Traduzione dal francese di Maria Giuliana Civinini
Il testo originale, oggetto di un intervento in occasione del Consiglio di Amministrazione di MEDEL tenutosi a Reggio Calabria il 28 marzo 2015, può leggersi qui.
Dopo gli attentati del 7, 8, 9 gennaio, i più sanguinosi che la Francia abbia conosciuto da più di 50 anni (1), dopo lo stupore, l’emozione e l’unità, è giunto il tempo per una riflessione razionale. La si deve fare in Francia e nell’Europa dei diritti dell’uomo ma anche nel più ampio contesto umanitario mondiale.
Gli atti di terrorismo non sono nuovi nella storia del mondo.
Contrariamente a un’opinione piuttosto diffusa, il terrorismo non è il frutto del malessere del nostro tempo ma appartiene ad una storia antica.
“La storia mondiale del terrorismo concerne la totalità del mondo senza distinzione tra continenti, aree culturali e religioni.” (Herry Laurens, in Terrorisme, histoire et droit.).
Dal terrorismo interno a quello internazionale, le origini sono state varie: tutte le religioni, diverse correnti di pensiero, movimenti irridentisti o di resistenza all’oppressione o di conquista dell’indipendenza dai colonizzatori … Certi gruppi sono stati esaltati come eroi altri demonizzati. Alcuni sono stati vinti con la repressione, altri si sono infine seduti al tavolo dei negoziati. Senza dimenticare il “terrorismo di Stato” la cui origine si trova nel “terrore” della rivoluzione francese, ripreso da quella russa e che può qualificare situazioni di terrore di Stato che si sono realizzate e ancor si realizzano nel mondo.
Un terrorismo divenuto globale.
Gli attentati dell’11 settembre 2001 hanno mostrato come si ha a che fare sempre più con un terrorismo globale, che prende a prestito gli strumenti della globalizzazione tecnologica e finanziaria per collegare individui e gruppi terroristici indipendentemente dalla loro base nazionale.
Questa nuova dimensione ha facilitato la crescita in potenza del terrorismo che si rifà al radicalismo islamico che, attualmente, sarebbe responsabile del più alto numero di vittime (2).
Ciò nonostante bisogna guardarsi dall’interpretare questa situazione come una manifestazione dello “scontro tra civiltà”; questo significherebbe cadere nella trappola tesa da questo terrorismo.
Il riconoscimento di una comunità mondiale dei valori?
(Titolo preso in prestito da Mireille Dalmas Marty in Terrorismes, histoire et droit , ed. CNRS)
Questo carattere globale del terrorismo ha ancor più motivato la volontà di cooperazione internazionale. Dopo il fallimento della SdN, l’ONU fatica a mettere in piedi tale cooperazione in modo compatibile con la salvaguardia ei diritti fondamentali come è ben illustrato dal sistema delle “liste nere” finalmente annullato dalla CGUE (sent. 3 settembre 2008 Cadi e Al Barakaat ).
Una comunità di valori sembra meglio salvaguardata a livello europeo, o almeno meno peggio, grazie al ruolo delle Corti europee, CEDU e CGUE.
La crescente importanza del riconoscimento delle vittime
All’interno di questa comunità di valori, la vittima ha acquisito un ruolo vieppiù crescente. L’atto terroristico che trovava fino agli anni ’70-’80 difensori pronti a scusarlo e legittimarlo è divenuto tanto più insopportabile quanto più ha per obbiettivi civili, definiti come vittime per eccellenza (Herry Laurens, cit.).
La presa in carico della vittima è al cuore del dibattito pubblico in Francia, e certamente in molti altri paesi. E’, del resto, uno dei progressi recenti delle nostre società democratiche.
BREVE, E NON ESAUSTIVA, ANALISI DELLA SITUAZIONE FRANCESE
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La relazione con crimini commessi all’estero da soggetti radicalizzati – spesso cittadini francesi – non impedisce di ricercare delle cause possibili all’interno della situazione francese, al contempo aprendo prospettive di riflessione in uno spazio più vasto.
QUALCHE ELEMENTO DI RIFLESSIONE SULLE CAUSE DEGLI OMICIDI
Non si tratta di negare la responsabilità personale ma di dire con Victor Hugo, “Come si può guarire la malattia se non si esaminano le ferite?”
Libertà Uguaglianza Fratellanza: alla ricerca di una nuova ispirazione
Con un sottofondo post-coloniale, vengono in rilievo, ovviamente, la situazione internazionale [stato islamico Daech e in generale i conflitti in medio oriente e in Africa (boko aram)] e la politica estera della Francia. Non si può poi ignorare la situazione socio-economica francese, specialmente quella delle sue periferie con la stagnazione disincantata delle sue istituzioni ( troppo spesso infedele al motto “libertà, uguaglianza, fratellanza”) e in generale la crisi del “vivere insieme”.
Manuel Valls non ha denunciato lui stesso l’esistenza di un “apartheid territoriale, sociale e etnico” all’opera nei quartieri popolari, fustigando “la relegazione suburbana e i ghetti”?. Nonostante la riuscita di percorsi individuali sovente supportati dalle nostre imperfette istituzioni, la constatazione è corretta anche se il termine apartheid è improprio; lavoro, casa, educazione, laicità (che secondo me deve essere aperta), lotta contro le esclusioni, le discriminazioni … in una parola rispetto dell’uguaglianza dei diritti e dell’uguale dignità di ciascuno, ecco i numerosi “cantieri” che vengono periodicamente vocati nei discorsi ma lasciati perpetuamente aperti.
Rendere la speranza a questa popolazione dovrebbe formare oggetto di una riflessione concreta che si coniughi con la realizzazione di meccanismi sociali e politici capaci di dare la parola agli abitanti dei quartieri, cosicché si sentano, infine, attori del loro avvenire e capaci di influenzare le proprie condizioni di vita.
Bisognerebbe anche che la Francia realizzasse di essere una società multiculturale e che questa è una ricchezza. Sarebbe anche necessario ch’essa trovi un percorso ragionevole affinché le nostre istituzioni all’interno di uno Stato laico – componente della nostra democrazia cui siamo profondamente attaccati – sappiano convivere e rispettare una situazione “multiculturale” che ha al suo interno l’Islam, che appartiene alla Francia come le altre religioni.
Le misure annunciate dal governo non sembrano tali da condurre al necessario e profondo cambiamento di politica.
Il rischio insito nel discorso governativo è che, senza essere compensato da alcuna speranza, focalizza l’attenzione sulla popolazione di questi quartieri col rischio di stigmatizzazioni e amalgame pericolose.
REAZIONI E PROSPETTIVE
Come si vedrà la Francia reagisce in tutti i sensi e può legittimamente chiedersi; chi vincerà: la saggezza di una analisi lucida e di risposte meditate o soluzioni troppo semplicistiche per costituire un rimedio, o addirittura pericolose per le libertà pubbliche?
La società francese
Non si può ridurre la reazione della società francese al clima eccezionale di mobilitazione nazionale dell’11 gennaio, che, nonostante il messaggio dato al mondo intero di una volontà d’unione e serenità, non può dissimulare la tentazione crescente verso il ripiegamento e le risposte securitarie irrazionali.
Si deve ammettere che la società francese è attraversata da tensioni islamofobe e antisemite in pericolosa crescita (gli atti antimusulmani nei primi tre mesi dell’anno sono stati quasi numerosi che in tutto il 2014, anno che ha visto aumentare gli atti antisemiti, tendenza ancora in crescita).
Malgrado tutto, è nella società civile che la riflessione e la capacità di sviluppare dibattiti non manichei, ripresa in parte anche dai media, è più approfondita (articoli, libri, interviste, dibattiti, dialogo religioso …) e aperta a un pluralismo delle idee e del pensiero. Ma per quale pubblico? Con quale capacità di contrastare le idee più reazionarie che si stanno espandendo, come dimostra la crescita del fronte nazionale?
Le reazioni politiche
Il dibattito politico si è animato attorno a proposte di ogni tipo. Alcune sfidano il buon senso. Qualche rara voce, come quella di Robert Badinter, ha fatto appello alla ragione democratica ricordando che non è con leggi o giurisdizioni eccezionali che si difende la libertà contro i suoi nemici.
… sul lato del Governo
La “guerra contro il terrorismo”
DI fronte a atti di questa natura, ci si dovevano attendere reazioni immediate in grado di trasmettere alla popolazione un messaggio del tipo “il terrorismo ha bisogno di una risposta appropriata, è nostro dovere cercar di garantire la vostra sicurezza”. Ciò non giustifica, per contro, formule come fare “la guerra al terrorismo”.
“Lo stato di guerra è una situazione dove le regole del diritto e più in particolare i diritti fondamentali si trovano gravemente compressi e talvolta addirittura degradati ed è una situazione che autorizza ogni deriva. SI deve pertanto restare vigilanti: da totale, la guerra potrebbe diventare totalitaria” (Damien Vandermeeersch,in « Juger le terrorisme dans l’Etat de droit », collection Magna carta BRUYLANT).
Oltre l’annuncio di un rafforzamento generale dei mezzi finanziari, tecnici e umani dell’ “antiterrorismo” (polizia e giustizia), al fine di utilizzare a pieno l’arsenale giuridico recentemente potenziato con una legge del 13 novembre 2014, vari dispositivi, più o meno nuovi, sono o dovrebbero essere messi in opera tra cui, in particolare, la legalizzazione di certe pratiche dei servizi di sicurezza.
Lotta contro la radicalizzazione e l’apologia del terrorismo
La Francia è ancora ai primi balbettii nella ricerca di metodi diversificati di lotta alla radicalizzazione sia nella società che all’interno del carcere, coi suoi problemi di sovraffollamento. Anche se la radicalizzazione si realizza facilmente anche all’esterno, è la radicalizzazione in prigione che attira maggiormente l’attenzione. Il governo, per ora, ha optato per l’isolamento dei detenuti sensibili. Deve sottolinearsi che certi jidaisti di ritorno in Francia, sospettati di essersi impegnati in Siria in un contesto terrorista, sono attualmente detenuti.
Nel perseguimento di questo obbiettivo, è stato bloccato con semplice decisione amministrativa, l’accesso a cinque siti web accusati di fare apologia di terrorismo, in forza della citata legge di novembre, fortemente criticata per il fatto che non è previsto l’intervento del giudice per adottare una tale decisione.
La Ministra della Giustizia, con una circolare emessa all’inizio dell’anno, ha chiesto agli uffici di procura di perseguire il delitto di apologia di terrorismo, con procedimenti rapidi, procedura che da anni il Sindacato della Magistratura denuncia, assieme ad altri, come eccessivamente sommari (si veda infra per i processi così promossi).
I servizi di informazione (detti anche “servizi segreti”)
La grande preoccupazione del momento è il progetto di legge reso pubblico il 19 marzo che intende allargare in modo molto ampio il campo e le tecniche (alcune riservate alla polizia giudiziaria) dei servizi, in assenza di una garanzia di effettivo controllo da parte di un’autorità indipendente, e con modalità che fanno temere ad alcuni un “controllo di massa”. SI mette così in moto una nuova tappa di un diritto che dal 1986 è continuamente soggetto a modifiche e deroghe.
IL DIRITTO
In Francia, come senza dubbio altrove, è opportuno superare il discorso troppo spesso dominante che riposa su un preteso equilibrio tra sicurezza e Stato di Diritto, falsamente considerate come nozioni antitetiche. Come afferma Mireille Delmas Marty, lo Stato di Diritto non è lo Stato impotente. E’ nel quadro del diritto (internazionale, europeo, costituzionale) che la necessaria lotta al terrorismo deve e può essere condotta. In mancanza di ciò, le democrazie minerebbero i principi che fanno la loro forza
L’estensione della lotta anti-terrorista.
Dal 1986 – quando è stato introdotto con la legge 9 settembre 1986 lo specifico reato di terrorismo - la Francia è senza dubbio l’esempio di una legislazione bricolage (espressione presa in prestito a Dalmas Marty) adottata sotto i colpi di emozioni successive, gradualmente sbocconcellando i diritti fondamentali. Senza dimenticare, accanto al quadro normativo, certe pratiche di polizia (operazioni e arresti spettacolari, data base non dichiarati) e giudiziarie (magistrati cassa di risonanza della polizia, lassismo in materia di prova, strumentalizzazione della giustizia).
Dopo tale atto normativo, almeno 15 leggi di cui l’ultima risale a novembre 2014, hanno introdotto nuove ipotesi di reato o nuove eccezioni procedurali. Si aggiunge un aumento costante del campo di azione dei servizi attraverso la generalizzazione di metodi intrusivi, fuori dal controllo del giudice; in effetti, se da un lato aumentano i reati legati al terrorismo, dall’altro prendono piede interventi di polizia preventivi che sfuggono alle garanzie della procedura penale. Il citato progetto di legge sui servizi di informazione ne è l’ultima manifestazione.
La definizione di atti di terrorismo riposa su due pilastri:
- l’uno riprende elementi costitutivi di reati già esistenti, come attentato alla vita, all’integrità della persona, ai beni … in costante estensione attraverso leggi successive;
- l’altro che riposa sulla finalità dell’azione criminosa, che deve essere commessa intenzionalmente in relazione con una attività individuale o collettiva avente per oggetto di turbare gravemente l’ordine pubblico attraverso l’intimidazione o il terrore.
La lotta contro il terrorismo è così organizzata attorno a condotte criminose specifiche non esenti da elementi di soggettività perché in parte centrate sull’intenzione, e a procedimenti che derogano ai principi generali sia nella fase delle indagini (fermo di polizia, perquisizioni…) che durante l’istruzione e il dibattimento (giurisdizione specializzata centralizzata a Parigi) con una prescrizione allungata dell’azione penale e un aggravamento della pena.
Alcun dispositivo derogatorio al diritto comune posto in essere in nome di questa lotta è al momento minimamente rimesso in causa. Peggio, queste previsioni hanno contaminato l’insieme del diritto penale e fanno temere, per la loro incessante estensione, che l’ingranaggio giuridico del “sempre più deroghe”, iniziato nel 1986, sia senza ritorno.
IL SINDACATO DELLA MAGISTRATURA
Da più di 30 anni il SM, nelle sue prese di posizione contro le normative in materia di lotta al terrorismo (di cui ha peraltro coscienza delle difficoltà), fa suo il fondamentale richiamo della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, “Cosciente del pericolo che tale legge rappresenta di minare, o addirittura distruggere, la democrazia con la motivazione di difenderla, la Corte afferma che gli Stati membri non possono adottare, in nome della lotta contro lo spionaggio e il terrorismo, qualsiasi misura da loro ritenuta appropriata” (CEDU, Klass, 6 settembre 1978).
La rivendicazione di un massimo di diritto comune.
Nel 1986, il SM si era opposto, assieme a numerosi giuristi, all’introduzione di un autonomo reato di terrorismo in quanto la sua struttura poteva generare derive soggettive e di fatto nutriva importanti deroghe alle norme e garanzie processuali. I successivi sviluppi delle incriminazioni e delle deroghe al diritto comune hanno confermato le sue preoccupazioni.
Se oggi rimane valido l’interrogativo sulla necessità di queste specificità, difficilmente se ne può fare una rivendicazione di fondo in presenza della decisione quadro del Consiglio dei Ministri dell’UE del 13 giugno 2002 relativa alla lotta al terrorismo, che ha imposto agli Stati Membri di introdurre specifiche incriminazioni la cui etereogeneità è stata accresciuta con la decisione del 28 novembre 2008 che pecca ugualmente per il peso conferito all’intenzione nella definizione del reato.
S’impone in ogni caso la rivendicazione di una struttura più stretta e rigorosa possibile del reato di terrorismo. Ovviamente il SM ha sempre ricordato la necessità del rispetto del principio di proporzionalità e di sussidiarietà nei processi che derogano al diritto comune.
Dopo essersi opposto alla legge del 13 novembre 2014, il SM, sempre molto vigilante sui nuovi dispositivi annunciati dal governo, è mobilitato su diverse piste di lavoro e d’azione che vanno dall’analisi dei fenomeni di radicalizzazione criminale, alla elaborazione di reazioni a certi progetti di riforma, passando per la denuncia di certe pratiche giudiziarie soprattutto nel campo della repressione dell’ “apologia di terrorismo” (la giustizia, presa dal clima di repressione e sotto l’impulso del ministro della giustizia, ha irrogato pene aberranti per questo reato).
Attualmente l’azione militante del SM si focalizza in particolare sul progetto di legge sui servizi di informazione. Nella sua analisi critica, il SM supporta soprattutto la necessità di uno sguardo imparziale sulle informazioni e l’introduzione di un controllo del giudice.
QUALE ASPIRAZIONE A LIVELLO EUROPEO
Preliminarmente, si deve lottare contro la definizione ingannevole e pericolosa di “guerra contro il terrorismo”.
La cooperazione europea deve poter poggiare su un pubblico ministero europeo indipendente e capace di coordinare le azioni di polizia nel quadro di un controllo di legalità.
SI deve inventare una giurisdizione europea per i reati che concernano più paesi?
La sfida attuale della salvaguardia dei diritti fondamentali sembra essere quella dei servizi di informazione (i servizi segreti) che avrebbe sicuramente bisogno di un dispositivo – necessariamente indipendente – di vigilanza europea specifica.
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(1) L’attentato dell’OAS del 18 giugno 1981 provocò 24 morti e 170 feriti; all’epoca si trattava di francesi, tra cui ufficiali superiori dell’esercito – che lottavano con il terrorismo contro la marcia dell’Algeria verso l’indipendenza
(2) Prima o dopo la Francia, altri paesi europei ed extraeuropei, conoscono o hanno conosciuto ondate di terrorismo che hanno fatto spesso molte vittime: la Spagna nel 2004, 200 morti; l’Inghilterra nel 2005, 60 morti, la Danimarca il 14 febbraio scorso, 3 morti, Tunisi il 18 marzo, 22 morti, Yemen il 20 marzo, 150 morti …
D’altra parte, si vedono altre forme di terrorismo, prive di base islamica, come il famoso attentato commesso in Norvegio nel 2011 da Anders Behring Breivik che ha costato la vita a 77 persone.