1. Pubblichiamo – in attesa di tornare eventualmente sul tema con commenti più meditati – un’interessante ordinanza emessa dal GIP presso il Tribunale di Siena.
Poche battute per descrivere la vicenda: essa trae origine da una richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico ministero sul presupposto che «considerati i tempi fisiologici del procedimento si concretizza una ragionevole previsione di prescrizione»; di qui – nella prospettazione del PM – l’impossibilità di formulare una «ragionevole prognosi di condanna», con conseguente richiesta di archiviazione.
Si tratta di un orientamento che ha già trovato sponde in alcuni provvedimenti di merito[1] e che riecheggia anche in alcuni contributi di dottrina[2].
2. Il GIP non accoglie la richiesta di archiviazione e ordina al Pubblico ministero di formulare l’imputazione, ai sensi dell’art. 409, comma 5, c.p.p.
Il GIP pone come pietra fondante del ragionamento – con dovizia di argomenti per i quali si rimanda alla lettura dell’ordinanza – il principio di obbligatorietà dell’azione penale, inequivocamente scolpito dalla Carta costituzionale e coerentemente interpretato in termini di “dovere” istituzionale dalla giurisprudenza della Consulta (puntualmente richiamata dal GIP). In altri termini: il dettato dell’art. 112 Cost. e degli artt. 50 e 407 bis c.p.p. rappresenta un ostacolo ad archiviazioni fondate unicamente sul presupposto della ragionevole prognosi di prescrizione.
3. Che fare, dunque, delle parole usate dal legislatore della riforma, che in più punti ha manifestato l’obiettivo di politica giudiziaria di evitare la celebrazione di processi “inutili”? Come sostenere che – in un processo prossimo alla prescrizione – si possa realisticamente formulare una «ragionevole previsione di condanna»? La «ragionevole previsione di condanna» è una formula che il riformatore ha usato addirittura tre volte: nell’art. 408, comma 1, cpp; nell’art. 425, comma 3, cpp; nell’art. 554 ter, comma 1, cpp. Come non prenderla sul serio?
4. L’equivoco in cui sembra incorrere chi aderisce all’orientamento per cui il “rischio prescrizione” autorizza archiviazioni o proscioglimenti per mancanza di una ragionevole previsione di condanna è però svelato – come spesso accade – da una più attenta lettura delle disposizioni.
Gli articoli di legge con cui il legislatore autorizza l’inazione per difetto di una ragionevole previsione di condanna indicano in modo chiaro quali siano i parametri di riferimento da valutare per formulare la prognosi di condanna: per l’art. 408, comma 1, si tratta di valutare «gli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari»; per l’art. 425, comma 3, si tratta di valutare «gli elementi acquisiti» (nel corso delle indagini preliminari e durante l’udienza preliminare, nel corso della quale il compendio probatorio è suscettibile di incrementi); per l’art. 554 ter, comma 1, si tratta di valutare «gli elementi acquisiti» (che, nel corso dell’udienza predibattimentale, non sono tuttavia incrementabili, in assenza della mancata attribuzione di poteri officiosi in tal senso al giudice monocratico del “pre-dibattimento”).
In breve: la base cognitiva dalla quale muovere è, evidentemente, il materiale acquisito (da inquirenti e difese) durante le indagini preliminari (eventualmente incrementato in udienza preliminare); la ragionevole previsione di condanna deve muovere dalla valutazione di quel materiale e non di altro.
D’altra parte – evidenzia efficacemente il GIP nel provvedimento qui pubblicato – l’art. 408 c.p.p. è significativamente rubricato «richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato»; il che chiarisce che la regola di giudizio ivi scolpita non può che avere ad oggetto una prognosi da formulare sul merito della notizia di reato e non su elementi ad essa estranei. E, nel chiosare questa osservazione, non si può che evidenziare che le cause di estinzione del reato come motivo di archiviazione sono oggetto di considerazione in altra disposizione di legge (art. 411 c.p.p.) che – non per caso – considera ipotesi di prescrizione già maturata e non solo pronosticata.
Il che chiarisce che la «ragionevole previsione di condanna» disciplinata dall’art. 408 c.p.p. non ha nulla a che fare con la prescrizione.
5. Prima di chiudere, possono essere svolte poche riflessioni conclusive.
Anzitutto, viene in rilievo una considerazione: l’orientamento che accetta la possibilità di archiviare un procedimento per “ragionevole previsione di prescrizione” – oltre a porsi in frizione con i principi costituzionali efficacemente ripresi dal GIP di Siena – sembra tradire una tendenza culturale in cui gli attori della giurisdizione debbono informare sempre più il loro agire ad un’ottica “di risultato”.
E – in questa prospettiva – il “risultato” sarebbe dato solo dalla “condanna” e non invece dal doveroso tentativo di accertare la verità entro i tempi di ragionevole durata del processo. Non ci sembra un bel segnale…
In secondo luogo, l’orientamento qui criticato finisce con il porre l’ordinamento in contraddizione con sé stesso. Le regole processuali sono oramai disseminate di istituti acceleratori – non tutti efficaci per il vero – che mirano a scongiurare una mancata presa di posizione della giurisdizione “sul merito” delle vicende portate alla sua attenzione (basti pensare a tutta la disciplina dei termini delle indagini preliminari, all’art. 407-bis c.p.p., alla disciplina delle avocazioni, all’introduzione di rimedi contro la stasi delle indagini preliminari).
Avallare un orientamento che autorizzi l’inazione fondando la decisione esclusivamente sui tempi di celebrazione del giudizio dibattimentale sarebbe dunque contraddittorio. E la violazione del principio di non contraddizione spesso rivela qualche aporia sistematica.
L’orientamento qui criticato si rivela poi discutibile anche per l’opinabilità del parametro di valutazione che si intende introdurre nella prognosi: come valutare «i tempi fisiologici del procedimento» e come trarre da essi argomento per formulare una ragionevole prognosi di prescrizione? Una risposta “certa” la si può avere solo formulando la richiesta di data udienza.
Né si può trascurare che – con la c.d. riforma Cartabia – nemmeno si può escludere che vi possa essere una riduzione dei “tempi fisiologici del procedimento” che si celebrerà in sede dibattimentale: da un lato, la riduzione dei tempi potrà derivare da un decremento dei flussi in ingresso (grazie alla regola di giudizio della ragionevole previsione di condanna, ove correttamente interpretata); dall’altro lato, l’ampliamento della possibilità di accesso al giudizio abbreviato condizionato – certamente non svantaggiosa per gli imputati – potrà ridurre il numero di dibattimenti da celebrare; dall’altro lato ancora, l’estensione di alcuni meccanismi deflativi o di diversion (come la MAP o come l’estensione del campo applicativo dell’assoluzione per particolare tenuità del fatto) potrà alleggerire il carico gravante sul settore dibattimentale.
Per altro verso, l’orientamento qui criticato sembra offrire una risposta “facile” ad un problema strutturale del nostro sistema giudiziario: l’enorme domanda di giustizia, la scarsità di risorse e la loro irrazionale distribuzione negli uffici giudiziari del Paese.
È una situazione nota a tutti: il nostro è un sistema giudiziario in cui tanto più grave è la situazione di disagio organizzativo di un ufficio giudiziario, quanto maggiore risulta la probabilità che un procedimento penale non giungerà ad una statuizione sul merito (con evidenti ricadute sul rispetto del principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge).
Ma l’orientamento qui criticato non risolve questo problema: si limita a “vederlo”, ad accettarlo “come un dato di fatto” (ineluttabile) e, in ultima analisi, a perpetuarlo.
[1] GUP Tribunale di Patti, sentenza ex art. 425, comma 3, c.p.p. del 27 gennaio 2023, leggibile a questo link: https://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2023/03/gup-patti-sentenza.pdf
[2] Per es., con riferimento all’analoga regola di giudizio prevista per l’udienza preliminare, cfr. G. Della Monica, Il filtro della ragionevole previsione di condanna, in Archivio penale, n. 2/2023, pp. 19-20, leggibile a questo link: https://archiviopenale.it/File/DownloadArticolo?codice=fedc3ff5-7dd9-4d39-890f-6d08415498ce&idarticolo=40553; v. anche R. Belvederi, Artt. 408 e 425 c.p.p.: il nuovo criterio applicabile all’archiviazione delle notizie di reato e alle sentenze di non luogo a procedere, in Diritto, Giustizia e Costituzione (10.1.2023), leggibile a questo link: https://www.dirittogiustiziaecostituzione.it/artt-408-e-425-c-p-p-il-nuovo-criterio-applicabile-allarchiviazione-delle-notizie-di-reato-e-alle-sentenze-di-non-luogo-a-procedere-di-raffaele-belvederi/; contra – a proposito della analoga regola di giudizio prevista per l’udienza preliminare – F. Alvino, Il controllo giudiziale dell’azione penale: appunti a margine della “riforma Cartabia”, in Sistema Penale n. 3/2022, p. 32, leggibile a questo link: https://www.sistemapenale.it/pdf_contenuti/1646862231_alvino-2022a-controllo-giudiziale-azione-penale-riforma-cartabia.pdf