Il 14 giugno 2017, a Bari, presso l’Aula Starace di Palazzo del Prete, sono stati presentati e discussi i risultati della ricerca svolta dal Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari (responsabile scientifico, prof. Giuseppe Campesi), su oltre 300 provvedimenti di convalida e 98 provvedimenti di proroga del trattenimento emessi dall’Ufficio del Giudice di pace di Bari e riferiti al primo ed all’ultimo trimestre del 2015, ovvero al periodo precedente la chiusura del Centro di identificazione ed espulsione del capoluogo pugliese.
È stata una occasione per discutere, a ridosso del dibattito politico e giuridico che ha anticipato e che consegue alla approvazione della l. 46/2017, di conv. del dl 13/2017, del tema della tutela della libertà personale delle persone straniere sottoposte a detenzione amministrativa e dell’effettività delle garanzie di cui all’art. 13 Costituzione in relazione ad esse.
L’indagine si inserisce in un lavoro di ricerca durato oltre due anni e condotto nell’ambito del “Progetto Lexilium”, che ha coinvolto 5 sedi giudiziarie (Bari, Bologna, Prato, Roma e Torino) ed ha visto analizzati oltre 1.200 fascicoli ed i relativi provvedimenti giurisdizionali.
I risultati delle differenti ricerche sono inequivocabili: nei procedimenti di opposizione alle espulsioni i ricorrenti non vengono mai ascoltati, il termine per il deposito della decisione è regolarmente violato e spesso l'istanza di sospensione del decreto di espulsione viene ignorata; nelle procedure di trattenimento presso i Cie (attuali Cpr) si registrano udienze di brevissima durata (pari o minore di 5 minuti), talvolta in assenza dello straniero o dell'interprete, e un impressionante ripetitività dei provvedimenti, frequentemente privi di effettiva motivazione, adottati attraverso l'utilizzo di modelli predisposti o formule di stile.
Quanto, in particolare, al “Rapporto sui provvedimenti di convalida e proroga del trattenimento emessi dal Giudice di Pace di Bari”, v’è da dire che esso evidenzia la scarsa qualità del controllo giurisdizionale sui provvedimenti di trattenimento adottati dalle questure ai sensi del d.lgs 286/1998, probabilmente a causa di fattori multipli di cui non sono privi di responsabilità i meccanismi per gli affidamenti degli incarichi professionali, per i quali sono pochissimi gli avvocati officiati delle difese delle persone straniere trattenute.
Anche nella analisi della realtà barese, si conferma la prassi di avere udienze presumibilmente di breve durata svolte nei locali dell’ex Cie, che portano all’adozione di provvedimenti scarsamente motivati o, addirittura, privi di qualsiasi motivazione, che sembrano rimandare all’esercizio di una funzione di controllo meramente burocratica, diretta più alla validazione formale dei provvedimenti amministrativi che incidono sulla libertà personale degli stranieri che non all’esercizio di quel penetrante controllo giurisdizionale che l’art. 13 della Costituzione impone si eserciti su atti ablativi della libertà.
Come illustra il report di ricerca, nel corso delle udienze analizzate non si è praticamente mai effettuata una valutazione approfondita circa il “rischio di fuga” dello straniero, che rappresenta il presupposto principale che legittima il ricorso al trattenimento.
In nessun caso sono state prese in considerazione alternative al provvedimento di trattenimento, nemmeno in situazioni in cui lo straniero era in possesso di documenti di identità o aveva la possibilità di indicare un domicilio in cui essere rintracciabile.
Similmente, assai superficiale è parsa la valutazione delle concrete prospettive di rimpatrio, anche in situazioni in cui gli stranieri interessati erano già stati attinti da numerosi provvedimenti di espulsione ed avevano in passato già subito altri provvedimenti di trattenimento.
Infine, l’analisi dei provvedimenti adottati dal GdP di Bari nel primo e nell’ultimo trimestre del 2015 evidenzia la tendenza dei giudici a motivare più attentamente i provvedimenti di remissione in libertà degli stranieri che le convalide o le proroghe del trattenimento.
Questo dato, solo apparentemente neutro o secondario, esplicita invece in maniera piuttosto chiara quale sia il retropensiero che guida l’azione dei giudici nell’esercizio della loro funzione giurisdizionale.
Sembrerebbe, infatti, che il presupposto da cui parte il GdP di Bari è la presunzione di legittimità del provvedimento amministrativo di privazione della libertà dello straniero, assunto come regola che non necessita di essere giustificata da particolari necessità; per converso, appare all’ufficio necessario motivare attentamente il caso in cui si decida di rimettere in libertà il cittadino straniero, come se ciò debba considerarsi una eccezione che pone in discussione la legittimità dell’agire amministrativo.
Ciò può effettivamente determinare un sovvertimento dei principi costituzionali relativi alla tutela della libertà personale, attraverso un meccanismo particolarmente odioso perché di fatto ammette che il principio del favor libertatis non debba applicarsi ai cittadini stranieri.
Particolarmente inquietanti anche i dati sugli affidamenti degli incarichi professionali all'interno del Cie (ora Cpr) di Bari: nel 67% dei casi le difese sono state affidate a due soli avvocati, ciò desta una certa preoccupazione se viene messo in relazione con l'analisi svolta dalla ricerca in merito alla effettiva difficoltà di dotarsi di difensori sulla base di un reale rapporto fiduciario, da un lato, e sulla non corrispondenza di tale elevato dato con la specializzazione e la professionalità che emerge dallo studio delle difese portate in atti.
Una ricerca, dunque, che pone alle categorie professionali coinvolte (innanzitutto giudici di pace ed avvocati) la necessità di avviare una seria riflessione sulla tutela della libertà personale, interrogandosi non solo sui numeri, ma anche sulla qualità della giurisdizione. Sembra, innanzitutto, indifferibile l'eliminazione delle attribuzioni dei giudici di pace in materia di libertà personale delle persone straniere ed una puntuale regolamentazione dell’affidamento degli incarichi professionali all’interno dei centri di detenzione amministrativa.