Magistratura democratica
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Fuori dalla legittima difesa

di Massimo Michelozzi
sostituto procuratore della Repubblica, Tribunale di Venezia
La nuova riforma della legittima difesa ha l’obiettivo di arrivare alla libertà di autotutela in ambito domiciliare e alla “garanzia” di non essere sottoposti a giudizio ma solo a indagini preliminari dall’esito scontato. Subordinando il diritto alla vita alla tutela incondizionata del domicilio, sovverte la gerarchia dei valori tutelati dalla Costituzione e dalla Cedu e produce rilevanti rischi sociali

Questione Giustizia on-line pubblica alcune delle relazioni tenute al convegno organizzato a Venezia il 5 ottobre 2018 da Magistratura democratica, Associazione nazionale giuristi democratici e Ordine dei giornalisti del Veneto Dalla legittima difesa all'offesa legittimata? Ragioni a confronto sulle proposte di modifica all'art. 52 cp. Il disegno di legge unificato (nn. 5, 199, 234, 253, 392, 412, 563, 652) recante Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa è stato approvato al Senato e sarà in discussione a breve alla Camera. Il nucleo del disegno di legge è costituito dalla modifica della disciplina della legittima difesa e in particolare degli articoli 52 e 55 del codice penale. Una modifica che sembra, in prospettiva storica, tanto regressiva quanto ondivaga, e produce il rischio giuridico di un’ulteriore distonia – dopo l’intervento del 2006 – della disciplina della legittima difesa rispetto al punto di equilibrio che il legislatore del 1930 aveva raggiunto e una corposa giurisprudenza ha provveduto a definire in concreto in questi decenni; e il rischio sociale di far ritenere accettato qualsiasi uso della violenza, contraddicendo la gerarchia dei valori costituzionali. Si coglie, poi, nel sinora scarno dibattito parlamentare, un altro dichiarato obiettivo, quello di marginalizzare l’attività giurisdizionale, prefigurando indagini ad esito obbligato a favore di chi attui una privata difesa. Uno sguardo non ridotto alla contingenza di norme-manifesto mostra come gli effetti di queste linee di riforma possa risultare in definitiva quelli di una perdita di sicurezza della società, privata in parte qua del presidio della garanzia pubblica della tutela della sicurezza e della funzione che nel medesimo ambito svolge l’ordinamento giuridico.

 

1. Una nuova riforma della legittima difesa. Come vi si è giunti: un iter veloce con poco dibattito intorno

Lo scorso 24 ottobre il Senato della Repubblica, a maggioranza [1], ha approvato il disegno di legge recante Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa.

Il nucleo forte è costituito da un nuovo incisivo intervento nella disciplina della legittima difesa che segue, a dodici anni di distanza, quello operato con la legge 13 febbraio 2006, n. 59 che introdusse la cd. “legittima difesa domiciliare”.

Se ne riporta, in sintesi, il contenuto e, di seguito, il testo degli articoli 52 e 55 del codice penale quale risulterebbe ove il disegno di legge fosse approvato nello stesso testo dalla Camera dei deputati (le modifiche apportate dal ddl sono scritte in corsivo).

L’articolo 1 modifica l’art. 52 cp ai commi 2 e 3 ed aggiungendovi un quarto comma; l’articolo 2 modifica l’art. 55 cp mediante l’aggiunta di un secondo comma; l’articolo 3 modifica l’articolo 165 cp mediante l’aggiunta di un sesto comma che prevede che la sospensione condizionale della pena per il reato di cui all’articolo 624-bis cp sia sempre subordinata al pagamento integrale dell’importo dovuto per il risarcimento del danno alla persona offesa; gli articoli 4, 5 e 6 modificano, rispettivamente, gli articoli 614 cp, 624-bis cp, 628 cp prevedendo l’aumento dei minimi e massimi edittali delle pene dei primi due e l’aumento dei minimi edittali delle pene detentive e dei minimi e massimi edittali delle pene pecuniarie del terzo; l’articolo 7 modifica l’articolo 2044 del codice civile prevedendo, per i casi di difesa domiciliare, rispettivamente, nei casi di esclusione della punibilità ex art. 52 commi 2, 3, 4 cp, l’esclusione della responsabilità di chi ha commesso il fatto e, nei casi di esclusione della punibilità ex art. 55 comma 2 cp, una indennità per il danneggiato la cui misura è rimessa all’equo apprezzamento del giudice, basato, anche, sui criteri della gravità, delle modalità realizzative e del contributo causale della condotta posta in essere dal danneggiato; l’articolo 8 modifica il dPR 115/2001 (Disposizioni in materia di spese di giustizia) prevedendo, con l’introduzione dell’articolo 115-bis, per le ipotesi di difesa domiciliare, nei casi di archiviazione, sentenza di non luogo a procedere o proscioglimento ex art. 52 commi 2, 3, 4 cp o ex art. 55 comma 2 cp, l’applicazione della normativa sul gratuito patrocinio a spese dello Stato con liquidazione nella misura e con le modalità previste dagli articoli 82 e 83 del citato dPR dell’onorario e delle spese spettanti al difensore, all’ausiliario del magistrato ed al consulente tecnico di parte della persona nei cui confronti sono stati emessi i provvedimenti citati; l’articolo 9 modifica l’articolo 132-bis delle norme di attuazione del codice di procedura penale prevedendo, nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi, l’assicurazione della priorità assoluta anche ai processi per lesioni colpose ed omicidio colposo verificatisi nei casi di difesa domiciliare.

Art. 52 cp (Difesa legittima)

Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.

Nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma, sussiste sempre il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:

a)   la propria o la altrui incolumità;

b)  i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.

Le disposizioni di cui al secondo e al quarto comma si applicano anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale.

Nei casi di cui al secondo e al terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere con violenza o minaccia di uso di armi o di altri atti mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone.

Art. 55 cp (Eccesso colposo)

Quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53 e 54, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.

Nei casi di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell’articolo 52, la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all’articolo 61, primo comma, n. 5, ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto.

Come si è arrivati a quello che, a prima vista, appare come uno stravolgimento della disciplina della legittima difesa, in sé, nel sistema delle scriminanti, e nel sistema penale in generale?

Due dati colpiscono subito: la limitatezza del dibattito che, nel Paese, tra le forze politiche e fra gli stessi giuristi, ha fin qui accompagnato l’iter legislativo, e la celerità di quest’ultimo.

Il primo dato risulta ancor più evidente se lo si paragoni alla ricchezza ed ai contenuti polemici che caratterizzarono il dibattito che accompagnò e seguì l’approvazione del primo “strappo” alla disciplina della legittima difesa contenuta nel codice del 1930.

Quello che, con la citata legge n. 59 del 2006, modificò l’art. 52 cp introducendo la cd. “legittima difesa domiciliare” e diversificandone la disciplina rispetto alla legittima difesa comune con la previsione, nelle ipotesi delineate dai nuovi commi 2 e 3, di una presunzione di proporzionalità tra difesa e offesa.

Le critiche, al disegno di legge prima, alla legge ed al “nuovo” art. 52 cp poi, furono diffuse ed assai aspre [2].

Va ricordato, peraltro, che il dibattito e le polemiche si acquietarono in seguito alle applicazioni giurisprudenziali del nuovo istituto che sostanzialmente confermarono, a fronte delle preoccupazioni manifestate relativamente alle conseguenze della riforma, il limitato impatto innovativo della stessa.

La riforma, infatti, come precisato dalla giurisprudenza, aveva inciso sul solo requisito della proporzione tra offesa e difesa, mentre anche nella nuova fattispecie di legittima difesa restavano “fermi” i presupposti, previsti dal primo comma dell’art 52 cp, dell’attualità dell’offesa e dell’inevitabilità dell’uso delle armi come mezzo di difesa [3].

E proprio la rigorosa applicazione del requisito della necessità-inevitabilità della concreta reazione difensiva con uso delle armi, non sostituibile con altra meno dannosa, ugualmente idonea alla tutela del diritto aggredito, risultò sufficiente a contenere gli effetti della riforma ed a far sì che non si aprissero le porte ad un’indiscriminata reazione nei confronti del soggetto che si introduca fraudolentemente nell’altrui domicilio abitativo o professionale.

Probabilmente, alla luce della “evoluzione” che ha portato alla attuale ulteriore riforma della legittima difesa, tale acquietamento dei politici (che mai si proposero di abrogare la legge del 2006, né di ciò furono richiesti) e dei giuristi non considerò a sufficienza che la riforma del 2006, per quanto, nei fatti, poco “efficace”, costituiva una breccia nel sistema dei requisisti e limiti della scriminante, proprio rispetto a quello − la proporzione − più carico di connotazioni valoriali, prima ancora che strettamente giuridiche, ed unanimemente ritenuto imprescindibile ai fini del riconoscimento di legittimità della difesa [4].

Breccia da cui sarebbero poi passate ideologie ben più aggressive e spregiudicate che avrebbero portato all’esito del 24 ottobre.

Tornando all’attualità, ben poche reazioni hanno, invece, suscitato, dapprima, il proposito del governo, espresso nel “contratto per il governo del cambiamento” in termini tanto espliciti (facendo proprio lo slogan politico della “difesa sempre legittima”) quanto giuridicamente vaghi (citandosi uno sconosciuto “principio dell’inviolabilità della proprietà privata”), di por mano ad una riforma della legittima difesa domiciliare in senso ampliativo [5], quindi la presentazione delle proposte di legge in materia, e, infine, la stessa approvazione della riforma in Senato.

Scarse le prese di posizione delle forme associative di avvocati, di magistrati, di docenti universitari [6].

Sparute le iniziative convegnistiche [7].

Assente la mobilitazione politica sul tema.

Altrettanto significativa la rapidità dell’iter legislativo svoltosi al Senato, di cui può ragionevolmente presumersi analoga prosecuzione nell’altro ramo del Parlamento attesa la conclamata determinazione delle forze politiche di maggioranza di “portare a casa” queste ennesime “norme manifesto” ben prima della scadenza delle elezioni del Parlamento europeo, ove capitalizzarne il consenso popolare.

Presentate pressoché simultaneamente alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica, a partire dal 23 marzo, le diverse proposte di legge in materia di riforma della legittima difesa e comunque connesse alla tutela del domicilio su iniziativa di membri del gruppo “Lega-Salvini premier-Partito Sardo d’Azione” e dei gruppi “Forza Italia-Berlusconi Presidente e Fratelli d’Italia”, è al Senato che si è incardinato l’iter legislativo.

In tale ramo del Parlamento, infatti, in base all’art. 74 del Regolamento, che disciplina la presentazione, l’esame e la discussione dei disegni di legge di iniziativa popolare, doveva essere tempestivamente assegnato alla competente Commissione il ddl n. 5 di iniziativa popolare recante: Misure urgenti per la massima tutela del domicilio e per la difesa legittima, già presentato nella precedente legislatura, per esservi esaminato nel termine di tre mesi.

Assegnato alla Commissione giustizia il 21 giugno, la trattazione iniziava nella seduta del 18 luglio e proseguiva, congiunta a quella dei sette disegni di legge (199, 234, 253, 392, 412, 563, 652) in analoga materia presentati da senatori dei gruppi citati, in diciassette ulteriori sedute per terminare il 18 ottobre, dopo che, il 3 ottobre, era stato licenziato un testo unificato che recepiva alcuni dei contenuti degli otto disegni di legge.

L’Assemblea discuteva e, dopo avere respinto tutti gli emendamenti presentati, approvava lo stesso testo nell’unica seduta del 24 ottobre.

I resoconti delle sedute ci danno la misura del tempo che il Senato ha dedicato alla delicatissima materia: in Commissione non più di ventuno ore, gran parte delle quali dedicate alle audizioni, meno di sette ore in Assemblea.

2. L’obiettivo perseguito. Nel solco della legge 59 del 2006 ma (ben) oltre: libertà di autotutela, garanzia dal controllo giudiziario

Passando alle motivazioni sottese alle norme approvate, con specifico riguardo a quelle che modificano la disciplina codicistica della legittima difesa, cosa si evince dalle relazioni accompagnatorie degli originari disegni di legge e dal dibattito parlamentare?

Vano sarebbe trovarvi un approccio che faccia riferimento a principi giuridici e con essi si confronti.

Non facile nemmeno la ricerca di un coerente disegno di politica criminale.

Analizzando, però, le relazioni e le dichiarazioni degli appartenenti ai gruppi che hanno proposto, o, comunque, approvato le nuove norme, nelle sedute di Commissione e di Assemblea [8], è possibile ricostruire il pensiero di fondo che sta alla base della riforma al di là dell’ormai noto slogan della “difesa sempre legittima” [9], ripetuto ben ventidue volte dai senatori intervenuti.

Non prenderemo, qui, in considerazione, attenendo precipuamente all’ambito politico ed alla dimensione propagandistica, le motivazioni emozionali e promozionali (quali: “lo dobbiamo alle vittime delle aggressioni”, “dobbiamo rispondere al bisogno di sicurezza”, “ce lo chiede la stragrande maggioranza dei cittadini”, “dobbiamo onorare il mandato elettorale e realizzare il programma di Governo”) che pure troviamo abbondantemente espresse nelle dichiarazioni dei senatori [10].

Innanzitutto, chiara emerge la volontà di portare a compimento il disegno di ampliamento del cd. diritto di autotutela nel privato domicilio perseguito dalle forze di centro-destra con la legge n. 59 del 2006.

Legge di cui, vuoi per la stessa formulazione, vuoi, soprattutto, per l’interpretazione fattane dalla giurisprudenza, si è rilevata la “inefficacia” e l’”insufficienza” a garantire appieno una possibilità di difesa da aggressioni più ampia di quella prevista in via generale dal primo comma dell’art. 52 cp [11].

E qui, alla luce del parametro di tale analisi, appare subito evidente il reale obiettivo perseguito dal legislatore.

Secondo i fautori della nuova normativa, infatti, la riforma del 2006 ha fallito, non già e non tanto nell’avere portato ad esiti giudiziari non condivisibili, ma nel non avere “evitato” la sottoposizione a giudizio chi si è difeso, con ciò stesso causandogli sofferenze ulteriori [12].

È stato, quindi, chiarito che la disciplina della legittima difesa domiciliare non deve solo ampliare la possibilità di autotutela dell’aggredito: lo deve “garantire” in sede giudiziaria mettendo fine una volta per tutte a «quei calvari giudiziari che le vittime hanno dovuto subire» per il fatto stesso di essere «andate a processo» [13].

Ecco, allora, chiarito il reale obiettivo del legislatore.

Obiettivo duplice, sostanziale e processuale: piena libertà di autotutela in ambito domiciliare, al di là dei limiti e requisiti posti dal primo e dal secondo comma dell’art. 52 cp, piena garanzia di non essere sottoposto a giudizio ma soltanto ad indagini preliminari ad esito scontato [14].

Rilevato come l’ostacolo da abbattere per raggiungere l’obiettivo sia la discrezionalità residuata ai giudici anche a seguito della riforma del 2006, il corretto modo per ampliare “efficacemente” la legittima difesa è stato individuato nella formulazione di una norma che, mediante la presunzione assoluta di legittima difesa, comporti il definitivo “superamento” della discrezionalità del giudice nella valutazione della reazione difensiva [15].

Pur negandosi la volontà di eliminare il controllo giudiziario, sono stati ben chiariti i confini entro i quali esso dovrà svolgersi e l’oggetto oltre il quale non potrà spingersi: la fase delle indagini preliminari in cui verificare l’intrusione (effettuata con le modalità di cui al nuovo quarto comma dell’art. 52 cp) nel domicilio abitativo o professionale.

Lì il giudice si dovrà fermare senza poter valutare alcunché delle circostanze e modalità delle condotte rispettive di chi si sia introdotto e di chi abbia agito per respingere l’intrusione.

E, di conseguenza, non potrà che disporre l’archiviazione del procedimento [16].

3. Un fondamento molto “ideologico” per effetti molto “materiali”: questo processo non s’ha da fare, questo risarcimento non s’ha da dare

Evidentissima, al fondo dell’opzione normativa, una forte base “ideologica”.

Innanzitutto, una attribuzione del carattere di “sacralità” al domicilio: premessa, non espressa né nelle relazioni ai disegni di legge né negli interventi in Senato, ma implicita nella assolutizzazione del diritto a “respingere” in qualsiasi modo le intrusioni nel domicilio abitativo o professionale.

Solo un diritto ontologicamente “assoluto”, in questo senso consentirebbe un altrettanto “assoluto” (nel senso etimologico di “sciolto da qualsiasi limite”) diritto di autotutela (un vago sintomo di tale concezione può essere considerato il sopracitato passaggio del “contratto per il governo del cambiamento” che evoca lo sconosciuto “principio dell’inviolabilità della proprietà privata”).

Non può, al riguardo, non riconoscersi un’eco della Castle doctrine che, nel diritto anglosassone, equiparando l’abitazione al castello ed al re il proprietario, riconosce a quest’ultimo il diritto di far fuoco su chiunque faccia ingresso nell’abitazione senza invito, se ciò appare come difesa ragionevole [17].

Quindi, una rivisitazione in senso iperliberale e “privatistica” della teoria del “contratto sociale”.

«Nella prospettiva liberale (…) lo Stato nasce (…) da un pactum unionis e da un pactum subiectionis dei cittadini, che accettano di limitare la propria libertà, in cambio della tutela dei propri diritti inalienabili (la vita, la libertà, la proprietà). Questa devoluzione, tuttavia, non è incondizionata e irreversibile (…): ove lo Stato sia inadempiente rispetto agli obblighi assunti in via pattizia, il cittadino vede riespandersi le proprie prerogative e riacquista il diritto di autotutelare la propria sfera personale, nella misura a ciò necessaria» [18].

Qui il ragionamento passa attraverso la qualificazione del mancato intervento difensivo pubblico in termini di «inadempimento contrattuale» con corrispettivo riespandersi di un primigenio diritto assoluto di autotutela del privato e correlativa perdita da parte dello Stato del diritto di chiedere in alcun modo conto della modalità dell’esercizio di tale diritto [19].

In pratica, lo Stato “rimedia” alla sua “inadempienza” riconoscendo al privato piena ed insindacabile libertà di tutelarsi come meglio crede.

Al contrario, se, come finora accaduto, lo Stato sottopone a giudizio colui che si è difeso, anche per riconoscerne l’innocenza per avere agito per legittima difesa, assume le vesti di «nemico del cittadino» [20], «diventa criminale nel momento in cui persegue chi in casa propria si difende» [21], gli fa subire «la beffa (…) di finire sotto processo» [22], «dopo l’aggressione subita dal delinquente (…) anche l’aggressione dello Stato» [23], lo fa diventare «vittima due volte» («vittima di un crimine» e «anche vittima dello Stato» [24].

E, ancora una volta con un passo indietro di almeno 130 anni, una riesumazione dell’ottocentesca dicotomia “uomo onesto”-“uomo delinquente” che, nel caso paradigmatico della legittima difesa, comporta che, mentre l’aggredito – uomo onesto (o “perbene”) sia titolare di illimitato diritto di autotutela, l’aggressore – uomo delinquente sia privo di ogni diritto, sia personale (alla vita ed all’incolumità fisica), sia patrimoniale (al risarcimento del danno ingiusto da eccesso doloso o colposo di legittima difesa) [25].

Il disconoscimento di qualsiasi diritto all’aggressore porta con sé, implicitamente, il superamento della logica del bilanciamento di interessi in conflitto, che sottintende alle scriminanti ed in particolare anche alla legittima difesa.

Se l’aggressore non ha alcun diritto non ha senso parlare di bilanciamento dell’interesse suo (pur subvalente) con quello dell’aggredito (prevalente) e, perciò, porsi problemi di proporzionalità tra offesa e difesa che, infatti, si vuole estromettere definitivamente dalla disciplina della legittima difesa domiciliare.

Infine, come diretta conseguenza della scelta politica che pone sempre e comunque «al centro i cittadini perbene» [26], il pedissequo “schieramento” dello Stato, senza mediazioni né bilanciamenti, “senza se e senza ma” (per usare un’espressione frequentemente usata nel dibattito politico), «dalla parte dell’aggredito» [27].

Cioè, la scelta politica che diviene norma giuridica senza alcun bilanciamento: lo Stato, non più solo il politico, che “sta dalla parte” delle “vittime” qualunque siano state le circostanze e la loro condotta.

4. Una scriminante per una politica criminale?

Ci si potrebbe chiedere se, al di là dell’obiettivo perseguito e del fondamento “ideologico”, la piena libertà di autotutela risponda (anche) ad un consapevole disegno di politica criminale.

Analizzando le relazioni accompagnatorie degli originari disegni di legge ed il dibattito svoltosi in Senato non sembrerebbe.

Nella relazione al ddl n. 5 ed in due interventi, però, si trovano accenni a questo (inquietante) aspetto della riforma riconoscendovi una funzionalità nel senso della “prevenzione generale” (o “deterrenza”) e della “prevenzione speciale”.

In quest’ottica, il netto ampliamento delle possibilità riconosciute dall’ordinamento di reazione del privato rispetto alle intrusioni nel proprio domicilio, anche con atti di lesività estrema nei confronti dell’intrusore, e senza alcuna conseguenza punitiva o risarcitoria, fungerebbe da contromotivo al motivo criminoso.

Per la generalità dei consociati, distogliendoli dal commettere intrusioni in considerazione del rischio di subire, per mezzo della reazione dell’aggredito, un danno potenzialmente molto superiore, ove non anche irreparabile.

Per il singolo che intendesse introdursi nel domicilio altrui, mediante l’ostacolo alla realizzazione del suo proposito antigiuridico costituito dalla reazione stessa.

Contromotivo, per la sua immediatezza e potenziale letalità, ben più efficace della minaccia di una pena, anche elevata, ma, comunque, necessariamente eventuale e differita nel tempo [28].

5. Una nuova disciplina per una nuova causa di giustificazione: una lettura critica

Ci si deve, a questo punto, chiedere se l’obiettivo perseguito, di sostanziale ampliamento del diritto di autotutela nel domicilio abitativo e professionale e di sottrazione dell’esercizio dello stesso alla valutazione giudiziaria, si debba considerare raggiunto ed a quale prezzo.

Per fare questo va analizzato il testo degli articoli 52 e 55 cp come risulterebbe considerando le modifiche introdotte dal ddl approvato dal Senato.

L’articolo 52 sarebbe composto da un primo comma, che disciplina la legittima difesa “comune” dettandone requisiti e limiti, e da tre successivi commi che disciplinano il diritto di autotutela in ambito domiciliare.

Il primo di questi − relativo alla reazione posta in essere, nei casi di violazione di domicilio abitativo, da chi si trovi legittimamente in una abitazione o in un altro luogo di privata dimora o nelle appartenenze degli stessi, con un’arma legittimamente detenuta od altro mezzo idoneo, finalizzata a difendere la propria od altrui incolumità ovvero i beni propri od altrui quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione – non viene modificato se non con la precisazione che in tali casi si presume “sempre” la proporzionalità fra difesa e offesa.

Precisazione superflua in quanto la prevalente dottrina e la giurisprudenza già riconoscevano la natura assoluta e non relativa della presunzione di proporzionalità [29], e che non vale certo a superfluizzare, per la legittima difesa domiciliare, la ricorrenza degli altri presupposti (attualità del pericolo di offesa ingiusta, necessità/inevitabilità della reazione difensiva) previsti in via generale per la configurabilità della legittima difesa.

A tale fattispecie di legittima difesa domiciliare che, quindi, rimane ferma, viene ad aggiungersi, mediante il nuovo quarto comma, un’altra e diversa fattispecie, sempre relativa agli stessi luoghi (in virtù del riferimento, inserito al terzo comma − che equipara al domicilio abitativo il cd. domicilio professionale − anche a questo nuovo quarto comma).

Fattispecie che prevede le ipotesi di colui che, nei casi di violazione di domicilio (abitativo o professionale), «compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica» per dichiarare che costui «agisce sempre in stato di legittima difesa».

Una prima questione: può dirsi che tale nuova norma abbia introdotto una ulteriore ipotesi di «legittima difesa domiciliare» in cui la differenza consisterebbe nel diverso ambito di operatività della presunzione legale?

Mentre, cioè, nella prima, la presunzione riguarda il solo requisito della proporzionalità, nella seconda, questa coprirebbe tutti i presupposti e requisiti della scriminante?

Siamo, cioè, in presenza di una «presunzione assoluta di legittima difesa»?

Se le parole hanno un senso, la conclusione non può che essere negativa.

Non si dice, infatti, «si presume che agisca in stato di legittima difesa» [30], né si richiama alcuno dei presupposti e requisiti della scriminante, come ben poteva farsi, ad esempio con una formula quale «colui che compie un atto costretto dalla necessità di respingere l’intrusione (…)» [31].

Si è, al contrario, usata una formulazione della norma che formalmente cita la legittima difesa laddove, più correttamente, avrebbe dovuto linearmente affermare: «Non è punibile colui che compie un atto per respingere l’intrusione (…)».

Nonostante la collocazione nell’ambito della norma che prevede la causa di giustificazione della legittima difesa, perciò, ne siamo del tutto al di fuori.

Non di legittima difesa, nemmeno “speciale” può dunque parlarsi, ma di una nuova e diversa causa di giustificazione, di un nuovo diritto incondizionato di autotutela del domicilio abitativo e professionale dalle “intrusioni” qualificate, del tutto estraneo all’ambito della scriminante codicistica, sebbene ivi inserito.

Autotutela radicalmente diversa, non solo da quella generale prevista dal primo comma dell’art. 52 cp, ma anche da quella prevista dal secondo comma dell’art. 52 cp: autotutela “rafforzata” dell’incolumità (in sé o connessa all’aggressione ai beni) nel domicilio quest’ultima, autotutela illimitata del domicilio la nuova.

Causa di giustificazione il cui unico presupposto consiste nella intrusione qualificata, rispetto alla quale l’atto del respingimento si colloca in mero rapporto di conseguenzialità cronologica e di finalità impeditiva, del tutto irrilevanti essendone modalità ed esiti.

Diritto incondizionato, perché l’agente può non essere costretto a compiere tale atto, può non esservi la necessità, nel senso di inevitabilità, dello specifico atto commesso, e questo può essere del tutto sproporzionato rispetto all’offesa.

Sotto il primo aspetto si pensi all’ipotesi in cui il proprietario di una villa dotata di giardino e di porte blindate dell’edificio, che, accortosi tempestivamente, eventualmente su segnalazione di mezzi antiintrusione, dell’ingresso di una persona nel giardino, ben potrebbe ivi bloccarla impedendogli l’accesso all’abitazione semplicemente azionando la chiusura automatica delle porte blindate di questa, invece di fare ciò, facoltizzato dalla norma, spari senz’altro all’intruso e lo colpisca a morte.

Sotto l’aspetto della necessità, si pensi all’ipotesi in cui, in luogo di rivolgere una minaccia, eventualmente con uso di armi, all’intruso, ancora lontano dagli abitanti dell’edificio o dell’appartamento, ove non receda, ancora una volta, gli spari o, potendo mirare a parti non vitali del suo corpo, gli spari in fronte od al cuore.

Infine, con riguardo alla proporzione, si pensi all’ipotesi di chi ferisca o, addirittura, uccida il ragazzino introdottosi nel giardino per rubarvi frutta od un soggetto introdottosi nel garage per rubarvi una bicicletta.

Che queste ipotesi applicative della nuova norma siano del tutto plausibili deriva proprio dalla lettera della stessa.

Quando si parla di «atto commesso per respingere l’intrusione» è evidente che si fa riferimento ad una qualsiasi condotta idonea e diretta al risultato del respingimento, quindi anche, eventualmente, dotata della massima lesività (si potrebbe, al limite, ipotizzare una immobilizzazione dell’intruso con contestuale pestaggio a morte dello stesso!).

Quanto all’agente, l’espressione «colui che compie un atto…», rende evidente che ci si riferisce a chiunque.

Ne consegue che, a differenza dell’ipotesi di legittima difesa domiciliare di cui al secondo comma dell’art.52 cp, non solo il proprietario/locatario o il titolare del luogo di lavoro, il familiare o l’ospite o il dipendente o la guardia giurata, cioè persona ivi «legittimamente presente», ma anche un passante od un vicino di casa possono porre in essere condotte anche di spropositata lesività sol che vedano una persona introdursi nell’altrui domicilio abitativo o professionale con violenza o minaccia di uso di armi.

Né vi è nemmeno una limitazione spaziale dell’operatività della nuova scriminante: chi compie un atto per respingere un’intrusione può, non solo essere del tutto estraneo ed indifferente al domicilio violato, ma può compiere l’atto dall’esterno dello stesso e, al limite, anche da lungi, ove dotato di fucile di precisione.

Riguardo al presupposto dell’«intrusione», un primo problema si pone con riferimento ai confini stessi di tale concetto.

Parlando la norma di «intrusione posta in essere» (con violenza o minaccia…) potrebbe ipotizzarsi che la facoltà di respingerla sia limitata ai casi di intrusione consumata e non anche a quelli in cui l’intrusione sia ancora nella fase del tentativo.

Esemplificando: si potrebbe respingere il soggetto introdottosi nell’ambito domiciliare (abitazione o pertinenze) ma non anche quello che sta armeggiando per forzare la serratura del cancello o della porta.

L’interprete al riguardo non può valersi dei lavori parlamentari essendo stato respinto (in una logica, però, più che di merito, di accelerazione dei tempi dell’iter legislativo), proprio un emendamento che prevedeva l’espressione «l’intrusione, anche tentata».

Può solo osservarsi che la ratio della norma fa propendere per la ricomprensione nella stessa sia della intrusione consumata sia di quella tentata ben potendo entrambe essere “poste in essere” con violenza o minaccia di uso di armi.

Con la conseguenza, però, di un enorme ampliamento del diritto incondizionato di respingere l’intrusione, che può arrivare all’uccisione di colui che, “armato” di cacciavite, stia adoperandosi per forzare la serratura del cancello di un giardino, magari senza alcuna reale possibilità di riuscita attesa la sofisticatezza del sistema di chiusura.

Sempre riguardo alla intrusione, la vaghezza dei termini usati per “qualificarla” lascia ampio spazio alle ipotesi sopra indicate e ad altre analoghe, e rende particolarmente ampia la facoltà di respingimento prevista dalla norma.

Infatti, il termine «violenza» può ricomprende sia la violenza alle cose (nel caso: l’effrazione), sia quella alle persone.

Anche qui l’interprete non può valersi dei lavori parlamentari essendo stati respinti sia l’emendamento che espressamente ne estendeva il significato («con violenza alle persone o sulle cose»), sia quello di segno opposto che lo limitava alla «violenza alle persone».

D’altronde va rilevato come l’interpretazione in senso restrittivo di «violenza alla persona» ne comporterebbe la sovrapponibilità all’ipotesi, prevista al secondo comma lettera a) dell’art. 52 cp: quella della necessità di difendere la propria o la altrui incolumità.

Se, invece, inteso nel senso ampio, è evidente come ciò valga, ancora una volta, ad estendere enormemente la fattispecie, attesa la frequenza in fatto delle ipotesi di intrusione commessa mediante effrazione.

A sua volta, assai indeterminata appare l’espressione «minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica»: è necessaria l’ostentata detenzione di tali strumenti di offesa [ma, ancora, con il risultato della sovrapponibilità dell’ipotesi a quella di cui al secondo comma lettera a) dell’art. 52 cp], o è sufficiente una minaccia verbale? Senza contare che per “arma” potrebbe intendersi anche il cacciavite usato per l’effrazione della porta o del cancello del domicilio.

Al di là, poi, della rilevata ampiezza del diritto di respingimento riconosciuta dalla norma di cui al nuovo quarto comma dell’art. 52 cp, si pongono rilevanti problemi di coordinamento della nuova fattispecie con quella della legittima difesa domiciliare.

Come distinguere nella pratica, nelle ipotesi di persona introdottasi nel domicilio, la difesa finalizzata al mero respingimento dell’intrusione, da quella finalizzata alla difesa della propria o altrui incolumità o dei beni propri o altrui quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione?

Deve aversi riguardo al criterio temporale: se sparo al momento dell’intrusione potrò valermi della norma di cui al nuovo comma quarto; se sparo in un momento successivo, ad intrusione ormai avvenuta ed evoluta in aggressione o pericolo di aggressione all’incolumità ricadrò nella disciplina di cui al secondo comma dell’art. 52 cp?

O, invece, al criterio finalistico: se sparo al solo fine di respingere l’intrusione potrò avvalermi della nuova norma; se, invece sparo per difendere l’incolumità o i beni in presenza di pericolo per l’incolumità ricadrò nella disciplina del secondo comma dell’art. 52 cp?

E quale norma applicare se l’intrusione sia posta in essere con modalità che, in sé, mettano in pericolo l’incolumità dei presenti nel domicilio?

Non minori problemi interpretativi presenta, a sua volta, il nuovo secondo comma dell’art. 55 cp che, sempre e solo nei casi di legittima difesa domiciliare di cui al secondo comma dell’art. 52 cp e di nuova scriminante di cui al quarto comma dello stesso articolo, rende non punibile l’eccesso colposo.

Per inciso, vanno rilevate due evidenti aporie nella nuova norma.

In essa, infatti, si ipotizza, per dichiararlo non punibile, l’eccesso colposo commesso «per la salvaguardia della propria o altrui incolumità» sia nei casi di cui al secondo (e terzo) comma dell’art. 52 cp (legittima difesa domiciliare), sia in quelli di cui al quarto comma (diritto di respingimento dell’intrusione). Ma in tali ultimi casi è ontologicamente assente ogni profilo di concreto pericolo per l’incolumità, altrimenti si ricadrebbe nell’ipotesi della legittima difesa domiciliare.

Quindi in tali casi non è ipotizzabile che alcuno abbia «commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità».

Inoltre, mancando del tutto nella norma di cui al nuovo quarto comma dell’art. 52 cp alcun limite al diritto di respingimento dell’intrusione, non sarebbe neppure ipotizzabile un eccesso colposo.

Al di là di tali osservazioni, va rilevato come sia indeterminato il concetto di «stato di grave turbamento» che rende non punibile chi ha commesso il fatto trovandosi in tale condizione.

Con il conseguente ingresso nella valutazione del giudice di stati soggettivi di difficile accertamento e con concreta possibilità di disparità di esiti giudiziari.

Ma, prima ancora, la previsione della rilevanza scusante di tale stato soggettivo risulta in insanabile contrasto con il principio generale, posto dalla norma dell’articolo 90 cp, della irrilevanza degli stati emotivi o passionali ai fini della esclusione o della diminuzione della imputabilità.

Volendo, a questo punto, rispondere alla domanda sull’effettivo conseguimento della «garanzia dal giudizio» attraverso le nuove norme, sembra doversi riconoscere che il combinato disposto delle vigenti norme e di quelle introdotte con il ddl approvato in Senato sia idoneo a raggiungere il risultato voluto.

Colui che ha agito per difendere l’incolumità (o i beni in presenza di pericolo di aggressione), già tutelato ex art. 52, comma 2 cp dalla presunzione di proporzionalità tra difesa e offesa, e dalla norma generale sulla scriminante putativa (art. 59, comma 4 cp), trova ora, per i casi in cui vengano ritenuti travalicati i limiti della costrizione e/o della necessità e/o della proporzione o di errore nelle modalità, la nuova tutela di cui al secondo comma dell’art. 55 cp.

In tali casi egli dovrà solo allegare le, assai frequenti in fatto, condizioni di minorata difesa di cui all’art. 61 n. 5 cp (ad esempio, il tempo di notte con conseguente scarsa visibilità, lo stato di sonno in cui veniva sorpreso, la diversità di prestanza fisica a suo sfavore rispetto all’aggressore, etc.) o lo stato di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto (ad esempio, l’imprevedibilità e repentinità dell’aggressione, la concitazione derivatane, etc.).

Con correlativo ben arduo onere per il pubblico ministero di dimostrare la mancanza di tali condizioni e stato e conseguente esito assolutorio ex art. 530, comma 3 cpp, che prevede l’assoluzione, non solo nel caso di provata sussistenza di una causa di giustificazione, ma anche nel caso di dubbio sull’esistenza della stessa.

A colui che ha agito per respingere l’intrusione domiciliare qualificata, invece, sarà sufficiente provare l’intrusione qualificata stessa e la sua condotta come reazione alla prima, ovvero la ritenuta incolpevole sussistenza della scriminante ex art. 59 cp.

Né il pubblico ministero potrebbe contestare la mancanza di costrizione, di necessità, o di proporzione dell’atto, per essere tutti tali requisiti e limiti ormai del tutto espunti dalla nuova causa di giustificazione.

Qualora, infine, si configurasse una (come visto, difficilmente ipotizzabile) ipotesi di eccesso colposo, residuerà il medesimo descritto agevole onere di allegazione.

Tutti gli accertamenti di cui sopra, infine, sembrano agevolmente effettuabili in sede di indagini preliminari: in particolare l’accertamento della sussistenza degli elementi costituivi del diritto di respingimento dell’intrusione, risolvendosi nell’accertamento dell’avvenuta intrusione qualificata e della reazione alla stessa.

Con conseguente definizione del procedimento con archiviazione.

Obiettivo, quindi, raggiunto.

Ma, a quale prezzo?

6. Dall’ipertutela del domicilio, prezzi giuridici e rischi sociali

Come già appare dal raffronto delle vigenti norme con le nuove, il primo prezzo di quella che si può definire una ipertutela del domicilio, bene la cui lesione legittima qualunque reazione, lo paga il codice penale che vede ulteriormente manipolata una norma, quella dell’art. 52 che, nella sua originaria formulazione, era unanimemente riconosciuta di pregevole fattura.

Ora la disciplina della legittima difesa risulta gravata da una ulteriore superfetazione che, in primo luogo, come visto, rende disagevole il coordinamento tra le varie ipotesi previste.

Inoltre, presenta una paradossale “progressione invertita” di tutela dalle aggressioni in ambito domiciliare.

Infatti, la facoltà di autotutela, prevista dal nuovo quarto comma, massima in quanto svincolata da qualsiasi requisito di necessità e limite di proporzione, è posta a garanzia della stessa inviolabilità del domicilio rispetto alla mera intrusione, seppure qualificata.

Per ciò solo, “chiunque” è facoltizzato, senza alcun limite, a respingere l’intrusione, anche in assenza di alcun concreto pericolo di aggressione ad altri beni (tale non potendosi considerare, di per sé sola, l’attuazione dell’intrusione con modalità violente o con, del tutto generica, minaccia di uso di armi).

Facoltà di autotutela, quindi, ben maggiore di quella riconosciuta a chi, trovandosi legittimamente nel domicilio, veda direttamente aggrediti l’incolumità od i beni con contestuale pericolo di aggressione dell’incolumità, dovendo questi osservare i requisiti dell’attualità del pericolo e della necessità/inevitabilità della reazione difensiva.

Risultano, quindi, tutelati in proporzione inversa beni, quelli della vita e incolumità personale da un lato, e della inviolabilità del domicilio dall’altro, di ben diverso rango.

Un prezzo lo paga, poi, la complessiva disciplina della legittima difesa.

Questa si trova, ora, del tutto squilibrata in ragione, non già, di diversità di intensità del pericolo, di valore del bene minacciato, di grado di costrizione, di consistenza della necessità, ma del mero luogo ove viene posta in essere la condotta antigiuridica.

Una “territorialità” della legittima difesa (o, comunque, della autotutela) “privilegiata”, sia nella disciplina dei requisiti, che in quella dell’eccesso colposo, che non appare ragionevole se solo si pensi ad ipotesi di aggressioni incomparabilmente più gravi rispetto ad una violazione qualificata di un capannone industriale.

Perché mai, a differenza di colui che subisce un’intrusione o vi assiste, devono osservare i requisiti e limiti generali della legittima difesa (di cui all’art. 52, comma 1 cp): l’anziana che subisce in strada la rapina della pensione appena ritirata, la donna che, fuori della propria abitazione, si vede aggredire con l’acido dal proprio ex compagno, il tassista che, di notte, in luogo isolato, viene aggredito a scopo di rapina dal trasportato, il conducente di autobus che, di nuovo, di notte al capolinea, viene aggredito da balordi, colui che subisce un agguato mafioso?

E perché mai costoro non possono valersi della nuova disciplina dell’eccesso colposo?

Forse che non si trovano in condizioni di minorata difesa e/o in stato di grave turbamento?

E, un prezzo assai maggiore lo paga la complessiva disciplina delle cause di giustificazione in cui vengono interpolate una norma (il nuovo quarto comma dell’art. 52 cp) del tutto incoerente con il fondamento stesso delle scriminanti ed una eccentrica eccezione alla punibilità dell’eccesso colposo (di cui al nuovo secondo comma dell’art. 55 cp).

Eccentrica quest’ultima, in quanto rompe l’unitarietà di disciplina valevole per tutte le cause di giustificazione, e per la stessa legittima difesa comune, rendendo rilevanti ai fini della esclusione della punibilità a titolo di colpa situazioni e stati soggettivi per non altra ragione che il luogo (il domicilio) in cui avviene una aggressione all’incolumità.

Incoerente la prima, in quanto facoltizzante una condotta reattiva in sé antigiuridica in (possibile) assenza (in quanto non richiesto dalla norma) del requisito della necessità della stessa, requisito questo che, secondo autorevole dottrina, costituisce principio comune a tutte le cause di giustificazione e fondamento stesso della non punibilità [32].

In questo senso, sganciare la nuova scriminante dal requisito della necessità, significa fuoriuscire, non solo dalla legittima difesa, ma dal fondamento stesso delle scriminanti quali previste dal nostro sistema penale.

Sistema basato su bilanciamenti di interessi in particolare proprio nell’ambito delle cause di giustificazione.

Nelle ipotesi come tali configurate nel codice penale, infatti, viene normativamente risolto il conflitto di interessi, che sussiste in fatto, con i criteri dell’interesse mancante, dell’interesse equivalente, o dell’interesse prevalente.

Ove, in particolare, la prevalenza dell’interesse di chi agisce in situazione integrante causa di giustificazione su quello di chi ne subisce l’azione non è mai un “a priori” illimitato, con correlativa soccombenza incondizionata del secondo.

Ciò perché non esiste nell’ordinamento alcun diritto che possa sottrarsi al bilanciamento con altri diritti costituzionalmente tutelati.

Ecco la ragione per cui l’ordinamento condiziona la prevalenza dell’un diritto sull’altro alla sussistenza di precisi requisiti e limiti.

In particolare nella legittima difesa, ove si confrontano il diritto ingiustamente aggredito e quello inciso dalla reazione difensiva.

Diritto, quest’ultimo, che spesso coincide con l’incolumità o con la vita stessa dell’aggressore. La recessività del quale (rispetto a quello ingiustamente aggredito) non può non tenere in considerazione la precisa scelta di gerarchia di valori operata dalla Costituzione che pone al vertice la vita e la dignità della persona umana.

E, perciò, non può non essere contenuta entro un perimetro di rigorosi presupposti e limiti.

Ciò che ben aveva fatto il legislatore del 1930, pur in assenza di una Costituzione “personalista” quale l’attuale.

Tutto al contrario, la nuova norma (il nuovo quarto comma dell’art 52 cp), facendo piazza pulita dei requisiti e limiti per l’atto del respingimento dell’intrusione, pone, di fatto, in raffronto i beni del domicilio (abitativo e professionale) violato e dell’incolumità personale e della stessa vita dell’intruso. E dichiara l’incondizionata prevalenza del primo e la correlativa soccombenza del secondo, esposto, non già ad una “cogente necessità” reattiva (proporzionata), ma ad una “libera scelta” reattiva (anche non necessitata e di qualsiasi, anche spropositata, entità).

Va qui, in proposito, fatto solo cenno ai conseguenti ipotizzabili profili di incostituzionalità di una norma che, dichiarando non punibile qualsiasi atto di respingimento di una intrusione domiciliare, di fatto sancisce la liceità dell’uccisione intenzionale di chi attenti al bene domicilio (l’intruso).

Con ciò subordinando, così, alla tutela del domicilio, il diritto alla vita, che è al vertice dei diritti inviolabili quale condizione stessa per il godimento degli altri, e sovvertendo, quindi, senza il presupposto della assoluta necessità ed il limite della proporzione, la gerarchia personalistica dei valori costituzionalmente tutelati.

Viene qui in rilievo la norma dell’articolo 2 Cost., sia in sé, in quanto garantisce i diritti inviolabili dell’uomo (e, quindi, in primo luogo, il diritto alla vita), sia interpretata in relazione all’articolo 2 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu) (rilevante in virtù della soggezione del legislatore ordinario ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali posta dall’art. 117, comma 1 Cost.).

Quest’ultima norma, infatti, dichiarando protetto dalla legge il diritto di ogni persona alla vita, pone come unica eccezione la morte «determinata da un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario per difendere ogni persona da una violenza illegittima».

Non quindi l’uccisione non assolutamente necessaria, né l’uccisione per difendere beni diversi (quali la proprietà od il domicilio), né, a maggior ragione, l’uccisione per una difesa non necessitata degli stessi [33].

Anche l’art. 3 Cost. può rilevare in relazione alla irragionevolezza della equiparazione di situazioni tra loro diverse.

Infatti, dichiarando il nuovo quarto comma dell’art. 52 cp che agisce in stato di legittima difesa chi compie un atto per respingere l’intrusione qualificata, la norma equipara nella stessa disciplina scriminante le situazioni ben diverse di chi compia l’atto perché costretto dalla necessità e tenga la condotta idonea meno lesiva e proporzionata all’offesa, e di chi, invece, lo compia senza esservi costretto e tenga condotta massimamente lesiva e sproporzionata.

Vi è, ancora, un altro aspetto che paga un prezzo alla nuova disciplina, ove la si voglia leggere (ciò che qui si contesta), coerentemente alla cornice formale in cui è inserita, quale ipotesi di «legittima difesa presunta»: il “senso” stesso della scriminante, che ne viene stravolto.

Come noto, in questa sono compresenti due aspetti fondamentali che concorrono a costituirne la ratio di fondo, il senso: da un lato, l’autotutela in eccezionale deroga al principio del monopolio statale dell’uso della forza per la prevenzione forzosa di condotte aggressive, dall’altro, la realizzazione del diritto obiettivo attuata con l’autotutela stessa.

Ebbene, questi aspetti hanno precise implicazioni.

Il primo, la cogente necessità-inevitabilità della reazione difensiva in autotutela, per salvaguardare quel «rapporto di sussidiarietà estrema che da sempre (…) caratterizza il ricorso all’autotutela privata in rapporto a quella pubblica» [34].

Il secondo, l’esercizio della reazione difensiva nel rispetto dei valori che sono alla base dell’ordinamento giuridico, per potersi dire legittima (e, quindi, il rispetto della gerarchia dei valori costituzionali nella comparazione dei beni giuridici, rispettivamente, attaccato dall’azione offensiva ingiusta e leso dalla reazione difensiva) [35].

Tutto ciò assente nella nuova disciplina, che, come visto, nel combinato disposto degli articoli 52, comma 4 e 55, comma 2 cp, tende a garantire totale impunità a chi reagisce all’offesa ingiusta in ambito domiciliare, la scriminante cambia di senso, diviene altro.

Si trasforma in mera autorizzazione all’uso della forza da parte del privato in tutti i casi di violazione qualificata del domicilio, sganciata dai limiti dell’autotutela connaturali ad uno Stato di diritto e dalla gerarchia di valori imposta dalla Costituzione.

Diviene sostituzione del privato nel potere repressivo dello Stato, senza peraltro i limiti che questo incontra (potendo il primo infliggere all’autore anche una “pena di morte privata” per la sua intrusione nel domicilio).

Così asservendosi ad un disegno di politica criminale (consapevole o meno) di pura deterrenza.

Infine, un prezzo insostenibile lo paga il principio del libero convincimento del giudice, sostanzialmente azzerato da una norma (sempre il nuovo quarto comma dell’art.52 cp) che gli sottrae qualsivoglia valutazione del fatto.

Alla stregua della nuova disciplina, infatti, anche ove si accerti, nell’agire per respingere l’intrusione, radicale mancanza di necessità e/o di proporzione, e, quindi, la presunzione di legittima difesa si risolva in mera finzione, il pubblico ministero dovrebbe chiedere ed il giudice disporre l’archiviazione (ovvero, nel caso in cui il pm avesse esercitato l’azione penale, a seconda delle diverse fasi del procedimento, il giudice dovrebbe emettere sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione).

Se quelli fin qui descritti sono i prezzi che potremmo definire “giuridici” delle nuove norme, vanno ora esaminati i rischi “sociali” effetto delle stesse.

Il primo rischio, insito nella potenzialità espansiva delle nuove norme già sopra accennata, è quello di una applicazione delle stesse a casi di reazione abnorme e, quindi, di aprire la strada ad un uso arbitrario e sconsiderato della violenza, a reazioni palesemente sproporzionate e moralmente intollerabili.

Ma il rischio ancora più subdolo e devastante per la stessa convivenza civile è insito nel messaggio che le norme inevitabilmente (anche indipendentemente dalla propaganda e dalla volontà del legislatore) portano con sé: il messaggio che in casa propria, ma anche altrui, ed anche nei luoghi di lavoro, ed anche nelle pertinenze, investiti da una sorta di “licenza di uccidere”, si possa impunemente sparare a chi vi si introduce.

Con ciò favorendo la diffusione tra i cittadini di mentalità da “giustiziere”, che si fa giustizia da sé, facendo proprio il detto shoot first and ask questions later.

Con il correlato rischio di ulteriore diffusione della detenzione di armi da parte dei privati, già numericamente abbastanza rilevante [36], e che recentemente, in virtù del decreto legislativo del 10 agosto 2018 n. 104 in materia di controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi, ha visto resa meno restrittiva la disciplina in termini di numero di armi e di proiettili detenibili.

Vi è, poi, un ulteriore rischio di messaggio “diseducativo”: una volta approvate in via definitiva le nuove norme, presentate fin d’ora come traduzione legislativa dello slogan «La difesa è sempre legittima», non può che conseguirne una aspettativa della società nei confronti della magistratura nel senso della piena conformazione della giurisprudenza alla volontà del legislatore (peraltro, come visto, presentata come diretta espressione della volontà di tutto il popolo).

Con prevedibili pesanti pressioni sulla magistratura qualora operasse interpretazioni costituzionalmente orientate delle nuove norme, sollevasse questioni di costituzionalità, o, più banalmente, si ostinasse ad aprire procedimenti penali ed a fare indagini e non li chiudesse in pochi giorni con richiesta di archiviazione.

Decisamente eccessivi, in conclusione, i prezzi ed i rischi che comportano queste nuove norme, figlie di una necessità tutta e solo politica di modificare in senso ulteriormente ampliativo la disciplina della legittima difesa.

Disciplina che, con particolare riguardo all’art. 52 cp, autorevole dottrina, avvocatura e magistratura concordemente non ritengono in alcun modo bisognevole di riforma [37].

 



 

[1] Questo l’esito della votazione: approvato con 195 voti favorevoli, 52 contrari, 1 astenuto; hanno votato a favore i senatori dei gruppi: Forza Italia-Berlusconi Presidente, Fratelli d’Italia, Lega-Salvini Premier-Partito Sardo d’Azione, MoVimento 5 Stelle; contro, quelli dei gruppi: Partito Democratico, Per le Autonomie (SVP-PATT, UV), Misto-Liberi e Uguali.

[2] Si parlò, ad es., di «resa delle istituzioni alla sicurezza “fai da te”» e di «snaturamento della legittima difesa» (S. Fiore, La “cattiva novella” dell’art. 52 c.p., in Critica del diritto, 2006, 1-2-3-, p. 61, p. 66), di «rischio di aprire ad aberranti forme di legittima difesa preventiva» (E. Lo Monte, Osservazioni sulle annunciate modifiche in tema di legittima difesa e uso legittimo delle armi: ebbene sì ‘giù le mani dal codice Rocco’, in Critica del diritto, 2005, 5, p. 31), di «soluzione decisamente eversiva» in quanto «il rapporto di omologazione tra vita e beni (…) sconvolge il sistema penale (…) sconvolge un costume» (E. Fassone, citato in F. Sarno, L’evoluzione della legittima difesa, Giuffrè, 2008, pp. 86-87), di «riforme legislative in cui non si sa dove finisca l’analfabetismo giuridico e dove inizi la malafede» (dal documento I docenti di diritto e procedura penale sul ddl che modifica le norme in tema di legittima difesa).

[3] Vedi, in particolare, per una ricostruzione complessiva della legittima difesa, comune e domiciliare: Cass. Sez. I, sent. 2.5.2007 n. 16677; vds. anche: Cass. Sez. V, sent. 24.6.2008 n. 25653; Cass. Sez. IV, sent. 10.1.2014 n. 691; Cass. Sez. I, sent. 3.7.2014 n. 28802; Cass. Sez. I, sent. 7.10.2014 n. 50909; Cass. Sez. IV, sent. 16.7.2015 n. 31001; Cass. Sez. V, sent. 25.9.2017 n. 44011.

[4] «(…) la proporzionalità tra difesa ed offesa (…) costituisce il baricentro della scriminante della legittima difesa, poiché rappresenta il punto di equilibrio tra i beni in conflitto. Onde l’assenza della proporzione trasformerebbe la legittima difesa in un’offesa ingiustificata ed in una scriminante “immorale”»: così F. Mantovani, Legittima difesa comune e legittima difesa speciale, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2006, I, p. 441; a sua volta, D. Pulitanò osserva che «solo un fermo aggancio al limite etico-sociale della proporzione può salvaguardare la dignità della legittima difesa come diritto e non come violenza consentita ai buoni contro i cattivi»: D. Pulitanò, Diritto penale, Torino, 2005, p. 308; S. Fiore, La “cattiva novella” dell’art. 52 c.p., in Critica del diritto, 2006, 1-2-3, p. 58, definisce la proporzione «requisito fondante l’effetto giustificativo»; V. Militiello riconosce nel giudizio di proporzione «la fondamentale funzione di criterio di giustizia (…) nel conflitto intersoggettivo fra chi minaccia un’offesa ingiusta e chi si difende»: V. Militiello, La proporzione nella nuova legittima difesa: morte o trasfigurazione?, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2006, II.

[5] Al punto 12 del programma si legge: (…) «Area penale, procedura penale e difesa sempre legittima. In considerazione del principio dell’inviolabilità della proprietà privata, si prevede la riforma ed estensione della legittima difesa domiciliare, eliminando gli elementi di incertezza interpretativa (con riferimento in particolare alla valutazione della proporzionalità tra difesa e offesa) che pregiudicano la piena tutela della persona che ha subito un’intrusione nella propria abitazione e nel proprio luogo di lavoro».

[6] L’Unione camere penali italiane il 18 maggio, nel documento La giustizia penale in un vicolo cieco, sul tema, osservava: «(…) pericolosa e demagogica la proposta di riforma dell’istituto della legittima difesa, operata attraverso la formulazione di una presunzione assoluta di proporzionalità della reazione violenta nei casi di violazione di domicilio. Una inaccettabile “licenza di uccidere” che dovrebbe peraltro essere realizzata al fine di evitare l’intervento del Giudice ed il controllo da parte della stessa autorità giudiziaria».

Il gruppo dei magistrati progressisti Area democratica per la giustizia nel documento emesso l’11 giugno «Il “contratto” di governo in materia di giustizia: preoccupazioni, perplessità e speranze», relativamente alla riforma della legittima difesa affermava: «Rendere la difesa sempre legittima rischia di introdurre forme di giustizia privata al là di ogni proporzionalità e ragionevolezza».

Il 24 luglio l’Associazione italiana dei professori di diritto penale diffondeva un comunicato nel quale, sul tema, affermava: «La riforma della legittima difesa deve essere conforme ai principi costituzionali e sovranazionali e non può ingannare i cittadini. Nessuna riforma potrà impedire indagini e processi, che si svolgono anche quando si uccide il cane del vicino. L’Associazione italiana dei professori di diritto penale esprime profonda preoccupazione per le iniziative parlamentari in corso sulla legittima difesa e per i messaggi ingannevoli che sul tema si stanno diffondendo nell’opinione pubblica».

[7] Tra le iniziative di maggior rilievo si possono citare il convegno tenutosi il 16 luglio a Gardone Val Trompia presso la sala conferenze della fabbrica d’armi Beretta (Il diritto di difesa e la sua legittimità nell’uso e non abuso delle armi) su iniziativa di Assoarmieri (associazione nazionale dei commercianti, intermediari e appassionati di armi comuni da sparo) ed il convegno Dalla legittima difesa all’offesa legittimata? Ragioni a confronto sulle proposte di modifica all’art. 52 cp organizzato a Venezia il 5 ottobre da Magistratura democratica, Giuristi democratici, Ordine dei giornalisti del Veneto.

[8] Per le dichiarazioni nel corso dei lavori in Senato si farà da qui in avanti riferimento al documento del Senato “Fascicolo iter DDL S. 5” (di seguito: «Fasc.»)

[9] Slogan, come ha ricordato il sen. La Russa (FdI), «coniato inizialmente da Fratelli d’Italia», Fasc. p. 272, nell’ambito di quella, relativa alla legittima difesa, che il sen. Stancanelli (FdI) ha definito «una battaglia storica della destra e di Fratelli d’Italia», Fasc. p. 274; tale slogan è stato, poi, fatto proprio da tutte le forze di centro-destra ed in particolare dalla Lega.

[10] Hanno fatto riferimento a tali motivazioni, in particolare, i senatori Ostellari, Fasc. p. 266; Pillon, Fasc. p. 273; Candura, Fasc. p. 277; Modena, Fasc. p. 279; Pellegrini, Fasc. p. 280; Rauti, Fasc. p. 285; Pazzaglini, Fasc. p. 289.

[11] Il presidente della Commissione e relatore sen. Ostellari ha chiarito che «obiettivo della riforma (è) quello di ripristinare il corretto percorso inaugurato con la riforma del 2006, che una successiva interpretazione giurisprudenziale aveva poi modificato», Fasc. p. 147; secondo il sen. Romeo, proponente, con altri, del ddl n. 652, «la norma di oggi non riesce a rispondere alle reali esigenze, perché nelle sue varie interpretazioni (…) giurisprudenziali ha rivelato la sua inapplicabilità e la sua inefficacia. (…) per un’interpretazione che veniva data dalla magistratura, purtroppo non funzionava», Fasc. p. 331; il sen. La Russa ha osservato che la normativa introdotta nel 2006 «non aveva risolto il problema e, per colpa di come era stata modificata la legge (…), aveva lasciato uno spazio a interpretazioni assolutamente discordanti», Fasc. p. 272; per il sen. Caliendo «nonostante la chiara indicazione dell’articolo 52, si è pervenuti a un’interpretazione tale che tutto è rimasto immutato», e, ancora, «il testo del 2006 (…) non ebbe l’effetto sperato, per una giurisprudenza che ritenne di non dover applicare quello che le norme già prevedevano», Fasc. p. 287 e 332; analisi più aderente alla realtà, invece, quella del sen. Urraro: «La giurisprudenza successiva alla riforma del 2006 ha dimostrato (…) la sostanziale irrilevanza (…) della presunzione legale introdotta per la violazione del domicilio. Tale presunzione incide solo sul requisito della proporzione, non facendo venir meno la necessità da parte del giudice di accertare la sussistenza degli altri requisiti quali il pericolo attuale, l’offesa ingiusta e la necessità ed inevitabilità della reazione difensiva (…). Le esigenze di un ampliamento dell’operatività dell’istituto sono risultate così disattese nei fatti», Fasc. p. 334.

[12] Se il sen. Gasparri ha parlato di «patimenti ulteriori», Fasc. p. 290, il sen. Ortis ha evocato il «danno esistenziale dovuto al protrarsi di lungaggini giudiziarie», Fasc. p. 284.

[13] Così la sen. Rauti, Fasc. p. 286; il sen. Ortis ha affermato che «la rinnovata normazione sulla legittima difesa è volta a dare maggiori garanzie all’aggredito, soprattutto nei frangenti processuali e giudiziari», Fasc. p. 283.

[14] Secondo la sen. Granero Santanchè «se qualcuno entra in casa mia, sono libero di mettere in atto tutto per difendermi», Fasc. p. 283; il sen. Pazzaglini ha chiarito inequivocabilmente: «Noi vogliamo che chi si trova nelle condizioni di dover tutelare sé stesso non si debba trovare, poi, anche nelle condizioni di doversi tutelare per le vie legali», Fasc. p. 290, la sen. Vono ha affermato: «Con le nuove disposizioni si attua pertanto il riconoscimento della libertà di ognuno di difendere, tutelare e salvaguardare contro un’aggressione ingiusta la propria dignità, intesa come possibilità di difendere, tutelare e salvaguardare la propria incolumità o quella altrui, i propri o altrui beni, senza trovarsi nella condizione di dover soccombere (…) per timore di subire le conseguenze giudiziarie e penali molto spesso inique», Fasc. p. 293.

[15] Paradigmatico in tal senso l’intervento del sen. Romeo in sede di dichiarazioni di voto: «Introduciamo il principio di presunzione di legittima difesa: presunzione che mette in evidenza che si riconosce sempre la proporzionalità tra difesa e offesa. (…) Lo abbiamo fatto proprio per superare quel potere discrezionale dei giudici nella valutazione della proporzionalità degli atti compiuti dall’aggressore e dal cittadino aggredito»; (…) «certo che ci saranno i processi (…) solo che saranno immediati e non sarà più come prima, per cui ci sarà un’interpretazione, ma il giudice si dovrà attenere alle disposizioni chiare della normativa», Fasc. p. 331.

[16] Chiarissimi in tal senso alcuni passaggi degli interventi del sen. Stancanelli: «Nessuno di noi, tantomeno questo nuovo testo, stabilisce che il giudice non debba indagare. (…) il giudice, indagando, si deve fermare laddove trova quei requisiti che la nuova norma richiede» e, ancora: «Dobbiamo ancorare la possibilità che il giudice valuti le modalità dell’ingresso nel domicilio o nel luogo di lavoro, non come ha reagito colui il quale è aggredito», Fasc. pp. 274-275, e del sen. Caliendo: «Se un soggetto è costretto a difendersi da un’aggressione, l’opinione collettiva vorrebbe che ci fosse un immediato accertamento, già nella fase delle indagini preliminari, della ricorrenza di quei presupposti della legittima difesa e si chiedesse l’archiviazione», (…) «è necessario, comunque, non un processo, ma un procedimento penale, cioè la fase preliminare, perché, se le norme sono chiare, nella fase preliminare di accertamento è possibile arrivare a una richiesta di archiviazione», Fasc. p. 287, 332.

[17] Vds. Granero Santanchè, cit., p. 283. Sul tema della Castle doctrine vedi E. Grande, La legittima difesa armata negli U.S.A.: un buon modello per l’Italia?, in Micromega, 28 giugno 2018, http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-paura-fa-90-la-legittima-difesa-armata-negli-usa-un-buon-modello-per-l-italia/

[18] Così la relazione al ddl n. 563; analoghi concetti sono stati espressi dal sen. Ostellari, Fasc. p. 294, e dal sen. Candura, Fasc. p. 277.

[19] Il sen. Ostellari si chiede: «Che diritto ha lo Stato di punire la reazione a un crimine che esso – Stato – non è riuscito a impedire? Può lo Stato processare un cittadino vittima dell’incapacità collettiva di prevenire il crimine, vittima, cioè della sua inadempienza contrattuale?», Fasc. p. 294.

[20] Così il sen. Ostellari, Fasc. p. 294.

[21] Così il sen. Candura, Fasc. p. 277.

[22] Così la sen. Modena, Fasc. p. 278.

[23] Così il sen. Pazzaglini, Fasc. p. 290.

[24] In tali termini il sen. Candura, Fasc. p. 277.

[25] Espliciti in tal senso il sen. Candura: «Il delinquente (…) non può e non deve assolutamente essere tutelato, nemmeno in via indiretta da parte dello Stato», Fasc. p. 277, ed il sen. Pazzaglini: «I nostri cittadini si indignano quando sentono che, a seguito delle aggressioni (...), è il cittadino aggredito quello che viene condannato, condannato al risarcimento dei danni, condannato in sede penale, condannato in sede civile», Fasc. p. 290.

Fu l’avvocato Giulio Fioretti, nel 1886, a teorizzare, in uno studio sulla legittima difesa, la contrapposizione uomo onesto-uomo delinquente. Nella sua monografia, in rottura con la tradizione classica, qualificò la legittima difesa «esercizio di un diritto» dell’uomo onesto che deve difendersi da una ingiusta aggressione, e ritenne quest’ultima causare la perdita, da parte del delinquente-aggressore, dello stesso diritto alla vita «perché la società non può avere interesse a che un malfattore conservi la sua vita», mentre «ha grandissimo interesse a che sopravviva l’aggredito». Citato in D. Siciliano, Della violenza nel diritto penale fascista. Il caso della legittima difesa, Alfani, 2013, pp. 35 ss..

Più in generale, peraltro, la teoria della perdita dei diritti da parte di chi si pone contro il diritto violandolo, risale al giurista tedesco K. W. F. Grattenauer (1773-1838), che formulò la teoria della Rechtlosigkeit (privazione dei diritti) sostenendo che “ogni violazione (…) esclude dallo Stato” e che, perciò, l’omicidio di un fuorilegge non si può nemmeno qualificare come uccisione di un uomo (vds. F. Giunta, Nuovi e vecchi orizzonti per la legittima difesa, in Critica del diritto, 2005, p. 294).

[26] Così il sen. Ostellari, Fasc. p. 267; in termini analoghi il sen. Candura, Fasc. p. 277, ed il sen. Pellegrini, secondo il quale (sono) «coloro che ogni giorno lavorano e faticano per realizzare sé stessi e la propria famiglia (…) che noi dobbiamo tutelare in ogni dove e comunque», Fasc. p. 281.

[27] In tal senso, esplicitamente, il sen. Ostellari: «Riportiamo lo Stato a fianco delle vittime», Fasc. p. 267, ed il sen. Pillon: «Noi vogliamo che sia chiaro che lo Stato si mette dalla parte dei cittadini onesti e contro stupratori, delinquenti, rapinatori e aggressori», Fasc. p. 274.

[28] Nella relazione al ddl n. 5 si afferma che l’ampliamento della possibilità di autotutela senza incorrere nell’eccesso colposo (con riferimento alla modifica dell’art. 55 cp) e l’esclusione della responsabilità per danni subiti da chi si è introdotto nell’altrui domicilio (con riferimento a quello che sarebbe diventato l’art. 7 del testo approvato) vogliono «costituire un più forte deterrente verso la categoria di criminali dediti a furti e rapine nei luoghi di privata dimora, i quali così sapranno di non poter più beneficiare di scappatoie giuridiche e di non poter più volgere a proprio profitto norme dettate a tutela di persone per bene, quale la risarcibilità del danno».

La sen. Vono, a sua volta, ha rinvenuto nelle nuove norme, ed in particolare in quella che modifica l’art. 55 cp, «un aspetto fortemente preventivo» chiarendo che «questa norma è di prevenzione, deve agire come deterrente e indurre l’aggressore a riflettere attentamente, prima di porre in essere le azioni delittuose, sul fatto che la reazione di difesa da parte dell’eventuale vittima, (…) se anche molto grave, d’ora in poi è consentita dalla legge», Fasc. pp. 292-293.

Anche qui si possono riscontrare echi delle teorie del Fioretti che, equiparata la legittima difesa ad «una forma abbreviata del giudizio penale e della sua esecuzione», e riconosciuta la «temibilità, concreta e imminente, nella legittima difesa» a differenza di quella «astratta e lontana nell’applicazione della pena», sostenne che l’aggredito che si difende «va lodato per la intimidazione che la sua vigorosa reazione può esercitare su altri male intenzionati». Infatti, poiché l’uomo delinquente è trattenuto solo dal timore di minacce «d’imminente e sicura attuazione», «il timore della resistenza che (…) potrà incontrare nell’aggredito» costituirà «uno dei principali fattori di intimidazione». Citato in D. Siciliano, cit., pp. 36 ss.

[29] Vedi F. Viganò, Sulla ‘nuova’ legittima difesa, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2006, I, p. 202; vedi anche le sentenze citate alla nota 3.

[30] Evidente la differenza della norma in commento rispetto a quella di cui all’articolo 122-6 del Code penal francese, cui, peraltro, si allude nella relazione al ddl n. 652 («Si ritiene opportuna una modifica all’articolo 52 del codice penale prevedendo, sulla falsariga di un’analoga previsione del codice penale francese, una presunzione di legittima difesa»). Questa, infatti, così recita: «Si presume che agisca in stato di legittima difesa colui che compie l’atto: 1) per respingere, di notte, l’ingresso mediante effrazione, violenza, inganno, in un luogo abitato; 2) per difendersi contro gli autori di furti o saccheggi, eseguiti con violenza». Peraltro, tale norma è interpretata come presunzione semplice suscettibile di prova contraria, e anche nelle ipotesi ivi previste si ritiene debba sussistere il requisito della proporzione. Vedi, al riguardo, P. Pisa, La legittima difesa tra Far West ed Europa, in Diritto penale e processo, 2004, 7, p. 797-798.

[31] La mancanza di tale richiamo alla necessità del respingimento fa sì che la norma costituisca un passo indietro anche rispetto al codice penale Zanardelli del 1889 che, limitando la legittima difesa alle aggressioni all’incolumità personale (art. 49 cp), prevedeva, poi, all’art. 367 cp, la non punibilità di colui che avesse commesso omicidio o lesioni personali «per esservi stato costretto dalla necessità» di difendere i propri beni da rapina, ricatto, estorsione, sequestro di persona a fine di estorsione, saccheggio, o di respingere atti di aggressione al domicilio commessi di notte o, in caso di edificio sito in luogo isolato, se vi fosse fondato timore per la sicurezza personale.

[32] Secondo C. Fiore, comune a tutte le ipotesi di cause di giustificazione è il fatto che «il realizzarsi del diritto obiettivo passa necessariamente attraverso il compimento, da parte dell’agente, di un fatto preveduto dalla legge come reato». Tale teoria trova conferma proprio nelle previsioni contenute negli articoli 52, 53, 54 cp, ove «la “necessità” di compiere il fatto tipico è espressamente indicata come requisito della fattispecie giustificante. La legge allude infatti, in modo del tutto esplicito, al fatto che la difesa di un diritto proprio od altrui, il mantenimento o il ripristino della legalità, la salvaguardia del più elementare dei diritti – quello della conservazione della vita e della salute – rendono necessaria la commissione di un fatto tipico»: C. Fiore e S. Fiore, Diritto penale, parte generale, vol. I, Wolters e Kluwer Italia, 2016, p. 340.

[33] Su ciò v. F. Viganò, Diritto penale sostanziale e Cedu, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2007, p. 92 segg.; F. Viganò, Sulla ‘nuova’ legittima difesa, cit. pp. 214 ss., ove si sottolinea, se ve ne fosse bisogno, che «la tutela del diritto alla vita (…) non viene meno laddove esso appartenga a un ‘delinquente’ (…): come è dimostrato dall’art. 27 co. 4 Cost., che mette al bando la pena di morte dal nostro ordinamento (…). Da tutto ciò deriva che, per la nostra Costituzione, anche l’ingiusto aggressore dei diritti altrui resta titolare di un diritto alla vita, che prevale sul diritto di proprietà dell’aggredito».

[34] T. Padovani, XVIII legislatura, Senato della Repubblica, Seconda Commissione giustizia, seduta n. 16 del 19 settembre 2018, Audizione.

[35] In tal senso C. Fiore e S. Fiore, Diritto penale, cit., p. 362, ove si specifica che il rispetto dei valori dell’ordinamento impone che la reazione difensiva debba «evitare danni particolarmente gravi alla persona, e soprattutto evitare di uccidere quando l’uccisione non è assolutamente necessaria».

[36] Non è noto il numero di armi legalmente detenute in Italia; le stime variano dai sette ai dodici milioni.

[37] In tal senso si sono espressi T. Padovani: «L’art. 52 non necessita di alcuna riforma: esprime compiutamente ed esaustivamente il fondamento ed i limiti obiettivi del diritto di difesa», Audizione, cit.; L’Unione Camere penali italiane: «L’U.C.P.I. ritiene che la struttura oggettiva dell’attuale art. 52 non debba essere minimamente modificata», Osservazioni dell’Unione delle Camere Penali sui progetti di legge in materia di legittima difesa, 11.9.2018; il Presidente dell’Associazione nazionale magistrati Francesco Minisci, che, in sede di audizione in Senato 2^ Commissione giustizia seduta del 18 settembre 2018, ha ribadito che non serve una nuova legge sulla legittima difesa.

09/01/2019
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