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La sospensione del processo penale telematico. Le ragioni di una scelta obbligata

L’art. 1 del D.M. 27.12.2024, n. 206, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 30.12.2024, n. 304 ha reso obbligatorio, nel processo penale, dal 1° gennaio 2025 per soggetti abilitati interni ed esterni il deposito telematico di atti, documenti, richieste e memorie. Una gran parte dei Presidenti dei Tribunali e delle Corti d’appello italiane hanno adottato, nei primi giorni di gennaio 2025, provvedimenti, variamente formulati, di sospensione dell’obbligo di deposito telematico ritenendone impossibile la completa attuazione. L’illustrazione delle ragioni di questa scelta “obbligata” e l’indicazione dei limiti del progetto ministeriale, dei problemi di sistema emersi, dei più minuti ostacoli all’applicazione, hanno lo scopo di suggerire le modalità di realizzazione di un sistema efficiente e rispettoso delle caratteristiche e dei principi che regolano il processo penale, nella consapevolezza che quella della digitalizzazione è una opzione complessivamente giusta ed irreversibile. 

1. I provvedimenti di sospensione del processo penale telematico

L’art. 1 del Decreto Ministeriale 27.12.2024, n. 206, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 30 dicembre 2024, n. 304 sostituendo l’art. 3 del Decreto Ministeriale 217/2023 ha reso obbligatorio, con alcune deroghe previste ai commi 2, 3 e 4, in via esclusiva dal 1° gennaio 2025 per soggetti abilitati interni ed esterni il deposito telematico ex art. 111 bis c.p.p. di atti, documenti, richieste e memorie nei seguenti uffici giudiziari: Procura della Repubblica presso il tribunale ordinario; Procura europea; sezione del Giudice delle indagini preliminari del tribunale ordinario; Tribunale ordinario; Procura generale presso la Corte di appello, limitatamente al procedimento di avocazione[1].

Una gran parte dei Presidenti dei Tribunali e delle Corti d’appello italiane hanno adottato, nei primi giorni di gennaio 2025, provvedimenti, variamente formulati, di sospensione quantomeno parziale e generalmente per periodi variabili tra i 30 e i 90 giorni, della disciplina del processo penale telematico. 

I provvedimenti sono stati adottati applicando l’art. 175 bis comma 4 del codice di procedura penale che prevede, nel caso di malfunzionamento del sistema, accertato ed attestato dal dirigente dell'ufficio giudiziario, che gli atti e i documenti vengano redatti in forma di documento analogico e depositati con modalità non telematiche, fermo quanto disposto dagli articoli 110, comma 4, e 111 ter, comma 3 c.p.c..

Nel Tribunale di Civitavecchia, nel quale gli autori di questa nota svolgono rispettivamente le funzioni di Magrif della sezione penale e, appunto, di Presidente del Tribunale, il provvedimento è stato adottato il giorno 7 gennaio prendendo atto che già nei giorni precedenti erano state segnalate molteplici forme di malfunzionamento del sistema ed erano emerse la inadeguatezza degli strumenti informatici disponibili e l’inefficienza dei collegamenti. Successivamente, il 16 gennaio, dopo una interlocuzione con le organizzazioni forensi del circondario il provvedimento è stato integrato con riferimento ai soggetti abilitati esterni.

Non è stata una soluzione adottata “a cuor leggero” perché, quantomeno in via di principio, è del tutto condivisibile la scelta di campo operata dalla c.d. “riforma Cartabia”, introdotta con il d.lgs. n. 150/2022, a favore della digitalizzazione del sistema processuale penale, allo scopo di raggiungere un maggiore livello di efficienza ed una più celere definizione dei procedimenti. 

La creazione, così come è già avvenuto nel settore civile, di un “ambiente digitale” nel quale tutti i soggetti del processo sono chiamati ad operare costituisce un passaggio indispensabile verso la modernizzazione del sistema e l’adeguamento dello stesso all’attuale sviluppo tecnologico e, tuttavia, è opportuno che questo passaggio si svolga in modo tale da evitare conseguenze negative per i soggetti coinvolti. Sono più che mai attuali le parole di Stefano Rodotà che avvertiva come le grandi opportunità offerte dalla tecnologia rappresentano una grande risorsa di crescita anche per il sistema giudiziario ma che, rispetto ai diritti delle persone, devono sempre trovare la loro misura[2].

La realtà specifica del Tribunale di Civitavecchia dimostra, però, che l’apprezzamento per il processo di digitalizzazione non deve impedire una valutazione seria e critica della validità e della efficacia delle scelte operate dal Ministero della Giustizia per attuare il processo penale telematico.

Il Tribunale di Civitavecchia è composto quasi per intero da magistrati giovani e con un elevato livello di “alfabetizzazione digitale” e usufruisce di un consistente apporto di giovani addetti dell’Ufficio per il processo, anch’essi sufficientemente formati nell’uso degli strumenti tecnologici. E’ quindi un collettivo pienamente in grado di attuare il processo telematico e culturalmente propenso a farlo; non a caso il processo civile telematico è utilizzato correntemente da tutto l’ufficio e, al di là dei blocchi legati ai ripetuti aggiornamenti ed a qualche limite di strumentazione, costituisce l’unica modalità operativa in uso nella sezione civile. I magistrati della sezione penale hanno provato già nei settori coinvolti dalla digitalizzazione nel 2024 e poi nei primi giorni del 2025 ad attuare il processo telematico ma si sono trovati di fronte ad una quantità di problemi che si è rivelata, almeno nell’immediato, insormontabile.

Nel provvedimento di sospensione, si è indicato espressamente come si sarebbe dovuto limitare la sospensione dell’utilizzo dell’applicativo alle ipotesi in cui non fosse stata possibile la redazione telematica di atti tramite APP o fossero emersi problemi tecnici dell’applicativo che ne avessero impedito il corretto funzionamento (e non fossero stati di immediata soluzione) e negli altri casi in cui fossero emersi problemi, legati all’adozione dell’applicativo, nello svolgimento delle udienze o nell’adozione tempestiva dei provvedimenti «tali da non consentirne l’efficace utilizzo»[3]; in questi casi si sarebbe dovuto dare formalmente atto del problema nel provvedimento e/o nel verbale, con successivo deposito dello stesso, con l’ausilio della cancelleria e dei tecnici informatici, utilizzando eventualmente il sistema TIAP. 

Analogamente nel successivo provvedimento rivolto agli avvocati ed, in generale, ai soggetti abilitati esterni, adottato il 16 gennaio 2025 si è autorizzato il deposito degli atti, dei documenti, delle richieste e delle memorie con modalità Pec ma previa «allegazione di prova di malfunzionamento dell’applicativo APP” anche attraverso “una semplice autodichiarazione attestante detto malfunzionamento da allegarsi unitamente al deposito richiesto». 

I magistrati ed il personale dell’ufficio hanno continuato a testare il sistema riuscendo, dopo alcuni giorni, ad effettuare i primi depositi telematici dei provvedimenti ed in tal modo hanno iniziato a realizzare una sperimentazione che servirà a perfezionare, nei limiti del possibile, la funzionalità dell’applicativo e che è stata utile anche nella redazione di queste note.

Non si può, quindi, ipotizzare, come si è soliti fare rispetto ai problemi dei sistemi telematici e come si è fatto anche in questo caso, che le difficoltà del sistema fossero conseguenza di forme di resistenza a questa fase di trasformazione da parte degli operatori (magistrati, personale, avvocati)[4]

È invece utile provare ad individuare i limiti del progetto adottato dal Ministero della Giustizia e spiegare le ragioni della sostanziale impossibilità di rispettare, nella gran parte se non in tutti gli uffici giudiziari, le tempistiche indicate[5], riferire dei problemi di sistema emersi e dei più minuti ostacoli all’applicazione, per suggerire, per quanto possibile, le modalità di realizzazione di un sistema efficiente.

Peraltro, dopo alcune prese di posizione dei vertici del Ministero della Giustizia che ipotizzavano come i problemi del sistema fossero addebitabili agli utilizzatori, la stessa DGSIA, come si è rilevato nel parere deliberato dal Consiglio Superiore della Magistratura il 23 gennaio 2025[6], con la nota dell’8 gennaio 2025 ha preso atto della esistenza di problematiche tecnologiche e strutturali di APP che hanno comportato il malfunzionamento dei sistemi informatici in relazione alle udienze dibattimentali e in camera di consiglio.

 

2. Le criticità rispetto alle scelte di sistema

Non è questa la sede per rifare la storia del processo penale telematico, una storia tutt’altro che breve considerato che la trattazione digitale dei primi segmenti del processo penale è dell’inizio degli anni novanta del secolo scorso e che l’infrastruttura telematica è disciplinata dal Decreto del Ministro della giustizia del 21 febbraio 2011 che reca il «Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell’articolo 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010 n.24»[7], tuttavia dall’analisi delle linee generali del progetto ministeriale relativo alla realizzazione del processo penale telematico attraverso l’applicativo APP sono emerse una serie di criticità.

Deve premettersi che il percorso verso la digitalizzazione del processo penale non è agevole poiché sia le norme di riferimento che le modalità ordinarie di svolgimento del processo sono caratterizzate dalla centralità del documento cartaceo ma, a differenza di quanto avvenuto nel settore civile, che aveva sotto questo profilo caratteristiche analoghe ed in cui la piena operatività del sistema è stata preceduta da un lavoro decennale di analisi, confronto e sperimentazione (anche con le organizzazioni forensi), nel settore penale le scelte e la tempistica adottata hanno dimostrato come non vi sia stata piena consapevolezza delle difficoltà che avrebbe potuto incontrare l’attuazione del processo di digitalizzazione e dematerializzazione degli atti e che abbia avuto un peso preponderante l’indicazione dei tempi contenuta nel PNRR che aveva tra i suoi obiettivi la digitalizzazione del sistema penale. Quindi l’esigenza principale era di far presto. 

Di conseguenza, la formazione di tutti coloro (magistrati, personale amministrativo, avvocati, altri soggetti esterni) che sono stati chiamati ad operare sul sistema è stata del tutto insufficiente ed è mancata una adeguata sperimentazione ed un confronto con gli “utenti”. 

Per altro verso c’è stata la scelta di svalutare il confronto e la collaborazione su questo tema con il Consiglio Superiore della Magistratura (che, pure, si avvale di una struttura, la S.T.O., composta di magistrati scelti tra coloro che sono dotati di una particolare preparazione in materia organizzativa ed informatica) tanto che il Consiglio Superiore ha finito per approvare l’11 dicembre 2024 una delibera fortemente critica nella quale si sottolineava il permanere di «gravi criticità del sistema» e si rilevava l'inidoneità dell'applicativo a gestire la giurisdizione penale segnalando come APP 2.0, che avrebbe dovuto porre rimedio ai difetti di APP 1.0, non solo non aveva realizzato l’obiettivo ma ne aveva, se possibile, peggiorato le prestazioni e l'affidabilità.

Il Consiglio Superiore ha richiesto un «deciso cambio di passo» ed ha sollecitato il Ministero della Giustizia a tenere conto del parere in sede di adozione del regolamento inerente alle «modifiche al decreto 29 dicembre 2023, n. 217» ma ciò non è accaduto con una grave violazione del principio di «leale collaborazione» tra organi istituzionali in un settore in cui la collaborazione è indispensabile[8]

Con la successiva delibera del 23 gennaio 2025 il Consiglio Superiore è tornato a chiedere al Ministero della Giustizia di porre rimedio ai malfunzionamenti e difetti dell’applicativo e differire i tempi, di transizione al nuovo regime di deposito, comunicazione e notificazione degli atti del procedimento penale[9]

L’intero progetto appare debole già dal punto di vista della impostazione generale.

In un contributo apparso su questa Rivista[10], Pasquale Liccardo, ora Presidente del Tribunale di Bologna ed all’epoca direttore della DGSIA, avvertiva che «la progettazione dei sistemi non può fondarsi unilateralmente sul dispiegamento del «dispositivo tecnologico» ma su una coerente rimodulazione delle leve culturali, organizzative e territoriali degli uffici, indispensabili alla ricostruzione di senso dell’azione realizzata»[11]

Per realizzare questo obiettivo nell’ambito del processo penale, anche in considerazione della sua specificità rispetto alla esperienza già sviluppata nel settore civile, sarebbe stata necessaria una riflessione per adattare la conformazione tecnologica del sistema alla specificità del modello processuale, a partire dal rafforzamento delle infrastrutture centrali e periferiche volte al governo della rete per assicurarne la funzionalità e la continuità e dell’esatto dimensionamento dei presidi tecnologici necessari e per garantire la trasposizione nel sistema telematico delle relazioni processuali tipiche del processo penale, facendosi carico di una quantità di informazioni ben maggiore di quella garantita dai registri di cancelleria.

Ma questa riflessione ha trovato uno spazio molto limitato ed, al contrario, la scelta è stata quella di provare a riprodurre in logica digitale solo la struttura e la qualità delle relazioni processuali più elementari definite dal codice e dalle regole d’organizzazione sottostanti.

Oltre ai rilievi critici operati dal Consiglio Superiore della Magistratura nelle delibere del 13 marzo 2024[12], del 24 luglio 2024[13], dell’11 dicembre 2024[14] e del 23 gennaio 2025[15], che ci si limita a richiamare in questa sede, deve osservarsi come l’intero progetto abbia fatto emergere un paradosso: le scelte operate nella predisposizione del software sembrano non aver tenuto in nessun conto della esperienza, che si avvicina ai tre lustri, del processo civile telematico (che poteva offrire soluzioni idonee ed ampiamente testate ai molti problemi comuni ad entrambi i settori) ed insieme non aver considerato molte delle peculiarità del processo penale.

Di conseguenza i problemi già risolti (pur con qualche insufficienza) nel sistema telematico civile, come quello della gestione delle attività ripetitive e seriali (che si ripropongono nel processo penale, ad esempio, per i provvedimenti di archiviazione dei procedimenti contro ignoti[16]) o della sottoscrizione dei documenti a firma multipla, si sono ripresentati senza che si sia tenuto conto della esperienza pregressa.

E contemporaneamente è emerso che le soluzioni adottate per la digitalizzazione hanno ignorato molte peculiarità del modello processuale penale a partire dalla difficoltà di dematerializzare una parte importante delle attività che vi si svolgono in udienza e che sono costituite da operazioni e processi conoscitivi rispetto ai quali si pone il problema della riproducibilità, dei tempi della riproduzione e della materiale sostenibilità degli stessi in udienze nelle quali vengono celebrati in poche ore decine di processi. 

Ed inoltre non vi è stata una programmazione efficiente dell’approntamento delle postazioni nelle aule d’udienza ed il sistema adottato non si è dimostrato agevole, intuitivo, “user friendly” (carattere essenziale dei sistemi informatici avanzati, completamente ignorato dalla gran parte dei sistemi in uso nella amministrazione della giustizia in Italia[17]) e soprattutto idoneo ad evitare che le scelte in materia di digitalizzazione e dematerializzazione degli atti finiscano per incidere sul contenuto degli stessi ed, in definitiva, sull’autonomia ed indipendenza della giurisdizione penale e sugli stessi diritti delle parti.

Complessivamente è stata insufficiente l’analisi, intesa sia, più tecnicamente, come punto di partenza della progettazione di un software adeguato al processo penale, sia come valutazione dell’impatto del progetto sul sistema penale e sui principi generali dell’ordinamento.

 

3. I problemi specifici emersi nella prima fase di applicazione della APP

La scelta di adottare un provvedimento di (parziale) sospensione dell’obbligo di deposito telematico è stata imposta dal rilievo di numerosi impedimenti, non superabili nell’immediato, alcuni dei quali derivanti da una ancora incompleta implementazione di APP – come tali direttamente ascrivibili al concetto di “malfunzionamento”[18] –, altri relativi alla carenza di abilitazioni e risorse informatiche – che, per la loro natura strumentale rispetto alla concreta possibilità di operare attraverso l’applicativo, hanno comportato, di fatto, una impossibilità di funzionamento.

In entrambi i casi, si è trattato di impedimenti rilevanti ma potenzialmente delimitati sotto il profilo temporale, oggettivo e soggettivo, tali da non imporre una paralisi completa del sistema informatico, rispetto alla quale si è ritenuta preferibile l’opzione di una sospensione parziale, maggiormente coerente con le esigenze di testare l’applicativo, consentire a tutti gli operatori di acquisire la necessaria dimestichezza e rilevare sul campo le criticità ulteriori, anche al fine di segnalarle attraverso i canali di supporto e assistenza.

Tra gli ostacoli di carattere preliminare si segnalano in particolare:

1. la mancata o errata profilazione degli utenti: si è riscontrato, infatti, che una parte del personale amministrativo e di magistratura è stata inizialmente impossibilitata ad accedere ad APP in quanto non profilata o erroneamente profilata (come magistrato ove amministrativo e viceversa) o perché la precedente profilazione effettuata in relazione alla prima versione dell’applicativo (APP 1.0) non era stata aggiornata su APP 2.0;

2. l’indisponibilità della firma digitale remota, a causa di mancata richiesta o di mancata emissione del relativo certificato, di mancata attivazione o di decadenza per mancato utilizzo (essendo decorso oltre un anno dal rilascio delle credenziali), con conseguente necessità di attivare ex novo la procedura di rilascio dei certificati;

3. l’inadeguatezza delle infrastrutture, con particolare riferimento alle porte di rete ed elettriche, ai personal computer e ai cavi di rete disponibili nelle aule di udienza: strumenti necessari a consentire il deposito telematico degli atti e dei documenti da parte dei soggetti abilitati, interni ed esterni, nel corso delle udienze;

4. l’obsolescenza di alcuni personal computer in dotazione al personale di magistratura;

5. l’insufficiente formazione del personale e l’assenza di un adeguato periodo di sperimentazione del sistema.

Tra le criticità strettamente inerenti ad APP si evidenziano, invece:

1. i ricorrenti blocchi del sistema e l’elevata latenza di risposta, anche in caso di operazioni basilari quali la ricerca di un fascicolo o la firma di un verbale, incompatibile con la gestione delle udienze;

2. la mancata visibilità di alcuni fascicoli;

3. l’incompleta digitalizzazione dei fascicoli processuali e l’assenza di una piena interoperabilità tra APP e il gestore documentale TIAP – Document@, che impediscono di avere integrale e agevole visibilità del fascicolo digitale su APP, rendendo necessario l’accesso al fascicolo cartaceo (o a TIAP – Document@);

4. l’impossibilità da parte del magistrato – dichiarata dalla stessa DGSIA nelle note del 13 dicembre 2024, prot. 48179.U, e 9 gennaio 2025, prot. 51.E, e risolta solo con le modifiche evolutive introdotte dal 14 gennaio 2025 –, di apporre la propria firma in calce al verbale di udienza redatto dal cancelliere, come prescritto dall’art. 483, comma 1 bis, c.p.p., introdotto dall’art. 30, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 150/2022, che prevede che «Il verbale redatto in forma di documento informatico è sottoscritto dal pubblico ufficiale che lo ha redatto secondo le modalità di cui all’articolo 111 e sottoposto al presidente per l’apposizione del visto con firma digitale o altra firma elettronica qualificata»;

5. l’insufficiente articolazione dei flussi previsti dal sistema, ancora non pienamente aderente alla dinamica processuale dettata dalle previsioni del codice di procedura penale (carenza che si registra, ad esempio, con riferimento al vaglio e alla eventuale acquisizione, talora solo parziale, dei documenti prodotti in udienza dalle parti).

Anche tale ultima rilevante criticità risulta certificata nella richiamata nota del 9 gennaio 2025, prot. 51.E, nella quale la DGSIA, preso atto delle «problematiche» emerse in fase di prima applicazione, ha invitato gli uffici a seguire prassi uniformi, consistenti nella scansione e nel successivo riversamento nel fascicolo informatico, mediante deposito telematico su APP, di verbali, atti e documenti analogici, richiamando la previsione di cui all’art. 111 ter, comma 3, c.p.p. («Gli atti e i documenti formati e depositati in forma di documento analogico sono convertiti, senza ritardo, in documento informatico e inseriti nel fascicolo informatico […]»), destinata ad operare proprio nell’ipotesi di malfunzionamento dei sistemi informatici certificato o attestato ai sensi dell’art. 175 bis c.p.p.. 

Come si è visto la stessa DGSIA ha, dunque, implicitamente riconosciuto l’esistenza di un malfunzionamento dell’applicativo, che, per caratteristiche ed estensione, avrebbe giustificato, in prima istanza, il ricorso alla procedura definita dall’art. 175 bis, comma 1, c.p.p., mediante certificazione ad opera del direttore generale per i servizi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia.

L’introduzione dell’immediato obbligo di formazione e deposito esclusivamente telematici di atti e documenti e la mancata attivazione del meccanismo derogatorio previsto dall’art. 175 bis, comma 1, c.p.p.[19] hanno imposto ai dirigenti degli uffici di confrontarsi con le criticità sopra tracciate e dare applicazione al disposto dell’art. 175 bis, comma 4 c.p.c. che nel caso di malfunzionamento del sistema non certificato ai sensi del comma 1 dello stesso art. 175 bis comma 1 attribuisce loro il potere di accertalo ed attestarlo con conseguente redazione di atti in forma di documento analogico e deposito a decorrere dall'inizio e sino alla fine del malfunzionamento dei sistemi informatici, atti e documenti sono redatti in forma di documento analogico e depositati con modalità non telematiche, fermo quanto disposto dagli articoli 110, comma 4, e 111 ter, comma 3 c.p.c..

 

4. Conclusioni

In sintesi, sono queste le ragioni che hanno indotto la gran parte degli uffici giudiziari a sospendere l’utilizzo di APP ed a richiedere interventi di adeguamento che, in parte, sono stati avviati.

In molte realtà si è scelto di evitare una sospensione tout court e nei limiti del possibile si è iniziato ad utilizzare il sistema sia da parte degli utenti interni che da parte di quelli esterni ed a sviluppare forme di sperimentazione[20].

Per concludere deve ritenersi che la scelta del processo penale telematico sia irreversibile, così come lo è stata per il processo civile, ma il percorso richiede un cambio di metodo con una maggiore condivisione con gli altri soggetti interessati (Consiglio Superiore della Magistratura, Associazione Nazionale Magistrati, Organizzazioni forensi, Magistrati ed avvocati esperti, altre istituzioni che sono coinvolte nel processo penale), una consapevolezza della rilevanza e specificità dei problemi che si pongono in questo settore, del rischio che all’adozione di un modello inadeguato di processo telematico si accompagni una burocratizzazione inaccettabile in un ambito in cui sono in gioco diritti essenziali.

Ed insieme occorre valutare se le scelte operate non incidono su altri profili rilevanti quali ad esempio il raggiungimento degli obiettivi previsti dal PNRR non solo di digitalizzazione ma anche di riduzione del disposition time penale (che potrebbe essere pregiudicata dall’aumento dei tempi di trattazione e definizione dei procedimenti penali, anche più semplici).

La vicenda del processo penale telematico ci ricorda, quindi, come sia illusorio ed anacronistico provare a fermare, anche in ambito giudiziario, lo sviluppo tecnologico che, comunque, va avanti, ma che è indispensabile ribadire che i sistemi non sono neutri, che la “tecnicità” degli algoritmi crea nuove forme di “sapere-potere”, tanto più efficaci quanto più si presentano come oggettive e neutrali e che il primo passaggio per affrontare correttamente lo sviluppo tecnologico è riconoscerne la non-neutralità. 

Ma questo non è sufficiente. 

Occorre prender atto della novità e governarla facendo attenzione che anche rispetto ai modelli tecnologici applicati al processo penale sia perseguita l’efficienza ma insieme siano rispettati i principi cardine del nostro sistema processuale ed i principi costituzionali che sovrintendono alla efficacia e alla qualità della giurisdizione[21].


 
[1] E’ ormai divenuta usuale la prassi di pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale a poche ore dalla loro entrata in vigore, talvolta in concomitanza con periodi di chiusura degli uffici, disposizioni che prevedono importanti modifiche normative e richiedono significativi interventi organizzativi rendendo complicata la loro immediata attuazione.

[2] Del resto, già oltre cinquanta anni fa, Marshall McLuhan, agli albori dello sviluppo delle nuove tecnologie, avvertiva che «I nuovi media e le nuove tecnologie con cui amplifichiamo ed estendiamo noi stessi costituiscono una sorta di enorme operazione chirurgica collettiva eseguita sul corpo sociale con la più totale assenza di precauzioni antisettiche» (cfr. Mc Luhan, Gli strumenti del comunicare, 1964, pubblicato in Italia nel 1967). 

[3] Cfr. Cass. n. 43678/24.

[4] Resistenze che, peraltro, sono in qualche misura naturali in presenza di innovazioni così radicali, delle quali bisogna tener conto nella definizione di qualsiasi progetto, e che si erano manifestate anche in occasione dell’introduzione del processo civile telematico.

[5] Da una rilevazione parziale operata dal Csm a metà gennaio e limitata agli uffici che avevano comunicato al Consiglio la sospensione è emerso che ben 87 uffici giudiziari avevano adottato il provvedimento di sospensione.

[6] La delibera non reperibile sul web è in appendice a questo testo.

[7] Per una ampia trattazione dello stato della digitalizzazione all’inizio di questo decennio cfr. Liccardo, Gli algoritmi del processo penale telematico: logica e grammatica del post-moderno tecnologico, in Giustizia insieme. Per il punto sul processo penale telematico prima e dopo la riforma Cartabia cfr. in questa Rivista: Galgani, Digitalizzazione e processo penale; id. Il processo penale in “ambiente” digitale: ragioni e (ragionevoli) speranze.

[8] Il Ministro Nordio aveva esordito al plenum straordinario del Consiglio superiore della magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica del 30 novembre 2023 con queste parole: «La leale collaborazione tra Csm e Ministro è la chiave per restituire al Paese una giustizia sempre più vicina ai bisogni della collettività»: questo l’esordio e il focus del discorso del ministro della Giustizia.

[9] La delibera non reperibile sul web è in appendice a questo testo.

[10] Liccardo, Ragione tecnologica e processo: ovvero delle ere del processo telematico, in Questione giustizia, Fascicolo 4/2015. Parte seconda. Il punto sul processo civile.

[11] E precisava come «a fronte di facili spinte pantecnologiche vissute dal settore, deve infatti ribadirsi che alle tecnologie è devoluto il solo ruolo di “veicolo cognitivo dinamico”, capace di interagire con gli assetti istituzionali e strutturali propri dell’organizzazione giudiziaria riscrivendone la sua relazione con la dinamica del processo e per il suo tramite, con tutti gli attori sociali».

[12] La delibera è reperibile al link www.csm.it/documents/21768/87316/APP+criticità+applicativo+%28delibera+13+marzo+2024%29/ef21a941-d87f-b2d3-4f0c-b7e93a5c646c 

[13] La delibera è reperibile al link www.csm.it/documents/21768/87316/relazione+giustizia+telematica+24+luglio+2024/46e7391f-3544-e2fc-8201-0599a0b6f9fa 

[14] Anche questa delibera non reperibile sul web ed è in appendice a questo testo.

[15] La delibera non reperibile sul web è in appendice a questo testo.

[16] Per restare ai dati relativi all’ufficio in cui lavoriamo, si è registrato un grave rallentamento di questo tipo di provvedimenti e, per la prima volta negli ultimi otto anni, un significativo aumento, nell’ordine del 25%, delle pendenze dell’ufficio GIP/GUP nonostante vi sia stato il tentativo dei colleghi di mantenere inalterato il numero delle definizioni.

[17] Limite, peraltro, comune non solo ai sistemi predisposti dal Ministero della Giustizia ma anche dal Consiglio Superiore della Magistratura, come ad esempio CSMAPP.

[18] Comprensivo, ad avviso della Corte di legittimità, di «qualsiasi effettiva anomalia dei sistemi protrattasi per una durata apprezzabile, quale ne sia la causa, che impedisca di compiere in modalità telematica atti del procedimento secondo le norme che li disciplinano» (Cfr. Cass. n. 47016/24).

[19] L’art. 175 bis commi 1-3 c.p.p. prevede che: 
1. Il malfunzionamento dei sistemi informatici dei domini del Ministero della giustizia è certificato dal direttore generale per i servizi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, attestato sul portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia e comunicato dal dirigente dell'ufficio giudiziario, con modalità tali da assicurarne la tempestiva conoscibilità ai soggetti interessati. Il ripristino del corretto funzionamento è certificato, attestato e comunicato con le medesime modalità.
2. Le certificazioni, attestazioni e comunicazioni di cui al comma 1 contengono l'indicazione della data e, ove risulti, dell'orario dell'inizio e della fine del malfunzionamento, registrati, in relazione a ciascun settore interessato, dal direttore generale per i servizi informativi del Ministero della giustizia.
3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, a decorrere dall'inizio e sino alla fine del malfunzionamento dei sistemi informatici, atti e documenti sono redatti in forma di documento analogico e depositati con modalità non telematiche, fermo quanto disposto dagli articoli 110, comma 4, e 111 ter, comma 3.

[20] Cfr. per l’esperienza del Tribunale di Civitavecchia paragrafo 1.

[21] Segnala che questa è la sfida dei nostri anni per la giurisdizione penale Canzio, Ai act e processo penale: sfide e opportunità, in Sistema penale, www.sistemapenale.it/pdf_contenuti/1728889279_canzio-ai-act-e-processo-penale.pdf: «Gli esiti della sfida lanciata dal progresso della scienza, tuttavia, non sono affatto scontati. Al bivio tra tecnologia e tecnocrazia, essa si sposta sul terreno della concreta efficacia e qualità della giurisdizione, che, sulla base di regole puntuali e chiare dettate dal legislatore, dovrebbe essere esercitata secondo una dinamica interazione fra i saperi e le operazioni logiche tradizionalmente affidate al giudice e alle parti e le evidenze della prova o del calcolo di un algoritmo, in un orizzonte culturale di intesa su obiettivi e valori responsabilmente condivisi».

04/02/2025
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04/02/2025
APP, cronaca necessaria di un annunciato ma utile flop

La cronaca dei fatti, e la disamina delle ragioni, che hanno portato al disastroso varo, col DM 29.12.2023 n. 217, del Processo Penale Telematico a mezzo dell’applicativo APP, un esito “annunciato” ma dal Ministero ritenuto senza alternative in funzione degli obiettivi PNRR, da un lato interpellano C.S.M. ed associazionismo giudiziario a seguire l’epocale transizione digitale con visione di ampio respiro e con protagonismo istituzionale e dall’altro si profilano utili a comprendere quali dovranno essere, e quali non potranno mai più essere, le direttrici di costruzione e le modalità evolutive del Processo Penale Telematico.

31/01/2024
La discutibile utilità degli interrogatori delle parti e dei testimoni (qualche riflessione sull'oralità in tempo di pandemia)

La pandemia e la sostituzione delle udienze in presenza con trattazione scritta e videoconferenza hanno riportato al centro del dibattito giuridico la questione dell'oralità nel processo. L'autore muove dalla constatazione che regole e prassi degli interrogatori e delle testimonianze non tengono conto delle raccomandazioni degli psicologi della testimonianza e che, anche per tale ragione, solo raramente portano informazioni realmente utili o cruciali; argomenta che ciò mina le fondamenta della testimonianza come prova centrale del processo penale, soprattutto nel contesto storico attuale, ove  prove documentali e  perizie tecniche guadagnano sempre maggior terreno a scapito dell'oralità, un'evoluzione che gli architetti dei codici di procedura penale e civile ottocenteschi non potevano certo immaginare; conclude che è ormai indispensabile una riforma profonda delle regole sulla testimonianza e sull'interrogatorio, prevedendo l'eccezionalità della sua ammissibilità come mezzo di prova.

28/09/2020
Il tormentato avvio delle notifiche telematiche nel processo penale
Prime soluzioni al sistema delle notifiche telematiche ai difensori nel sistema penale
30/01/2015