Il grido di allarme formulato dall’Associazione italiana dei professori di diritto penale – che qui pubblichiamo – merita la massima diffusione e condivisione da parte della cultura giuridica (e non solo) e degli operatori del diritto.
Sono attualmente all’esame della Camera dei deputati ben tre proposte di legge tese a riformare l’articolo 52 del codice penale e dare un “volto nuovo” alla legittima difesa, sino a teorizzare un “diritto di difesa” [Atti Camera 274, 308 e 580].
Si tratta di un volto che, però, in alcun modo può rassicurare chi abbia a cuore i valori fondamentali sui cui si è costruita la nostra Repubblica.
Tutti e tre i progetti di legge – con varietà di sfumature – sono accomunati da due fattori comuni: la banalizzazione, talora l’eliminazione, del requisito di proporzione tra offesa in atto e l’attività di difesa; la volontà di sottrarre alla giurisdizione la responsabilità di accertare in concreto se – in un certo caso – vi sia stata o meno legittima difesa.
Crediamo che ambedue queste linee di politica criminale debbano essere contrastate.
Preoccupa il dichiarato scopo di marginalizzare la giurisdizione. I disegni di legge introducono “presunzioni” di legittima difesa che – negli auspici dei riformatori – dovrebbero evitare a chiunque di “dover subire” un procedimento penale per il solo fatto di essersi difesi. La riforma vuole – ancora una volta – contrabbandare l’idea che il processo sia il luogo di manifestazione del protagonismo di magistrati, insensibili al bisogno di sicurezza dei cittadini o un abuso che il cittadino si trova a subire. Una simile riforma tradisce una visione del processo penale che deve essere fermamente contrastata. Il processo è il luogo della ricerca delle prove e della ricostruzione dei fatti; il processo è il luogo del doveroso accertamento delle responsabilità personali (dovere di accertamento imposto dal chiaro dettato costituzionale); il processo è il luogo delle garanzie dei diritti degli accusati e dei diritti delle persone offese. E, ad onta di quanto auspicano i riformatori, in ogni caso, questi doveri di accertamento non verrebbero meno neanche nel caso i progetti di legge in discussione dovessero essere approvati.
Ma ancora di più preoccupa la volontà di banalizzare – sino ad eliminarlo – il requisito della necessaria proporzione tra attività difensiva e offesa da cui ci si difende. La proporzione tra difesa e offesa – unitamente alla necessità di difendersi e all’attualità del pericolo che si intende contrastare – è lo specchio di un elementare principio di civiltà giuridica: esso, semplicemente, impone che la difesa sia autenticamente tale e vuole scongiurare che la “necessità” di difendersi diventi offesa, ritorsione o vendetta. Con l’affermare la necessità di proporzione tra attività di difesa e offesa da contrastare si intende ribadire che qualunque azione umana deve essere valutata – nella irriducibile complessità dei fatti della vita – alla luce del principio personalistico che fonda la Costituzione repubblicana.
Si tratta di un principio dal quale è – per tutti e per ciascuno – molto pericoloso allontanarsi.
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La riforma della legittima difesa deve essere conforme ai principi costituzionali e sovranazionali e non può ingannare i cittadini
Nessuna riforma potrà impedire indagini e processi, che si svolgono
anche quando si uccide il cane del vicino
L’Associazione italiana dei professori di diritto penale esprime profonda preoccupazione per le iniziative parlamentari in corso sulla legittima difesa e per i messaggi ingannevoli che sul tema si stanno diffondendo nell’opinione pubblica.
La causa di giustificazione della legittima difesa non ha mai avuto nulla a che fare – in qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo – con una licenza di uccidere, poiché la legittimità della difesa è stata sempre subordinata a precisi requisiti: primo fra tutti la necessità di difendersi, in assenza della quale non si parlerebbe più di difesa, ma di offesa gratuita e deliberata. Nel requisito della necessità è implicita un’idea di proporzione della difesa rispetto all’offesa, poiché una difesa volutamente sproporzionata cesserebbe di essere difesa e assumerebbe i contenuti di un’offesa.
L’idea di introdurre un “diritto di difesa” che prenda il posto della legittima difesa – come vorrebbe la proposta di legge n. 580 – stravolge quindi il significato della causa di giustificazione, poiché introduce una licenza di uccidere ancorata semplicemente a un rapporto cronologico tra aggressione e “difesa”: qualunque compressione del requisito della proporzione della difesa, mediante una presunzione normativa della sua sussistenza (come nelle proposte di legge n. 274, 308 e 580 attualmente all’esame della Camera dei deputati), non può in ogni caso escludere la necessità della difesa stessa.
Il solo e vero problema consiste nello stabilire quando ricorra il requisito della proporzione e sia scusabile un eccesso di difesa: che si tratti di un problema da sempre avvertito come assai delicato lo dimostra l’antico detto secondo cui l’aggredito che si difende “non ha la bilancia in mano” (non habet staderam in manu).
Il dibattito sulla riforma della legittima difesa promette oggi all’opinione pubblica vantaggi illusori, perché la riforma annunciata è presentata in modo ingannevole.
I cittadini devono infatti essere informati che, se si uccide o si ferisce qualcuno, nessuna riforma potrà mai assicurare che non vengano svolti accertamenti penali o che essi siano meno approfonditi di quelli che si compirebbero in caso di uccisione del cane del vicino (per verificare il delitto di uccisione di animali: art. 544-bis cp). Le indagini processuali saranno invece necessariamente maggiori. Si possono infatti eccedere i limiti della difesa anche intenzionalmente (per dare una bella lezione all’aggressore): fatto punito ovunque, non solo in Italia. E verificare se l’eccesso sia stato intenzionale, oppure no, comporta già un’indagine penale. Che è obbligatoria, non discrezionale.
Al fine di evitare l’accertamento del giudice penale non servirebbe neppure restringere le ipotesi punibili, fino a limitarle ai casi di vendetta intenzionale mascherata da difesa legittima, dovendosi necessariamente considerare i casi in cui la sproporzione sia dipesa non da intenzione malevola che si “approfitta” dell’aggressione per togliere di mezzo un ladro o un rapinatore, ma da un grave turbamento (che c’è sempre, di regola, nella legittima difesa domiciliare) e tuttavia l’aggredito abbia esagerato in modo molto evidente nel procurare all’aggressore un danno ben più grave di quello temuto.
Anche qui la verifica sulle reali intenzioni dell’aggredito sarebbe necessaria, e dunque inevitabile la sua iscrizione nel registro degli indagati, salvo l’evidenza del contrario.
Chi propone la riforma sa benissimo tutto ciò ma, non dicendolo all’opinione pubblica, non rende un servizio alla verità. A meno che non intenda davvero presentare un progetto illegittimo, che voglia mandare assolto l’aggredito che si difende a prescindere da ogni necessità e proporzione. Ma tale esito, come prima osservato, risulta contrario ai principi costituzionali, convenzionali e internazionali.