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Oltre la separazione delle carriere di giudici e pm. L’obiettivo è il governo della magistratura e dell’azione penale

di Nello Rossi
direttore di Questione Giustizia

Se per “separazione delle carriere” dei giudici e dei pubblici ministeri si intende una netta divaricazione dei percorsi professionali e la diversità dei contesti organizzativi nei quali vengono svolti i rispettivi ruoli professionali, allora bisogna prendere atto che, a seguito degli interventi legislativi degli ultimi venti anni e segnatamente della recente legge. n. 71 del 2022, la separazione si è sostanzialmente consumata. Ed infatti le quattro proposte di legge di revisione costituzionale presentate in questa legislatura alla Camera dei deputati ed in discussione dal 6 settembre di quest’anno, e quella presentata in Senato, pur formalmente intitolate alla “separazione delle carriere”, hanno obiettivi sostanziali che vanno ben oltre la creazione di due itinerari professionali differenti con diversi accessi e distinti “governi” delle professioni. Esse mirano infatti a ridefinire, a vantaggio del potere politico, i complessivi equilibri di governo della magistratura, a cancellare la valenza costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale e ad annullare il principio per cui i magistrati si distinguono solo in base alle funzioni svolte. Nel nuovo ambiente istituzionale creato dalle riforme dell’ordinamento giudiziario, molte delle argomentazioni tradizionalmente addotte a favore o contro la separazione delle carriere hanno ormai perso attualità ed effettiva rispondenza alla realtà. Così che, nel dibattito pubblico che accompagnerà l’iter della progettata revisione costituzionale, occorrerà chiarire all’opinione pubblica quale è la reale posta in gioco e quali le implicazioni di modifiche costituzionali che vanno ben oltre l’assetto e gli equilibri propri del processo penale per investire il complessivo rapporto tra il potere politico e il giudiziario. 

Sommario: 1. Un documento contestato e quattro proposte di legge al traino delle Camere penali - 2. La già avvenuta divaricazione dei percorsi professionali di giudici e pubblici ministeri - 3. Il primo obiettivo delle proposte di revisione costituzionale: più politici nel governo della magistratura e minore “politicità” delle funzioni dei due Consigli superiori - 4. L’ancoraggio alla “legge ordinaria” dell’obbligatorietà dell’azione penale… - 5. ...anche se in materia di criteri di esercizio dell’azione penale una “legge” è già prevista - 6. Si vuole mandare in soffitta, senza averla mai attuata, la riforma Cartabia sui criteri di priorità? - 7. L’eguaglianza tra i magistrati e l’abrogazione dell’art. 107, 3 comma, della Costituzione - 8. Nel corso della partita è mutata la posta in gioco. 

 

1. Un documento contestato e quattro proposte di legge al traino delle Camere penali

Nell’agosto di quest’anno è stato diffuso, su chat e mailing list, un documento, di cui pubblichiamo in allegato il testo, redatto da magistrati in pensione - civilisti e penalisti, giudici e pubblici ministeri - nel quale sono state esposte riflessioni critiche sulla preannunciata proposta di separazione delle carriere in discussione alla camera dei deputati a partire dal 6 settembre[1]

Una iniziativa del tutto disinteressata - perché proveniente da persone ormai al di fuori dell’istituzione giudiziaria e dalle dinamiche processuali - mirante solo a fornire all’opinione pubblica ed ai decisori politici un contributo di esperienza e di conoscenza su di un tema da tempo in discussione nel Paese ed oggetto di esame in parlamento[2]

Inutile ricordare che il documento – benché elaborato e sottoscritto da “giuristi senza potere” quali sono i magistrati in quiescenza - ha suscitato, in alcuni ambienti politici, le reazioni scomposte e le accuse di illecita “interferenza” che accompagnano ormai tutte le iniziative di giudici e pubblici ministeri sui temi di giustizia. 

Vale invece la pena di soffermarsi - in termini più approfonditi di quanto sia possibile nel dibattito che si svolge sui quotidiani - sulle quattro proposte di legge di revisione costituzionale, tutte intitolate «Modifiche all’art. 87 e al titolo IV della parte II della Costituzione in materia di separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura», depositate alla Camera in questo primo anno di legislatura[3]

Ciò per cogliere quale sia la reale posta in gioco nei progetti di revisione della Costituzione formalmente intitolati alla separazione delle carriere ma aventi in realtà contenuti estremamente più ampi. E per verificare se, dietro l’annosa questione delle carriere dei magistrati, non vi sia un ben più vasto disegno di riorganizzazione del potere giudiziario e dell’intera giurisdizione. 

E’ bene avvertire subito che chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la materia non troverà nei testi delle proposte legislative, e ancor più nelle loro relazioni illustrative, particolari elementi di novità. 

Se non altro perché, al fine di dimostrare l’impermeabilità a qualunque interferenza esterna, la più gran parte dei presentatori delle proposte di revisione costituzionale ha pensato bene di mettersi al traino delle Camere penali. 

Infatti i testi di tre delle quattro proposte – Costa (Azione), Giachetti (Italia viva), Morrone ed altri (Lega) – ricalcano la proposta di iniziativa legislativa popolare promossa dall’Unione delle camere penali, presentata il 31 ottobre 2017[4]

E lo stesso può dirsi per il disegno di legge presentato al Senato il 14 febbraio 2023 (A.S. n. 504) dalla senatrice Erika Stefani ed altri (Lega)[5]

Da questo modello si discosta solo, per alcuni aspetti significativi ma non decisivi, la proposta di legge Calderone ed altri (Forza Italia). 

Anche le relazioni illustrative ribadiscono gli argomenti già molte volte addotti a sostegno della necessità di separare le carriere di giudici e pubblici ministeri. 

In esse si ripete che l’introduzione nel nostro Paese di un processo accusatorio, la riforma dell’art. 111 della Costituzione, con la previsione di un giudice terzo ed imparziale, e l’esigenza di una effettiva parità delle parti del processo reclamano carriere separate tra la parte “pubblico ministero” e il giudice. 

Proseguendo nella lettura dei testi e delle relazioni non si tarda però a realizzare che - a dispetto del peso preponderante riservato nelle relazioni illustrative ai temi dell’equilibrio tra le parti del processo, della previsione di separati concorsi di accesso e di due distinti Consigli superiori per la magistratura giudicante e requirente - il nucleo forte delle proposte sta altrove : nella volontà di ridefinire il rapporto tra il potere politico e il potere giudiziario ed in particolare nella riscrittura degli equilibri interni al governo autonomo della magistratura e nel riassetto del regime dell’azione penale. 

Nella realtà effettuale la “separazione delle carriere” tra giudici e pubblici ministeri si è già largamente consumata mentre ormai la formula è utilizzata per evocare un complesso di temi cruciali riguardanti l’assetto della giurisdizione penale e il peso da riservare alla politica nella gestione della magistratura. 

 

2. La già avvenuta divaricazione dei percorsi professionali di giudici e pubblici ministeri

Se per “separazione delle carriere” dei giudici e dei pubblici ministeri si intende una netta divaricazione dei percorsi professionali e la diversità dei contesti organizzativi nei quali vengono svolti i rispettivi ruoli professionali[6], allora bisogna prendere atto che, a seguito degli interventi legislativi degli ultimi venti anni, la separazione si è già di fatto realizzata. 

In particolare la recente legge n. 71 del 2022 recante la delega di riforma dell’ordinamento giudiziario ha fatto seguire ad un netto distanziamento della magistratura dalla politica e dall’amministrazione[7], anche un’accentuazione estrema del processo di interna divisione del corpo della magistratura, procedendo oltre i già rigidi steccati eretti dalla riforma Castelli e realizzando il massimo di separazione possibile tra giudici e pubblici ministeri a Costituzione invariata. 

L’art. 12 della legge delega ha infatti modificato l’art. 13 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, stabilendo la regola generale che il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa può essere effettuato una volta nel corso della carriera, entro 9 anni dalla prima assegnazione delle funzioni.

Trascorso tale periodo è ancora consentito, per una sola volta: 

a) il passaggio dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti, a condizione che l’interessato non abbia mai svolto funzioni giudicanti penali; 

b) il passaggio dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti civili o del lavoro, in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, purché il magistrato non si trovi, neanche in qualità di sostituto, a svolgere funzioni giudicanti penali o miste.

La regola generale dell’unico passaggio intende evitare che la scelta delle funzioni sia troppo fortemente condizionata dalla posizione del magistrato nella graduatoria del concorso di accesso e da considerazioni compiute nella fase iniziale della sua vita professionale, lasciando aperta una (sola) porta per una opzione fondata su di una più matura vocazione.

Le cronache di questa estate ci mostrano quanto sia problematico avere un poeta intrappolato, suo malgrado, nel lavoro di magistrato[8]. Così che si è voluto almeno evitare di avere un pubblico ministero ingabbiato, precocemente e irrimediabilmente, nel ruolo di giudice o viceversa. 

Ora è evidente che tanto la regola generale quanto i due ulteriori spiragli lasciati aperti per il mutamento di funzioni in precedenza ricordati costituiscono solo modesti e parziali temperamenti di una separazione divenuta pressoché totale. 

Poiché dall’ulteriore passo in avanti compiuto dalla riforma Cartabia non c’è da attendersi il risultato di una migliore e più efficiente distribuzione delle risorse umane in magistratura, l’approfondimento del solco tra le carriere è ispirato all’dea che la vicinanza tra le figure del giudice e del pubblico ministero si traduca in una impropria alterazione degli equilibri tra le parti nel processo. 

Idea smentita sul piano “quantitativo” dalle elevate statistiche sulle assoluzioni e, sul piano “qualitativo”, dal rigetto dell’ipotesi accusatoria in grandi processi nei quali importanti Uffici di procura avevano investito molto in termini di impegno e di immagine, ma comunque in grado di condizionare il legislatore spingendolo ad una divaricazione estrema dei percorsi professionali di giudici e pubblici ministeri. 

 

3. Il primo obiettivo delle proposte di revisione costituzionale: più politici nel governo della magistratura e minore “politicità” delle funzioni dei due Consigli superiori

E’ singolare che le relazioni di tutte le proposte di legge dedichino uno spazio molto ampio alle argomentazioni riguardanti la separazione delle carriere ed alla introduzione di due separati Consigli superiori per giudici e pubblici ministeri ma riservino poi considerazioni stringatissime alla innovazione più dirompente e incisiva che viene proposta: l’aumento del numero dei membri laici dei Consigli che diverrebbero la metà delle distinte compagini consiliari. 

Composizione, questa, che a detta dei proponenti garantirebbe un più “corretto equilibrio” degli organi di governo delle magistrature. 

Allineate e conformi nel prevedere l’aumento della componente laica, le proposte di legge si differenziano poi sulle modalità di “provvista” di tale componente e sulla presidenza dei due CSM. 

Secondo le proposte Costa, Giachetti e Morrone ed altri – che sul punto ricalcano più da vicino l’attuale assetto costituzionale – dovrebbe spettare al Parlamento in seduta comune la nomina dell’intera componente laica mentre dovrebbe essere ancora il Presidente della Repubblica a presiedere i due Consigli. 

Diversa su questi aspetti la proposta Calderone ed altri, che attribuisce la presidenza dei due CSM rispettivamente al primo presidente della Corte di cassazione ed al procuratore generale presso la Corte, mentre riserva la nomina della metà dei membri “laici” dei Consigli per un quarto al presidente della Repubblica e per un quarto al Parlamento in seduta comune. 

Al di là delle loro non irrilevanti diversità il decisivo tratto comune delle iniziative legislative di cui si discute è la volontà di coniugare la separazione delle carriere con l’accresciuta influenza della politica nel governo della magistratura. 

Ciò che i proponenti rivendicano con la parificazione, nei due Consigli superiori, della componente laica a quella togata non è affatto l’immissione di maggiore intelligenza e visione politico istituzionale per temperare e correggere possibili miopie corporative dei rappresentanti togati ma solo un peso maggiore nella “gestione” concreta della magistratura.

 Che sia così è reso chiaro da un’altra norma presente in tre dei quattro d.d.l.[9] nella quale si prevede che competenze ulteriori rispetto a quelle strettamente gestionali – assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni, provvedimenti disciplinari – possano essere attribuite ai Consigli solo con legge costituzionale. 

Previsione questa dettata dalla volontà di precludere ai Consigli stessi l’adozione di atti di indirizzo e l’esercizio di funzioni paranormative che pure si sono rivelati utilissime nel corso della lunga esperienza del CSM unitario per colmare lacune legislative ed orientare in senso positivo l’attività consiliare.

Il quadro che emerge dalle proposte di cui parliamo è dunque molto chiaro: più politici (id est: più peso della politica) nei due CSM e, al tempo stesso, depotenziamento della “politicità” dei due organismi consiliari anche quando esercitata per indirizzare positivamente il complesso dell’attività di alta amministrazione svolta dagli organi di governo autonomo della magistratura.  

 

4. L’ancoraggio alla “legge ordinaria” dell’obbligatorietà dell’azione penale...

Sono ancora una volta le tre proposte di legge Costa, Giachetti e Morrone ed altri – costruite sulla falsariga dell’originaria proposta di revisione costituzionale delle camere penali - a spingersi molto oltre la separazione delle carriere sino alla riscrittura dell’art. 112 della Costituzione. 

Al testo attuale dell’art. 112 della Costituzione che recita: “Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale” si propone infatti di aggiungere “ nei casi e nei modi previsti dalla legge ordinaria”.

Scopo dichiarato della modifica del testo costituzionale è “riportare l’esercizio dell’azione penale, nei fatti ampiamente discrezionale, nell’alveo della previsione legislativa” prevedendo che sia la legge “a stabilire forme e priorità dell’esercizio dell’azione penale”[10]

Più che modulare con legge ordinaria l’obbligatorietà dell’azione penale - come si legge nelle relazioni illustrative - si intende privare il principio della sua valenza costituzionale. 

La decisa virata verso una disciplina del principio di obbligatorietà da attuare con legge ordinaria pone infatti nelle mani delle maggioranze politiche di turno l’an, il quando ed il quomodo dell’esercizio dell’azione penale e sostituisce al canone dell’obbligatorietà quello della piena discrezionalità del legislatore ordinario. 

Questi, infatti, in ogni momento potrà rimodellare - con la legge ordinaria e più spesso, come insegna l’esperienza, con decreti legge - la direzione ed il corso della giustizia penale, magari in modi e forme scarsamente rispettosi dei canoni di eguaglianza e ragionevolezza. 

 

5. …anche se in materia di criteri di esercizio dell’azione penale una legge ordinaria è già prevista

E’ abbastanza sconcertante il fatto che i proponenti dei tre d.d.l. che mirano a riscrivere l’art. 112 della Costituzione – disegni di legge tutti presentati “successivamente” alla approvazione della legge delega 27 settembre 2021 n. 134 di riforma della giustizia penale – non abbiano considerato che, in tale legge di delegazione, è già prevista in materia di criteri di esercizio dell’azione penale l’adozione di una “legge” ordinaria. 

Legge che, come si avrà modo di chiarire, non si pone in contrasto con il principio di obbligatorietà dell’azione penale ma mira ad una sua razionale applicazione avendo la funzione di fissare i “criteri generali” nel cui ambito dovranno poi essere individuati, nei diversi contesti territoriali, i concreti criteri di priorità dell’azione penale. 

Nel subordinare ad una legge ordinaria il principio di obbligatorietà i presentatori delle proposte di revisione costituzionale avrebbero perciò dovuto considerare la previsione ed il ruolo della legge di “criteri generali” già introdotta dalla riforma Cartabia. 

E ciò o per armonizzare e coordinare le loro proposte con i contenuti della menzionata legge delega o per verificare se la riforma Cartabia non abbia già dato risposta alle esigenze di razionalizzazione prospettate nelle relazioni illustrative o anche solo per prevedere norme abrogative della legge n. 134 del 2021. 

Come è noto nella legge di delegazione n. 134 del 2021 al legislatore delegato si è assegnato il compito di «prevedere che gli uffici del pubblico ministero, per garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, nell’ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge, individuino criteri di priorità trasparenti e predeterminati, da indicare nei progetti organizzativi delle procure della Repubblica, al fine di selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre, tenendo conto anche del numero degli affari da trattare e dell’utilizzo efficiente delle risorse disponibili; allineare la procedura di approvazione dei progetti organizzativi delle procure della Repubblica a quella delle tabelle degli uffici giudicanti». 

Leggendo il testo normativo definitivamente approvato - che differisce sensibilmente tanto dal precedente progetto di legge presentato dal Ministro Bonafede quanto dall’articolato redatto dalla Commissione Lattanzi - si constata come la griglia di «criteri generali» – che sta a monte della successiva individuazione dei «criteri di priorità» da parte degli uffici di procura – dovrà essere indicata dal «Parlamento con legge».

Una formulazione, questa, che sembra ispirata dal desiderio di sottolineare il carattere particolarmente solenne e impegnativo dell’atto di determinazione dei «criteri generali», evitando percorsi che, pur rimanendo nel quadro della legalità costituzionale, sminuiscano di fatto il ruolo dell’organo di rappresentanza (come nel caso di approvazione dei criteri generali in sede di conversione di un decreto legge o di inserimento delle relative previsioni in uno dei tanti provvedimenti omnibus). 

Una legge di cornice, dunque[11], vincolante per tutti i soggetti che dovranno poi concorrere a definire e verificare l’attuazione dei criteri di priorità, e tendenzialmente stabile, salvo eventuali nuovi interventi legislativi.

Un ulteriore aspetto su cui vale la pena di richiamare l’attenzione è che la legge delega attribuisce l’iniziativa di individuazione dei criteri di priorità agli uffici del pubblico ministero (ricalcando sul punto il testo del ddl Bonafede e discostandosi dalla proposta della Commissione Lattanzi, che imperniava l’iniziativa «sugli uffici giudiziari, previa interlocuzione tra uffici requirenti e giudicanti»). 

Naturalmente, ciò non significa che gli uffici di procura possano operare le loro scelte sui criteri in solitudine o, peggio, in una chiave solipsistica, giacché le interlocuzioni interne agli uffici (con il tribunale e con la procura generale presso la corte di appello) restano assolutamente indispensabili per il buon esito dell’operazione. Ma l’espressa menzione della procura come soggetto motore e responsabile del procedimento si rivela utile per evitare situazioni di stallo nelle ipotesi di valutazioni divergenti, e potenzialmente paralizzanti, tra gli uffici requirenti e giudicanti, mentre al legislatore delegato resta un ampio spazio per disciplinare le interrelazioni tra uffici, fermo restando il potere di iniziativa delle procure. 

Infine, la norma della legge delega in tema di criteri si chiude stabilendo che, in sede di redazione del decreto legislativo, «la procedura di approvazione dei progetti organizzativi delle procure della Repubblica» venga allineata «a quella delle tabelle degli uffici giudicanti». 

Un siffatto “allineamento” – rispettoso delle radicali differenze di natura e di scopi dei progetti organizzativi e delle tabelle – sembra destinato, da un lato, a creare le migliori condizioni per il necessario dialogo tra gli uffici e, dall’altro, a consentire al Consiglio superiore di svolgere efficacemente il suo compito di verifica della corretta organizzazione e di un corretto modus operandi degli uffici requirenti e giudicanti. 

In questo schema, infatti, è il Consiglio a chiudere il cerchio dell’opera di individuazione e applicazione dei criteri nel momento in cui approva gli schemi organizzativi delle procure e degli organi giudicanti, prendendo in considerazione tanto le esigenze di uniformità dell’azione degli uffici giudiziari quanto le motivate ragioni di differenziazione delle singole realtà organizzative. 

In conclusione, sul punto: la sequenza disegnata dalla legge delega prende l’avvio con la legge di criteri generali approvata dal Parlamento, prosegue con la predisposizione entro tale cornice legislativa degli specifici criteri di priorità degli uffici di procura e si chiude con il controllo e l’approvazione, da parte del Csm, dei documenti organizzativi sottoposti al suo esame.

 

6. Si vuole mandare in soffitta, senza averla mai attuata, la riforma Cartabia sui criteri di priorità? 

Ora è vero che questa complessa procedura è sino ad ora rimasta lettera morta perché né il Ministro della Giustizia né membri Parlamento si sono dati carico di presentare la legge di “criteri generali” voluta dalla riforma Cartabia. 

Ma la strada tracciata dalla riforma resta percorribile in ogni momento e costituisce una valida alternativa all’avventurosa revisione costituzionale che oggi si propone, giacché assegna al Parlamento una corretta funzione di orientamento e di inquadramento (i “criteri generali”) dell’esercizio dell’azione penale, prodromica alle concrete scelte di priorità rimesse a quanti operano sul campo. 

Con l’effetto di garantire una interpretazione ed una attuazione dell’obbligatorietà dell’azione penale che grazie alla pluralità dei soggetti che concorrono alla identificazione delle priorità – il Parlamento, gli uffici di Procura, il CSM – esclude il monopolio ed il controllo dell’azione da parte di un solo attore. 

Le tre proposte di revisione costituzionale, invece, privando della sua valenza costituzionale il canone dell’obbligatorietà conferirebbero alle contingenti maggioranze politiche il potere di modellare direttamente il contenuto e la direzione dell’azione penale e, conseguentemente, anche il potere di controllare l’attuazione delle direttive legislative da parte dei pubblici ministeri. 

Aprendo così la strada a quella dipendenza dal potere politico di maggioranza che a parole tutti dicono di non volere e che una politica lungimirante dovrebbe temere più di ogni altra cosa.

L’intera vicenda è, infine, l’ennesima manifestazione di un preoccupante fenomeno riguardante la produzione normativa in tema di giustizia penale: l’accavallarsi, rapidissimo e a tratti isterico, di “riforme” che cancellano e sostituiscono norme approvate di recente e mai applicate e sperimentate. 

 

7. L’eguaglianza tra i magistrati e l’abrogazione dell’art. 107, 3 comma, della Costituzione

Infine le tre proposte di revisione costituzionale modellate su quella promossa dalle camere penali si preoccupano anche di cancellare un’altra norma chiave dell’assetto costituzionale della magistratura: l’art. 107, terzo comma, della Costituzione secondo cui “I magistrati si distinguono tra di loro soltanto per diversità di funzione”. 

Non si tratta – è bene chiarirlo subito – di una abrogazione indispensabile per realizzare l’intento dei presentatori di separare le carriere. 

A questo scopo, infatti, sarebbero largamente sufficienti le distinzioni introdotte nei d.d.l. in tema di “definizione” della magistratura, di differenti concorsi di accesso, di Consigli superiori separati e così via…

L’abrogazione sembra invece destinata ad incidere all’interno delle carriere separate, sancendo la fine del principio di eguaglianza degli appartenenti alle carriere giudicante e requirente, aprendo la via a “distinzioni” diverse da quelle relative alle funzioni e ponendosi come potenziale preludio della rinascita di gerarchie e di trattamenti economici differenziati all’interno del corpo delle due magistrature giudicanti e requirenti. 

 

8. Nel corso della partita è mutata la posta in gioco

Al momento non è dato di prevedere quale sarà il percorso delle proposte di revisione costituzionale sin qui analizzate, ed in particolare se esso verrà rallentato per cedere il passo all’altra riforma costituzionale riguardante la forma di governo o se le proposte riguardanti la forma di governo e l’assetto del giudiziario marceranno di pari passo sia pure per effetto di impulsi diversi. 

L’assenza di iniziative ufficiali del Ministro Nordio - che pure si è costantemente dichiarato favorevole alla separazione delle carriere – potrebbe far supporre che il governo intenda giocare di rimessa, assecondando le iniziative legislative del Parlamento che hanno come matrice dominante il progetto delle camere penali. 

Ma questa supposizione potrebbe essere presto smentita dalla diretta entrata in campo dal governo con una sua proposta; proposta che circola al momento solo nella veste di bozza provvisoria non necessariamente destinata a divenire ufficiale. 

Resta fermo però che nel nuovo ambiente istituzionale creato dalle riforme dell’ordinamento giudiziario, molte delle argomentazioni tradizionalmente addotte a favore o contro la separazione delle carriere hanno ormai perso attualità ed effettiva rispondenza alla realtà. 

Così che, nel dibattito pubblico che accompagnerà l’iter della progettata revisione costituzionale, occorrerà chiarire all’opinione pubblica quali sono le implicazioni di modifiche costituzionali che vanno ben oltre l’assetto e gli equilibri propri del processo penale per investire il rapporto tra il potere politico e il giudiziario. 

Nel corso dell’annosa partita sulla separazione delle carriere è infatti cambiata la posta in gioco e gli obiettivi che si vogliono realizzare. 

Obiettivi che, come si è cercato di rappresentare, sopravanzano di molto il dato delle carriere dei magistrati, investendo la ridefinizione, a vantaggio del potere politico, dei complessivi equilibri di governo della magistratura, la cancellazione della valenza costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale e l’abrogazione del principio per cui i magistrati si distinguono solo in base alle funzioni svolte.


 
[1] Il testo del documento elaborato in una chat di magistrati in pensione, diffuso da Luigi Caiazzo e Gian Luigi Fontana e le firme che lo corredano si leggono nell’allegato 1 al presente scritto.

[2] Si riporta di seguito il testo dell’intervista resa all’agenzia ADN Kronos da Elena Riva Crugnola: “La separazione delle carriere rischia di avere riflessi negativi sul cittadino. Lo sostiene Elena Riva Crugnola, ex presidente della sezione Imprese del Tribunale di Milano ed ex giudice di grande esperienza, tra i firmatari (quasi 500) della lettera con cui giudici e magistrati in pensione chiedono di riflettere su una riforma "anacronistica". Non un’iniziativa "per interferire con il Parlamento", né una proposta che raccoglie pm famosi, ma l'idea estemporanea - nata in una chat di ex toghe e a cui hanno aderito tante donne, presidenti di sezioni di Cassazione e civilisti - di "mettere a disposizione l’opinione maturata dalla nostra esperienza e sottolineare come la possibilità di aver svolto funzioni diverse, durante la carriera, sia stata un grande arricchimento professionale" spiega all'Adnkronos."Non c’è nessuna volontà di intimidire, ma è una messa a disposizione all’opinione pubblica e agli interlocutori istituzionali di un’altra prospettiva" in vista del 6 settembre quando riprenderà l’iter legislativo sulla separazione delle carriere. "Siamo pensionati, giudici fuori dai giochi, che intervengono come cittadini a sottolineare che il tema è un falso problema che può introdurre situazioni pericolose e non risolverebbe nessun problema della giustizia. La separazione delle carriere sancirebbe solo una diversità di status tra pubblici ministeri e giudici, ma il pm resterebbe sempre un organo pubblico, quindi questa pretesa non terzietà del giudice rispetto al pm non sarebbe risolta. Il giudice si troverebbe sempre un organo pubblico e un difensore privato e questa famosa soggezione dei giudici ai pubblici ministeri ci sarebbe lo stesso" sottolinea. Soggezione che la statistica non restituisce visto che sono diversi i casi di gip che rigettano le richieste della pubblica accusa o di giudici che assolvono gli imputati. Una separazione delle carriere è una "battaglia di retroguardia" - rischia di indebolire l’obbligatorietà dell’azione penale - anche tardiva alla luce delle recenti riforme (legge Cartabia) che ha delimitato pesantemente il passaggio di funzioni e distoglie forse da un’evoluzione utile, ossia "una formazione comune per giudici, avvocati penalisti e pm". Ma soprattutto la separazione delle carriere pone poi il delicato tema del ‘controllo’ sul pubblico ministero”. Il pm potrebbe trasformarsi in un dipendente del Ministero o in una sorta di avvocato della polizia e questo non darebbe garanzie maggiori, anzi si corre il rischio di addomesticamento dell’azione penale". Il pubblico ministero fuori dalla giurisdizione "o diventa un organo pubblico incontrollato totalmente, quindi ancora peggio dal punto di vista della garanzia, o sfocia in un controllo da parte del ministro, privo dell’indipendenza garantita dalla Costituzione, o si avvicina alla polizia e non so quanto il cittadino sia maggiormente garantito da avere un pm totalmente assorbito dagli organi di polizia. Separare le carriere rischia di avere riflessi negativi per le garanzie del cittadino".

[3] In ordine di presentazione: la proposta dell’On.le. Costa, AC n. 23, presentata il 3 ottobre 2022 (All. 2); la proposta dell’On.le Giachetti, A.C. n. 434, presentata il 24 ottobre 2022 (All.3); la proposta degli On.li Calderone, Cattaneo, Pittalis, Patriarca, A.C. n. 806, presentata il 24 gennaio 2023 (All.4); la proposta degli On.li Morrone, Bellomo, Bisa, Matone, Sudano, A.C. n. 824 presentata il 26 gennaio 2023 (All.5).

[4] A.C. 4723della XVII legislatura e A.C. 14 della XVIII legislatura. Per una analisi critica di questa proposta v. E. Bruti Liberati, Lo statuto del pubblico ministero nel progetto di legge costituzionale n. 14 Non solo separazione delle carriere in Sistema penale 9 marzo 2020.

[5] V. All.6.

[6] Per una attenta analisi dell’attuale organizzazione degli Uffici di Procura cfr. L. Salvato, Verso la modifica della circolare dell’organizzazione degli uffici requirenti, in Questione Giustizia on line 15.7.2023. V. anche N. Rossi, L’organizzazione dell’ufficio del pubblico ministero, in La riforma dell’ordinamento giudiziario, a cura di G. Ferri, Torino, Giappichelli, 2023.

[7] Sul punto mi sia consentito rinviare all’editoriale del n. 2/3 del 2022 della Trimestrale di Questione Giustizia dedicato alla riforma dell’ordinamento giudiziario, N. Rossi, Ordinamento giudiziario: isolare, separare, atomizzare la magistratura. Solo un preludio delle politiche della destra.

[8] Al riguardo vedi l’articolo di G. Salvaggiulo, in La Stampa del 20 agosto 2023, sul caso del giudice sotto procedimento al CSM per ritardi e omissioni nella scrittura dei provvedimenti perché – secondo lo psicologo che ha esaminato la sua posizione – voleva fare il poeta.

[9] Ci si riferisce alle proposte Costa, Giachetti e Morrone.

[10] Queste le affermazioni contenute nella relazione illustrativa della proposta di legge Costa.

[11] Su questa problematica cfr. nel fascicolo n. 4/2021 della Trimestrale di Questione Giustizia, La riforma della giustizia penale, gli scritti di: F. Di Vizio, L’obbligatorietà dell’azione penale efficiente ai tempi del PNRR; N. Rossi, I “criteri di priorità” tra legge cornice e iniziativa delle procure; A. Spataro, La selezione delle priorità nell’esercizio dell’azione penale: la criticabile scelta adottata con la legge 27 settembre 2021, n. 134; G. Buonomo, La crescente procedimentalizzazione dell’atto parlamentare di indirizzo politico; S. Panizza, Se l’esercizio dell’azione penale diventa obbligatorio… nell’ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge.

 

04/09/2023
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19/11/2024
Quale separazione delle carriere vuole la maggioranza di governo? Ciò che muta sotto la crosta del déjà vu

Quale separazione delle carriere vuole davvero la maggioranza di governo? L’incertezza sugli effettivi intendimenti della destra è, allo stato, più che giustificata. La Camera dei deputati è infatti impegnata nell’esame di proposte di riforma costituzionale presentate da numerosi parlamentari e dal governo, accomunate dal titolo “separazione delle carriere” ma profondamente diverse tra di loro, in quanto espressione di logiche politiche ed istituzionali divergenti e per più versi antitetiche. L’unico dato chiaro e indiscutibile è che, tanto nelle proposte di iniziativa parlamentare quanto nel disegno di legge del governo, la vecchia etichetta della separazione delle carriere è apposta su pacchetti che, almeno agli occhi dei proponenti, contengono merci ben più ricche e preziose: un complessivo riassetto costituzionale del giudiziario e la riscrittura dei rapporti tra poteri dello Stato. La radicale differenza dei percorsi istituzionali possibili per raggiungere questa meta ambita merita però un’analisi attenta, che guardi oltre i luoghi comuni. Da un lato l’iniziativa legislativa parlamentare rivendica “più politici” e “più politica” nel governo autonomo della magistratura, puntando sull’aumento sino alla metà della componente laica dei Consigli superiori della magistratura. Sul versante opposto il d.d,l del governo affida a meccanismi di sorteggio, in vario modo calibrati, la provvista dei Consigli Superiori di giudici e pubblici ministeri nonché dell’Alta Corte disciplinare, giocando la carta della rinascita, in seno alla magistratura, della corporazione, in grado di gestire tramite ciascuno dei suoi membri, anche scelto a caso, gli elementari interessi della categoria. Inoltre l’opzione per il sorteggio secco dei membri togati, grazie al quale “l’uno vale l’altro”, avrà l’effetto di cancellare negli organi del governo autonomo non solo le differenze ideali e culturali tra magistrati ma anche tutti i criteri in grado di dar vita ad una rappresentanza adeguata del loro corpo: la parità di genere, il rispecchiamento delle diverse realtà territoriali, le distinzioni sulla base delle funzioni svolte. Raffrontare attentamente i due progetti riformatori e le loro logiche ispiratrici; comprendere su quali di essi e con quali prospettive di successo si orienterà la maggioranza di destra; misurare la loro distanza dall’originario modello costituzionale: sono questi i temi affrontati in questa riflessione inevitabilmente destinata a riflettere le incertezze e le incognite di una situazione in divenire. 

30/09/2024
Il ddl Nordio e le altre proposte di riforma costituzionale dell’assetto giurisdizionale

Memoria depositata dal dott. Domenico Gallo nell’audizione informale del 12 settembre 2024 dinanzi alla Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati sulle proposte di revisione costituzionale riguardanti la separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri

20/09/2024
Il sorteggio per i due CSM e per l’Alta Corte disciplinare. Così rinascono corporazione e gerarchia

Nella scelta del sorteggio per la provvista dei membri togati dei due CSM separati e dell’Alta Corte disciplinare c’è qualcosa che va oltre il proposito di infliggere una umiliazione alla magistratura. E’ il tentativo di far rivivere una concezione della magistratura come “corporazione” indifferenziata, nella quale non sono ravvisabili - e comunque non sono legittime - diverse idealità e diverse interpretazioni degli interessi professionali. E’ solo in quest’ottica infatti che si può ritenere che ciascuno degli appartenenti al “corpo”, anche se scelto a caso, possa rappresentarlo nella sua interezza e decidere in suo nome. In questa visione della magistratura si esprime una logica di “restaurazione” che mira a cancellare e a smentire il percorso culturale, ideale ed istituzionale compiuto dalla magistratura negli ultimi cinquanta anni, appiattendola sull’unica dimensione di un corpo indistinto di funzionari, portatori di elementari interessi di status e di carriera cui ciascuno di essi può attendere in nome e per conto degli altri senza bisogno di scelte o investiture rappresentative. 

30/05/2024
Sui progetti di legge costituzionale per la separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura. Audizione alla Camera dei Deputati

I progetti di legge costituzionale per l’attuazione della separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura, pur mossi dall’intenzione di perseguire il principio liberale del potere che frena il potere, pongono le basi per lo sviluppo di un ordine requirente, autonomo e indipendente, funzionalizzato al risultato della vittoria nello scontro forense e in grado di minare i principi del costituzionalismo liberale a causa della forza centrifuga, rispetto al sistema dei poteri, che deriva dalla funzionalizzazione dell’istituzione a quel risultato. I progetti di legge costituzionali contengono inoltre previsioni, ulteriori rispetto alla separazione delle carriere, che vengono sottoposte ad analisi critica alla luce dei principi fondanti l’ordinamento della magistratura nella vigente Costituzione.

01/02/2024
Oltre la separazione delle carriere di giudici e pm. L’obiettivo è il governo della magistratura e dell’azione penale

Se per “separazione delle carriere” dei giudici e dei pubblici ministeri si intende una netta divaricazione dei percorsi professionali e la diversità dei contesti organizzativi nei quali vengono svolti i rispettivi ruoli professionali, allora bisogna prendere atto che, a seguito degli interventi legislativi degli ultimi venti anni e segnatamente della recente legge. n. 71 del 2022, la separazione si è sostanzialmente consumata. Ed infatti le quattro proposte di legge di revisione costituzionale presentate in questa legislatura alla Camera dei deputati ed in discussione dal 6 settembre di quest’anno, e quella presentata in Senato, pur formalmente intitolate alla “separazione delle carriere”, hanno obiettivi sostanziali che vanno ben oltre la creazione di due itinerari professionali differenti con diversi accessi e distinti “governi” delle professioni. Esse mirano infatti a ridefinire, a vantaggio del potere politico, i complessivi equilibri di governo della magistratura, a cancellare la valenza costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale e ad annullare il principio per cui i magistrati si distinguono solo in base alle funzioni svolte. Nel nuovo ambiente istituzionale creato dalle riforme dell’ordinamento giudiziario, molte delle argomentazioni tradizionalmente addotte a favore o contro la separazione delle carriere hanno ormai perso attualità ed effettiva rispondenza alla realtà. Così che, nel dibattito pubblico che accompagnerà l’iter della progettata revisione costituzionale, occorrerà chiarire all’opinione pubblica quale è la reale posta in gioco e quali le implicazioni di modifiche costituzionali che vanno ben oltre l’assetto e gli equilibri propri del processo penale per investire il complessivo rapporto tra il potere politico e il giudiziario. 

04/09/2023
Presidenzialismo e premierato: i riflessi sul giudiziario

Nel dibattito in corso sul presidenzialismo e sul cd. "premierato", è sin qui rimasto relativamente in ombra il tema dell’impatto che le due diverse prospettive riformatrici avrebbero sui generali equilibri tra i poteri e, segnatamente, sull’assetto del potere giudiziario. A questa tematica va riservata un’attenzione particolare non dettata da miopi preoccupazioni di ruolo o di natura corporativa, ma nascente dalla consapevolezza di quanto sia necessario salvaguardare gli equilibri costituzionali nell’attuazione di processi di riforma. 

17/05/2023
Autonomia e responsabilità: un equilibrio possibile?

Pubblichiamo il testo della relazione introduttiva svolta il 14 ottobre 2022 dal professor Gaetano Silvestri nella prima sessione del 35° Congresso nazionale dell’Associazione nazionale magistrati.

21/10/2022