Sabato 10 marzo gli studenti del Liceo Scientifico Statale Lorenzo Mascheroni di Bergamo, impegnato da anni nel progetto di educazione alla legalità grazie all’azione sinergica di docenti, genitori e studenti, hanno avuto l’occasione di incontrare Elvio Fassone autore del libro Fine pena: ora (Sellerio, 2015) e rappresentato presso il Piccolo Teatro di Milano nel novembre scorso con la drammaturgia di Paolo Giordano e la regia di Mauro Avogadro [1].
Il libro racconta il carteggio, ormai trentennale, che Fassone, presidente della Corte d’assise nel maxi-processo di Torino del 1985 alla mafia catanese, ha intrapreso di sua iniziativa con uno degli imputati, Salvatore, da lui condannato all’ergastolo.
Il testo si impone sin dalle prime pagine per la forza delle sue parole e per il portato di verità di cui l’autore si fa testimone. La veridicità del racconto è garantita, infatti, oltre che dall’alto profilo istituzionale, morale e umano che riconosciamo a chi scrive, dalla natura totalmente disinteressata di questa corrispondenza e dall’obiettivo che l’autore si è dichiaratamente posto con la pubblicazione del suo libro: attestare e non dimostrare alcune cose sulla vita di un ergastolano che, come Salvatore, dopo essersi macchiato di crimini efferati, si è seriamente impegnato durante gli anni della detenzione per diventare un uomo diverso.
La storia di Salvatore si offre quindi come un’ulteriore variabile, all’interno del dibattito sull’ergastolo, per stimolare la riflessione (delle istituzioni, del mondo della giustizia e della politica, ma, ancor prima, di tutta la società civile) sul tema della rieducazione, parola faro del trattamento penitenziario, che, in linea con i principi della nostra Costituzione, vieta alla pena di essere solamente pena.
La storia fallimentare di Salvatore, il suo tentativo frustrato di risalire dal tunnel del carcere duro, di ottenere l’articolo 21 e la semilibertà, ha spinto Fassone a una valutazione attenta, ponderata, cauta, ma sempre rigorosa e severa di tutti i fattori che hanno impedito questo percorso di riabilitazione: l’esigenza della prevenzione, necessaria e ineludibile, a salvaguardia della società civile e dello stato stesso in un regime di eccezione che costituisce un pericolo grave e che rischia di allentare la difesa intransigente di ogni minima garanzia; la necessità della legge che, procedendo per generalia, tritura, impassibile; l’applicazione talora asettica delle regole; la prudenza talvolta un po’ rancida all’insegna del non volere grane; il rifugio anestetico nelle procedure; la prudenza elevata a sapienza; episodi di ordinaria crudeltà carceraria; la complessità della realtà penitenziaria; la logica distorta di una società inzuppata di paura che esige che paghino tutti, anche se la colpa è di uno solo.
A sorreggerlo nell’esame, di rigore leviano, delle concause che hanno portato al fallimento di Salvatore e al suo tentato suicidio la convinzione profonda e, nel contempo, la speranza che la rieducazione e il reinserimento del detenuto possano essere resi sempre praticabili su ogni singolo soggetto che lo voglia e che si possano trovare altre forme e modalità di risarcimento che siano a misura d’uomo, della libertà e dignità che vanno riconosciute ad ogni uomo, anche all’uomo in carcere.
E proprio il libro si offre come un percorso praticabile di rieducazione, per il valore terapeutico e formativo che Elvio Fassone attribuisce ai libri, alla letteratura, e come un percorso di re-inserimento, per l’accoglienza che lui ha accordato alla domanda di adozione, di cura, di paternità che Salvatore gli ha rivolto.
Stupisce e commuove che un uomo come Salvatore, che fino ad allora ha letto solo atti processuali e che prende la licenza di quinta elementare in carcere, riconosca immediatamente il valore comunicativo e umano profondo dei libri, primo fra tutti Siddharta di Hermann Hesse, che Fassone gli invia, mosso dalla convinzione che, certe volte, una pagina, una frase, una parola possano smuovere delle pietre pesanti sul nostro scantinato.
La letteratura, che costituisce una sorta di seconda trama all’interno di questo libro, diventa quindi terreno di dialogo con Salvatore, mezzo di riflessione e di espiazione, strumento di indagine della realtà e fonte di quei valori di solidarietà e umanità, nell’accezione più profonda del termine, che costituiscono (o dovrebbero costituire) il fondamento della nostra cultura, anche di quella giuridica.
La domanda di adozione, di cura, di paternità che Salvatore rivolge a Fassone e che quest’ultimo ha saputo comprendere ed accogliere, oltre a testimoniare l’assenza di padri nella società contemporanea e la realtà di abbandono, di marginalità e di degrado in cui vivono moltissimi giovani oggi, si configura, con assoluta e sincera naturalezza, come un invito profondo ad accogliere. Nessun buonismo, nessuna retorica dei sentimenti, ma la speranza che la società civile e le istituzioni facciano sentire più forte e incisiva la loro presenza laddove il degrado e il senso di abbandono sono maggiori.
*L'immagine di copertina è di Masiar Pasquali. È una foto di scena dello spettacolo Fine pena: ora. Tutte le info su https://www.piccoloteatro.org/it/2017-2018/fine-pena-ora
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[1] Elvio Fassone è stato presidente della Corte d'assise di Torino, componente del Consiglio superiore della magistratura e senatore della Repubblica italiana.