Magistratura democratica
Diritti senza confini

«La legge non dispone che per l’avvenire» (art. 11 disp. prel. cc): a proposito del decreto sicurezza

di Cesare Massimo Bianca
professore straordinario a TD, Unitelma-Sapienza di Roma
Considerazione critiche sull'ordinanza 11750/2019 della Corte di cassazione in tema di efficacia retroattiva del dl 113/2018

1. L’attenzione sul principio di irretroattività della legge, di cui più volte si sono di recente occupate la Corte costituzionale e la Corte di cassazione, è stata richiamata dal contrasto giurisprudenziale insorto circa l’efficacia retroattiva del cd. decreto sicurezza. Si tratta, precisamente, dell’efficacia retroattiva del dl 4 ottobre 2018, n. 113, conv. in legge 1 dicembre 2018, n. 132, nella parte in cui ha sostituito la disposizione che prevedeva il rilascio del permesso di soggiorno per seri motivi umanitari (art. 5 d. lgs. 25 luglio1998, n. 286), con la disposizione che prevede il rilascio del permesso di soggiorno per determinati, specifici motivi di carattere umanitario [art. 1, lett. b)].

Un’ordinanza della Corte di cassazione, la n. 11750 del corrente anno, ha chiesto la rimessione della questione alle Sezioni Unite. Nella specie si trattava dell’applicazione della nuova norma nel giudizio in corso concernente il permesso di soggiorno già riconosciuto con sentenza ad un cittadino straniero per motivi umanitari.

Sulla questione di diritto relativa all’efficacia retroattiva del decreto sicurezza era già intervenuta da ultimo una sentenza della Cassazione, la n. 4890 del 19 febbraio 2019, risolvendola in senso negativo.

L’iter argomentativo di questa sentenza muove dall’inquadramento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari nell’ambito del diritto di asilo di cui all’art. 10 Cost. Dal riconoscimento, per questa via, del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari quale diritto della personalità discende che il diritto sussiste a prescindere da un accertamento giudiziale o amministrativo avente carattere meramente ricognitivo. Trattandosi di una situazione giuridica già perfezionata non vi è spazio per l’applicazione di una norma successiva, alla quale deve negarsi efficacia retroattiva conformemente al disposto dell’art. 11 disp. prel. cc.

2. La segnalata ordinanza 11750/2019 (in seguito: ordinanza) contesta sistematicamente, punto per punto, tutto l’apparato argomentativo della tesi della irretroattività del decreto sicurezza. Occorre pertanto verificare attraverso l’analisi di queste critiche la fondatezza dell’opposta tesi della retroattività del decreto.

L’ordinanza muove in primo luogo dall’assunto che ai giudizi pendenti relativi ai permessi di soggiorno va applicata la legge sopravvenuta. Per applicare la nuova legge, si afferma, il giudice non è tenuto a verificare l’esistenza di una disposizione speciale che ne preveda l’immediata applicazione: il giudice, prosegue l’ordinanza, è tenuto ad applicare la legge dal momento in cui essa entra in vigore (art. 73 Cost., 10 disp. prel. cc), per cui l’applicazione immediata di una nuova norma è la regola vincolante per gli interpreti.

È però agevole osservare che il principio di applicabilità della legge dal momento della sua entrata in vigore non tocca la questione se la legge debba essere applicata retroattivamente. Pertinente alla questione è piuttosto la norma dell’art. 11 disp. prel. cc, che sancisce in generale la irretroattività della legge.

A sostegno del principio opposto non vale addurre che il principio di eguaglianza sarebbe violato dall’applicazione contemporanea di leggi diverse regolanti la medesima situazione sostanziale. Deve piuttosto rilevarsi che l’applicazione di leggi diverse in relazione allo stesso fatto a seconda del tempo del suo accadimento è insita nel principio di irretroattività della legge: il fatto che si è perfezionato nel passato continua ad essere regolato dalla legge al tempo vigente mentre esso è regolato dalla nuova legge se si perfeziona sotto il vigore di essa. La deroga al principio di retroattività può, sì, trovare fondamento nel principio di eguaglianza ma ciò solo nell’ipotesi in cui la nuova legge tutela diritti fondamentali, che reclamano eguale tutela a prescindere dal tempo della loro insorgenza [1].

Poco probante è poi il richiamo all’orientamento giurisprudenziale, confermato di recente dalle Sezioni unite, che ammette l’applicazione della nuova legge ai giudizi in corso, anche qualora sia intervenuta dopo la notifica del ricorso per Cassazione. Come è stato puntualizzato, la nuova legge si applica ai giudizi in corso sempreché «sia sopravvenuta una nuova legge dotata di efficacia retroattiva» [2]. La retroattività della legge non può quindi essere desunta dalla supposta sua applicabilità ai giudizi in corso, che dipende, essa, dall’accertamento del suo carattere retroattivo.

Un altro argomento a favore della retroattività del decreto sicurezza è stato tratto dalle disposizioni di diritto intertemporale in esso contenute (art. 1).

L’una delle suddette disposizioni prevede il rinnovo dei permessi umanitari già rilasciati, l’altra prevede che siano rilasciati permessi di soggiorno con la dicitura «casi speciali» nell’ipotesi di procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del decreto, nel corso dei quali la Commissione territoriale abbia negato l’accoglimento della domanda di protezione internazionale, ma abbia ritenuto sussistere gravi motivi di carattere umanitario.

Il rilascio di permessi denominati «casi speciali» nell’ipotesi di giudizi pendenti nel corso dei quali sia stata riscontrata la sussistenza di seri motivi umanitari starebbe a significare, si è detto, che il legislatore ha inteso escludere che alle altre situazioni pendenti siano da applicare le norme ormai abrogate.

Sta di fatto che una tale intenzione non è stata espressa in una corrispondente disposizione del decreto sicurezza, che si occupa di una sola ipotesi di giudizi pendenti. Le altre ipotesi non risultano regolate dalla nuova legge.

3. L’argomento cruciale addotto a sostegno dell’applicazione retroattiva del decreto sicurezza fa leva sull’asserita insussistenza di una situazione soggettiva perfezionata sotto il vigore della legge previgente e preclusiva dell’applicazione della nuova legge. La legge sull’immigrazione non conferiva, si è detto, il diritto al permesso per motivi umanitari ma solamente la possibilità di ottenerlo a discrezione dell’Autorità. Sarebbe quindi mancato un fatto «compiuto» costitutivo del beneficio invocato. La domanda, stando sempre all’ordinanza, rappresenterebbe solo il momento iniziale di una fattispecie complessa e a formazione progressiva: la fattispecie si perfeziona in seguito ad un accertamento tutto da compiere e ad una valutazione discrezionale delle condizioni del richiedente. Quest’ultimo avrebbe quindi al più un affidamento di fatto sull’ottenimento del provvedimento richiesto.

Condivisibile in questo ragionamento è il rilievo che il fatto costitutivo del diritto del richiedente non può essere ravvisato nella mera presentazione della domanda. Da questo rilievo non è però dato desumere l’inesistenza di un fatto costitutivo.

Il fatto costitutivo non può neppure ravvisarsi nel provvedimento dell’organo competente che accerta le condizioni del richiedente. Che il procedimento richieda l’accertamento delle condizioni del diritto al permesso non toglie che il diritto spetta in presenza di tali condizioni e che sono pertanto esse il fatto costitutivo del diritto.

In contrario non vale neppure addurre la discrezionalità della valutazione delle condizioni del richiedente. La discrezionalità (di cui la legge non fa menzione), attiene ad ogni accertamento che importa la «valutazione delle prove» del fatto accertato. La discrezionalità non attiene al rilascio del permesso: in presenza delle condizioni di legge il diritto è costituito e il permesso deve essere rilasciato.

La tesi della retroattività del decreto sicurezza intende invece la discrezionalità della valutazione delle condizioni del richiedente come discrezionalità relativa alla concessione del permesso, nel senso che, accertate le condizioni di legge, sia rimesso all’organo competente decidere se rilasciare o meno il permesso umanitario.

Una tale discrezionalità è indimostrata e non può quindi basarsi su di essa l’assunto dell’inesistenza del diritto al permesso umanitario. Oltre che indimostrata, la discrezionalità relativa alla concessione del permesso umanitario è inammissibile in quanto essa verrebbe a degradare a mera aspettativa un diritto soggettivo e, oltretutto, un diritto fondamentale dell’uomo.

Precisamente, l’idea che in presenza di seri motivi umanitari lo straniero abbia una mera aspettativa di fatto è priva di fondamento in quanto i gravi motivi umanitari per i quali è previsto il rilascio del permesso presuppongono una situazione esistenziale di bisogno della persona, alla quale il senso di umanità esige che si dia aiuto. Il permesso soddisfa pertanto un interesse essenziale della persona e come tale è oggetto non di una mera aspettativa ma di un diritto della personalità.

Il momento in cui le condizioni sono maturate, si obietta ulteriormente, non può essere ravvisato nel momento d’ingresso nel territorio nazionale quando questo è avvenuto in condizioni di illegalità. L’obiezione è inattendibile in quanto la sussistenza delle condizioni che reclamano l’aiuto umanitario esclude l’illegalità della presenza dello straniero nel nostro Paese.

Inattendibile è pure l’obiezione che il permesso non attribuisce uno status ma consente esclusivamente una permanenza di breve durata. L’obiezione può solo indurre a chiederci se il permesso risponda sufficientemente al bisogno di aiuto dello straniero.

Si è ancora obiettato che collegare alla domanda la determinazione della legge applicabile conferirebbe alla domanda un inedito e improprio effetto prenotativo, che verrebbe a condizionare l’operato del legislatore in una materia in cui il legislatore gode di un’ampia discrezionalità nel bilanciare i valori del controllo dei flussi migratori e quelli dei diritti delle persone.

In primo luogo è facile osservare che l’applicazione della legge vigente al momento della proposizione della domanda, e ancor prima al momento dell’ingresso dello straniero, non contrasta con la nuova legge. Si tratta infatti di un effetto che discende dal principio di irretroattività della legge rettamente applicato.

L’indubbia discrezionalità spettante al legislatore nel regolare la materia dell’immigrazione, poi, non toglie che la discrezionalità incontra un limite nel rispetto dei diritti dell’uomo.

Quello che la tesi della retroattività del decreto sicurezza contesta è proprio che il diritto al permesso umanitario sia un diritto dell’uomo.

In tal senso è tratto argomento dal quindicesimo considerando della Direttiva 2011/95/UE, ai sensi del quale la Direttiva non si applica ai cittadini di Paesi terzi ai quali sia stato concesso il soggiorno per motivi umanitari riconosciuti su base discrezionale.

Il richiamo al suddetto considerando è poco probante in quanto la Direttiva obbliga gli Stati membri a conferire lo speciale status di rifugiato alle persone di un Paese terzo perseguitate per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale [art. 2, lett. d)] e lo status di protezione sussidiaria alle persone esposte nel loro Paese al rischio di un grave danno alla propria incolumità [art. 2, lett. f)]. Al di fuori di queste ipotesi i Paesi membri non sono tenuti verso l’Unione a conferire agli stranieri i menzionati status speciali ma nel trattamento dello straniero essi sono in ogni caso tenuti al rispetto dei diritti fondamentali e al rispetto della dignità umana (16° considerando).

5. È comunque in base al nostro diritto interno che va verificato il riconoscimento del diritto al permesso umanitario quale diritto della personalità costituzionalmente garantito, e precisamente quale esplicazione del diritto di asilo previsto dall’art. 10 Cost.

Sul punto la contestazione dell’ordinanza si svolge lungo vari profili.

In primo luogo si obietta che se pur si potesse ricondurre il permesso umanitario nell’alveo dell’asilo costituzionale, ciò non varrebbe a sottrarre la concessione del permesso alla discrezionalità del legislatore. Occorre infatti, secondo l’ordinanza, tener presente che l’art. 10 Cost. prevede il diritto d’asilo «secondo le condizioni stabilite dalla legge», e quindi secondo condizioni suscettibili di mutare nel tempo e rimesse all’ampia discrezionalità del legislatore. In buona sostanza si viene a negare che il diritto di asilo sia un diritto della personalità, trattandosi piuttosto di un diritto di cui spetta al legislatore stabilire le condizioni di esistenza.

Che però il diritto di asilo sia un diritto della personalità non può essere messo in dubbio. Come era stato rilevato già in un autorevole commento dell’art. 10 Cost., la previsione del diritto di asilo si colloca nell’ambito dell’amplissima apertura della Costituzione verso i diritti fondamentali dell’uomo [3]. È del resto lo stesso disposto della norma che prevede il diritto d’asilo come diritto che tutela un interesse essenziale dell’uomo: l’esercizio delle libertà democratiche, e quindi come diritto della personalità [4].

In contrario non vale addurre la menzione delle condizioni stabilite dalla legge, che conferirebbe ampia discrezionalità al legislatore. Proprio in quanto il diritto d’asilo è un diritto della personalità, come tale inviolabile, esso non dipende dalla discrezionalità del legislatore. L’indubbia discrezionalità che compete al legislatore, occorre ribadire, concerne l’accertamento e le modalità di esercizio del diritto, non la sua concessione.

Sotto altro profilo si è contestato che il diritto al permesso umanitario possa essere considerato una delle possibili esplicazioni del diritto di asilo costituzionalmente protetto. Si dovrebbe dimostrare, si è detto, che la sommatoria delle forme di protezione attualmente vigenti sia insufficiente a garantire il nucleo minimo dell’asilo costituzionalmente garantito dalla Costituzione.

Al riguardo può osservarsi che il decreto sicurezza prevede specifiche, tassative ipotesi di motivi in base ai quali può essere rilasciato il permesso di soggiorno. Il quadro protettivo è pertanto incompleto in quanto non prevede che il permesso possa essere rilasciato quando ricorrono motivi umanitari non compresi in quelle ipotesi. La tesi dell’efficacia retroattiva del decreto è proprio intesa a negare il permesso di soggiorno agli stranieri che ne avevano diritto in base alla legge del tempo nei casi non compresi in quelli “speciali”.

L’inclusione del permesso umanitario nell’alveo del diritto di asilo incontra l’ulteriore obiezione che, stando al dettato della disposizione, il diritto di asilo spetta allo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche. Manca pertanto l’espressa previsione dell’ipotesi di asilo per motivi umanitari.

A questo riguardo dev’essere tenuto presente che, come si è prima osservato, il diritto di asilo rientra tra i diritti della personalità in quanto tutela un bisogno essenziale della persona (l’esercizio delle libertà democratiche). La norma esige quindi eguale applicazione nei casi in cui lo straniero ha bisogno di aiuto in quanto impedito nell’esercizio di altri diritti fondamentali. Ciò è stato avvertito dalla giurisprudenza che ha proceduto all’interpretazione estensiva della norma consentendo di dare risposta al bisogno di aiuto dello straniero che chiede asilo per sottrarsi a carestie, calamità naturali, persecuzioni razziali, violenze belliche, nonché allo straniero che chiede di essere accolto in Italia per altri seri motivi umanitari, facendo valere il fondamentale diritto di solidarietà sociale [5].

L’interpretazione estensiva che riconduce il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari nell’ambito del diritto di asilo è un’interpretazione funzionale, attenta al canone ermeneutico basato sulla ragione della norma e conforme all’orientamento che ha portato in generale alla valorizzazione dei diritti fondamentali anche al di là delle testuali indicazioni della Carta costituzionale (basti pensare, ad esempio, a come si è giunti al riconoscimento dell’eguaglianza dei coniugi, senza dare ingresso ad alcuno dei limiti a garanzia dell’unità familiare che la norma costituzionale prevede (art. 29) [6].

L’interpretazione che degrada il diritto al permesso di soggiorno a mero interesse di fatto non solo costituisce palese violazione della legge sull’immigrazione del 1998, ma rappresenta il tentativo di tornare indietro nel cammino di civiltà giuridica che anche grazie alla giurisprudenza il nostro ordinamento sta seguendo verso una sempre più ampia tutela dei diritti fondamentali.

 


[1] Si tratta della sentenza della Cassazione del 19 settembre 2014, n. 19790, che ha ravvisato la legittimità costituzionale dell’applicazione retroattiva della nuova disciplina della filiazione in quanto intesa alla tutela dei diritti fondamentali del figlio.

[2] Vds. la sentenza n. 21681 del 27 ottobre 2016.

[3] Vds. S. Cassese, in Commentario della Costituzione, a cura di Giuseppe Branca, Principi fondamentali, Art. 1-10, Bologna, 1975, 531.

[4] Come rileva la sentenza delle Sezioni unite n. 32177 del 12 dicembre 2018, «la situazione giuridica soggettiva dello straniero ha natura di diritto soggettivo, che va annoverato tra i diritti fondamentali che godono della protezione apprestata dall’art. 2 Cost. e dall’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo».

[5] Come diritto della personalità il diritto di solidarietà sociale non spetta solamente al cittadino italiano. Che i diritti dell’uomo, in quanto tali, spettano ad ogni essere umano, lo rileva anche la Corte costituzionale: i diritti inviolabili spettano ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani. La condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata – per quanto riguarda la tutela di tali diritti – come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi: sentenza n. 249 dell’8 luglio 2010.

[6] Sulla riconduzione del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari nell’ambito del diritto di asilo vds. già Cass., 26 giugno 2012, n. 10686: «Il diritto di asilo è oggi interamente attuato e regolato, attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti di protezione, ad opera della esaustiva normativa di cui al D. lgs. n. 251 del 2007 (adottato in attuazione della Direttiva 2004/83/CE e del D. lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6».

17/06/2019
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