Magistratura democratica
Controvento

Un messaggio alla politica ed al Ministro Nordio. Replicheremo con instancabile ragionevolezza

di Nello Rossi
direttore di Questione Giustizia

I magistrati non hanno, non “possono avere” avversari politici, ma restano liberi di maturare e manifestare, al pari di tutti i cittadini, valutazioni critiche sulle politiche economiche ed istituzionali. Si chiama libertà di pensiero, di espressione, di critica ed è a tutti garantita dalle nostre leggi. Al tempo stesso sarebbe desiderabile che alcuni politici non trattassero i giudici autori di provvedimenti sgraditi alla stregua di avversari o, peggio, di nemici politici, aggredendoli o dileggiandoli senza ritegno e senza limiti. E sarebbe ora che il Ministro della Giustizia, che per il suo ruolo istituzionale ha diritto al rispetto dei magistrati, cercasse anche di ricambiarlo, smettendo di rappresentare giudici e pubblici ministeri in termini caricaturali e mostrandosi consapevole che la magistratura è un corpo che unisce in sé un’elevata qualità culturale e professionale e una genuina dedizione a servire lealmente la Repubblica. In quest’aspra congiuntura la linea di condotta della nostra Rivista sarà quella tenuta in tutta la sua lunga vita: continuare a lavorare ed a studiare con spirito critico, replicando anche alle polemiche più accese con un instancabile esercizio di ragionevolezza. 

1. Periodicamente l’opinione pubblica del nostro Paese è spettatrice di vere e proprie convulsioni originate da quanto accade nel mondo della giustizia. 

A volte si tratta dell’adozione di provvedimenti giudiziari sgraditi alla maggioranza di governo, a volte dell’espressione, da parte di un magistrato, di opinioni non condivise, a volte, infine, della riesumazione di fatti appartenenti ad un lontano passato, rinverditi e riletti alla luce di più recenti vicende della vita professionale di un giudice o di un pubblico ministero. 

Salvo lodevoli eccezioni, in questi casi ormai non si discute, non si confrontano le rispettive ragioni, non ci si impegna a capire.

Scatta, invece, un riflesso condizionato che segna l’avvio di una bolgia istituzionale – prontamente catalogata come l’ennesimo capitolo del conflitto tra politica e magistratura – nella quale si intrecciano disinvolte manipolazioni delle parole dette o scritte, toni polemici smisurati, richieste perentorie di immediati provvedimenti punitivi, unitamente al lancio in aria di altri corpi contundenti intellettuali della più svariata natura. 

Un turbinio che per qualche giorno investe gli astanti, lasciandoli estenuati e stupefatti e producendo solo estraneità e disaffezione ai meccanismi della politica e della giustizia. 

Ed insieme un copione sempre più logoro, spregiudicatamente riproposto approfittando, con cinismo intellettuale, delle difficoltà di spiegare in termini brevi e chiari questioni di giustizia talora molto complicate. 

 

2. Ai polveroni ha concorso – spiace dirlo – anche il Ministro della giustizia, con battute ad effetto e dichiarazioni perentorie su delicate questioni di diritto, quasi mai accompagnate da un accenno di argomentazione, che hanno solo aumentato la confusione. 

«Ho riletto di recente la Fenomenologia dello spirito di Hegel e l’ho capita, ho letto questa ordinanza e non ho capito nulla» disse il Ministro commentando, nel luglio 2024, l’ordinanza del Tribunale del riesame di Genova di conferma degli arresti domiciliari di Giovanni Toti. 

Come a dire: i magistrati non sanno scrivere. 

«...sentenza della Corte di giustizia europea molto complessa e articolata e anche scritta in francese, probabilmente non è stata ben compresa o ben letta»: è stato questo uno dei commenti “giuridici” di Carlo Nordio ai provvedimenti di mancata convalida dei trattenimenti disposti dalla Questura di Roma ai sensi del Protocollo Italia-Albania. Provvedimenti adottati dai giudici della Sezione specializzata in materia di immigrazione del Tribunale di Roma, in applicazione dei principi, vincolanti per i giudici nazionali e per la stessa amministrazione, enunciati dalla pronuncia della CGUE del 4 ottobre 2024. 

Ovvero: i giudici non sanno leggere. 

Sempre sulle decisioni del Tribunale di Roma il Ministro si è inalberato, consegnando alla stampa un giudizio lapidario: «Su Albania sentenza abnorme, interverremo con provvedimenti legislativi». 

Lasciamo ai pedanti il rilievo che i provvedimenti criticati sono “decreti” e non sentenze e concentriamoci su di un punto sostanziale: l’evocazione della categoria giuridica dell’abnormità con riguardo alle decisioni dei giudici romani. 

Nel nostro ordinamento affermare che un provvedimento giudiziario è “abnorme” non equivale ad esprimere un giudizio di radicale disapprovazione o di ripulsa del suo contenuto né sta a significare che si tratta di “un provvedimento che dà enormemente fastidio” e che “non è affatto condiviso” da chi lo legge. 

Al contrario, un provvedimento giudiziario può essere definito abnorme solo quando è affetto “da anomalie genetiche o funzionali” così radicali da non poter essere inquadrato nei tipici schemi normativi o da risultare incompatibile con le linee fondanti del sistema giuridico. 

Con un duplice corollario. 

Il primo: il magistrato che adotta un provvedimento abnorme può essere chiamato a risponderne in un giudizio disciplinare. 

Il secondo: contro un provvedimento abnorme si può ricorrere in cassazione in deroga al principio di tassatività dei mezzi di impugnazione per trovare una via di uscita a situazioni di stallo processuale altrimenti irresolubili. 

Ora, i provvedimenti del Tribunale di Roma – pacificamente adottati in conformità alle regole di procedura, motivati e ritenuti giuridicamente fondati da molti autorevoli giuristi di diverso orientamento, tra cui Giandomenico Caiazza, Vittorio Manes e Gaetano Pecorella – potranno non essere condivisi e perciò impugnati dinanzi alla Corte di cassazione; ma è uno sproposito giuridico additarli come il frutto di un totale sviamento del potere giurisdizionale e bollarli come giuridicamente abnormi. 

E poiché ci sembra impossibile credere che di ciò il Ministro non si sia reso conto, la ragione del suo sbrigativo anatema va ricercata altrove. 

Con ogni probabilità, come già avvenuto altre volte in passato, la disinvoltura del politico ha preso il sopravvento sulla logica e sul rigore del giurista: il che non è una buona notizia per il Ministero della giustizia. 

Per il ruolo istituzionale svolto il Ministro ha diritto al rispetto dei magistrati; ma non sarebbe male che cercasse di ricambiarlo, smettendo di rappresentarli all’opinione pubblica in termini caricaturali e mostrandosi consapevole che la magistratura è un corpo che unisce in sé un’elevata qualità culturale e professionale e una genuina dedizione a servire lealmente la Repubblica…

 

3. In questo clima avvelenato anche la nostra Rivista è stata ed è oggetto di attenzioni malevole. 

Non si esita infatti ad affermare che le iniziative di studio e di approfondimento di temi giuridici che appaiono sulle colonne di Questione Giustizia sono ispirate ad una pregiudiziale contrapposizione alla politica del governo di destra e testimoniano perciò della parzialità dell’area culturale che promuove la Rivista. 

Potremmo limitarci a rispondere che, vivendo esclusivamente del “nostro” e cioè dell’apporto dei nostri lettori e promotori, godiamo della più ampia libertà di ricerca e di espressione e non dobbiamo rispondere a nessuno delle nostre scelte culturali ed editoriali. 

Non ci sfugge però l’insidia sottesa all’accusa di pregiudiziale contrapposizione e di parzialità. 

Poiché Questione Giustizia è una rivista “promossa” da un gruppo di magistrati – gli aderenti a Magistratura democratica – si vuole suggerire che essa è parziale e che questo tratto è conseguenza e riflesso della parzialità dei magistrati di Md. 

A contrastare questa spericolata equazione sta, da un lato, l’indiscusso pluralismo culturale della Rivista che da decenni ospita articoli e saggi di magistrati, avvocati, accademici, intellettuali dei più diversi orientamenti e, dall’altro, la vivissima e permanente attenzione dedicata, in tempi lontani e recenti, alla questione cruciale dell’imparzialità dei magistrati. 

Basterà ricordare che, proprio nei primi mesi di quest’anno, Questione Giustizia ha chiamato a ragionare di imparzialità sulle colonne della sua Trimestrale un gran numero di intellettuali e di giuristi, per analizzare, in termini seri e approfonditi, le questioni giunte alla ribalta della cronaca con il caso Apostolico e spesso malamente affrontate nelle polemiche politiche e giornalistiche. 

A testimoniare, poi, che questa spiccata sensibilità non è d’occasione ma ha radici antiche e corre lungo tutta la storia di Questione Giustizia si può menzionare un episodio risalente nel tempo. 

Nel 2001, per rispondere ad una inquietante affermazione del Senatore Marcello Pera che ipotizzava la possibilità che i magistrati di Md venissero percepiti dalla sua parte come avversari politici, Questione Giustizia pubblicava un saggio significativamente intitolato Lettera aperta ad impossibili avversari nel quale si sosteneva, con ampiezza di argomentazioni, che, alla luce della loro storia e delle loro prassi, i magistrati aderenti a Md non avevano mai considerato alla stregua di avversari le persone che avevano incontrato nell’esercizio delle loro funzioni giudiziarie. 

 

4. Sebbene, dunque, la maggioranza politica che governa il paese sembri intenzionata a moltiplicare le occasioni di attrito e di polemica con i magistrati, con le loro libere associazioni e con i loro giornali, e continui in particolare a puntare l’indice contro i magistrati che si riconoscono nell’area della cultura democratica e progressista, Questione Giustizia dichiara che non intende farsi trascinare nel clima di rissa istituzionale da alcuni così deliberatamente ricercato. 

Alle interessate deformazioni dei fatti, alle provocazioni, agli insulti (che Schopenhauer definiva «calunnie abbreviate»), Questione Giustizia replicherà solo con un instancabile esercizio di ragionevolezza e continuando a fare il suo mestiere che è quello di studiare, criticare, proporre, ragionando di istituzioni e di diritto. 

Con intatta serenità e senza farsi dissuadere o impressionare dalle etichette calunniose che le vengono periodicamente affibbiate. 

25/10/2024
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