Il mio nome è Christophe Deloire, sono un giornalista ed il Segretario generale di Reporters Senza Frontiere (RSF). In precedenza ho lavorato come giornalista d’inchiesta per diversi media in Francia, sono stato autore di documentari e libri e ho diretto la principale scuola di giornalismo di Parigi, in Francia. Sono inoltre il presidente del Forum sull’Informazione e la Democrazia, recentemente istituito.
Rilascio questa dichiarazione come Segretario generale di Reporters Senza Frontiere (RSF), organizzazione internazionale indipendente che opera per promuovere e difendere la libertà, il pluralismo e l’indipendenza del giornalismo e di coloro che incarnano questi ideali.
Io, Christophe Deloire, qui solennemente rendo testimonianza di quanto segue, affinché sia considerato dal Tribunale dei Popoli sugli omicidi dei giornalisti.
1. La violenza e i crimini contro i giornalisti sono al loro apice
Secondo il calcolo effettuato da RSF, 990 giornalisti e membri degli staff di mezzi di comunicazione sono stati uccisi nel mondo fra il 2010 e il 2020 a causa o nell’esercizio del loro lavoro, consistente nell’informare il pubblico. Dall’inizio del 2021, ne sono stati uccisi già 39.
Le zone di guerra come l’Afghanistan o l’Iraq rimangono estremamente pericolose per i giornalisti: dall’inizio della guerra in Siria nel 2011, RSF ha calcolato che sono stati uccisi 270 giornalisti (professionisti e non) e membri degli staff di mezzi di comunicazione. Negli stessi ultimi 10 anni, in Afghanistan ne sono stati uccisi 63. Ma anche Paesi che non sono “zone di guerra” possono essere fatali, per i giornalisti: dal 2015, 62 giornalisti sono stati uccisi in Messico, 24 in India, 17 nelle Filippine.
L’indicatore del World Press Freedom Index relativo agli abusi perpetrati nei confronti dei giornalisti - che considera non solo il numero degli attacchi, ma anche la loro gravità - mostra nel 2020 un peggioramento del 17% della situazione mondiale rispetto all’anno precedente, del 13% in Africa e del 15% in Sudamerica. Nella stessa UE il numero di abusi ai danni dei giornalisti è raddoppiato negli ultimi due anni, e dal 2015, 14 giornalisti sono stati uccisi nell’Unione, fra cui in particolare si annoverano le 8 vittime degli attacchi contro Charlie Hebdo in Francia, gli omicidi di Daphne Caruana Galizia a Malta nel 2017, di Jan Kuciak in Slovacchia nel 2018 e, nel 2021, di Giorgios Karaivaz in Grecia e Peter De Vries in Olanda.
In particolare, gli omicidi di Daphne, Jan, Giorgios e Peter restano ad oggi impuniti, mentre i mandanti sono ancora in libertà.
Lo stesso accade in altre parti del mondo, dove il brutale assassinio di Jamal Khashoggi nel 2018 o l’assassinio di Anna Politkovskaja in Russia nel 2006 restano impuniti, così come tali restano le tre vicende pendenti di fronte al vostro Tribunale.
2. L’impunità come regola
Come ricorda l’atto di accusa formulato dal pubblico ministero in questo procedimento, la stragrande maggioranza dei crimini commessi contro i giornalisti è impunita. Le cifre relative alla percentuale di impunità variano tra l’86 e il 90%, ma tutte confermano la medesima realtà: la responsabilità penale, civile o amministrativa di coloro che commettono omicidio nei confronti di giornalisti non è quasi mai indagata o sanzionata. La responsabilità dello Stato per aver fallito nel rispettare e proteggere la libertà di stampa e i giornalisti è raramente sanzionata e quando eccezionalmente vi sono delle sentenze, ad esse non si dà esecuzione.
La situazione varia naturalmente da un Paese all’altro. In alcuni, l’impunità è quasi totale. In Messico, secondo i dati ufficiali – pubblicati nel 2018 dal procuratore speciale per i crimini contro la libertà di espressione, FEADLE – il 99,6% delle indagini relative a casi di omicidio e scomparsa di giornalisti rimangono senza esito.
3. Cause e conseguenze per i giornalisti e per la società
Quali sono le cause di tale situazione?
Stati inadempienti, mancanza di indipendenza della magistratura, corruzione, mancanza di capacità , e più frequentemente, di volontà politica di indagare e perseguire anche la collusione delle autorità con la criminalità organizzata o i gruppi armati, assenza di meccanismi adeguati a livello internazionale...
Le cause sono molte e variano da un luogo all’altro.
Tuttavia l’impunità per l’omicidio di un giornalista è sempre un messaggio: l’omicidio mira a fare tacere un giornalista. L’impunità mira a fare tacere tutti i giornalisti. E’ un messaggio per tutti: “stai zitto o muori”.
Uccidere un giornalista è ridurre la capacità dei cittadini di formarsi un’opinione e di autodeterminarsi liberamente, è privare la società della propria capacità di conoscere. Gli assassini prendono di mira principalmente i giornalisti d’inchiesta, che sono in prima linea nella individuazione dei fatti necessari alla comprensione dei conflitti, del crimine organizzato, della corruzione, delle disuguaglianze, degli sconvolgimenti tecnologici e scientifici, delle questioni ambientali.
La mancanza di conoscenza e la banalizzazione di tali crimini conduce all’indifferenza da parte della società ed infine all’oblio.
Questa impunità sistematica colpisce il cuore della democrazia, poiché il giornalismo non è solo essenziale rispetto ad essa, ma le è connaturato.
L’assenza di indagini indipendenti, di perseguimento penale, di giusto processo, di sanzioni giudiziali e di risarcimento per le vittime costituisce una violazione flagrante dei loro diritti, oltre che un incitamento al crimine, fino a che non si materializza e si concretizza, per gli autori dei crimini, un rischio effettivo di essere sottoposti a procedimento.
4. Chiedere giustizia non è abbastanza. E’ ormai urgente “agire” per la giustizia
Purtroppo tutto ciò non è una novità. Nel 2006, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha adottato la risoluzione 1738 sulla protezione, nei conflitti armati, dei giornalisti, dei professionisti dei media e del personale ad essi collegato, che sottolineava «la responsabilità degli Stati di […] porre fine all’impunità e perseguire i responsabili di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario». Nel 2015, in un’altra risoluzione sulla protezione dei giornalisti (2222), il Consiglio di Sicurezza ha evidenziato che «l’impunità per i crimini commessi contro i giornalisti nei conflitti armati rimane una sfida considerevole», ha «condannato con forza» tale impunità «che …..può contribuire al ripetersi di tali atti» e «ha sollecitato gli Stati membri affinché adottino misure adeguate per […] condurre indagini imparziali, indipendenti ed efficaci nelle proprie giurisdizioni e per consegnare alla giustizia i responsabili dei crimini».
Anche l’Assemblea Generale dell’ONU ha adottato numerose risoluzioni sulla questione dell’impunità dei crimini contro i giornalisti, nel 2013, 2014, 2015, 2017, 2018, 2019…
Nel 2021, il Piano d’azione per la sicurezza dei giornalisti e la questione dell’impunità si prefiggeva di «formulare un approccio trasversale alle Nazioni Unite, omnicomprensivo, coerente ed orientato all’azione, per la sicurezza dei giornalisti e la questione dell’impunità».
Tuttavia, si deve riconoscere che questo obiettivo dichiarato non ha condotto ad un cambiamento reale. L’impunità rimane una sfida.
La richiesta di giustizia deve passare dalle dichiarazioni all’esecuzione. Il ruolo di questo tribunale è mostrare che la situazione può cambiare, ponendo in evidenza che il costo dell’uccisione di un giornalista può crescere drasticamente poiché gli Stati che non adempiono i propri obblighi internazionali sono sanzionati in base a standard internazionali.
5. Che cosa si può fare?
Che altro si può fare? Questa sessione del Tribunale dei Popoli è un’occasione cruciale per evidenziare le iniziative, più che le prospettive.
5.1.Rispondere al bisogno di giustizia nella vita reale
Voglio dirlo forte e chiaro di fronte a questo Tribunale: ciò di cui vi è bisogno è in primo luogo la giustizia, la giustizia nella vita reale, il che significa indagini rapide, perseguimento e accertamento delle responsabilità, da parte di tribunali indipendenti operanti a livello locale.
E’ responsabilità degli Stati assicurare che sia resa giustizia, e ricordare agli Stati la propria responsabilità è il ruolo di questo Tribunale.
A riguardo, i tribunali internazionali e regionali hanno un ruolo essenziale. Sono state infatti emesse decisioni importanti, come ad esempio, quelle recentissime della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sulla Turchia, relativa agli insulti rivolti al Presidente, o dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani sulla Colombia. Tuttavia, la giustizia internazionale è distante, le sue decisioni arrivano anni dopo il crimine, e considerano solo la responsabilità degli Stati. Non è abbastanza.
E’ l’accertamento della responsabilità e individuale e penale di coloro che hanno agito, a dover essere promosso. A questo scopo occorre un rafforzamento dei corpi investigativi, dei pubblici ministeri e dei giudici. E devono essere esplorati tutti i mezzi disponibili per promuovere l’accertamento delle responsabilità individuali. Di questo aspetto gli Stati sono i principali responsabili, mentre l’altissimo tasso di impunità parla da solo. Per questo, RSF ha deciso di lanciare una propria strategia di ricerca di giustizia.
RSF si propone di invertire la spirale dell’impunità, di sostenere gli sforzi dei giornalisti o delle loro famiglie nella ricerca di giustizia, e di combattere contro gli esecutori e la loro impunità.
Abbiamo deciso di esplorare ed intraprendere ogni possibile via giudiziaria , contro qualsivoglia attore coinvolto (in termini di responsabilità individuale, di responsabilità d’impresa, di responsabilità dello Stato), di fronte a qualunque giurisdizione competente – con priorità per le corti locali. Quando la giustizia a livello locale non vuole o non è in grado di rendere giustizia, RSF esplora ed infine promuove procedure extraterritoriali, nazionali e internazionali, basate su ogni normativa applicabile.
Nel dare attuazione a questa strategia, dal 2019 RSF ha proposto, di fronte a tribunali nazionali ed internazionali e organismi “quasi-giudiziali”, 76 ricorsi e cause relative a crimini ed estorsioni contro giornalisti, riguardo a fatti commessi in 64 Stati.
Fra i molti esempi, RSF ha presentato un ricorso al Tribunale Penale Internazionale, relativo alla situazione dei giornalisti a Gaza, in Afghanistan e in Messico. RSF sostiene che in Messico, fra il 2006 e il 2018, sia stato commesso un crimine contro l’umanità nei confronti dei giornalisti, durante la “guerra della droga”: un attacco contro la popolazione civile, ampio, sistematico e commesso in attuazione di una politica statale, caratterizzata in particolar modo dal fallimento sistematico e intenzionale delle autorità nel punire gli autori di questi crimini.
RSF ha inoltre presentato dei ricorsi presso tribunali nazionali. In Messico, RSF sta agendo presso il procuratore speciale per i crimini contro la libertà di espressione (FEADLE) per ottenere la riapertura delle indagini nel caso di Regina Martinez Perez, uccisa nel 2012, e sta portando il caso davanti alla Corte Suprema; in Svezia, sta agendo contro il Presidente dell’Eritrea per il suo ruolo nella detenzione, dal 2001, del giornalista Dawit Isaak; in Francia, per le violenze della polizia contro i giornalisti nel corso di manifestazioni di protesta.
In Francia, RSF ha presentato ricorsi contro aziende come Facebook, per «pratiche commerciali ingannevoli» sostenendo che le promesse dell’azienda di social media di offrire un ambiente online «sicuro» e «privo di errori» sono smentite dalla proliferazione su larga scala, sulle proprie reti, di discorsi d’odio e di false informazioni. RSF ha anche agito con ricorsi nei confronti dell’azienda israeliana NSO a fianco di 21 giornalisti di 7 Paesi.
RSF ha poi proposto ricorsi contro singoli individui: il Principe ereditario saudita, con un ricorso in Germania per crimini contro l’umanità, o contro i potenti individui coinvolti nell’assassinio di Daphne Caruana Galizia, con un ricorso in Francia di fronte al procuratore finanziario. RSF ha inoltre proposto in Lituania un ricorso fondato sulla giurisdizione universale contro l’autoproclamato Presidente Lukashenko per il «dirottamento a fini terroristici» dell’aereo del giornalista bielorusso Raman Pratasevich, seguito da un rapimento e dalla detenzione.
La strada è lunga e la sfida è enorme, quando si considera quanto spesso i procuratori non considerino di indagare sul collegamento fra omicidio e attività giornalistica della vittima. RSF ha contribuito con orgoglio alle Linee guida per procuratori elaborate da UNESCO e Associazione Internazionale dei Procuratori per le indagini sui crimini contro i giornalisti. E’ del tutto evidente che, nel 2020, tali linee guida rimangono necessarie.
5.2.Rafforzare i meccanismi internazionali per la protezione dei giornalisti, promuovere l’obbligo di rispondere dei crimini commessi
In effetti, le molte risoluzioni adottate dalle Nazioni Unite non hanno cambiato la situazione attuale. Vi è una urgente necessità di un meccanismo concreto e comprensivo per l’attuazione del diritto internazionale relativo alla protezione e alla sicurezza dei giornalisti e per la lotta all’impunità per i crimini commessi contro di essi. Ciò di cui abbiamo bisogno è un meccanismo apposito per la protezione dei giornalisti, una voce autorevole per un controllo molto più stringente circa la conformità delle leggi e delle prassi nazionali agli standard internazionali, un più forte coordinamento degli sforzi dell’ONU e una rinnovata, rigenerata e determinata cooperazione con gli attori nazionali incaricati della protezione.
Coerentemente, RSF sostiene la creazione di un Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite sulla Sicurezza dei Giornalisti (Special Representative of the United Nations Secretary-General on the Safety of Journalists SRSJ), al fine di istituire una struttura permanente al centro del sistema delle Nazioni Unite, capace di rafforzare in maniera significativa le azioni intraprese dall’UNESCO, le procedure speciali ONU, le attività del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e dell’Assemblea Generale. Questo sarebbe inoltre un modo di conferire maggior forza alle azioni e ai meccanismi sviluppati a livello regionale e nazionale. E’ giunto il momento per realizzare tutto questo.
5.3. Accertare le responsabilità dei protagonisti dello spazio digitale
La giustizia nei casi che riguardano giornalisti uccisi, sebbene assolutamente essenziale, non è ancora sufficiente. Nel mondo di oggi, dove la propaganda, la disinformazione, l’odio e l’istigazione all’omicidio, in particolare dei giornalisti, fioriscono online e si diffondono molto più velocemente rispetto all’informazione affidabile, occorre indagare anche il ruolo e la responsabilità degli attori che configurano la sfera pubblica. Vi è un forte bisogno di regolamentazione della sfera digitale, e di accountability delle persone giuridiche che strutturano lo spazio digitale.
RSF ha promosso l’accertamento della responsabilità di Facebook mediante la presentazione di una denuncia basata sul diritto dei consumatori francese. Il ricorso di RSF contro Facebook dimostra le pratiche commerciali ingannevoli dell’azienda, in caso di asserito contrasto all’odio che include minacce di morte contro giornalisti e disinformazione sul Covid19, mentre nelle proprie condizioni di servizio, comprensive dei propri Standard della community, si era impegnata ad offrire un ambiente sicuro e privo di errori.
Tuttavia RSF ritiene che debbano essere adattate o persino create regole per affrontare nuove realtà. Per questo RSF si impegna a lavorare a livello internazionale, con tutti gli stakeholders coinvolti, per una iniziativa normativa: il processo “Informazione e Democrazia” promosso da RSF mira a creare garanzie democratiche nello spazio di comunicazione ed informazione globale – in particolare rafforzando gli obblighi e la responsabilità delle piattaforme online circa l’impatto delle loro attività sulla sfera pubblica.
Con una Dichiarazione Internazionale per l’Informazione e la Democrazia, redatta nel 2018 da una commissione di 25 figure di spicco, co-presieduta dal segretario di RSF e dal Premio Nobel Shirin Ebadi e comprendente, fra gli altri, il futuro Premio Nobel Maria Ressa, il Premio Noberl per l’Economia Joseph Stieglitz, o l’ex Alto Commissario ONU per il Diritti Umani Navy Pillay, RSF ha dato impulso ad un processo che ha consentito l’adozione, ad oggi da parte di 43 Paesi, di una partnership internazionale per l’informazione e la democrazia. Questo accordo non vincolante si propone di promuovere ed attuare principi democratici nello spazio globale di informazione e comunicazione. Al fine di ulteriormente sostenere questo sforzo, 11 organizzazioni indipendenti di estrazione e provenienza geografica differente hanno istituito un Forum per l’informazione e la democrazia. I suoi compiti sono: emanare raccomandazioni dirette ai vari stakeholders dello spazio globale dell’informazione e della comunicazione, facilitare l’emersione di risposte volte alla regolamentazione o auto-regolamentazione per e da parte dei diversi stakeholders, e sostenere la funzione sociale del giornalismo attraverso risposte e raccomandazioni innovative.
Il Forum ha già pubblicato una serie di studi ed emanato raccomandazioni concernenti in particolare il problema della infodemia, o della sostenibilità dei media. Al Summit per l’informazione e la democrazia, tenutosi al margine dell’Assemblea Generale dell’ONU il 24 settembre 2021, il Forum ha annunciato l’imminente creazione di un Osservatorio Internazionale sull’Informazione e la Democrazia. Il gruppo di lavoro per la definizione degli obiettivi e della metodologia sarà co-presieduto dall’accademica statunitense Shoshana Zuboff e dall’ex segretario generale dell’OCSE Angel Gurria.
RSF sta lavorando in particolare con l’Unione Europea per far sì che i principi della Partnership e le raccomandazioni del Forum siano prese in considerazione, in particolare nella proposta di regolamento sui Servizi digitali (Digital services act) attualmente in discussione al Parlamento Europeo, e nel disegno di un European Media Freedom Act. Ciò affinché l’UE rafforzi con decisione gli obblighi e la responsabilità delle piattaforme online.
In un simile contesto di deterioramento del dibattito pubblico e di accresciuto pericolo per l’esercizio di un giornalismo libero, pluralista ed indipendente, la missione del vostro Tribunale è ancor più importante. Metter fine al circolo vizioso dell’impunità, evidenziare le responsabilità fondamentali degli Stati nel garantire la libertà di stampa, proteggere i giornalisti e sanzionare la violazione dei relativi obblighi è assolutamente urgente e necessario.
RSF è a disposizione di questo Tribunale per qualunque altra testimonianza o consulenza possa esser necessaria.
Confermo che i fatti affermati in questa deposizione testimoniale sono veri.
Questa dichiarazione è stata resa in inglese il 29 ottobre 2021 e sarà riportata in inglese il 2 novembre 2021 durante l’udienza di apertura del Tribunale dei Popoli sull’Omicidio dei Giornalisti.
Parigi, 29 ottobre 2021
Christophe Deloire, Segretario generale di Reporters Senza Frontiere (RSF)
photo credits: Tribunale dei Popoli
Traduzione a cura di Sara Cocchi, avvocata in Firenze, consulente UE e OCSE