Il 3 giugno 2013 la Corte d’Appello di Torino ha condannato l'imprenditore elvetico Stephan Schmidheiny, che in primo grado era stato condannato a 16 anni, a 18 anni di detenzione per disastro doloso (mentre è stata prescritta l'omissione di cautele antinfortunistiche) in relazione a migliaia di vittime, lavoratori e non, esposte all’amianto. E’ stato invece dichiarato estinto il reato per il barone belga Louis De Cartier De Marchenne, deceduto alcune settimane fa all'età di 92 anni.
I giudici hanno esteso la responsabilità dell'imputato anche agli stabilimenti di Bagnoli (Napoli) e Rubiera (Reggio Emilia) ed hanno provveduto al risarcimento del danno per oltre 2000 parti civili, costituite da persone affette da patologie correlate all’asbesto, eredi delle vittime, associazioni di tutela degli esposti; e persino abitanti dei diversi comuni interessati da esposizione all’amianto benché non abbiano ancora contratto alcuna malattia.
La conferma in appello della sentenza sui morti dell’Eternit, ad oggi unico caso giudiziario al mondo per dimensioni ed impostazione giuridica dell’accusa, conferma che la strada per il rendere effettivo il rispetto dei diritti stabiliti nelle tante Carte a favore della salute dei lavoratori e dei cittadini è lastricata di ostacoli di ogni natura, talvolta insormontabili, come insegna oggi più da vicino la vicenda dell’ILVA di Taranto; e d’altra parte incoraggia i magistrati volenterosi a non deflettere ed a proseguire nella loro opera insostituibile.
Una magistratura sensibile ai temi della sicurezza ed igiene sul lavoro serve all’affermazione del principio di legalità; aiuta a prevenire ulteriori violazioni che possano cagionare altre lesioni o eventi mortali per i lavoratori; ed è importante anche per le vittime, i parenti e i colleghi di lavoro perché restituisce dignità a chi non l’ha avuta e da concretezza al dolore, aiutando a rimettere insieme le loro storie. Perciò senza un processo giusto, un lavoratore viene ucciso due volte; ed il lavoro uccide anche chi rimane.
La salute e l’ambiente continuano ancora a restare piegati alla logica del profitto e del ricatto occupazionale che condiziona a sua volta le scelte politiche; l’ordine posto a fondamento della Costituzione si presenta così invertito: dal profitto alla politica e da questa al lavoro, come scrive da ultimo G. Zagrebelsky.
Ma mentre non può esistere contrapposizione (né “contemperamento” al ribasso) tra salute e lavoro essendo beni tra loro complementari, esiste nell’ordinamento una precisa gerarchia tra impresa salute e lavoro (come è necessario ribadire nonostante la recente sentenza 85/2013 della Corte Cost. sul caso ILVA che non cita l’art.41 Cost.). Il “non può svolgersi” contenuto in questa norma significa nient’altro che esista per l’impresa un perentorio divieto di offendere salute e dignità dei cittadini.
Se questo non avviene così spesso nel nostro Paese, ciò non accade a caso. E non si tratta solo di colpa di imprenditori cattivi, meglio se svizzeri (o belgi o tedeschi): alla radice di disastri come questi ci sono sempre responsabilità nostrane, politiche, pubbliche che interpellano anche la magistratura.
Un buco nero di omissioni durato più di 50 anni, che coinvolge larga parte della classe dirigente del nostro Paese.