Torniamo sulla tormentata vicenda della decadenza dai benefici previdenziali di cui alla legge 257/1992 per i lavoratori esposti all’amianto, pubblicando un nuovo contributo di Roberto Riverso, critico nei confronti della giurisprudenza della Cassazione che applica alla fattispecie la decadenza tombale di cui all’art. 47 del D.P.R. 639/70, peraltro in una versione sui generis, tale, cioè da comportare la perdita, non soltanto dei ratei maturati fino domanda ritenuta ammissibile, ma in generale del diritto alla rivalutazione della contribuzione.
Da ultimo in questi termini si è pronunciata la Corte con la sentenza n. 14475/2012, la quale si fonda sull’assunto che “nel caso in esame si tratta di rivalutare non già l'ammontare di singoli ratei, bensì i contributi previdenziali necessari a calcolare la pensione originaria, onde non v'è ragione di non applicare le disposizioni legislative sulla decadenza”.
Disposizioni, tra le quali rientra l’articolo 38 del D.L. 98/2011, a norma del quale la decadenza di cui all’art. 47 del D.P.R. 639/70 si applica anche alle domande tendenti all’adempimento di una prestazione riconosciuta solo in parte.
Dunque, per l’orientamento che va consolidandosi, alle domande dei lavoratori esposti all’amianto ai quali sia stato liquidato il trattamento pensionistico senza rivalutazione dei periodi contributivi durante i quali sia verificata un’esposizione all’amianto in misura superiore a quella consentita dalla legge, si dovrebbe applicare la decadenza di cui al citato art. 47 (peraltro in versione sui generis), con la conseguenza che, ove essi non abbiano presentato ricorso contro la liquidazione nel triennio calcolato ai sensi dell’art. 47, il diritto al beneficio ex legge 257/1992 sarebbe per loro definitivamente compromesso.
L’Autore muove la sua articolata critica al ragionamento della Corte, partendo da un elemento chiaro, tratto dalla trama normativa dell’articolo 13 della legge 257/92 e delle sue successive modifiche.
Tale norma, infatti, non attribuisce solo un diritto all’aumento della pensione e, quindi, non si verte in tema di domanda meramente tendente all’adempimento di una prestazione riconosciuta solo in parte, come tale soggetta alla decadenza ex art. 47 in virtù della norma interpretativa del 2011; né, come afferma la Cassazione, ricorre solo una rivalutazione dei contributi.
Ciò perché, almeno per tutti i lavoratori ai quali si applichi il regime vigente fino all’entrata in vigore del D.L 269/2003, la legge 257/92 riconosce anche l’anticipazione della pensione.
Inoltre, il contributo mette in luce come, ad escludere che il beneficio in esame rappresenti una semplice ipotesi di rivalutazione della contribuzione, valga la considerazione, non controvertibile, che l’art. 13 della legge 257 ricollega, l’applicazione del moltiplicatore ivi previsto, all’accertamento dell’esposizione in misura temporale e in concentrazione superiori alla soglia di legge, per un periodo non inferiore a 10 anni.
Tali circostanze, relative alla quantità e alla qualità della soggezione a fibre di amianto, richiedono di essere accertate in giudizio, spesso mediante prova testimoniale e praticamente sempre con complesse consulenze tecniche di ufficio affidate a ingegneri ambientali.
In tale quadro, non possono sfuggire le differenze rispetto alle comuni ipotesi di rivalutazione di periodi contributivi pure conosciute dal nostro ordinamento.
Se così è, conclude l’Autore, non vi è motivo per giungere a ritenere, come invece presuppone la Cassazione, che la domanda di liquidazione della pensione a suo tempo presentata dal lavoratore contenesse anche quella di aumento per esposizione ad amianto, cosicché, in difetto di azione nel termine di cui all’articolo 47 del D.P.R. 639/70, il beneficio ex legge 257/92 sarebbe soggetto a decadenza.
In ogni caso, aggiunge: non esistono argomenti giuridici per applicare, ai lavoratori esposti all’amianto, la decadenza – non già dai soli ratei maturati fino alla domanda, bensì – del diritto in sé, senza limiti di tempo.