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Il principio del mutuo riconoscimento e della fiducia reciproca sul banco di prova delle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare

di Daniela Cardamone
giudice del Tribunale di Milano

Un recente contrasto giurisprudenziale sulla possibilità di eseguire la misura cautelare degli arresti domiciliari in un altro Paese dell’Unione europea offre alcuni spunti di riflessione sulle problematiche attuative della decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio dell'Unione Europea del 23 ottobre 2009 sul reciproco riconoscimento delle decisioni sulle misure alternative alla «detenzione cautelare» e, più in generale, sull’attuazione del principio del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie in materia cautelare.

1. La decisione quadro 2009/829/GAI e la sua attuazione in Italia

Con il decreto legislativo 15 febbraio 2016 n. 36 è stata data attuazione nell'ordinamento italiano alla decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio dell'Unione europea del 23 ottobre 2009, sul reciproco riconoscimento delle decisioni sulle misure alternative alla «detenzione cautelare» (c.d. ordine di sorveglianza europeo).

L'obiettivo della decisione quadro è espresso nei «considerando», che ne formano la premessa e ne indicano la motivazione. Essa è stata adottata in conformità con le conclusioni del Consiglio europeo riunitosi a Tampere il 15 e 16 ottobre 1999, con particolare riferimento al punto 36, per il quale il principio del reciproco riconoscimento dovrebbe applicarsi alle ordinanze preliminari; inoltre, il programma di misure intese ad attuare il principio del reciproco riconoscimento in materia penale prende in considerazione il reciproco riconoscimento delle misure cautelari (considerando 2). 

Le misure assunte dalla decisione quadro sono rivolte a rafforzare la protezione dei cittadini in generale, consentendo a una persona residente in uno Stato membro, sottoposta a procedimento penale in un secondo Stato dell’Unione, di essere sorvegliata dalle autorità dello Stato in cui risiede, in attesa del processo. Pertanto, la decisione quadro «si prefigge l'obiettivo della sorveglianza dei movimenti di un imputato alla luce del preminente obiettivo della protezione dei cittadini in generale nonché del rischio rappresentato per essi dal regime esistente, che prevede due sole alternative: detenzione cautelare o circolazione non sottoposta a controllo. Le misure rinforzeranno pertanto il diritto dei cittadini rispettosi della legge di vivere in sicurezza» (considerando 3). 

Le misure previste dalla decisione quadro, inoltre, «dovrebbero mirare a rafforzare il diritto alla libertà e la presunzione di innocenza nell'Unione europea nel suo complesso e assicurare la cooperazione tra gli Stati membri allorché una persona sia soggetta a obblighi o a misure cautelari durante un procedimento giudiziario». Di conseguenza, l'obiettivo della decisione quadro «è la promozione, ove opportuno, del ricorso a misure non detentive come alternativa alla detenzione cautelare, anche quando, a norma della legislazione dello Stato membro interessato, la detenzione cautelare non potrebbe essere disposta ab initio» (considerando 4).

Inoltre, la decisione quadro chiarisce che: «Per quanto concerne la detenzione di persone sottoposte a procedimento penale, esiste il rischio di una disparità di trattamento tra coloro che risiedono e coloro che non risiedono nello Stato del processo: la persona non residente nello Stato del processo corre il rischio di essere posta in custodia cautelare in attesa di processo, laddove un residente non lo sarebbe. In uno spazio comune europeo di giustizia senza frontiere interne è necessario adottare idonee misure affinché una persona sottoposta a procedimento penale non residente nello Stato del processo non riceva un trattamento diverso da quello riservato alla persona sottoposta a procedimento penale ivi residente» (considerando 5).

La motivazione di fondo della decisione quadro è, dunque, quella di perseguire l’obiettivo di limitare l’applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti dei soggetti indagati, non cittadini, per i quali la misura intramuraria non dovrebbe essere più considerata l’unica idonea a tutelare le esigenze cautelari, a causa dell’assenza di “legami stabili” con il territorio dello Stato dove è stato commesso il reato. 

In questo modo, si mira a realizzare un equo bilanciamento tra l’interesse dello Stato a perseguire l’autore di un reato, scongiurandone il pericolo di fuga, e la tutela della libertà e della presunzione di non colpevolezza dell’indagato.

La decisione quadro 2009/829/GAI è stata attuata in Italia con il decreto legislativo n. 36/2016. 

L’art. 2 del d.lgs. n.36/2016 contiene le “definizioni” e stabilisce alla lett. b) che per «decisione sulle misure cautelari» si intende «un provvedimento emesso nel corso del procedimento penale dall'autorità giudiziaria con cui si impongono a una persona fisica, in alternativa alla detenzione cautelare, uno o più obblighi e prescrizioni» e alla lett. c) stabilisce che per «misure cautelari» devono intendersi «gli obblighi e prescrizioni imposti dalla decisione sulle misure cautelari».

Si segnala, in particolare, l’art. 4 del decreto cit., che ha costituito oggetto di contrasto giurisprudenziale, il quale descrive le misure cautelari alle quali si applicano le disposizioni introdotte con il decreto legislativo: a) obbligo di comunicare ogni cambiamento di residenza, in particolare al fine di assicurare la ricezione della citazione a comparire a un'audizione o in giudizio nel corso del procedimento penale; b) divieto di frequentare determinati luoghi, posti o zone del territorio dello Stato di emissione o dello Stato di esecuzione; c) obbligo di rimanere in un luogo determinato, eventualmente in ore stabilite; d) restrizioni del diritto di lasciare il territorio dello Stato; e) obbligo di presentarsi nelle ore fissate alla autorità indicata nel provvedimento impositivo; f) obbligo di evitare contatti con determinate persone che possono essere a qualunque titolo coinvolte nel reato per il quale si procede; g) divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali.

 

2. La questione dell’esecuzione della misura cautelare degli arresti domiciliari in altro Stato membro dell'Unione europea

In sede di applicazione dello strumento euro-unitario si è registrato, di recente, un contrasto di orientamenti giurisprudenziali sulla applicabilità della decisione quadro 2009/829/GAI agli arresti domiciliari. 

Nella sentenza della terza sezione n. 26010 del 29/04/2021, il caso portato all’attenzione dei giudici di legittimità è quello di un ricorrente che aveva chiesto la sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari in Polonia, presso l'abitazione di sua residenza; il ricorrente aveva fondato l'istanza, l'appello ed il ricorso per cassazione sul presupposto che l'art. 4 d.lgs. 36/2016 si riferisse anche agli arresti domiciliari. La Corte di cassazione ha rigettato il ricorso affermando che l'art. 4 d.lgs. 36/2016 si riferisce chiaramente ed esclusivamente alle misure cautelari non detentive; in particolare la lett. c) – si afferma nella sentenza - si riferisce all'obbligo di dimora, che prevede anche la possibilità di imporre l'obbligo di non allontanarsi dal domicilio in determinate ore del giorno.

La Corte ha, inoltre, ribadito il principio affermato in precedenti sentenze (sez. 2, n. 26526 del 09/03/2017; sez. 3, n. 45705/2019; sez. 2, n. 35548/2021) secondo il quale l'attivazione della procedura per l'esecuzione di una misura cautelare in un altro Paese dell'Unione è provvedimento di natura esecutiva, rimesso alla valutazione discrezionale del pubblico ministero, il cui controllo di legittimità è effettuabile attraverso l'attivazione dell'incidente di esecuzione.

Con una sentenza successiva (sez. 4, n. 37739 del 15/09/2021), la Corte di cassazione è ritornata sul tema ed ha elaborato dei principi totalmente diversi affermando che la misura cautelare degli arresti domiciliari può trovare esecuzione nello Stato membro dell'Unione europea di residenza dell'interessato perché rientra nell'ambito di applicazione della decisione quadro 2009/829/GAI e del d.lgs. n. 36/2016, trattandosi di misura che, imponendo l'obbligo di rimanere in un luogo determinato, rientra nelle ipotesi di cui all'art. 4, lett. c) del predetto decreto legislativo. 

Nel caso concreto portato all’attenzione della Corte di cassazione, il tribunale del riesame aveva rigettato l'istanza di revoca o sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere in ragione del pericolo di fuga, desunto dall'assenza di stabili legami in Italia; inoltre, aveva escluso, in base alla giurisprudenza fino a quel momento prevalente, l'applicabilità di misure diverse dalla custodia in carcere, con esecuzione presso uno Stato estero, posto che essa presuppone che sia stata disposta una misura cautelare non detentiva dall'autorità giudiziaria italiana e che, su iniziativa del pubblico ministero e con l'intervento del Ministero della giustizia, altro Stato dell'Unione europea operi il suo riconoscimento ai fini dell'esecuzione sul proprio territorio nazionale. 

I giudici di legittimità hanno, invece, affermato che gli arresti domiciliari non possono essere ritenuti inadeguati a fronteggiare le esigenze cautelari solo in ragione della mancanza di un luogo di esecuzione sul territorio nazionale, ove sia disponibile un indirizzo di esecuzione presso un altro Stato dell'Unione in cui l'interessato sia radicato.

Nell’articolata motivazione della sentenza n. 37739/2021, la Corte di cassazione si sofferma sul punto controverso che è quello del significato da attribuire - alla luce degli obiettivi perseguiti dalla Decisione quadro 2009/829/GAI – al termine «detenzione cautelare», ovvero se essa corrisponda ad ogni forma di misura cautelare che importi una coercizione fisica della libertà, quindi custodia cautelare in carcere o arresti domiciliari, oppure se essa riguardi solo la massima misura restrittiva, vale a dire la detenzione carceraria. 

La questione viene inquadrata nell’ambito dei principi fondamentali sui quali si basa la cooperazione giudiziaria in materia penale, assumendo quale punto di partenza il principio del riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie, enunciato sin dalle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 15-16 ottobre 1999, che oggi trova la sua base normativa nell'art. 82, par. 1 TFUE, secondo cui «La cooperazione giudiziaria in materia penale nell'Unione è fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e include il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri nei settori di cui al paragrafo 2 e all'articolo 83».

Si tratta di un meccanismo operativo fondante, che trova la sua precondizione - ma anche il suo rafforzamento - nella reciproca fiducia fra gli Stati membri, e che è revocabile solo previa modifica dei Trattati, posto che in essi trova la sua enunciazione.

Nel ragionamento della Corte di cassazione nella sentenza n. 37739/2021, inoltre, assume una funzione centrale l’obbligo di interpretazione conforme al quale il giudice nazionale è vincolato con riferimento alle decisioni quadro, atti dell’Unione privi di efficacia diretta. 

Le decisioni quadro sono prive di effetti diretti in quanto sono state adottate sul fondamento dell’ex terzo pilastro dell’Unione, segnatamente in applicazione dell’articolo 34, paragrafo 2, lettera b), TUE. Tale disposizione prevedeva, da un lato, che le decisioni quadro fossero vincolanti per gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi e, dall’altro, che le decisioni quadro non avessero efficacia diretta.  

A tale riguardo, va ricordato che, ai sensi dell’articolo 9 del protocollo (n. 36) sulle disposizioni transitorie, allegato ai trattati, gli effetti giuridici degli atti delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione adottati in base al Trattato UE prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona sono mantenuti finché tali atti non saranno stati abrogati, annullati o modificati in applicazione dei trattati e continuano pertanto a produrre i loro effetti giuridici conformemente all’articolo 34, paragrafo 2, lettera b), TUE. Quindi, anche se le decisioni quadro non hanno effetto diretto, il loro carattere vincolante comporta in capo alle autorità nazionali un obbligo di interpretazione conforme del loro diritto interno a partire dalla data di scadenza del termine di recepimento di tali decisioni quadro. Nell’applicazione del diritto nazionale, tali autorità sono quindi tenute ad interpretare le decisioni quadro, quanto più possibile, alla luce della loro lettera e del loro scopo al fine di conseguire il risultato perseguito dalle stesse[1]. Nell’ambito di questa premessa metodologica, i giudici di legittimità individuano la corretta interpretazione del concetto di «detenzione cautelare» alla luce dello scopo della decisione quadro, che è quello di consentire che qualsiasi misura diversa dalla detenzione carceraria - che nelle medesime condizioni risulta 'adeguata' per un residente sul territorio nazionale - sia eseguita nello Stato dell'Unione ove l'interessato ha la residenza, e quindi di evitare la discriminazione fondata sulla residenza, anche nel caso in cui la misura ‘adeguata’ sia quella degli arresti domiciliari.

Nell’individuare questa chiave interpretativa, la Corte di legittimità nella sentenza n. 37739/2021 si fonda su un criterio sostanziale - proprio del diritto penale europeo – in cui il riferimento agli istituti di diritto interno non va fatto seguendo criteri formali e in base a dati normativi, bensì facendo ricorso ad una breve descrizione degli stessi[2]. Nella sentenza si afferma, infatti, che la decisione quadro 2009/829/GAI utilizza l'espressione «detenzione cautelare» con linguaggio «volutamente generico», in quanto esso deve essere adattabile alle legislazioni interne di ciascuno Stato membro. 

La decisone quadro e il d.lgs n. 36/2016 che la attua elencano, quindi, una serie di misure cautelari fornendone una breve descrizione, nell’ambito delle quali – secondo i giudici di legittimità - non è difficile individuare nella misura cautelare dell’«obbligo di rimanere in un luogo determinato, eventualmente in ore stabilite», di cui all’art. 4 lett. b) d.lgs 36/2016, un riferimento agli arresti domiciliari, di cui all’art. 284 cpp, con cui si impone il divieto di allontanamento dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari, ma si regola anche (al comma 3) la possibilità di conformare gli obblighi alle indispensabili esigenze di vita, autorizzando l'allontanamento in particolari orari e con particolari modalità.

Nella sentenza n. 37739/2021, la Corte di cassazione afferma che ritenere che la locuzione «detenzione cautelare» sia comprensiva della misura degli arresti domiciliari - e cioè di tutte le misure custodiali – e che quindi l'art. 4 d.lgs. 36/2016 si riferisce esclusivamente alle misure cautelari non detentive, comporterebbe il «tradimento dello scopo» della decisione quadro 2009/829/GAI, come chiarito al “considerando” n. 5) del suo preambolo, il quale impone di adottare idonee misure affinché una persona sottoposta a procedimento penale, non residente nello Stato del processo, non riceva un trattamento diverso da quello riservato alla persona sottoposta a procedimento penale ivi residente. 

Tale opzione interpretativa consente, quindi, di leggere il disposto normativo in modo conforme all'obiettivo della decisione quadro, senza necessità di formulare alla Corte di giustizia una questione preliminare interpretativa ai sensi dell'art.267 par.1 lett. b) TFUE in merito al significato della locuzione «detenzione cautelare», non essendo pregiudicata la corretta e uniforme interpretazione del diritto dell'Unione, in presenza di un significato chiaro della disposizione, ove si tenga conto dello scopo del diritto dell'Unione espresso in una decisione quadro e del rapporto di tale genere di atto con la legislazione degli Stati membri; non ritenendosi sussistente il rischio che in altri Stati membri la locuzione possa avere altro senso; non essendovi decisioni interpretative in senso contrario della Corte di giustizia sul punto[3].

 

3. Il ruolo del pubblico ministero

L’analisi della decisione censurata consente alla Corte di cassazione nella sentenza n. 37739/2021 di affrontare un’altra questione di grande rilevo, riguardante il ruolo del pubblico ministero nella procedura di applicazione dell’ordine di sorveglianza europeo. 

L’ordinanza del tribunale del riesame aveva affermato di non poter disporre «misure alternative con esecuzione nello Stato estero ove risiederebbe il ricorrente» in quanto le disposizioni del d.lgs. n. 36/2016 concernono «la diversa situazione in cui, una volta disposta una misura non detentiva dall'autorità giudiziaria italiana e in corso di esecuzione sul nostro territorio, ne possa essere operato, su iniziativa del pubblico ministero, con l'intervento del Ministero della giustizia, il riconoscimento da parte di altro Stato dell'Unione ai fini della prosecuzione sul relativo territorio». 

Il tribunale del riesame si era basato sull’orientamento della Cassazione in precedenti pronunzie (sez.3 n. 26010/2021; sez. 2, n. 26526/2017) in cui si era affermato che l'attivazione della procedura per l'esecuzione in altro Stato membro  delle misure cautelari non detentive disposte in Italia ai sensi del d.lgs. n. 36/2016 è un provvedimento che attiene alla fase "esecutiva" del procedimento di applicazione delle misure cautelari; che, appunto, la natura "esecutiva" del provvedimento giustifica la scelta di affidare la competenza al pubblico ministero, che è l'organo cui sono assegnati, ove non diversamente disposto, gli oneri esecutivi dei provvedimenti giurisdizionali, secondo quanto previsto dall'art. 655 cpp; che va escluso ogni automatismo tra richiesta di esecuzione della misura all'estero ed attivazione della relativa procedura in quanto la natura esecutiva del provvedimento del pubblico ministero prevede l'esercizio di un potere discrezionale, che deve essere esercitato attraverso provvedimenti motivati, sottoposti al possibile controllo del giudice dell'esecuzione, attivabile attraverso la proposizione del relativo incidente, come in tutti i casi in cui al pubblico ministero sono affidate competenze in materia di esecuzione delle misure cautelari.

Nella sentenza n. 37739/2021 si critica tale impostazione la quale implica l'erroneo assunto secondo il quale, nella scelta della misura cautelare da ritenere adeguata e proporzionata, non incide la possibilità di eseguirla in altro Stato dell'Unione, restando la sua individuazione limitata alle sole cautele eseguibili sul territorio nazionale, che, solo per l'intervento del pubblico ministero nella fase esecutiva possono 'proseguire' nel territorio di uno Stato diverso dell'Unione.

Tale impostazione, per i giudici di legittimità, collide, infatti, con il dato letterale dell’art. 5 d.lgs. n. 36/2016 che prevede che il pubblico ministero «provvede, osservate le condizioni di cui all'art. 6, alla trasmissione della decisione sulle misure cautelari all'autorità competente dello Stato membro in cui l'interessato ha residenza legale ed abituale, quando l'interessato abbia manifestato la volontà di fare rientro in quello Stato». 

Non è, dunque, affatto necessario che la misura cautelare applicata «sia in corso di esecuzione nel nostro territorio», tanto è vero che, secondo l'art. 6, comma 1, d.lgs. n.36/2016 «la trasmissione all'estero è disposta immediatamente dopo la decisione delle misure cautelari, con l'indicazione del periodo di applicazione».

La Corte chiarisce, dunque, che quella del pubblico ministero non va intesa come una facoltà e il suo intervento, ai sensi dell'art. 5 cit. va, invece, inteso come «un obbligo di dare attuazione alla decisione assunta dal giudice della cautela», senza alcuna discrezionalità. 

 

4. Alcune questioni applicative nella procedura attiva

La sentenza n. 37739/2021 contribuisce a chiarire la portata di uno strumento dalle enormi potenzialità, il quale è rimasto ampiamente inattuato, a fronte di un utilizzo sproporzionato del mandato di arresto europeo, pur in presenza di specifici strumenti di cooperazione internazionale in materia penale ai quali, in base al principio di proporzionalità, si dovrebbe fare ricorso qualora risultino comunque adeguati allo scopo da raggiungere, con il minor sacrificio possibile per la libertà personale[4].

La ritenuta possibilità di applicare l’ordine di vigilanza europeo alla misura degli arresti domiciliari, l’affermazione secondo la quale l'assenza di un domicilio sul territorio nazionale non realizza la condizione di cui all'art. 275, comma 2 bis, ultima parte c.p.p. quanto alla nozione di “domicilio non idoneo”, l’affermazione della competenza del giudice della cautela in sede applicativa trattandosi di materia relativa alla libertà personale, superando così  un’incongruenza del sistema che era stata evidenziata dalla dottrina[5], sono tutti elementi che, verosimilmente, contribuiranno ad una maggiore applicazione dell’istituto.

Tenuto conto che, in caso di applicazione della misura degli arresti domiciliari, è fortemente sconsigliato ricorrere al mandato di arresto europeo, in quanto il soggetto è destinato ad essere sottoposto, nelle more della consegna, ad una misura detentiva più restrittiva di quella da eseguire[6], ritenere che in questo caso possa farsi ricorso all’ordine di sorveglianza europeo, è certamente un’interpretazione che corrisponde alla ratio della decisione quadro.

Un altro aspetto di rilevante novità della sentenza n. 37739/2021 è l’affermazione che non è necessario che la misura cautelare applicata «sia in corso di esecuzione nel nostro territorio», tanto è vero che, secondo l'art. 6, comma 1, d.lgs. n.36/2016 «la trasmissione all'estero è disposta immediatamente dopo la decisione delle misure cautelari, con l'indicazione del periodo di applicazione». 

Sembrerebbe, quindi, che, anche in sede di emissione dell’ordinanza che dispone la misura cautelare, possa essere individuata una misura da eseguirsi all’estero, ivi compresa quella degli arresti domiciliari.

Si tratta di una affermazione che, pur se condivisibile in linea di principio in quanto logica conseguenza del fatto che, nella scelta della misura più idonea al caso concreto, il giudice non deve prendere in considerazione le sole cautele eseguibili sul territorio nazionale, appare difficilmente conciliabile con il dato letterale della decisione quadro e con il modo in cui è congegnato il sistema stesso, il quale sembra presupporre che la misura sia stata già eseguita nel territorio dello Stato di emissione. 

In primo luogo, vi è la considerazione di carattere pratico che il gip solitamente non sa se l’indagato – individuato quale “senza fissa dimora in Italia” nella richiesta di applicazione della misura cautelare del pm - abbia un domicilio all’estero. Tale difficoltà potrebbe essere superata qualora - come è auspicabile nell’ottica di una futura applicazione diffusa dello strumento euro-unitario – il pm acquisisca tale informazione durante le indagini e la fornisca al gip in fase di richiesta di applicazione della misura cautelare.

L’aspetto il quale appare, invece, più difficilmente superabile nella pratica è quello della necessità di acquisire il consenso dell’interessato all’esecuzione della misura cautelare in altro Stato dell’Unione e quello dello Stato, diverso da quello di residenza, al quale l’interessato abbia eventualmente richiesto di trasmettere la decisione sulla misura cautelare (art. 9 paragrafi 1 e 2 DQ, e art. 6 comma 2 d.lgs 36/2016). 

Tale consenso va acquisito una volta che l’interessato sia stato «informato delle misure in questione» e «acconsenta a ritornare nello Stato» - quindi sembrerebbe dopo che l’ordinanza applicativa è stata eseguita; si tratta di un elemento essenziale in quanto la mancata indicazione nel certificato del consenso di cui all’art. 9 paragrafi 1 e 2 DQ è espressamente prevista quale motivo di non riconoscimento (art. 15 paragrafo 1 lett. b) DQ). Anche il testo del d.lgs 36/2016, conformemente alla decisone quadro, prevede all’art. 6 che il pm dispone la trasmissione della decisione sulle misure cautelari e del certificato, dove si dà attestazione del consenso dell’interessato e, quando è richiesto, del consenso dell’autorità competente dello Stato di esecuzione. 

Inoltre, nel certificato da trasmettere all’autorità competente dello Stato di esecuzione deve essere indicato «il periodo di applicazione della decisione sulle misure cautelari e se è possibile una proroga della decisione» (art. 10 paragrafo 5 lett. a) DQ e art.6 comma 1 d.lgs 36/2016) e anche la mancata indicazione di questo elemento può costituire motivo di non riconoscimento, in quanto il certificato risulterebbe incompleto (art. 15 lett. a) DQ); anche in questo caso, si tratta di un elemento essenziale che diviene noto solo quando la misura ha avuto esecuzione in quanto, solo da quel momento, è noto il dies a quo del termine di durata della misura cautelare.

Inoltre, è previsto (art. 22 DQ) che, salvo impossibilità, le autorità competenti dello Stato di emissione e dello Stato di esecuzione si consultano nella fase di elaborazione o, almeno, prima di trasmettere una decisione sulle misure cautelari unitamente al certificato.

Infine, l’art. 11 DQ stabilisce che, fino a quando l’autorità dello Stato di esecuzione non informa l’autorità dello Stato di emissione della decisione sul riconoscimento, quest’ultimo «mantiene la competenza sulla sorveglianza delle misure cautelari disposte».

Tutti questi elementi depongono nel senso che l’ordine di vigilanza europeo sia stato congegnato in modo da presupporre che una misura cautelare sia già in esecuzione nello Stato di emissione. 

Ne consegue che resta, poi, da chiarire come si possa conciliare, nella pratica, il fatto che l’assenza di un domicilio idoneo sul territorio nazionale non realizza la condizione di cui all’art. 275 comma 2 bis ultima parte cpp, come ritenuto dalla Cassazione nella sentenza n. 37739/2021, con l’impossibilità di applicare l’ordine di sorveglianza europeo nella fase genetica della misura cautelare.

Nel momento in cui l’autorità competente dello Stato di esecuzione informa lo Stato di emissione del riconoscimento della decisione sulle misure cautelari, la competenza sulla sorveglianza delle misure cautelari disposte passa allo Stato di esecuzione (art. 11 paragrafo 1 DQ) (e cessa nei casi tassativamente previsti al paragrafo 2 dell’art. 11, fermo l’obbligo di consultazione reciproca per evitare qualsiasi interruzione nella sorveglianza che è sancito nel paragrafo 3 art. 11).

Da questo momento, si produce una dissociazione tra vigilanza sull’esecuzione della misura cautelare e vicende che riguardano il titolo cautelare stesso.

La legislazione dello Stato di emissione si applica alle decisioni di cui all’art. 18 paragrafo 1: a) la proroga, il riesame e la revoca della decisione sulle misure cautelari; b) la modifica delle misure cautelari; c) l’emissione di un mandato d’arresto o di qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva che abbia la stessa forza (art. 18 paragrafo 2 DQ).

La sorveglianza delle misure cautelari è, invece, disciplinata dalla legislazione dello Stato di esecuzione (art. 16 DQ).

La decisione quadro, al fine di consentire all’autorità dello Stato di emissione di prendere i provvedimenti di cui all’art. 18 paragrafo 1 DQ prevede, quindi, che l'autorità competente dello Stato di esecuzione informi «senza indugio» quest’ultima di «qualsiasi inosservanza di una misura cautelare e di qualsiasi altro elemento tale da comportare l'adozione di un'ulteriore decisione» e quindi anche di una modifica della misura cautelare, ai sensi dell'art. 18, paragrafo 1 (art. 19 paragrafo 3 DQ).

L’autorità competente dello Stato di emissione risponde «senza indugio» a tale invito, all’occorrenza prendendo una decisione ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1 (art. 19 paragrafo 5 DQ). 

Pertanto, lo Stato di emissione può agire immediatamente mediante un'eventuale modifica delle misure cautelari o, nei casi più gravi, e in via sussidiaria, emettendo un mandato di arresto per chiedere la consegna dell'indagato, se si ritiene necessaria la custodia cautelare in carcere. Inoltre, la decisione quadro, ai sensi dell’art. 21, ha rafforzato quest'ultima possibilità perché prevede che lo Stato di emissione può emettere un mandato d'arresto indipendentemente dai requisiti di tale mandato in merito ai limiti edittali di pena di cui all’art. 2 paragrafo 1 della decisione quadro 2002/584/GAI sul MAE. 

È anche previsto (art. 23 DQ) che lo Stato di esecuzione solleciti l'adozione dei provvedimenti entro un certo termine, potendo svincolarsi dall'obbligo di sorveglianza solo quando ciò non avvenga. L’autorità competente dello Stato di esecuzione, che abbia trasmesso all’autorità competente dello Stato di emissione varie comunicazioni ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 3 DQ, relative alla medesima persona, senza che quest’ultima autorità abbia preso una decisione ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1 DQ, può invitare l’autorità competente dello Stato di emissione a prendere la decisione in questione, fissando un termine ragionevole a tal fine.

La disciplina appare abbastanza dettagliata e coerente con l’impostazione di fondo secondo la quale è trasferita all’autorità dello Stato di esecuzione la sola competenza relativa alla sorveglianza lasciando, invece, allo Stato di emissione quella relativa alle decisioni destinate ad incidere sul titolo cautelare.

Uno dei problemi applicativi che potrebbero presentarsi attiene ai provvedimenti di cui all’art. 284 comma 3 cpp i quali, in base alle norme di diritto interno, sono di competenza del giudice della cautela ma che, d’altro canto, non sono decisioni ricomprese nell’elenco di cui all’art. 18 paragrafo 1 DQ.

La scelta più coerente con lo scopo della decisione quadro appare, dunque, essere quella che tali provvedimenti siano di competenza dell’autorità dello Stato di esecuzione, eventualmente a seguito di una consultazione con l’autorità dello Stato di emissione. Tale opzione sarebbe anche preferibile da un punto di vista pratico, tenuto conto che si tratta di indispensabili esigenze di vita che sovente richiedono una decisione da prendere con sollecitudine (si pensi ad esempio alla esigenza di recarsi da un medico o al  funerale di un congiunto); inoltre, va anche considerato che, trattandosi di provvedimenti che devono essere eseguiti da autorità di polizia straniere, dovrebbero essere tradotti nella lingua dello Stato di esecuzione, con notevole aggravio della procedura; da chiarire, infine, è se tali richieste rientrerebbero tra quelle relativamente alle quali il Ministero della giustizia cura la relativa corrispondenza ai sensi dell’art. 2 del d.lgs 36/2016.

Va anche segnalato che, opportunamente, il d.lgs n. 36/2016 risolve un problema di coordinamento con l’ordine di protezione europeo di cui al d.lgs n. 9/2015 (che ha attuato la direttiva 2011/99/UE) che potrebbe verificarsi in quanto, tra le misure cautelari, è prevista anche quella dell’«obbligo di evitare contatti con determinate persone che possono essere a qualunque titolo coinvolte nel reato per il quale si procede» (art. 8 lett. f) DQ e art. 4 lett. f) d.lgs n. 36/2016). Il legislatore ha precisato che il d.lgs n. 36/2016 trova applicazione «fatto salvo quanto previsto dal decreto legislativo 11 febbraio 2015 n. 9» (art. 4 comma 1 d.lgs n. 36/2016). Quindi, nel caso in cui entrambi gli strumenti siano utilmente applicabili, quello elettivo per la protezione della vittima è l’ordine di protezione europeo che è destinato a prevalere, in quanto specificamente calibrato sulle esigenze di salvaguardia di una vittima determinata[7].

Appare anche possibile che la vigilanza sulla misura cautelare degli arresti domiciliari venga eseguita in altro Stato dell’Unione con l’ausilio degli strumenti elettronici di controllo di cui all’art.275 bis cpp. 

Tale eventualità, seppure non specificamente contemplata nell’art. 8 DQ che elenca le misure cautelari, appare nel “considerando n.11”, dove è prevista «conformemente alla legislazione e alle procedure nazionali»; dunque, verosimilmente, l’applicabilità del c.d. “braccialetto elettronico” dipenderà, in concreto, dalla previsione di tale strumento nella legislazione dello Stato di esecuzione e, in mancanza, dalla possibilità di effettuare un “adattamento” della misura cautelare come previsto dall’art. 13 DQ.

In conclusione, già da una prima riflessione sul quadro normativo, appare evidente che l’ordine di sorveglianza europeo richiede un coordinamento costante tra le autorità competenti degli Stati membri coinvolti, sin da un momento antecedente alla trasmissione dell’ordinanza applicativa e del certificato e durante tutta la fase di esecuzione della misura cautelare, al fine di evitare qualsiasi interruzione della sorveglianza della persona indagata. 

Ciò si riflette chiaramente nelle diverse forme di consultazione e comunicazione tra le autorità coinvolte previste dalla decisione quadro, che comporta un notevole carico di lavoro per garantire il corretto funzionamento di questo strumento.

Il modo in cui l’ordine di sorveglianza europeo è concepito determina, quindi, un'esigenza quasi permanente di comunicazione tra le autorità di emissione e di esecuzione. 

Ciò è dovuto essenzialmente alla natura provvisoria e alla mutabilità delle misure cautelari e, in secondo luogo, al fatto che lo Stato di esecuzione non è competente ad agire in determinate circostanze (ad es. inosservanza delle prescrizioni, necessità di modificare misure di vigilanza, ecc.), ma deve limitarsi a comunicarle allo Stato di emissione, che conserva il potere di prendere le decisioni conseguenti.

La procedura consente, inoltre, entro certi limiti, la corrispondenza diretta tra le autorità giudiziarie coinvolte ma richiede che il Ministero della giustizia venga sempre immediatamente informato (art. 3 d.lgs 36/2016).

La corrispondenza diretta tra le autorità giudiziarie, se da un lato costituisce una forma di semplificazione, dall’altro può costituire una difficoltà concreta in quanto la stessa presuppone che le autorità giudiziarie siano in grado di comunicare in lingua straniera.

L’art. 24 DQ, infatti, prevede solo per i certificati (di cui agli allegati 1 e 2) che siano tradotti nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali dello Stato di esecuzione e il d.lgs n. 36/2016 prevede che alla traduzione del certificato nella lingua dello Stato di esecuzione provveda il Ministero della giustizia che, quale autorità centrale, «cura la corrispondenza relativa ad ogni altra richiesta che non debba essere soddisfatta direttamente dall’autorità competente» (art. 3 comma 2 d.lgs cit.).  

Oltre alle difficoltà pratiche, che certamente sussistono, una delle cause della mancata applicazione a livello europeo di tale strumento è stata individuata nel fatto che, mentre lo scopo ultimo del mandato di arresto europeo, mediante la consegna dell’indagato sul territorio dello Stato dell’autorità procedente, è garantire che gli Stati membri possano esercitare la propria giurisdizione nel perseguire e punire gli autori dei reati, nonostante questi si trovino nel territorio di un altro Stato, mediante l’ordine europeo di sorveglianza, il potere di controllo sulla persona oggetto del procedimento penale pendente è temporaneamente ceduto ad un altro Stato[8].

Nell’ordine di sorveglianza europeo, il motore di tutto il meccanismo, che potrà consentire di superare le difficoltà applicative, è costituito dal principio della reciproca fiducia sulla capacità di ciascuno Stato di assicurare, nello spazio comune europeo di giustizia, quella stessa sorveglianza sull'esecuzione di una misura cautelare che sarebbe garantita dallo Stato che la impone, che costituisce la vera trama della decisione quadro 2009/829/GAI, al di là del meccanismo operativo fondante il riconoscimento reciproco delle decisioni.

 


 
[1] In tal senso, si vedano le sentenze: Pupino, C 105/03; Lopes Da Silva Jorge, C 42/11; Ognyanov, C 554/14, Popławski, C 579/15.

[2] F. Ruggieri, Guida alla lettura e organizzazione dei contributi, in F. Ruggieri (a cura di), Processo penale e regole europee, p. 7.

[3] Si vedano le sentenze CG n.283/81 del 6 ottobre 1982, Cilfit, integrati da CG n.561/19 del 6 ottobre 2019, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, richiamate dalla sentenza Cass. n. 37739/2021.

[4] Si vedano le conclusioni del Final Report on the fourth round of mutual evaluations, The practical application of the European Arrest Warrant and corresponding surrender procedures between Member States (2009), Doc. 8302/4/09, REV. 4, May 28, 2009, 13ss, https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-8302-2009-REV-4/en/pdf   

[5] A. Marandola, Reciproco riconoscimento delle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare, in Cooperazione giudiziaria penale, Milano, 2018, 911.

[6] Si vedano sul punto le indicazioni contenute nel Manuale sul mandato di arresto europeo 2017/C 335/01 ai punti 2.4.e 2.5 e nel Vademecum del Ministero della Giustizia par. 3.5 e 3.6.

[7] P. Bronzo, Ordine di protezione europeo, in Cooperazione giudiziaria penale, Milano, 2018, 672-673.

[8] A. M. Neira-Pena, The Reasons Behind the Failure of the European Supervision Order: The Defeat of Liberty Versus Security, in European papers: a journal on law and integration, vol. 5, n. 3, 2020, 1493-1509. B. Min, The European Supervision Order for transfer of defendants: why hasn’t it worked?, in https://www.penalreform.org/blog/the-european-supervision-order-for-transfer-of-defendants/  

24/01/2022
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