“La mattina del 4 Novembre l’ispettore Maqani ritornava all’aereoporto per continuare l’indagine…Per puro caso notò un gruppo di 3 o 4 persone … e riconobbe tra loro Yilmaz Altun. …più tardi apprese che tra loro c’era Moshe Harel, Edik ed il figlio di Bezalel Shafran.
L’ispettore Maqani osservò Altun dirigersi verso il controllo passaporti. Quando Altun raggiunse il banco del controllo, l’ispettore fu in grado di comparare il passaporto con la copia in suo possesso: coincidevano.
Altun era pallido, preoccupato. Condotto in una stanza adiacente, gli venne richiesto di spogliarsi dalla cintola in su. Maqani vide la cicatrice fresca di venti centimetri sul fianco. Il medico dell’aereoporto confermò che si trattava di trapianto di reni…. Sopraffatto dalla debolezza e dallo stress, Altun sentì le forze venire meno…”
Quello riportato sopra non è un passaggio di una spy story ambientata tra il Bosforo e le repubbliche caucasiche, né il copione di un B-movie degli anni ’50, bensì l’estratto di una sentenza da poco depositata da un giudice internazionale della Missione EULEX in Kosovo, per un traffico di organi e crimine organizzato del 2008.
Secondo l’accusa, che ha trovato conferma nella sentenza, presso una clinica privata della capitale del piccolo stato balcanico (‘Medicus clinic’) venivano condotti illegalmente trapianti di reni da parte di un gruppo di chirurghi condotti da un medico turco (Yusuf Somnez) già noto nell’area per vicende analoghe. Come si può facilmente immaginare, i venditori venivano da Paesi poveri o versavano in condizioni di indigenza, mentre i beneficiari provenivano da Canada, Germania, Stati Uniti d’America, Israele….
La decisione è interessante per numerosi profili: dimostra in primo luogo l’efficienza e l’importanza della presenza giudiziale internazionale (EULEX) in un Paese (Kosovo) che, per fragilità delle istituzioni giudiziali e per carenza di collegamenti internazionali non avrebbe avuto la possibilità di perseguire forme di criminalità sovranazionale con qualche speranza di successo; inoltre, insegna (anche a noi) secondo l’etica giudiziale nord-europea e americana (prevalente nelle missioni internazionali di natura giudiziale) che le indagini ed i processi hanno una funzione ‘educativa’ della società ed hanno pertanto senso solo se la sentenza arriva a ragionevole distanza dai fatti.
Di estremo interesse per il giurista nostrano appare la struttura della sentenza: delle quasi 130 pagine della motivazione, le prime 15 sono occupate dalla parte dispositiva, le successive 27 da aspetti procedurali (tra cui, la questione della legalità della perquisizione della clinica ‘Medicus’) mentre la descrizione del materiale probatorio acquisito (una mole veramente imponente di informazioni della più varia natura) va da pagina 42 a pagina 110 della decisione.
Nelle successive e conclusive 18 pagine il Panel tira le somme della esposizione che precede: in cinque pagine (110-115) indica analiticamente i fatti provati; in sette pagine (115-122) indica chi è responsabile, per cosa e perché; infine (122-128) la Corte si occupa della questione della prescrizione e della ‘sentencing policy’ (determinazione delle condanne). Interessante è pure l’uso di schemi e grafici come ausilio all’esposizione (91-96).
La sentenza, che viene pubblicata in lingua originale (inglese), è accompagnata da un commento di natura tecnica del dr.Ferdinado Buatier de Mongeot (giudice del Tribunale di Como) e da un articolo del dr.Francesco Florit (giudice del Tribunale di Udine) che colloca la vicenda in uno scenario più ampio.
Entrambi i colleghi hanno maturato diversi anni di esperienza nei Balcani.
Medicus, Marty e minima moralia
di Francesco Florit
Giudice del tribunale di Udine
Un processo penale a Pristina (Kosovo) nelle acque tormentate della diplomazia internazionale
Traffico di esseri umani finalizzato all’espianto di organi: il caso Medicus
di Ferdinando Buatier De Mongeot
Giudice del Tribunale di Como
Profili comparatistici e confini dell’area di illiceità penale in Italia