1. Dall’Agenda per la migrazione del 2015 al Patto sulla migrazione e l’asilo del 2020
La Commissione Junker (2014-2019) aveva presentato nel maggio 2015 l’Agenda per la migrazione, alla quale aveva fatto seguito, nel 2016, un corposo pacchetto di proposte di riforma del Sistema europeo comune di asilo, in gran parte non approvate prima della fine della legislatura.
Il 1° dicembre 2019 il testimone passa alla Commissione Von der Leyen, che fa tesoro di tale fallito tentativo di riforma nel predisporre Un nuovo patto sulla migrazione e l’asilo del 23 settembre 2020 che, così come l’Agenda del 2015, è un documento programmatico con un orizzonte di legislatura. La volontà di tradurlo in tempi brevi in atti giuridici è plasticamente dimostrata dalla contestuale pubblicazione delle proposte di atti normativi, ben nove e da una tabella di marcia che scandisce una serrata tempistica verso la loro approvazione. Si riapre così subito il cammino delle riforme, recuperando parte delle proposte e del negoziato già maturato nella precedente legislatura e durato più di tre anni. In taluni casi, come ad esempio quello della proposta di regolamento sostitutivo della c.d. Direttiva procedure, la Commissione presenta emendamenti alla proposta già avanzata e sulla quale la procedura legislativa aveva già raggiunto uno stadio maturo; in altri, invece, come la modifica del c.d. regolamento Dublino o la creazione della procedura di pre-ingresso, sono presentate proposte radicalmente nuove, pur sempre considerando i punti di accordo e quelli di contrasto già chiaramente emersi negli anni scorsi. A questi si aggiungono anche gli atti facenti parte del pacchetto del 2016, il cui iter di discussione è ripreso e sui quali la Commissione non ha in questa sede proposto modifiche, nonché le risorse dedicate a questa politica decise nell’ambito del quadro di finanziamento pluriennale dell’Unione 2021-2027.
Sia per la mole dei documenti pubblicati, sia per la difficoltà di individuare esattamente il contenuto consolidato dei testi in discussione, sia per la necessità di tenere conto anche delle proposte non soggette a modifica ma tuttavia riesumate nel passaggio di legislatura, l’analisi approfondita e meditata delle singole misure necessita di tempi lunghi; è tuttavia possibile qui anticipare alcune riflessioni sull’impianto generale, beneficiando di una prima e superficiale lettura degli atti più specifici.
2. La politica europea di immigrazione e asilo di ieri, oggi e domani
La Commissione parte dal presupposto che ogni anno arriva nell’Unione, in modo irregolare, un numero variabile di persone: dai 2 milioni del 2011 ai 150.000 del 2019; una parte di queste persone presenta domanda di protezione ma soltanto un terzo di coloro ai quali la domanda è stata respinta vengono effettivamente allontanati[1].
In questo contesto e muovendosi nel solco della tradizione, il focus del Patto sono i migranti in condizione irregolare, sia perché non richiedono protezione sia perché non la ottengono: i due gruppi sono infatti accomunati dalla posizione irregolare e dal conseguente obbligo di essere allontanati.
Gli strumenti individuati sono solo in minima parte innovativi. Cooperazione con i Paesi terzi di origine e di transito per il contenimento delle partenze e l’esecuzione dei rimpatri, rafforzamento della gestione delle frontiere esterne, intensificazione dell’azione sui rimpatri e divieto dei movimenti secondari sono i cardini della politica europea di immigrazione e asilo di ieri, oggi e domani[2]. Le misure volte a migliorare il sistema europeo di asilo sono quasi tutte volte a potenziare l’efficienza, l’efficacia delle procedure e ad aumentarne l’uniforme applicazione tra gli Stati membri. Raramente, eccetto che per i soggetti vulnerabili, si scorgono misure volte ad elevare il livello di tutela del diritto alla protezione internazionale nell’Unione europea.
L’impressione complessiva è quella di un puzzle le cui tessere sono state scomposte e posizionate altrove, secondo un diverso ordine. Alcune del tutto cambiate, altre aggiunte. Gli istituti, gli strumenti già presenti nella politica europea di immigrazione e asilo vengono riordinati nell’ambito della medesima cornice, resa più solida e coerente, ma pressoché identica a quella già in vigore. Una cornice sulla quale esiste un ampio consenso degli Stati membri: le divisioni tra i Governi europei sono emerse infatti soprattutto in relazione al noto sistema Dublino e al divieto dei movimenti secondari, mentre vi è grande coesione sulle misure di contenimento degli arrivi e sui rimpatri.
3. La futuribile politica sulla migrazione legale
Il nuovo patto conferma e non colma la grave lacuna in materia di migrazione legale. Il massimo che si è riusciti a partorire è la promozione di una consultazione pubblica a seguito della quale valutare possibili proposte normative. È improbabile questo avvenga prima della fine della legislatura in corso, considerato che già quasi un anno è trascorso e molti altri dossier delicati assorbono le energie delle istituzioni e delle capitali europee.
L’assenza di una disciplina dell’Unione in materia di migrazione economica, unitamente al quasi azzeramento delle possibilità di ingresso per lavoro negli Stati membri, è tra le principali cause della migrazione irregolare. La necessità che l’Unione intervenga in modo innovativo per regolare la politica di immigrazione sono stati a più riprese sottolineati non solo dal mondo accademico, ma anche dalle stesse istituzioni, inclusa la Commissione che ha approvato il 29 marzo 2019 un corposo “controllo di qualità” della legislazione, già preannunciato nel 2013 e volto a verificare l’attualità della necessità degli atti UE adottati in questa materia e l’individuazione di misure volte a colmare le lacune o a superare le criticità riscontrate. Analogamente ha fatto il Parlamento europeo con un altrettanto corposo studio su The Cost of Non-Europe in the Area of Legal Migration, nonché il Comitato delle Regioni con il parere I costi della non immigrazione e non integrazione adottato il 12 dicembre 2018.
Sono studi che meritano di essere diffusi e analizzati attentamente, perché hanno il pregio di offrire analisi e dati oggettivi in una materia troppo spesso trattata senza approccio scientifico e rimessa agli umori politici di improvvisati avventori dei palazzi di governo. Sono anche l’ennesima conferma del fatto che tutte le istituzioni europee hanno invocato l’esigenza di una diversa politica europea di immigrazione, senza tuttavia che il Consiglio europeo e il Consiglio abbiano mai voluto assecondare tali richieste. È dunque ormai pacifico che l’incapacità dell’Unione di produrre una politica credibile del governo del fenomeno migratorio sia diretta responsabilità dei Governi degli Stati membri, capaci di condizionare quasi totalmente l’orientamento della Commissione.
Sul reinsediamento e l’ammissione umanitaria[3], tanto “parlati” quanto poco praticati, ci si limita qui a ricordare che le questioni più rilevanti connesse a tali canali di ingresso sono due e non necessariamente giuridiche: i numeri, essendo scarse le disponibilità offerte dagli Stati membri con o senza il sostegno dell’Unione; gli effetti, dato che, soprattutto il reinsediamento, non ha nessuna connessione con i flussi migratori, essendo una misura di solidarietà a favore degli Stati che più di tutti nel mondo hanno l’onere dell’accoglienza di sfollati e rifugiati.
4. Contenimento delle partenze, limitazione dell’ingresso nel territorio e rimpatri
Piena è invece la conferma della politica del contenimento dei flussi attraverso la cooperazione con i Paesi di origine e transito, proseguendo una maggiore collaborazione nella sacrosanta lotta al traffico degli esseri umani ma anche all’ostacolo delle migrazioni, incluse quelle per motivi di asilo[4]. La medesima cooperazione è poi, come noto, necessaria anche per garantire l’esecuzione dei rimpatri, dato che, come noto, senza accordi di riammissione, solenni, semplificati o solo verbali che siano, nessun provvedimento di allontanamento potrà essere eseguito.
La mancanza di accordi di riammissione non è però l’unico ostacolo ad una politica di rimpatrio efficace. L’ingresso di una persona nel territorio di uno Stato straniero comporta, infatti, l’avvio di quello che è stato autorevolmente definito come “attacco sociale” e che precostituisce, se consolidato, un potenziale ostacolo all’allontanamento.
Diviene dunque strategico, nell’ottica della Commissione, impedire che le persone raggiungano il territorio degli Stati membri, a meno che non siano autenticamente richiedenti asilo. Per questo è prevista l’introduzione di un meccanismo definito di pre-ingresso[5]: tutte le persone che arrivano o sono intercettate nel territorio UE in posizione irregolare, devono essere trattenute nelle zone di frontiera per un periodo di massimo dieci giorni, al fine di essere identificate e incanalate nel binario dei richiedenti protezione o delle persone in situazione irregolare, senza diritto di accedere al territorio. È quanto già vigente e applicato in Italia in attuazione dell’approccio hot-spot imposto dalla stessa Commissione europea in occasione dell’applicazione delle decisioni sulla ricollocazione[6]. Un approccio che viene esteso ora a tutta l’Unione ed anche ai migranti irregolari intercettati in qualsiasi momento dopo l’ingresso. Si rafforza, infatti, la tendenza ad anticipare sempre di più la valutazione sui diritti delle persone, precorrendo quello che dovrebbe essere l’esito di una procedura necessariamente complessa e individualizzata.
Viene anche predisposto un modulo uniforme che dovrà essere compilato dalle autorità competenti di tutti gli Stati membri all’esito dell’esame preliminare, senza, tuttavia, prevedere con precisione i criteri che le autorità applicheranno per stabilire chi è richiedente asilo e chi non dovrà esserlo.
La fase di pre-ingresso è destinata a svolgere un ruolo cruciale e su di essa la Commissione sembra riporre una particolare fiducia nell’impedimento all’accesso al territorio delle persone che non risultano richiedenti protezione internazionale.
Nella stessa logica si inserisce anche l’estensione dell’applicazione della procedura accelerata di frontiera, già contemplata nell’attuale sistema europeo di asilo, con una riduzione drastica delle garanzie procedurali e giurisdizionali[7]. Il che significa che anche tra gli autentici richiedenti protezione, si distinguono ulteriormente coloro che hanno diritto ad una procedura ordinaria o ad una procedura accelerata che deve svolgersi alla frontiera. Ciò sempre al fine di ostacolare l’accesso al territorio e garantire il successivo rimpatrio, partendo dal presupposto che si tratti di domande dall’improbabile possibilità di successo.
Due aspetti della procedura di frontiera risaltano all’occhio pur in una lettura ancora superficiale. La procedura sarà applicata a tutti coloro che provengono da Paesi il cui tasso di riconoscimento della protezione è inferiore al 20%, senza ulteriori specificazioni o possibilità di individualizzazione di tale parametro. Si supera il concetto di Paese sicuro e si tagliano con l’accetta quei tentativi di evitare il corto circuito tra la nozione di Paese d’origine sicuro e il diritto di asilo, essendo la prima ontologicamente incompatibile con la protezione individualizzata necessariamente implicata dal secondo. È inoltre stabilito che in caso di diniego a seguito della procedura di frontiera, gli Stati devono limitarsi ad assicurare un ricorso giurisdizionale che si esaurisca in un solo grado di giudizio, quasi che per il fatto che la procedura si svolga nei pressi della frontiera vi sia una zona franca dove le carte dei diritti fondamentali sono appese alle pareti, senza curarsi della loro effettiva applicazione.
Altra rilevante modifica che è contenuta nella proposta del “nuovo regolamento procedure”, dalle notevoli implicazioni per il nostro ordinamento, è la contestualità dei provvedimenti di diniego di protezione e di allontanamento, come già in vigore in alcuni Stati membri e ritenuto conforme al diritto UE dalla Corte di giustizia[8]. Conseguentemente anche l’oggetto del ricorso giurisdizionale sarà duplice: un unico ricorso per contestare sia il diniego sia l’allontanamento. Questa modifica è tale da avere un significativo impatto nell’ordinamento italiano, dove invece i provvedimenti sono distinti ed anche il regime dei ricorsi giurisdizionali è totalmente diverso. Particolare attenzione dovrà essere prestata alla disciplina delle sospensive e alla sua compatibilità con il diritto ad un ricorso effettivo di matrice CEDU[9].
Se tali misure saranno approvate, diventerà ancora più problematico conciliare la politica del contenimento dei flussi, le procedure di pre-ingresso, di frontiera e accelerate con l’articolo 10, 3° co., della nostra Costituzione, che riconosce un diritto di asilo a coloro che non si vedono riconosciute le libertà democratiche sancite nella stessa Costituzione[10]. Anche a voler seguire una interpretazione restrittiva della nozione di “libertà democratiche”, non si potrà ritenere che essa si esaurisca nella protezione internazionale come disciplinata attualmente dal diritto dell’Unione europea[11]. La stessa Corte di giustizia ha dovuto affermare che esistono altri obblighi di non respingimento gravanti sugli Stati che si aggiungono a quelli derivanti dal sistema europeo comune di asilo[12]. Si intravvede dunque all’orizzonte un potenziale conflitto tra fonti, a dirimere il quale sarà probabilmente chiamata la nostra Corte costituzionale, se il nostro Governo e il nostro Parlamento non si attiveranno durante l’iter di discussione delle proposte per difendere la nostra Costituzione[13]. Una difesa da spinte regressive di matrice europea che dovrebbe riguardare ogni settore del diritto ed essere sempre arginata in primis dalle istituzioni politiche, evitando che il conflitto si riverberi poi di fronte alla giurisdizione.
5. Dublino o non Dublino?
Quanto a Dublino, chiaro è l’intento della Commissione di chiudere un capitolo e di riaprirne un altro su nuovi presupposti. Il vigente regolamento c.d. Dublino III, derivante dall’accordo internazionale del 1990 e geneticamente trasformato in un regolamento UE a partire dal 2003 viene abrogato ed è probabile che la Commissione auspichi anche che la stessa espressione “regolamento Dublino” scompaia anche dal glossario UE.
Tale abrogazione è da salutare in modo positivo, essendo il regolamento Dublino sempre stato tanto inutile quanto divisivo. Tuttavia, se è vero che il regolamento Dublino scompare formalmente, è altrettanto vero che la sua ombra, il sistema Dublino, rimane nella sostanza. Le regole sulla determinazione dello Stato competente ad esaminare la domanda di protezione internazionale saranno mantenute e contenute nel nuovo regolamento sulla gestione della migrazione e dell’asilo[14]. Tali regole sono state formulate riprendendo in gran parte quanto previsto nella proposta di riforma del 2016, valorizzando i profili sui quali era emerso un maggiore consenso in seno al Consiglio e tentando di ammiccare l’occhio al Parlamento europeo. Una riforma quella del 2016 che, giova ricordarlo, è naufragata per l’incapacità dei Governi in seno al Consiglio di trovare una sintesi tra le loro posizioni così da approvare il mandato a negoziare con il Parlamento europeo. Quest’ultimo, con una storica risoluzione del 16 novembre 2017 aveva approvato emendamenti alla proposta della Commissione che modificavano radicalmente il sistema, considerando l’ingresso in qualsiasi Stato membro come l’ingresso nella terra dell’Unione e così applicando criteri innovativi nell’individuazione dello Stato competente, prescindendo da quello dello Stato di primo ingresso irregolare. Un peccato che la Commissione non abbia avuto il coraggio di ripartire proprio da quella risoluzione e di resistere alle sirene di quel gruppo di Governi che vede accomunati gli Stati c.d. frugali a quelli del gruppo di Visegrad.
Lungi dal seguire quanto approvato dal Parlamento europeo, la Commissione conferma sostanzialmente i criteri attualmente vigenti, in particolare quello dello Stato di primo ingresso irregolare. Tre sono le innovazioni rilevanti, due delle quali già contenute nella proposta del 2016. Le prime riguardano la valorizzazione dei legami familiari, vale a dire la presenza in uno Stato membro dei fratelli del richiedente protezione internazionale e la costituzione di legami familiari sorti lungo il viaggio, che sappiamo può durare anche anni. Modifiche potenzialmente significative, se solo saranno accompagnate dalla semplificazione della prova dell’esistenza dei legami familiari, sulla quale la proposta introduce qualche timida indicazione. Innovativa è l’introduzione del criterio della titolarità di un diploma conseguito in un Paese membro, con la volontà di considerare i legami sociali e in ciò venendo in parte in contro al Parlamento europeo e alla sua risoluzione del 16 novembre 2017, nella quale era contenuta una più ampia valorizzazione dei legami sociali. Altre modifiche sono volte a rendere più rapida l’esecuzione dei trasferimenti, nonché a ridurre le possibilità di derogare all’applicazione dei criteri, attraverso un rafforzamento degli obblighi dei richiedenti protezione internazionale, delle conseguenti sanzioni in caso di inottemperanza, nonché l’eliminazione di quelle cause di trasferimento della competenza in deroga al “criterio base” che possono costituire ancora un incentivo alla circolazione secondaria. Inoltre, il richiedente potrà godere delle misure di accoglienza solo nello Stato competente, mentre negli altri Stati membri potrà beneficiare solo di un’assistenza materiale minima. In aggiunta, si precisano anche gli obblighi degli Stati membri, nell’auspicio di rendere efficaci le richieste di ripresa in carico, peraltro trasformate in mere notifiche.
Vengono anche ridotte se non eliminate quelle clausole di modifica della competenza statale in caso di assenza prolungata da uno Stato membro. Dello stesso tenore sono quelle disposizioni che tendono a ridurre gli spazi di discrezionalità lasciati agli Stati membri, ad esempio in relazione all’esercizio della c.d. clausola di sovranità, in base alla quale uno Stato può dichiararsi competente in deroga ai “criteri base”, ad esempio per motivi umanitari. Tale clausola è mantenuta ma può essere esercitata solo per motivi familiari.
Tanta è la fiducia della Commissione nel superamento del fallimento del sistema Dublino attraverso l’irrigidimento degli obblighi e l’eliminazione delle eccezioni, che verrebbe quasi da credere che il sistema potrebbe davvero vivere quella primavera che non ha mai avuto. Si permetta tuttavia di ritenerlo quasi impossibile: stiamo parlando di trasferimenti di persone, ontologicamente “vischiosi” come dimostra anche la prassi in relazione al mandato d’arresto europeo ma potremmo dire più in generale tutti i trasferimenti di persone eseguiti nel rispetto dei diritti fondamentali della persona. Si trascura anche che l’Unione non è una federazione e che i trasferimenti Dublino sono trasferimenti tra Stati sovrani, come tali soggetti a tutte le garanzie degli allontanamenti interstatali; da ultimo, affinché ci sia fattiva cooperazione tra Stati membri, occorrerebbe una convergenza di interessi tra gli attori coinvolti: Stati e richiedenti protezione internazionale che anche in questo nuovo quadro è difficile da scorgere.
A queste condizioni, ciò che potrà garantire un certo successo del sistema sono i piccoli numeri: la riduzione del numero dei richiedenti protezione internazionale, perseguita attraverso il contenimento dei flussi, la limitazione dell’accesso al territorio e le procedure accelerate di frontiera, potrebbe rendere meno problematico per gli Stati membri accettare la loro competenza e collaborare agli eventuali trasferimenti di un numero ristretto di persone.
6. Verso una maggiore libertà di circolazione?
Una nota positiva contenuta nel Patto riguarda la possibile estensione della libertà di circolazione dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, inclusi i beneficiari di protezione internazionale.
Da tempo si è sottolineato come le tensioni su Dublino si sarebbero potute stemperare grazie al riconoscimento di una seppur limitata libertà di circolazione e soggiorno in capo ai beneficiari di protezione, così da dissuadere chi intende sottrarsi all’applicazione dei criteri del regolamento Dublino per timore dell’impossibilità poi di spostarsi nello Stato membro prescelto. La mancanza di un diritto di soggiorno in altri Stati membri fa sì che il regolamento Dublino non determini solo lo Stato membro competente per esaminare una domanda di protezione internazionale ma anche quello responsabile della protezione eventualmente riconosciuta e nel quale la persona potrà risiedere dopo il riconoscimento dello status. Il regolamento Dublino, infatti, pur limitandosi ad individuare lo Stato competente per l’esame della domanda giunge a fissare in modo permanente il soggiorno dei beneficiari dello status nello Stato responsabile della protezione accordata. Questo perché, nonostante che l’Unione sia ormai uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, caratterizzato da una vasta area di libera circolazione delle persone, ai beneficiari della protezione internazionale così come a tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti non è stata riconosciuta la libertà di soggiorno in altri Stati membri. Sono infatti pienamente riconosciuti nello spazio UE gli effetti del diniego del riconoscimento della protezione internazionale, mentre sono limitati gli effetti positivi del riconoscimento, quanto meno in termini di diritto di soggiornare in un altro Stato membro dell’UE. Più in generale, tutti gli atti dell’UE, anche quelli in materia di migrazione economica, tendono ad escludere il diritto di soggiorno nell’area UE ai cittadini di Paesi terzi. Merci, servizi e capitali provenienti dai Paesi terzi possono a certe condizioni circolare nell’UE e rimanervi in regime di sostanziale parità con i prodotti autoctoni; lo stesso non vale invece per chi, cittadino di Paese terzo, sia regolarmente soggiornante in un Paese membro e intenda spostarsi, per risiedervi, in un altro.
La possibilità di estendere in parte il diritto di circolazione e di soggiorno ai cittadini di Paesi terzi rientra pienamente nei poteri dell’Unione in virtù dell’art. 79, par. 2, lett. b), TFUE in base al quale l’Unione adotta misure relative alla «definizione dei diritti dei cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti in uno Stato membro, comprese le condizioni che disciplinano la libertà di circolazione e di soggiorno negli Stati membri»[15]. In passato la Commissione aveva già espressamente affrontato il tema del soggiorno in altri Stati membri dei beneficiari della protezione internazionale, senza tuttavia avanzare alcuna proposta[16].
Un passo in questa direzione è stato mosso con la direttiva 2003/109/CE sullo status di lungo soggiornanti estesa dal 2011 anche ai beneficiari di protezione internazionale[17]. Con il Patto si ha un ulteriore avanzamento con la riduzione a tre, dagli attuali cinque, degli anni necessari al fine di ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo per i beneficiari della protezione internazionale. Opportunamente, si indica anche la necessità di intervenire sulla modifica della direttiva 2003/109 di modo che si giunga a riconoscere un più ampio diritto di soggiorno negli altri Stati membri, attualmente condizionato alla disciplina sull’immigrazione dei singoli Stati. Tuttavia, nessuna proposta è stata ancora presentata. Per questo occorrerà attendere, secondo quanto indicato dalla tabella di marcia, il quarto trimestre 2021, sempre salvo rinvii.
7. L’attuazione del principio di solidarietà
Nella medesima proposta sulla gestione della migrazione e dell’asilo, troviamo anche gli strumenti ritenuti idonei a dare concreta applicazione al principio di solidarietà tra Stati membri in questo settore. Più volte abbiamo sottolineato come nell’art. 80 TFUE il principio di solidarietà ispira i rapporti tra Stati membri e non certo il trattamento dei migranti o richiedenti asilo, rispetto ai quali il Trattato si limita ad indicare che la politica UE debba essere “equa” (art. 79(1) TFUE).
Anche a questo riguardo, la proposta presenta molte conferme alle quali sono affiancate alcune innovazioni che dovrebbero consentire di creare secondo la Commissione un quadro diverso di cooperazione[18].
Per la prima volta vi sono disposizioni specifiche sulle operazioni di ricerca e soccorso in mare[19] e per coloro che entrano nel territorio di uno Stato membro a seguito di tali operazioni. Si tratta di una esigenza condivisa a partire dal Consiglio europeo del 28 giugno 2018 e ribadita da altri documenti strategici del Consiglio europeo e della Commissione.
Come noto, infatti, in base all’art. 13 del Regolamento Dublino IV, qualsiasi attraversamento di frontiera senza un visto o autorizzazione d’ingresso è qualificato come irregolare e dunque soggetto all’applicazione del criterio che vede competente lo Stato di primo arrivo. In base alla proposta, chi entra a seguito di operazioni di ricerca e soccorso in mare viene sottoposto sempre alla procedura di pre-ingresso, all’esito della quale la persona o è considerata irregolare e deve dunque essere rimpatriata, oppure può essere ammessa nel territorio e soggetta al meccanismo di ricollocazione. Si scinde dunque la connessione tra Stato di sbarco e Stato competente ad esaminare la domanda di asilo, da sempre sussistente dacché Dublino è in vigore e foriera delle note misure di limitazione delle attività di ricerca e soccorso in mare, incluse quelle condotte dalle navi umanitarie. L’alternativa proposta è la ricollocazione volontaria in altri Stati membri, un sistema già sperimentato senza successo tra gli anni 2015 e 2017 e tuttavia riproposto, attraverso l’introduzione di alcuni correttivi ritenuti idonei a superare la riluttanza degli Stati del Nord, dell’Est e del Sud.
Il sistema dovrebbe poter funzionare grazie alla redazione da parte della Commissione europea di un documento di previsione annuale, in modo da stabilire orientativamente quante persone arriveranno nelle coste meridionali dell'Europa in un determinato anno. Il proposito è quello di attivare gli Stati membri chiedendo loro la disponibilità ad accogliere una parte delle persone che arriveranno, posto che dal numero totale degli ingressi verranno sottratti coloro che non saranno ammessi nel territorio a seguito della procedura di pre-ingresso. Il sistema della ricollocazione si basa dunque sul gruppo di Stati volenterosi, riproducendo in gran parte quello che era già stato deciso nell’accordo di Malta del settembre 2019. La novità riposa nell’offrire agli Stati che non vogliono ammettere alcun richiedente protezione internazionale, l’alternativa di collaborare come sponsor dei rimpatri: in estrema sintesi, o si ammette un richiedente protezione internazionale o si collabora al rimpatrio di una persona non regolarmente soggiornante. Tale contributo assume le più svariate forme, non esclusivamente quella finanziaria ma ad esempio anche assumendo il ruolo di interlocutore privilegiato con le autorità dei Paesi terzi dove le persone devono essere rimpatriate; questo perché ogni Stato membro dell'Unione ha le proprie aree di influenza, ha i propri accordi di riammissione bilaterali e quindi può offrire un proprio individuale contributo al rimpatrio di una persona che si trovi in un altro Stato membro. Nel frattempo, la persona rimane nello Stato di sbarco e se dopo otto mesi il rimpatrio non è avvenuto allora vi sarà il trasferimento del migrante nello Stato membro facente funzione di sponsor per il rimpatrio.
Questo sistema che si applica sempre nei casi di ingresso a seguito di ricerca e soccorso in mare, viene generalizzato nel caso di ingressi a seguito di operazioni di ricerca e soccorso in mare, dovrebbe trovare applicazione anche allorquando uno Stato si trovi in una situazione di pressione o in una situazione di crisi. Le situazioni di pressione o di crisi sono accertate dalla Commissione europea che pure individua in ogni caso quale set di misure applicabile e in che modo sollecitare la partecipazione degli Stati. Come abbiamo già osservato in passato, sono anche introdotti sistemi per individuare in modo oggettivo la misura dei contributi dei singoli Stati, in ognuno dei modi nei quali questi si possono esplicare.
L’auspicio della Commissione è che grazie ad una maggiore capacità di programmazione e all’innovativo strumento della sponsorship sul rimpatrio, si stemperino le tensioni sul sistema Dublino e questo possa finalmente funzionare in modo efficiente, senza più attriti tra gli Stati. È altamente improbabile che questo accada, o che accada in ragione di queste proposte. Anche a questo riguardo, se vi è una possibilità che le tensioni tra gli Stati si attenuino è perché vi sarà nel prossimo futuro una riduzione drastica degli arrivi grazie alle misure di contenimento dei flussi. Con meno arrivi sarà più semplice trovare un accordo tra gli Stati membri, nell’accoglienza e nel trasferimento delle persone. Ma se la forzata riduzione dei flussi non dovesse esser realizzata, l'intero progetto potrebbe non ottenere i risultati perseguiti.
[1] Si vedano qui alcuni interessanti dati statistici sulla migrazione e l’asilo in Europa.
[2] S. Amadeo, F. Spitaleri, Il Diritto dell’immigrazione e dell’asilo dell’Unione europea, Torino, 2019. Si veda anche il nostro Il diritto dell’Unione europea e il fenomeno migratorio, in M. Giovannetti, N. Zorzella, Ius migrandi, Trent’anni di politiche e legislazione sull’immigrazione in Italia, Milano, 2020, p. 55 ss.
[3] Si veda la raccomandazione su reinsediamento, ammissione umanitaria del 23 settembre 2020.
[4] Si veda in questa Rivista on line l’obiettivo n. 2 del fascicolo n. 1/2020, Le nuove frontiere dei diritti umani, al tempo dell'esternalizzazione delle frontiere italiane ed europee; L. Gennari. C. L. Cecchini, G. Crescini, Esternalizzazione delle frontiere e gestione della rotta mediterranea tra esigenze di sicurezza e tutela dei diritti fondamentali, in M. Giovannetti, N. Zorzella (a cura di), Ius migrandi, cit., p. 133 ss.
[5] Si veda la proposta di regolamento su una procedura di esame dei cittadini di Paesi terzi alle frontiere esterne.
[6] Si permetta il rinvio al nostro L’Unione che protegge e l’Unione che respinge. Progressi, contraddizioni e paradossi del sistema europeo di asilo, in questa Rivista on line, obiettivo 2/2018, L’ospite straniero, par. 6.
[7] Si veda la proposta modificata del regolamento procedure sostitutivo della direttiva 2013/32.
[8] Corte di giustizia, sentenza del C-181/16 del 19 giugno 2018, Gnandi, ECLI:EU:C:2018:465.
[9] Sul punto si veda C. Pitea, La nozione di «paese di origine sicuro» e il suo impatto sulle garanzie per i richiedenti protezione internazionale in Italia, in Rivista di diritto internazionale, 2019, in particolare pp. 652-659.
[10] L. Minniti, Il nucleo e l’orbitale del diritto costituzionale d’asilo, in E. Sciso (a cura di), I flussi migratori e le sfide all’Europa, Torino, 2020, p. 285 ss.; L. Masera, L. Minniti, Introduzione, in questa Rivista on line l’obiettivo n. 2 del fascicolo n. 1/2020, Le nuove frontiere dei diritti umani, al tempo dell'esternalizzazione delle frontiere italiane ed europee;
[11] P. Bonetti, L’evoluzione delle norme e delle politiche del diritto di asilo in Italia e in Europa tra protezione internazionale e asilo costituzionale, in M. Giovannetti, N. Zorzella, Ius migrandi, cit., p. 751; M. Benvenuti, La forma dell’acqua. Il diritto di asilo costituzionale tra attuazione, applicazione e attualità, in questa Rivista on line, obiettivo 2/2018, L’ospite straniero.
[12] Sentenza Corte di giustizia, 14 maggio 2019, M, C-391/16, ECLI:EU:C:2019:403.
[13] N. Lazzerini, Le clausole generali della Carta dei diritti fondamentali nel law-making europeo: codificazione e Innovazione nella determinazione del livello di tutela, in A. Annoni, S. Forlati e F. Salerno (a cura di), La codificazione nell’ordinamento internazionale e dell’Unione europea, Napoli, Editoriale scientifica, 2019, 515-523.
[14] Si veda la proposta di regolamento sulla gestione della migrazione e dell’asilo.
[15] A. Adinolfi, La circolazione tra gli Stati membri dell’Unione degli stranieri in condizione regolare, in G. Caggiano (a cura di), I percorsi giuridici per l’integrazione. Migranti e titolari di protezione internazionale, Torino, 2014.
[16] Verso una procedura comune in materia di asilo e uno status uniforme e valido in tutta l'Unione per le persone alle quali è stato riconosciuto il diritto d'asilo, COM(2000)755 del 22 novembre 2000, pp. 13-14; la necessità di estendere il diritto di circolazione e di soggiorno ai beneficiari di protezione internazionale per consentire un più corretto funzionamento del sistema europeo comune di asilo è stata sottolineata, tra gli altri, da due contributi elaborati in occasione della conferenza pubblica sugli sviluppi della politica europea in materia di giustizia e affari interni, svoltasi il 29 e 30 gennaio 2014 a Bruxelles. Si veda in particolare il contributo del direttore dell’EASO, EASO Contribution to DJJHA conference on the future of Home Affairs, e di Amnesty international, Amnesty International’s contribution to the European Commission’s public consultation on the Debate on the future agenda for Home Affairs policies: An open and safe Europe – what next?, January 2014, pp. 11-12. Libro verde sul futuro regime comune europeo in materia di asilo, COM(2007)301 del 6 giugno 2007, pp. 6-7.
[17] GUCE 2011 L 132, pp. 1-4.
[18] Si veda la proposta di regolamento sulla gestione della migrazione e dell’asilo.
[19] Sulle operazioni di ricerca e soccorso in mare, il pacchetto legislativo contiene solo misure di soft law: una raccomandazione sul coordinamento delle operazioni che dovrebbe coinvolgere anche le navi umanitarie nonché gli Stati di bandiera; delle linee guida sull’applicazione della direttiva 2002/90/CE volta a definire il favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali in modo che sia interpretata nel senso di escludere la criminalizzazione dell’assistenza umanitaria. Sul punto si v. M. Carta, La disciplina del traffico di migranti nel sistema UE, in Federalismi.it, 16 novembre 2016.