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La partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo: il caso delle associazioni di ispirazione jihadista

di Emilio Gatti
procuratore aggiunto presso la Procura di Torino

L’esistenza di associazioni con finalità di terrorismo di natura jihadista pone problemi particolari all’interprete, perché la natura “religiosa” delle motivazioni sottostanti alle condotte investigate rende necessario prima di tutto un approccio prudente e del tutto “rispettoso” delle idee e del credo altrui. Il contributo ripercorre gli elementi costitutivi del reato di partecipazione a tale tipo di associazione, esaminando i principali arresti giurisprudenziali degli ultimi anni e ponendo l’attenzione su quello che può essere il dato probatorio nella fase iniziale delle indagini.

1. Il reato di associazione con finalità di terrorismo previsto dall’art. 270 bis c.p. ha recentemente costituito oggetto di numerosi e significativi approfondimenti giurisprudenziali in relazione alle condotte di gruppi facenti capo o comunque legati allo Stato Islamico.

Si tratta di materia già di per sé non semplice per la necessità di verificare la presenza degli elementi costitutivi del reato associativo (sui quali v. ad esempio Corte Cass. Sez. VI 25/11/1995 n. 11413, Montani), la sussistenza di un programma criminoso costituito da «atti di violenza»[1], la finalità terroristica od eversiva di questi ultimi[2]

La materia è resa ancora più delicata dalla natura “religiosa” delle motivazioni sottostanti alle condotte investigate, che rende necessario un approccio prudente e del tutto “rispettoso” delle idee e del credo altrui, precisando fin da subito che questo testo non si riferisce ai “credenti musulmani” ma solo a quella minima parte tra questi che abbraccia idee radicali di tipo jihadista.

Quello che l’interprete affronta, di solito, non ha a che vedere, o meglio non ha ancora a che vedere con fatti di violenza così estrema come attentati od omicidi da rendere self-evident, chiara in sé, la natura terroristica delle condotte ed il riferimento delle stesse ad un’organizzazione più o meno complessa e dotata di strumenti raffinati o rudimentali che può essere facilmente ritenuta costituire un reato associativo.

La realtà che viene proposta in fase di indagini preliminari ha, invece, a che vedere con condotte che manifestano in prima battuta un “diverso pensare” dai contenuti fortemente ideologizzati e contrari al cd. mainstream.

Si tratta di persone che manifestano idee radicali mediante i propri costumi ed il proprio credo religioso.

Individui che, a volte, esprimono anche pubblicamente il proprio personale appoggio a condotte anche estremamente violente compiute in luoghi lontani da liberare dall’oppressione e dal “colonialismo” occidentali.

A tal proposito, la prima riflessione necessaria per un inquirente è quella di non equiparare la semplice radicalizzazione, anche se di natura jihadista[3], al terrorismo e di non ritenere così dimostrato che esprimere sentimenti di adesione morale alla lotta del Califfato significhi di per sé far parte, anche solo come partecipe, di un’associazione a delinquere con finalità di terrorismo.

La radicalizzazione è un processo lungo[4], non lineare, che non sempre giunge a compimento e che, anche in quest’ultimo caso, rappresenta solo una delle premesse di future condotte di natura e carattere terroristico.

Si può dire che nell’ambito del jihadismo islamista non tutti i radicalizzati compiono atti di tipo terroristico, ma che tutti quelli che compiono tale tipo di atti hanno accettato idee radicali.

Il che equivale a dire che non tutti i radicalizzati islamisti sono autori di condotte punibili ai sensi del codice penale italiano.

 

2. L’associazione con finalità di terrorismo di tipo jihadista è qualcosa che si sostanzia, e profondamente, di idee religiose radicali.

Lo Stato Islamico (IS), come realtà confessionale fonda la propria esistenza “politica” sulla “teologia”.

Lo studio, l’insegnamento e la diffusione di questa “teologia” è altrettanto indispensabile per la sopravvivenza di IS quanto la lotta armata (Jihad) e le operazioni terroristiche.

Senza questa “teologia”, infatti, non esisterebbero né le strutture dello Stato Islamico né la lotta armata né le attività terroristiche.

Insomma, senza quel tipo di Imam non ci sarebbe il Mujaheddin.

La realtà costituita da IS è stata oggetto di studio da parte di alcune decisioni della Corte di Cassazione che è pervenuta ad identificarne la natura, anche, di associazione con finalità di terrorismo.

Dico “anche” perché per taluni appare estremamente riduttivo ritenere che un fenomeno di questa portata si possa esaurire in una definizione di natura giuspenalistica[5].

La sentenza della Corte di Cassazione, Sezione I 16/4/2018 n. 49728, Sergio, contiene l’affermazione che IS costituisce un’associazione ai sensi dell’art. 270 bis c.p.

Si tratta di decisione fondamentale perché giunge a conclusione di procedimento nel quale, nei gradi di merito, era stata accertata di fatto l’esistenza di tutti gli elementi costitutivi del reato associativo ipotizzato[6].

In particolare, è stata messa in evidenza la struttura dell’organizzazione, costituita come uno Stato che governa un territorio, riscuote le tasse, batte moneta, somministra i servizi sanitari ed educativi, esercita il potere della violenza “legale”, utilizza i media e diversifica i messaggi, con le conseguenti inevitabili predisposizione di mezzi e differenziazione dei ruoli dei partecipi, riservando un importante ruolo anche alle figure femminili[7].

L’organizzazione ha un proprio progetto politico che si sostanzia in un vero programma criminoso di natura eversiva per gli altri Stati, ai cui ordinamenti democratici vuole sostituire la rigida applicazione della legge islamica, la Sharia.

Programma che viene attuato con metodi ed atti terroristici contro strutture, interessi o rappresentanti politici di "regimi" ostili per impedirne l'intervento o per accelerarne la caduta.

Dunque, per la Corte di Cassazione ISIS è un’associazione terroristica alla quale si può partecipare ai sensi dell’art. 270 bis comma 2 c.p.

ISIS soddisfa appieno i requisiti di “una struttura organizzativa con grado di effettività tale da rendere possibile l'attuazione del programma criminoso”, mentre non è richiesta anche la predisposizione di uno specifico programma di azioni terroristiche” (così Corte Cass. Sez. V, sentenza n. 2651 dell’8/10/2015 - dep. 21/01/2016  - rv. 265924).

 

3. Ciò premesso, il problema che si pone all’interprete è il significato e poi il concreto accertamento della condotta di partecipazione a questo tipo di associazione ai sensi del secondo comma dell’art. 270 bis c.p.

Va chiarito subito come la mera adesione psicologica e “ideale” al programma criminale dell’associazione non è sufficiente per integrare la condotta di partecipazione, essendo invece necessario un inserimento effettivo nella struttura organizzata mediante lo svolgimento di attività preparatoria del programma e l’assunzione di un ruolo concreto nell’organigramma (così Corte Cass. Sez. I 22/3/2013 n. 22719, LO TURCO).

Del resto, già in precedenza le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 33748 12/7/2005, Mannino) avevano ben posto in evidenza l’aspetto dinamico del ruolo e dei compiti del partecipe ad un’associazione mafiosa, che devono essere funzionali all’esistenza ed agli scopi di quest’ultima: «si definisce partecipe colui che, risultando inserito stabilmente e organicamente nella struttura organizzativa dell'associazione mafiosa, non solo è ma fa parte della (meglio ancora: prende parte alla) stessa».

Peraltro, è stato affermato (tra le tante Corte Cass. Sez. I n. 51564 del 9/10/2018, Rahman Mohy) che «le modalità di partecipazione ad una struttura associativa di tipo criminale non hanno caratteristiche rigide per qualsivoglia fattispecie di associazione, ma sono direttamente collegate alla particolare natura del gruppo criminale che viene in rilievo».

Infatti, le associazioni terroristiche di matrice jihadiste si atteggiano e agiscono con modalità peculiari che devono essere adeguatamente accertate e riconosciute, ma che, al di là di quel “minimum organizzativo” richiesto dalla norma, non devono necessariamente rispondere a schemi organizzativi tipici di altre associazioni ben più note nel nostro Paese[8].

Ciò perché, da un lato, esse fanno largo uso di strumenti di comunicazione telematica che consentono contatti tra persone anche molto lontane tra loro, che non si incontrano fisicamente.

Dall’altro, perché l’elemento unificante tra queste persone, il “catalizzatore” dei rispettivi interessi ed azioni e dell’affectio societatis è costituito dall’ideologia radicale di tipo jihadista.

Così è stato riconosciuto che questo tipo di associazioni presenta una struttura a “rete”, alla quale si può partecipare anche a distanza, secondo modalità estremamente flessibili e con contatti fisici, telefonici o telematici anche sporadici (Corte di Cassazione Sez. V 11/6/2008 n. 31389, Bouyahia).

 

4. Come già rilevato «la risposta alla chiamata alla jihad non costituisce la prova della condotta di partecipazione, ma segna il momento in cui si instaura il legame tra il singolo e l’associazione, alla luce del quale vanno lette le condotte che il singolo pone in essere richiamandosi e utilizzando il patrimonio ideologico, culturale e di condivisione delle tecniche terroristiche, che costituisce il sostrato organizzativo dell’associazione denominata ISIS». 

In altri termini l’adesione all’ideologia del Califfato, che può corrispondere anche ad una radicalizzazione evidente, rappresenta la chiave interpretativa delle successive condotte del medesimo.

L’effettivo inserimento potrà poi essere logicamente desunto dalle condotte poste in essere dal singolo, così che ne risulti certa l’adesione al programma dell’associazione (v. Corte Cass. Sez. II 27/4/2018 n. 38208, Waqas e Briki). Poiché si tratta di reato a “forma libera”, viene affermata (v. Corte Cass. Sez. I 16/4/2018 n. 49728, Sergio) la necessità che la condotta di partecipazione fornisca all’associazione un contributo materiale che possa ritenersi causale alla sua esistenza, alla realizzazione delle sue finalità ed alla sua struttura[9]

Può trattarsi di condotte immediatamente riconducibili all’esecuzione del programma criminoso, come la predisposizione e l’attuazione di fatti che direttamente manifestano una violenza “terroristica”. 

Può trattarsi, però, anche di condotte diverse, definite come “serventi” o “ancillari” rispetto alle attività principali del gruppo.

Così, questo tipo di associazione viene riconosciuto (Corte Cass. Sez. VI n. 46308 del 12/7/2012, Chabchoud) in una rete di gruppi, ciascuno dei quali «realizzi anche una delle condotte di supporto funzionale all'attività terroristica di organizzazioni riconosciute ed operanti come tali, quali quelle volte al proselitismo, alla diffusione di documenti di propaganda, all'assistenza agli associati, al finanziamento, alla predisposizione o acquisizione di armi o di documenti falsi, all'arruolamento, all'addestramento».

«Ciò spiega perché nell'indagine da effettuare per la verifica dei connotati di partecipazione il giudice debba concentrarsi sulla rilevanza concreta dell'apporto alla struttura associativa e sull'elemento subiettivo della partecipazione all'associazione terroristica, al fine di appurare se e in che misura il contributo offerto non si sia limitato alla mera manifestazione dei pensiero e si sia, piuttosto, risolto nell'adesione alla struttura attraverso la condivisione del metodo violento per la realizzazione degli scopi associativi e nella realizzazione di un contributo di valenza causale efficiente a indurre la vita e la sopravvivenza dell'ente, anche e solo in termini di puro rafforzamento della sua essenza» (Corte Cass. Sez. I 16/4/2018 n. 49728, Sergio, pag. 13).

In altri termini, intanto si ha partecipazione in quanto l’agente tiene 1) una condotta materiale che apporti 2) un contributo causalmente idoneo all’esistenza, alla vita o all’operatività dell’associazione e 3) che sia in qualche modo conosciuto da quest’ultima. 

E l’adesione ideale al progetto jihadista rileva però solo se non è considerata isolatamente ma in unione agli (e come chiave di lettura degli) altri elementi citati.

 

5. Ancora un rilievo.

Non può parlarsi di partecipazione ad un ente se essa non è “consapevole”, nel senso di essere “volontaria” da parte di chi aderisce, e questo si risolve nel problema della dimostrazione del dolo e di essere “conosciuta” da parte dell’associazione stessa.

Questa seconda parte, chiara nelle associazioni di tipo tradizionale, ha creato qualche difficoltà interpretativa nel caso dell’associazione con finalità di terrorismo denominata Stato Islamico.

Come correttamente rileva la giurisprudenza (Corte Cass. Sez. VI 19/12/2017 n. 2364, Messaoudi), «si è affermato condivisibilmente in dottrina che la legge penale non può che limitarsi a punire la partecipazione alle associazioni criminali, poiché sono queste ultime, in base come operano, a stabilire il quomodo della partecipazione; ma si deve comunque adottare un criterio valutativo che rispetti le esigenze di coerenza intrasistematica e l'architettura fondante della teoria del reato associativo».

Dunque, il giudice riconosce le forme di partecipazione che vengono però decise dall’associazione stessa.

ISIS ha, ormai, una dimensione di carattere internazionale ed esercita una chiamata a “vocazione universale”, rivolta cioè a tutti gli esseri umani che possono convertirsi all’Islam e seguirne i dettami delle origini, possono di conseguenza contribuire all’affermazione di questo Credo religioso e del Califfato a livello mondiale.

Pur essendo un’associazione in qualche modo “segreta” lo Stato Islamico si rivolge a tutti e si avvantaggia dei contributi di tutti coloro che, aderendo alla sua ideologia, contribuiscono alla sua esistenza ed al suo sviluppo.

Note sono le rivendicazioni postume degli attentati commessi in nome dello stato dal vessillo nero.

E l’osservatore deve domandarsi, ogni volta, quali elementi di prova esistano a dimostrazione che quel dato gesto, quella data persona possano ritenersi “prendere parte” all’associazione con finalità di terrorismo ipotizzata o non siano invece condotte di singoli che agiscono indipendentemente gli uni dagli altri.

Un primo orientamento giurisprudenziale (Corte Cass. Sez. V 13/7/2017 n. 985, Bekaj) ritiene sufficiente l’adesione del singolo a proposte criminose formulate da ISIS “in incertam personam”, senza che l’adesione sia accompagnata dalla relativa conoscenza da parte dell’associazione[10].

Al contrario, un secondo orientamento (Corte Cass. Sez. VI 19/12/2017 n. 2364, Messaoudi) ritiene che «per configurare la partecipazione all’associazione internazionale con finalità di terrorismo, è necessario che questa, anche indirettamente, sappia di avere a disposizione, di "poter contare" su un determinato soggetto, vi deve essere cioè una conoscenza da parte dell’associazione anche se questa è solo indiretta, mediata, riflessa».

Questa pare essere esigenza del tutto elementare, “far parte” di un’associazione richiede che questa sappia della partecipazione, di “poter contare” sull’associato per le proprie attività, per le proprie strategie, per la propria stessa esistenza.

Così, l’esame approfondito delle fattispecie concrete, le indagini svolte sui comportamenti dei singoli consentono spesso di rinvenire una trama di contatti, rapporti continuativi ed approfonditi con altre persone spesso direttamente coinvolte in attività di carattere terroristico.

E c’è chi (Corte di Assise di Appello di Roma 5/7/2018, Hmidi) ritiene che la “conoscenza” del partecipe, possa essere non solo preventiva ma anche successiva al fatto, come quando ISIS rivendica “in via di ratifica” un attentato come commesso da un proprio aderente, da un proprio “leone”.

Il “contatto operativo” è il nodo più difficile da risolvere per un operatore del diritto, il punto sul quale può fondarsi, o al contrario naufragare un’accusa ai sensi del secondo comma dell’art. 270 bis c.p.

Anche sotto quest’aspetto, rendersi conto della natura del fenomeno associativo investigato può aiutare.

Nella sentenza Sergio, la Corte di Cassazione dà conto di tale problema che risolve considerando la diffusione territoriale conseguente all’aspirazione universale di ISIS e soprattutto che suoi partecipi, suoi “snodi” esistono e operano pressoché ovunque nel mondo.

Così, viene affermato che non è necessaria un’esplicita “accettazione” del nuovo partecipe e neppure una sua conoscenza “diretta” da parte dei referenti del nucleo centrale, cioè degli esponenti del Califfato propriamente inteso, perché quale struttura “a rete” ISIS conta su snodi periferici disseminati anche in territorio straniero ai quali fare riferimento per supportare le proprie finalità[11].

È allora sufficiente che l’adesione ad ISIS sia nota ad uno qualsiasi di questi “snodi periferici” la cui attività è funzionale alla sopravvivenza dell’intera associazione.

Ciò anche se questa conoscenza è solo “indiretta” o “mediata” dall’uso di strumenti telematici, senza contatti fisici, come più volte riscontrato per i partecipanti a quest’associazione.

 

6. Può bastare?

Se si pensa alle associazioni a delinquere che comunemente conosciamo, da quella più semplice a quella più articolata e ramificata, l’elemento della conoscenza personale tra i partecipi, dell’intuitus personae, ci appare essenziale.

Senza quel tipo di conoscenza e della conseguente fiducia, pare non poter esistere nessun vincolo associativo, nessuna affectio societatis.

Le modalità scelte da ISIS, soprattutto le competenze telematiche di cui esso fa uso cambiamo questo punto di vista.

Così le indagini dimostrano l’esistenza di rapporti tra persone che risiedono a migliaia di chilometri di distanza, che non si incontrano e neppure si parlano telefonicamente, ma che cionondimeno hanno tra di loro quel «contatto operativo» richiesto dall’interpretazione giurisprudenziale ormai maggioritaria in materia.

D’altronde risale ormai al 2013 (Corte Cass. Sez. III 24/4/2013 n. 33179, Scarpino) l’affermazione secondo cui «costituisce un'associazione a delinquere finalizzata all'incitamento ed alla violenza per motivi razziali, etnici e religiosi, anche una struttura quale quella evidenziata agli atti, la quale utilizzava la gestione del blog per tenere i contatti tra gli aderenti, fare proselitismo, anche mediante diffusione di documenti e testi inneggianti al razzismo, programmare azioni dimostrative o violente, raccogliere elargizioni economiche a favore del forum, censire episodi o persone ("traditori" e "delinquenti italiani", perché avevano operato a favore dell'uguaglianza e dell'integrazione degli immigrati)».

E c’è chi (Corte Cass. Sez. I 9/10/2018 n. 3872, Rahman Mohy) ritiene che «la disponibilità delle chiavi di accesso informatico ad una partizione riservata del deep o del dark web gestita da un’associazione con finalità di terrorismo, nella specie Isis, costituisce forte elemento indiziario di quel collegamento con l’associazione essenziale per la configurazione della condotta di partecipazione alla stessa».

Quest’ultimo aspetto appare di interesse investigativo e giudiziario.

La necessità di diffondere le proprie idee e guadagnare così nuovi proseliti spinge le agenzie di informazione dello Stato Islamico a pubblicare sul web centinaia di documenti, utilizzando canali diversi, alcuni dei quali non sono accessibili senza chiavi di accesso o “indirizzi”.

Ad esempio, è noto che se il materiale di interesse per il radicalizzato è posto all’interno di un cloud oppure nel cd. dark web, cioè in partizioni del web condivisibili con terzi ma non sottoposte ai consueti motori di ricerca, per raggiungerle egli dovrà conoscere l’indirizzo preciso di tale materiale o avere ad esso un collegamento (link).

Diversamente non sarebbe in grado di trovarlo.

Questi indirizzi o collegamenti vengono diffusi ad esempio attraverso canali Telegram - una piattaforma di messaggistica istantanea che si differenzia da altre per un livello di sicurezza più alto garantendo l’anonimato nelle comunicazioni per cui chi si iscrive non è in grado di capire chi siano i suoi interlocutori, noti soltanto all’amministratore - gestiti dalle agenzie dello Stato Islamico.

Canali ai quali l’interessato s’iscrive volontariamente, scaricando ed utilizzandone i contenuti, che di per sé possono non essere immediatamente di natura istigatoria o apologetica ma che, tramite i collegamenti, rimandano ad altre partizioni del web dove si trova altro materiale di significato più chiaramente criminoso.

Così, quando durante le indagini si riscontra la conoscenza da parte dell’indagato di uno di questi indirizzi o collegamenti a partizioni web gestite da ISIS e la visualizzazione o anche l’acquisizione (download) ripetuta di quel tipo di materiale, allora si può ragionevolmente desumerne un buon livello di vicinanza a persone che collaborano con l’associazione terroristica e pertanto anche un indizio dell’esistenza del «contatto operativo» richiesto.

 

7. Dal punto di vista soggettivo per la partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo è sufficiente la «coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione del programma delinquenziale in modo stabile e permanente (ch)e può desumersi in modo fortemente indiziante dalla stessa realizzazione dell'attività delittuosa in termini conformi al piano associativo» (Corte Cass. Sez. VI n. 50334 del 2/10/2013, La Chimia). 

Si tratta di dolo specifico (Corte Cass. Sez. I n. 4043 del 25/11/2003, Cito) «avente ad oggetto la prestazione di un contributo utile alla vita del sodalizio ed alla realizzazione dei suoi scopi», agendo dall’interno dell’associazione, elemento quest’ultimo che differenzia il dolo del partecipe da quello del concorrente esterno.

Il concorso esterno in associazione con finalità di terrorismo di tipo jihadista è stato riconosciuto come configurabile dalla sentenza della Corte di Cassazione Sezione II 21/2/2019, Antar.

L’affectio societatis consiste dunque nella coscienza e volontà di prendere parte a quella data associazione, caratterizzata da quei connotati di tipo religioso e terroristico, avente quello specifico programma delinquenziale con portata universale.

Non pare un caso che alla portata universale della chiamata alla Jihad fatta da ISIS corrisponda l’adesione convinta di persone provenienti da ogni parte del mondo.

L’accertamento del dolo comporta la necessità di valutare anche il livello di radicalizzazione della persona sottoposta alle indagini secondo parametri e criteri ai quali si è già fatto cenno nella parte iniziale.

Qui basti solo riassumere : 

che una forte radicalizzazione non è immaginabile senza l’esistenza di canali, o contatti, con fonti che indottrinano e progressivamente informano del pensiero radicale l’adepto;

che la semplice radicalizzazione dell’indagato, anche in presenza di un contatto diretto con un indottrinatore che già sia partecipe dell’associazione, non è sufficiente per desumere la partecipazione dell’adepto al gruppo terroristico; 

che a tale fine è indispensabile che quest’ultimo si renda autore di condotte che sono causalmente necessarie per l’esistenza dell’associazione; condotte che possono essere direttamente espressione del programma criminoso di violenza indiscriminata oppure possono essere semplicemente funzionali all’esistenza o anche alla sopravvivenza del gruppo associato;

che il «contatto operativo» può essere visto non solo tra quelli diretti ma anche tra quelli indiretti o mediati dagli strumenti telematici ed anche se avviene con appartenenti all’associazione che non facciano parte del nucleo centrale del Califfato, ma di snodi periferici dello stesso;

che la volontà di prendere parte all’associazione terroristica è strettamente connessa con il livello di radicalizzazione mostrato dall’indagato e desumibile dalla realizzazione di taluni tra i reati fine dell’associazione.


 
[1] Nella sentenza n. 49728 del 16/4/2018, Sergio, la I Sezione della Corte di Cassazione precisa che nel caso di associazione con finalità di terrorismo di cui all’art. 270-bis c.p. la norma «appresta tutela contro il programma che ne caratterizza la struttura e non contro "l'idea" sottostante e ispiratrice la spinta a delinquere, anche nei casi in cui essa "ideologia' assuma i connotati tipici d'un motore esecutivo dell'azione deviante. L'idea, tuttavia, cui si collega la corrispondente ed eventuale manifestazione del pensiero, per assumere rilevanza penale, deve obiettivizzarsi in programmi o segmenti fattuali prodromici alla realizzazione di comportamenti violenti. In realtà non si incrimina la condotta d'espressione del pensiero e non si reprime il diritto individuale a costruire una propria visione del mondo, contrastante con quella trasfusa e posta a fondamento d'un ordine costituito, cui si ispirano lo Stato, la sua legislazione e il sistema istituzionalizzato. Né l'incriminazione investe il dissenso o determinati rapporti tra regole etico-sociali e norme giuridico-penali».

[2] La Corte di Cassazione (Sezione V 23/2/2012 n. 12252, Bortolato) chiarisce come la finalità “eversiva” caratterizzi due diverse norme che prevedono reati di tipo associativo, l’art. 270 c.p. relativo alle associazioni sovversive e l’art. 270 bis che punisce, invece le associazioni con finalità di terrorismo. La differenza tra le due ipotesi viene individuata dalla Corte nella natura della violenza che il sodalizio si propone di esercitare, che solo nelle ipotesi di maggiore intensità potrà raggiungere le connotazioni particolarmente intimidatorie descritte nell’art. 270-sexies (“violenza terroristica”), laddove quando sarà limitata ad una “violenza generica” potrà integrare il programma eversivo dell’associazione di cui all’art. 270 c.p. La Corte aggiunge che, nonostante la lettera dell’art. 270 bis c.p. sembri mettere sullo stesso piano la “finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico” è solo quest’ultima a costituire lo scopo tanto dell’associazione di carattere terroristico (art. 270-bis) quanto di quella di carattere eversivo (art. 270 c.p.). Infatti, quella di terrorismo, non è la finalità che caratterizza l'associazione, bensì la modalità o la “strategia” da essa adottata per realizzare lo scopo eversivo prefisso.

[3] Come noto, Jihad è termine che può identificare uno “sforzo interiore” del musulmano contro le proprie debolezze o i propri desideri oppure un atteggiamento rivolto verso l’esterno che può giungere al combattimento motivato dall’adesione al credo musulmano. Un radicalizzato può facilmente ritenere che “le ricompense del Jihad del combattere sono elevatissime” e citando Maometto può affermare che né la preghiera né il digiuno costante potrebbero permettere di raggiungere la ricompensa riservata ad un Mujahiddinn, ossia a chi combatte per la causa di Allah. Per fondamentalismo islamico (Arabo: الأصولية الإسلامية, al-uṣūliyah al-īslāmiyah) si usa definire, almeno a partire dalla nascita della Repubblica Islamica nell'Iran sciita, quella corrente di attivismo teoretico e politico conservatore che attraverso interpretazioni letterali del Corano e di altri testi islamici propugna un ritorno ai «fondamenti» dell'Islam delle origini, ritenuti autentici e infallibili; Jihādismo (o "gihadismo") è il nome usato per descrivere un fenomeno terroristico armato che invoca il principio-dovere islamico del jihād, alla luce - estremamente riveduta - del pensiero più radicale del cosiddetto "fondamentalismo islamico". Questo perché jihād nella dottrina islamica indica tanto lo sforzo di miglioramento del credente (il «jihād superiore»), quanto la guerra condotta «per la causa di Dio», ossia per l'espansione dell'islam al di fuori dei confini del mondo musulmano (il «jihād inferiore»). Il jihādismo ha un obiettivo internazionale panislamico, tanto da essere anche chiamato jihādismo globale. Ha una precisa matrice sunnita e dagli inizi del XX secolo ha assunto uno spiccato orientamento violentemente anti-sufi, anti-ahmadi e anti-sciita, in totale contrasto perciò con l'orientamento ideologico, giuridico e culturale del sunnismo ortodosso, che ha giudicato da oltre un millennio lo sciismo una variante erronea dell'Islam ma pur sempre all'interno del suo sistema dogmatico e giuridico di valori.

[4] Potremmo definire la “radicalizzazione” come un processo mentale di formazione della persona mediante l’acquisizione di “convinzioni” di tipo estremista inclusa la volontà di usare, supportare o facilitare la violenza come metodo per il cambiamento sociale (E. Allen, Threat of Islamic Radicalization to the Homeland, testimonianza resa presso lo US Senate Committee on Homeland Security and Govrnment Affairs, 14 marzo 2007 p. 4, in Farinelli, Bergoglio Errico, Cossiga, Colarossi, Comprendere la radicalizzazione jihadista. Il caso Italia, pag. 34). Non solo ha bisogno di tempo, ma soprattutto attraversa diverse fasi di approfondimento e di rinsaldamento di queste convinzioni che possono anche interrompersi e portare ad opinioni diverse. Così come in qualsiasi altro procedimento di apprendimento, anche chi affronta un percorso di radicalizzazione progressivamente esterna le proprie acquisizioni, tanto da segnalare ad un osservatore terzo il grado raggiunto. Raggiunto un certo livello, il soggetto è “convinto” delle idee acquisite, dell’impostazione mentale, della visione del mondo di tipo radicale, tanto da ritenerla “giusta”, “normale”, “vera”, “necessaria”. Non è diverso dall’avvicinamento ad un Credo religioso o ad un’ideologia sia essa salvifica o materialista. Solo che il “radicalizzato”, a seconda degli scenari e delle idee, può essere violento e l’idea della violenza come “giusta”, “normale”, “vera” e “necessaria” è contraria ai principi della pacifica convivenza, ai diritti inviolabili dell’Uomo, all’ordinamento costituzionale italiano e di altri Paesi. L’esternazione delle idee anche di quelle radicali apprese avviene all’inizio in ambito limitato, con il proprio “maestro” o i propri “compagni” di apprendimento. Se l’idea si approfondisce e le cognizioni e le convinzioni del soggetto si rafforzano allora diviene necessario estendere l’esternazione verso destinatari sempre più lontani dal proprio ambito. È tipico del “fondamentalista” portatore di un’idea salvifica e universale sentire il bisogno di estendere e condividere la stessa con più destinatari possibili, potenzialmente con l’intera umanità. ISIS usa consapevolmente e volontariamente questo istintivo bisogno di esternazione del radicalizzato diffondendo capillarmente e in modo sapiente il messaggio salvifico nei fini e terroristico nei modi dell’Islam radicale, contando sul fatto che chi viene radicalizzato sentirà come propria “missione” quella di approfondire ulteriormente la conoscenza, quindi di radicalizzarsi maggiormente e soprattutto di radicalizzare gli altri.

[5] Ci si riferisce a chi, pensando a condotte di carattere criminoso (crimini di guerra, crimini contro l’umanità) commesse durante la guerra in Siria da appartenenti ad Is, invoca per esse l’applicazione del diritto internazionale umanitario (IHL) ed il deferimento dei loro autori ad una Corte Penale Internazionale. Questo però implica ritenere esistente, in quelle terre, un conflitto armato di tipo non internazionale al quale prendano parte soggetti, come i cd “insurgens”, che, oltre ad avere una struttura ed un’organizzazione facente capo a persone individuabili come responsabili (struttura di comando riconoscibile), siano in grado e soprattutto intendano adeguare le condotte delle proprie milizie al rispetto delle leggi e dei costumi di guerra, in altre parole al rispetto delle norme del Diritto Internazionale Umanitario (IHL). Almeno quest’ultimo aspetto non pare essere mai stato accettato dai responsabili dei gruppi jihadisti, i quali, pertanto non potrebbero essere considerati “combattenti legittimi” secondo l’IHL. Si veda sul punto e in questi termini la sentenza del Tribunale di Anversa sul caso Sharia4Belgium dell’11 febbraio 2015 citata da Lucia Della Torre in Tra guerra e terrorismo: le giurisprudenze nazionali alla prova dei foreign fighters, in Diritto Penale Contemporaneo, rivista trimestrale 2/2017 https://dpc-rivista-trimestrale.criminaljusticenetwork.eu/it/archivio/rivista-trimestrale-2-2017.

[6] Va, infatti, ricordato che «in tema di associazioni con finalità di terrorismo internazionale, l'inclusione di un'organizzazione negli elenchi di associazioni terroristiche stilati dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu, a seguito della risoluzione del 15 ottobre 1999 n. 1267, è un elemento valorizzabile soltanto quale spunto investigativo, ma non può mai assumere, di per sé, valore di prova della finalità di terrorismo svolta dalla associazione stessa, che deve necessariamente formarsi secondo le regole prescritte dalla legge processuale (fattispecie relativa all'associazione "Ansar Al Islam")» così Corte di Cassazione Sez. V 11/6/2008 n. 31389, Bouyahia.

[7] Nella sentenza pronunciata da G.U.P. Tribunale di Milano 23/2/2016 a carico di Coku Baki+ 4 (in Dir. Pen. Cont., https://www.penalecontemporaneo.it/upload/1463503237Trib_MI_270bis_2322016.pdf) si legge: «con l’avvento del califfato il reclutamento delle donne ha avuto un forte incremento e accelerata e non è più limitato al compito di supporto agli uomini. Le donne, infatti, nel califfato hanno ruoli molteplici, come documentato dalle operazioni tecniche disposte nel procedimento: a volte si limitano ad inneggiare al jihad esprimendo il pieno sostegno ad azioni come quella di Charlie Ebdo (…); altre agiscono da reclutatori, come S. Y.; altre ancora non solo sposano i mujaheddin e si trasferiscono con loro in Siria, ma imparano l'uso delle armi come accaduto a S. M. G., una delle imputate ad oggi ancora latitante; altre ancora sarebbero impegnate nella gestione di altre donne, appartenenti a minoranze religiose, prese come schiave e vendute come concubine ai combattenti».

[8] «Ai fini della configurabilità del delitto di associazione sovversiva con finalità di terrorismo internazionale, la necessità di una struttura organizzativa effettiva e tale da rendere possibile l'attuazione del programma criminale non implica necessariamente il riferimento a schemi organizzativi ordinari, essendo sufficiente che i modelli di aggregazione tra sodali integrino il "minimum" organizzativo richiesto a tale fine. Ne deriva che tali caratteri sussistono anche con riferimento alle strutture "cellulari" proprie delle associazioni di matrice islamica, caratterizzate da estrema flessibilità interna, in grado di rimodularsi secondo le pratiche esigenze che, di volta in volta, si presentano, in condizioni di operare anche contemporaneamente in più Stati, ovvero anche in tempi diversi e con contatti fisici, telefonici o comunque a distanza tra gli adepti anche connotati da marcata sporadicità, considerato che i soggetti possono essere arruolati anche di volta in volta, con una sorta di adesione progressiva ed entrano, comunque, a far parte di una struttura associativa saldamente costituita. Ne consegue che, in tal caso, l'organizzazione terroristica transnazionale assume le connotazioni, più che di una struttura statica, di una “rete” in grado di mettere in relazione soggetti assimilati da un comune progetto politico-militare, che funge da catalizzatore dell'"affectio societatis" e costituisce lo scopo sociale del sodalizio» (Corte Cass. Sez. V 26/9/2018 n. 1939, Halili, pag. 5).

[9] «In altri termini nella fattispecie di cui all'art 270-bis cod. pen., come più in generale nella figura plurisoggettiva necessaria, il contributo causale assume contorni indifferenziati rispetto alla tipicità del fatto che qualifica la reità in senso stretto e si dilata a tutti gli antecedenti eziologicamente significativi nella produzione del risultato incriminato. Esso risultato consiste nel delitto (a forma libera) di cui all'art. 270 bis cod. pen., nella condotta di partecipazione e, dunque e prima ancora, di adesione seria e apprezzabile ad un gruppo con finalità di terrorismo. Essa partecipazione (si rinvia anche a quanto si dirà per la posizione di S. M.) si connota per apporti materiali idonei causalmente a rendere esistente la struttura e ad assicurarne la sopravvivenza. In questa logica l'azione di concorso nel delitto plurisoggettivo necessario viene recuperata alla tipicità del fatto attraverso la sua efficienza causale rispetto all'evento di pericolo che la costituzione dell'associazione e l'adesione ad essa da parte del singolo concorrente inducono. Si comprende come la spiegazione causale assuma, pertanto, nello scrutinio oggettivo della fattispecie concorsuale un profilo determinante, poiché l'aggregazione diventa ex se evento giuridico, rilevante giacché è volto a realizzare un programma illecito con violenza e per finalità di terrorismo».

[10] «In aggiunta, deve anche rappresentarsi come la modalità di creazione dell'affectio societatis tra i sodali e la struttura internazionale terroristica ISIS sia essa stessa peculiare, influenzata da una propaganda di adesione improntata ad un modello spontaneista e privo di formalismi, spesso avulso da qualsiasi contatto fisico tra soggetti che siano esponenti riconosciuti dell'organizzazione terroristica islamistica di riferimento e persone aderenti ai gruppi o cellule che compiono poi gli attentati. In sostanza, l'ISIS, e in generale le moderne organizzazioni terroristiche di matrice islamica radicale, propongono una formula di adesione alla struttura sociale che può definirsi "aperta" e "in progress", sempre disponibile ad accogliere le vocazioni criminali provenienti da singoli e gruppi».

[11] «Soggetti anche collocati in territorio estero che, in collegamento tra loro, svolgevano mediante un'attività incessante di indottrinamento alle convinzioni islamiche più estreme e radicali, una attività di importanza primaria per la vita e la sopravvivenza della struttura.  Si è, pertanto, ritenuto che il partecipe non dovesse essere necessariamente in contatto diretto cori i referenti del nucleo centrale associativo e, dunque, con gli esponenti del Califfato propriamente inteso come punto essenziale della rete e fosse piuttosto sufficiente il consapevole collegamento con uno degli snodi anche periferici della rete stessa, là dove si fosse tradotto in un supporto alle finalità perseguite dal Califfato stesso», ibidem pag. 17.

21/01/2021
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