paura cementano molto più di un consenso positivo, ben più difficile da raggiungere. Per le paure bastano gli slogan, che sono la semplificazione di problemi complessi e che hanno come unico scopo quello di esorcizzare la paura, non certo quello di affrontare il problema complesso. Questo avviene sia per incapacità dei politici populisti sia perché problemi complessi richiedono strategie a lungo termine, in primo luogo di analisi e di studio, incompatibili con una politica sempre più orientata al brevissimo termine, al massimo guardando alla prossima scadenza elettorale ma non certamente all’interesse delle generazioni future. Per altro troppo spesso chi oggi è all’opposizione, ma non lo è sempre stato, ha cercato di imitare modelli populisti con risposte per slogan, in particolare per il tema immigrazione e lavoro (almeno fino al 2022) rendendo il compito di disinformazione della destra particolarmente agevole. Forse in questa confusione possiamo leggere le radici di quello che è oggi l’astensionismo di massa, che oramai supera il 50% dell’elettorato ed in particolare la mancanza di prospettive spiega un distacco generalizzato delle giovani generazioni dall’impegno politico.

Un’ottica quella populista miope, esattamente l’opposto dei nostri padri costituenti. Basti pensare ai temi dell’ambiente e della istruzione, che più necessitano di uno sguardo all’orizzonte piuttosto che al presente con la mentalità del mordi e fuggi. Esemplificative le attuali politiche di Trump negazioniste e contro il Green Deal. Il neo presidente degli Usa sta facendo dell’attacco alle misure del Green Deal il perno della sua idea di rafforzamento dello sviluppo degli Usa ed anche in Europa si respira la stessa aria. Assistiamo dunque ad una brutale semplificazione della complessità della vita moderna.

E’ di tutta evidenza che il nemico della nuova destra per tutto l’occidente sia rappresentato dai migranti, fondamentalmente latinos per gli Usa e africani e asiatici per l’Europa, sempre più dipinti come feccia dell’umanità che tentano di praticare la sostituzione etnica (il ministro Lollobrigida lo ha detto esplicitamente) e soppiantare la nostra cultura e la nostra religione. Una riflessione anche solo superficiale sulle tematiche dell’inverno demografico basterebbe per capire che i migranti non sono il problema ma la soluzione, l’unica, al declino dell’occidente. Oggi un italiano su quattro ha almeno 65 anni, fra vent’anni sarà uno su tre. Bassa natalità e invecchiamento della popolazione ci spingono verso un drastico declino, non solo economico.

Ma un nemico serve e non può che essere l’ultimo, il più fragile in termini di difesa e di diritti perché il più facile da aggredire e calpestare. E tutti quelli che si oppongono alla sopraffazione in nome dello stato di diritto, dei valori delle Costituzioni occidentali nate dalla rivoluzione francese (liberté, égalité, fraternité) sono pericoli per il nuovo sistema, sono amici dei nostri nemici e quindi nemici. «Il principio della divisione dei poteri è all’origine del costituzionalismo moderno. “Perché non si possa abusare del potere, bisogna che, per la disposizione delle cose, il potere freni il potere”, tuonò Montesquieu. Senza separazione dei poteri a garanzia dei diritti nessuna società ha una costituzione, sancì la dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789[5]». Ma l’attuale maggioranza a Montesquieu preferisce Tolkien.

I magistrati, la Corte Costituzionale, la Corte Europea di Giustizia (recentemente così si è espresso il nostro Ministro degli Esteri Tajani: «La Corte di giustizia dell'Aia non è il verbo, non è la bocca della verità») sono tutti ostacoli per arginare l’invasione e persino un torturatore conclamato come Almasri deve essere liberato e riportato in patria per poter continuare a svolgere il suo ruolo di argine e di controllo, a qualsiasi costo.

In questo senso si spiega il livore e l’accanimento nei confronti della magistratura perché il rispetto delle regole viene visto come sovversivo in un contesto in cui l’unico giudice possibile per l’ottica populista è quello che agisce nell’interesse della maggioranza. «Troppo spesso, nella teoria e nella prassi del populismo si sostiene la primazia assoluta ed indiscutibile della volontà del popolo, interpretata dai capi, non temperata da diritti e libertà individuali e destinata a non subire impacci o limiti che non siano letti e condannati come il frutto di resistenze di privilegiati, di manovre antipopolari, di macchinazioni e di complotti. In questa impostazione c’è evidentemente un pericolo grande per il libero ed imparziale esercizio della giurisdizione e per tutti coloro che, con diversi ruoli, operano nel giudiziario[6]».

Per questi motivi la riforma della giustizia (che non è riforma della giustizia perché nessuna volontà di migliorare il sistema è insita nel progetto neppure come aspirazione) non può che essere letta come volontà di ridurre gli spazi di autonomia della magistratura. Dopo aver ridotto gli spazi di libertà dell’informazione ed eliminato una serie di reati tipici degli amministratori infedeli, inserendo nel contempo una miriade di nuovi reati per riempire le carceri di meno garantiti, di chi si oppone, di chi manifesta (vedi su questa linea il DDL sicurezza) con la modifica costituzionale della magistratura si vuole stravolgere l’assetto costituzionale relativo alla giustizia. La proposta tocca sia la composizione del Consiglio Superiore della Magistratura, la sua sezione disciplinare con l’istituzione dell’Alta corte disciplinare, e la figura del pubblico ministero che separato dai giudici[7] si troverà inevitabilmente attratto nell’orbita dell’esecutivo, se non altro per il rapporto essenziale con la Polizia Giudiziaria, perdendo quella cultura della giurisdizione patrimonio comune della magistratura che dovrebbe essere condiviso anche con l’avvocatura. Inoltre la separazione inciderà anche sull’obbligatorietà dell’azione penale in quanto, essendo già state previste con la riforma Cartabia normative per indicare i criteri di priorità dell’azione penale «uno dei provvedimenti in cima ai pensieri del governo sarà quello di indicare tali criteri di priorità, che verranno stabiliti sulla base di una valutazione politica» stando a quanto chiarito dal ministro Carlo Nordio nel corso del question time del 5 dicembre 2024 sul tema specifico[8].

Quanto poi all’altro obiettivo dichiarato dalla riforma cioè il superamento delle correnti nella magistratura (obiettivo da raggiungere con l’estrazione dei magistrati per comporre il Consiglio superiore della magistratura) facile ricordare che in effetti c’è stato un periodo in cui non c’erano correnti nella magistratura ed è durato un ventennio, nel quale i magistrati non hanno certo evidenziato particolari doti di autonomia ed indipendenza. C’è stato anche un altro fautore della corrente unica nella magistratura ed è stato Licio Gelli nel suo Piano di Rinascita Democratica, nel quale si esprimeva anche a favore della separazione delle carriere.

Una ultima annotazione sui giudici comunisti, appellativo tendenzialmente rivolto ai magistrati di Magistratura Democratica, la corrente progressista, ma poi rivolto a tutti quelli che, come il Procuratore di Roma Lo Voi, esponente della corrente conservatrice, si comportano in maniera non gradita. Questa espressione non è stata creata da Berlusconi perché Piero Calamandrei, uno dei padri della Costituzione, nell’ultima edizione (1949) del suo libro Elogio dei giudici scritto da un avvocato, ricordando la vicenda del magistrato fiorentino Aurelio Sansoni, scriveva : «Qualcuno, nei primi tempi del fascismo, lo chiamava anche il “pretore rosso”: e non era in realtà né rosso né bigio: era soltanto una coscienza tranquillamente fiera, non disposta a rinnegare la giustizia per fare la volontà degli squadristi. Era semplicemente un giudice giusto: per questo lo chiamavano “rosso”, perché sempre, tra le tante sofferenze che attendono il giudice giusto, v’è anche quella di sentirsi accusare, quando non è disposto a seguire una fazione, di essere al servizio della fazione contraria». Calamandrei in effetti pensava in sede di Assemblea Costituente a due ruoli, del PM e dei Giudici, ma entrambi entro un preciso, e forte, contesto di “unicità della giurisdizione” che ricomprendeva anche la giustizia amministrativa - Corte dei Conti e Consiglio di Stato. Un unico Consiglio Superiore della Magistratura, composto solo ed esclusivamente da magistrati, che aveva piena competenza su tutti gli atti amministrativi relativi allo stato giuridico degli appartenenti all’ordine giudiziario, all’esercizio della giurisdizione disciplinare e alla deliberazione delle spese per il finanziamento della giustizia.

La riforma costituzionale della giustizia oggi in discussione alle Camere necessiterà di un referendum confermativo per poter entrare in vigore (art. 138 Cost.) se non otterrà la maggioranza qualificata del due terzi del parlamento. 

A differenza del referendum sull’autonomia differenziata, per altro recentemente non ammesso dalla sentenza della Corte Costituzionale n.10/2025, non servirà la fase della raccolta firme perché, essendo la riforma sulla giustizia una riforma costituzionale, sarà la maggioranza a proporre il referendum confermativo. Altra differenza fondamentale è che in questo caso non servirà raggiungere il quorum perché, a differenza del referendum abrogativo, basterà ottenere un voto in più per far prevalere il si o il no. 

Queste due differenze per altro sono entrambe negative per chi è contrario alla riforma della giustizia. La mobilitazione per la raccolta delle firme per contrastare la legge sull’autonomia differenziata è stato un grande momento di sensibilizzazione, partito da lontano con un impegno di incontri e formazione sul tema, con un risultato che ha sorpreso persino i promotori (oltre un milione e duecentomila firme raccolte sostanzialmente in un solo mese estivo). Inoltre la mancanza del quorum non consentirà di fare calcoli sull’astensionismo, che in questo caso funzionerebbe a parti invertite rispetto al tema dell’autonomia differenziata e gioverebbe, trattandosi di referendum confermativo, a chi non vuole la conferma della riforma sulla giustizia.

Se si dovesse fare oggi il referendum sulla giustizia credo che vincerebbe chi vuole separare le carriere ma solo perché sono in pochi a comprendere le conseguenze pesantissime per la democrazia del nostro paese. 

Secondo chi prospetta la riforma «la democrazia consisterebbe unicamente nel potere della maggioranza uscita vincente dalle elezioni: un potere che si vuole accreditato come espressione della volontà popolare e che perciò non tollera né limiti, né vincoli, né controlli. Di qui le riforme dell’ordinamento giudiziario realizzate o tentate: in Turchia, in Ungheria, in Israele, in Messico, in Italia»[9].

L’esperienza in tema di autonomia differenziata deve spingere tutti quelli che hanno a cuore l’attuale assetto costituzionale ad iniziare da subito un intenso lavoro di incontri e formazione sul tema della giustizia per impedire che la macchina della disinformazione (l’esempio della liberazione del carnefice libico è recentissimo) porti ad aumentare il livore nei confronti dei magistrati trasformando il referendum in una lezione da dare ai giudici.

Ecco il motivo per cui dobbiamo impegnarci da ora per informarci ed informare su un tema tanto importante per tutti.

Ricordiamo il monito del Procuratore di Milano Saverio Borrelli in un’altra stagione di attacco alle prerogative di indipendenza ed autonomia della magistratura: «Resistere, resistere, resistere!». 

Salviamo la Costituzione ed il suo spirito.


 
[1] S. Romano, Nazionalismo e sovranismo: ecco perché non sono sinonimi, in Corriere della Sera, 11 maggio 2019.

[2] R. Travia (a cura di), Il populismo come anomalia di sistema, in Ratio Juris, 1 giugno 2021.

[3] L. Ferrajoli, L’alleanza perversa tra Sovranismi e Liberismo, in Costituzionalismo, 2019, fasc. 1.

[4] Fascismo e populismo, Bompiani, 2023, pag. 31.

[5] G. Azzariti, Dove ci porta un potere fuori controllo, in Il Manifesto, 5 febbraio 2025.

[6] N. Rossi, Giudici, popolo e populismi, in Questione giustizia, 1/2019.

[7] Peraltro negli ultimi 18 anni si sono registrati, in media, 45 passaggi di funzione all’anno, pari ad una percentuale media dello 0,53% rispetto all’organico mediamente in servizio, vedi Parere sul disegno di legge costituzionale recante: ‘Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare’, CSM, pag. 12.

[8] Giustizia news on line, quotidiano del Ministero della Giustizia, 5 dicembre 2024.

[9] L. Ferrajoli, Poteri selvaggi e resistenza costituzionale, in Il Manifesto 11 febbraio 2025.

25/02/2025
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