Il Tribunale di Bari, con ordinanza dello scorso 23 settembre, ha riconosciuto lo status di rifugiato ad un cittadino nigeriano a causa della sua dichiarata omosessualità.
Dopo un breve excursus relativo all’onere di allegazione dei fatti, del danno grave e della sua attualità, secondo la ormai consolidata giurisprudenza della Cassazione, il Tribunale affronta il tema della mancanza di prove a suffragio delle dichiarazioni del richiedente protezione internazionale. Tema direi quasi obbligato nel caso in cui il fondato timore di persecuzione sia riconducibile all’orientamento sessuale che, come noto, può essere intuito, talvolta celato, ma sfugge agli ordinari criteri probatori, trattandosi di una condizione personale difficilmente tangibile.
Soccorre, in proposito, l’art. 3, co. 5, D.Lgs. 251/2007, a mente del quale “qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l’autoritàcompetente a decidere sulla domanda [ sia amministrativa che giudiziaria] ritiene che:
a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda;
b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed èstata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi;
c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali [ c.d. Country of origin information] e specifiche pertinenti il suo caso, di cui si dispone;
d) il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli dimostri di aver avuto un giustificato motivo per ritardarla;
e) dai riscontri effettuati il richiedente è, in generale, attendibile”.
Il Tribunale di Bari applica questa disposizione, specificando, nella motivazione dell’ordinanza in commento, che occorre “valutare la fondatezza dei presupposti sostanziali alla stregua di una valutazione probabilistica da compiersi in forza non di mere ipotesi astratte o congetturali, ma in base alle condizioni concrete esistenti nel Paese di origine …la cui sussistenza deve pur sempre essere dimostrata dall’istante quantomeno in termini di prova logica o circostanziale …”.
L’impostazione pare corretta, oltre che suffragata dalla richiamata giurisprudenza di legittimità.
Date queste premesse, la seconda parte della motivazione esamina il caso di specie, ed osserva che il ricorrente ha esposto alla Commissione territoriale competente di essere fuggito dal proprio Paese perché ricercato dalla polizia locale in quanto omosessuale e denunciato dalla madre del suo compagno dopo il decesso di costui. Dissentendo da quanto asserito dalla Commissione, che aveva denegato sia la domanda principale di riconoscimento dello status che quelle subordinate di riconoscimento della protezione sussidiaria ovvero dei motivi umanitari, il Giudicante ritiene la narrazione del ricorrente credibile perché coerente e circostanziata con riferimento a fatti, luoghi e persone. Un’unica incongruenza rilevata dalla Commissione sarebbe, ad avviso del Tribunale, irrilevante, in quanto riferita ad un solo errato riferimento temporale.
Tuttavia, occorre rilevare come difetti, nel provvedimento in esame, una esauriente narrazione del fatto, ditalchè risulta difficile la ricostruzione della vicenda specifica e, segnatamente, comprendere le eventuali differenze tra la narrazione resa in Commissione e quella resa (ove il ricorrente sia stato sentito) dinnanzi al Giudice, e la conseguente valutazione di credibilità. Non sfuggirà, invero, la rilevanza che assume la ricostruzione del fatto in queste procedure specie se, come nel caso in esame, le dichiarazioni del richiedente relative al suo orientamento sessuale non siano - come ovvio - suffragate da prove.
L’unico elemento di rilievo desumibile dal decreto in commento è il dato oggettivo per cui, a mente degli artt. 214 ss. del codice penale nigeriano, sono puniti con la reclusione gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso e che, dal gennaio scorso, è in vigore una legge che” punisce con il carcere chi contrae matrimonio o un’unione civile gay e chi rende pubblica la propria relazione omosessuale”. Il provvedimento conclude per il riconoscimento dello status di rifugiato sul presupposto che è lo Stato nigeriano ad avversare sul piano normativo l’omosessualità “non consentendo a tali individui la libera espressione della propria sessualitàe creando giàsul piano normativo una discriminazione tra individui che non trova alcuna plausibile giustificazione nei principi regolatori dei rapporti sociali in uno Stato democratico come l’Italia”. Tale ultimo riferimento pare richiamare il diritto d’asilo costituzionale di cui all’art. 10, co. 3, Cost. laddove si prevede che abbia diritto d’asilo nel territorio della Repubblica lo straniero al quale sia impedito, nel suo Paese, l’esercizio effettivo delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.
Infine, il Tribunale dispone la compensazione delle spese a causa “dell’obiettiva incertezza della condizione di vita del ricorrente nel proprio Paese d’origine e la scarna documentazione prodotta, abbisognevole in quanto tale di un vaglio giurisdizionale ai fini dell’apprezzamento della necessitàdi protezione”. La non esaustiva descrizione del fatto impedisce al lettore di comprendere le ragioni della necessità di un vaglio giurisdizionale nel caso di specie, posto che i parametri di valutazione indicati all’art. 3, co. 5, D.Lgs. 251/2007 debbono essere attuati dall’autorità competente a decidere sulla domanda, indipendentemente dal fatto che questa sia la Commissione territoriale ( o nazionale) per il riconoscimento dello status, oppure l’ Autorità giudiziaria. Tanto considerato, non è agevole comprendere perché la Commissione non sarebbe potuta pervenire alle medesime conclusioni cui è giunto il Giudicante, sembrando, invece, che la decisione del secondo sia frutto di una diversa lettura dei fatti e non di un’attività di cooperazione istruttoria supplementare che sarebbe stata impedita alla Commissione.
Invero, molteplici fonti descrivono la gravità delle condizioni normative degli omosessuali in Nigeria. Si legge nel “Rapporto annuale 2012 di Amnesty international”, a proposito di quello Stato che“sono proseguite le violazioni dei diritti umani contro persone sospettate di relazioni omo- sessuali o con identitàdi genere non convenzionale. A dicembre, il senato ha approvato un disegno di legge che impone 14 anni di carcere per i matrimoni omosessuali. Qualsiasi persona che “sia testimone, fiancheggi e contribuisca alla celebrazione di un matrimonio o unione omosessuale”o “sostenga”i gruppi gay e i loro “cortei o raduni”puòincorrere in una sentenza di carcerazione di 10 anni. La stessa pena èapplicabile a una “manifestazione pubblica di una relazione amorosa omosessuale”e a chiunque registri circoli e organizzazioni gay che tutelano i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender”.
Anche l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, i cui componenti siedono di diritto nelle Commissioni territoriali, nelle “Linee guida in materia di protezione internazionale n. 9” ritiene che “un'analisi adeguata per valutare se un richiedente LGBTI èun rifugiato ai sensi della Convenzione del 1951 deve partire dalla premessa che i richiedenti hanno diritto di vivere nella societàper quello che sono e non devono nascondere la loro identità. Com’èstato affermato in diverse giurisdizioni, l'orientamento sessuale e/o l'identitàdi genere sono aspetti fondamentali dell'identitàumana che sono innati o immutabili, o che una persona non dovrebbe vedersi costretta ad abbandonare o a nascondere”
Le linee guida dell'ACNUR sono inoltre particolarmente nette qualora il richiedente sia cittadino di un Paese che sanziona penalmente l'orientamento omosessuale degli individui. Osserva l'Alto Commissariato che “molti richiedenti lesbiche, gay o bisessuali sono originari di Paesi in cui le relazioni consensuali fra persone dello stesso sesso sono sanzionare penalmente. È ampiamente stabilito che tali provvedimenti penali sono discriminatori e violano le norme internazionali in materia di diritti umani”. Allo stesso modo, “la detenzione, ivi compresa in istituti psicologici o medici, sulla sola base dell'orientamento sessuale e/o dell'identità di genere è considerata una violazione dei divieti internazionali contro la privazione arbitraria di libertà, e di norma costituisce persecuzione”.
A questo proposito va inoltre osservato come, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, non occorra che le norme che sanzionano penalmente l'omosessualità ricevano un'applicazione sistematica. Osserva infatti l'ACNUR che “anche qualora le disposizioni che proibiscono le relazioni tra persone dello stesso sesso fossero applicate in modo irregolare, sporadico, o non trovassero affatto applicazione, queste disposizioni potrebbero far sorgere per un soggetto LGBTI una situazione intollerabile tale da costituire persecuzione”.
Tale orientamento è pienamente condiviso anche dalla Corte di Cassazione, la quale in tema di protezione internazionale a favore di soggetti LGBTI, riconosce che “per persecuzione deve intendersi una forma di lotta radicale contro una minoranza che può anche essere attuata sul piano giuridico e specificamente con la semplice previsione del comportamento che si intende contrastare come reato punibile con la reclusione” (Cassazione Civile, sez VI, 29.05.2012, n. 15981).
Da quanto sinteticamente esposto, si può agevolmente desumere che la stessa Commissione territoriale di Foggia sarebbe potuta giungere alle medesime conclusioni cui è pervenuto il Tribunale di Bari, evitando al ricorrente oltre un anno di sofferente attesa. Il ruolo della giurisdizione si conferma fondamentale nel ricondurre prassi illegittime nell’alveo della legalità, come nel caso in esame, tuttavia, forse, una minore indulgenza verso la P.A., almeno in punto spese, sarebbe talvolta auspicabile.