Magistratura democratica

Introduzione.
Ragioni del processo, ragioni dell’ordinamento:
rinunciare a un’istituzione di garanzia?

di Mariarosaria Guglielmi

Uno sguardo ai principi sul pubblico ministero elaborati dal Consiglio consultivo dei procuratori europei (Ccpe) nel parere noto come «Carta di Roma» (n. 9 del 2014, approvato a Roma il 17 dicembre 2014) ci consente di comprendere quanto sia ormai riduttiva una visione del ruolo del pubblico ministero come “pubblica accusa” nel processo penale.

Le enunciazioni della Carta di Roma offrono una visione di questa figura di magistrato che evolve verso un modello all’altezza del paradigma costituzionale delle nostre democrazie[1] e del ruolo che alla giurisdizione e al pubblico ministero deve essere assegnato nella tutela dei diritti fondamentali.

Luigi Ferrajoli ha descritto questo percorso evolutivo del pubblico ministero verso il ruolo di istituzione di garanzia dei diritti fondamentali come necessario sviluppo delle “nuove” funzioni che gli sono assegnate dal «mutamento di paradigma del diritto e delle istituzioni intervenuto con il costituzionalismo rigido delle odierne democrazie. Se in passato, scrive Ferrajoli, nel vecchio stato liberale e legislativo di diritto, le funzioni di garanzia dei diritti fondamentali fornite dalla sfera pubblica per il tramite della giurisdizione e dell’azione del pubblico ministero erano essenzialmente quelle penali (contro le lesioni, da parte dei consociati, della vita, delle libertà fondamentali e degli altri beni giuridici ritenuti meritevoli di tutela), nello Stato costituzionale di diritto, con l’introduzione di limiti e vincoli costituzionali imposti alla stessa sfera pubblica a tutela, oltre che dei diritti di libertà, anche dei diritti sociali e di beni comuni parimenti fondamentali, il ruolo di garanzia del pubblico ministero è invece destinato ad allargarsi, parallelamente a quello della giurisdizione, contro le loro lesioni ad opera di atti invalidi o di atti illeciti o di inadempimenti commessi dai pubblici poteri.

E queste nuove funzioni, prosegue Ferrajoli, retroagiscono sulle stesse funzioni tradizionali della pubblica accusa, illuminando la valenza garantista del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale a tutela dei diritti delle persone e di interessi pubblici giudicati dalla legge meritevoli di tutela».

Un quadro evolutivo nel quale risultano rafforzate le ragioni dell’indipendenza del pubblico ministero, la cui posizione istituzionale ben può essere percepita come collocata a difesa della legalità e dell’uguaglianza di fronte alla legge. Cosicché risultano in questa prospettiva distonici i tentativi di ridurne l’indipendenza statutaria e invece coerenti le riforme necessarie a rafforzarla negli ordinamenti europei nei quali essa ancora manca[2].

Nelle enunciazioni della Carta di Roma ritroviamo i contenuti di questa nuova e più ampia visione del ruolo e delle funzioni del pubblico ministero.

Muovendo dalla diversità delle tradizioni e dei modelli ordinamentali, l’elaborazione di principi a livello europeo ha enucleato aspetti fondamentali di una concezione moderna del ruolo del pubblico ministero: da organo di legalità, tutore dell’osservanza e dell’applicazione delle leggi penali, a organo di giustizia e promotore dei diritti, che garantisce i principi dello Stato di diritto, il rispetto del principio di eguaglianza, l’effettività delle garanzie e delle tutele, contribuendo ad un’amministrazione della giustizia «equa, imparziale ed efficiente[3]» e agisce «in nome della società e nell’interesse pubblico per rispettare e proteggere i diritti dell’uomo e le libertà, così come sono previsti, in particolare, nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo» (punto II della Carta di Roma).

In questa visione, promossa dalla Carta e dai documenti internazionali[4], si traduce tutta la complessità di un nuovo ruolo del pubblico ministero e di una nuova ricognizione di confini delle sue responsabilità, si riaffermano le forti garanzie di indipendenza ed autonomia per la magistratura requirente come corollario indispensabile dell’indipendenza del potere giudiziario[5], e la necessità di un rafforzamento di tutte le condizioni per la sua legittimazione democratica: la piena consapevolezza del proprio ruolo e dei limiti della propria funzione, l’essere indipendente e imparziale, l’attenzione alle garanzie e ai diritti individuali e a rendere conto alla collettività del proprio operato[6].

Agendo per la conciliazione di queste esigenze primarie non in direzione di un’antistorica investitura quale rappresentante di un ambiguo e allarmante Volksgeist, bensì verso la trasparente tutela della legalità mediante un uso appropriato delle risorse pubbliche.

Il richiamo ai principi che ispirano questa visione avanzata del ruolo del pubblico ministero non risolve le problematiche che si agitano dietro le richieste di riforma della sua attuale collocazione istituzionale nel nostro ordinamento, tornate al centro del dibattito con la proposta di legge costituzionale per la separazione delle carriere promossa dall’Unione delle Camere penali italiane.

Ma l’evoluzione della figura del pubblico ministero verso un ruolo complesso ed essenziale per i compiti della giurisdizione rappresenta il necessario parametro di valutazione di ogni proposta di riforma dell’attuale Statuto del pubblico ministero, che tenga conto dei valori in gioco e delle ricadute sulla giurisdizione di interventi destinati a incidere profondamente sui punti di tenuta dell’assetto dell’intero ordine giudiziario e di complessivo equilibrio del sistema delineato nella Costituzione. L’istituzione di un apparato separato di pubblici ministeri, divenuto altro dalla giurisdizione, non potrebbe concepirsi che all’interno della sfera di controllo della politica. Una prospettiva, dunque, di necessaria perdita della sua indipendenza, non potendo ipotizzarsi come alternativa la creazione di un corpo isolato da ogni altro potere, preposto all’esercizio dell’azione penale e alla direzione della Polizia giudiziaria, con garanzie di status ma chiamato a rispondere solo a se stesso e al suo sistema di autogoverno.

La sfida che la Rivista affronta con questo obiettivo sul pubblico ministero è però spingere la riflessione oltre le implicazioni di “sistema” che avrebbe una diversa collocazione ordinamentale e costituzionale del pubblico ministero sulla tenuta dell’indipendenza dell’intero ordine giudiziario. È necessario riflettere sulla legittimazione che l’attuale assetto riceve dalle concrete modalità con le quali il pubblico ministero, organo “indipendente” e “non separato”, esercita le sue funzioni, operando nella giurisdizione e a tutela dei suoi valori, anche in ambiti talora sottostimati nella prassi giudiziaria quali quelli dei procedimenti civili in cui è chiamato a intervenire e nei quali può invece esercitare un efficace ruolo di tutela di interessi generali.

L’opzione culturale e politica in favore della conservazione del modello ordinamentale scelto dal nostro costituente, sostenuta dalla prospettiva delle ricadute fortemente negative che una diversa collocazione del pubblico ministero avrebbe sull’esercizio indipendente della giurisdizione, deve trovare un momento di “verifica” rispetto all’essere del pubblico ministero: occorre chiedersi se e in che misura la sua appartenenza ad unico ordine giudiziario, quale indispensabile garanzia delle condizioni della sua indipendenza, trovi il suo fondamento nell’effettiva condivisione della cultura della giurisdizione, riconoscibile nella sua azione svolta a difesa della legalità e dei diritti.

Il punto di partenza della nostra riflessione è rappresentato dal ruolo forte assunto dal pubblico ministero sia nella dimensione interna alla giurisdizione sia in quella esterna del dibattito politico e della dialettica democratica fra i poteri dello Stato. Un ruolo forte e dinamico che pone il pubblico ministero al centro di tensioni e di aspettative, spesso lo vede [sovra]esposto rispetto all’impatto che l’azione delle Procure della Repubblica produce sugli assetti esistenti, investito dalla crescente attesa di risposte alle domande di tutela della collettività e alle istanze di protezione in interi ambiti dove, per l’assenza di regolazione politica e normativa di conflitti socialmente emergenti tra valori o interessi, l’intervento delle Procure è spesso percepito come l’unica azione a difesa di interessi individuali e collettivi e a tutela della legalità.

Non si tratta di un fenomeno passeggero né più circoscritto ai soli momenti di emergenza democratica che pure il nostro Paese ha attraversato, e nei quali la risposta giudiziaria che è venuta da indagini e processi a gravi fenomeni illeciti ha contribuito alla complessiva tenuta delle istituzioni e delle condizioni di convivenza pacifica.

Si tratta di un cambiamento strutturale che investe il ruolo dell’intera giurisdizione e le condizioni di piena legittimazione della magistratura, che impone di verificare la corrispondenza dei più ampi poteri che questa evoluzione le assegna ai limiti di espansione del suo ruolo dai quali dipendono l’accettazione sociale del suo operato e la garanzia del corretto equilibrio con gli altri poteri dello Stato.

Questioni che si pongono con particolare evidenza rispetto al pubblico ministero e ai suoi ambiti di intervento diretto, non filtrato dal controllo del giudice e non mediato, negli effetti e nella loro percezione esterna, dalla dialettica processuale.

L’introduzione del rito accusatorio ha assegnato al pubblico ministero nel processo il ruolo di un contraddittore ad armi pari della difesa e, dunque, di parte rispetto al giudice terzo.

Ma tutta la fase delle indagini preliminari resta fortemente improntata al protagonismo del pubblico ministero nelle scelte di azione, di impulso e di direzione, e in quelle valutative che ne costituiscono la premessa (a cominciare dall’iscrizione della notizia di reato) e che poi ne condizionano l’esito (con l’esercizio dell’azione penale e o la richiesta di archiviazione).

Un ruolo primario che nella fase delle indagini preliminari incrocia il controllo del giudice terzo limitatamente al compimento degli atti più invasivi, all’uso di poteri coercitivi, alla conformità delle scelte al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, e che affida alla responsabilità del pubblico ministero l’efficacia e la qualità dell’intervento giudiziario a tutela di diritti e della legalità, nel rispetto delle garanzie individuali e della difesa.

Si tratta di una posizione complessa, che esige un elevato grado di professionalità e impone un’assunzione responsabilità rispetto ai risultati realmente ottenuti ma anche una costante capacità di relazionarsi con la polizia giudiziaria nella piena consapevolezza del proprio ruolo.

La difesa del ruolo forte del pubblico ministero, derivante dal suo ancoraggio alla giurisdizione, richiede un modello culturale e professionale di magistrato che dia prova, nel suo essere, di consapevolezza e di responsabilità rispetto ai valori in gioco: un pubblico ministero che agisce nel rigoroso rispetto delle regole processuali e deontologiche, con una forte cultura del dubbio, della prova e delle garanzie; un pubblico ministero che sin dalla fase delle indagini sappia indirizzare le sue scelte verso la prospettiva processuale dell’accertamento di fatti e di responsabilità individuali, evitando iniziative meramente “esplorative” e poco attente alle regole processuali di “garanzia” (come quelle che regolano la competenza territoriale); un pubblico ministero che sappia rimanere distante tanto da atteggiamenti di burocratica indifferenza rispetto ai risultati del suo agire quanto dalla tendenza ad impropri sconfinamenti dai limiti delle proprie funzioni, e dalla tentazione di sentirsi portatore di una “missione” salvifica.

Ogni proposta di modifica dell’attuale assetto ordinamentale (come pure della sua conservazione) deve misurarsi con questa complessità di ruolo, funzioni e responsabilità, e guardare alla pluralità di interessi che sottende: la collocazione istituzionale del pubblico ministero non è un fatto neutro rispetto alla tenuta dei valori della giurisdizione e lo è ancor meno nella fase che precede il giudizio, quando al protagonismo del pubblico ministero è affidato l’intervento in nome della società e nell’interesse pubblico per rispettare e proteggere i diritti dell’uomo e le libertà.

L’intrinseca ed ineliminabile connotazione finalistica che caratterizza le funzioni e i poteri del pubblico ministero sin dalla fase delle indagini, verso la tutela di valori sostanziali, rappresenta il dato con il quale deve confrontarsi ogni proposta di modifica dell’attuale assetto ordinamentale, che intenda ancorare l’effettiva terzietà ed imparzialità del giudice non solo al rispetto delle garanzie processuali, alla posizione paritaria di accusa e difesa nel giudizio e al principio del contraddittorio, ma alla autonomizzazione del pubblico ministero, parte di un corpo separato che, sin dal reclutamento, come tale deve percepirsi ed essere percepito.

L’opzione culturale che sottende questa impostazione promuove, inevitabilmente, una riduzione del ruolo del pubblico ministero a quello di soggetto portatore di interessi e di una visione di parte che imporrebbe di superare quella che è stata definita l’«irriducibile asimmetria» dell’accusa e della difesa davanti alla funzione cognitiva del processo[7], e che opera sin dalla fase delle indagini. È un’asimmetria che risiede nella diversa natura delle funzioni del pubblico ministero rispetto a quella del difensore: funzioni egualmente importanti ed essenziali allo Stato di diritto, ma connotate – solo le prime - dall’obbligo di imparzialità che deve orientare l’azione del pubblico ministero in funzione e nell’interesse della giurisdizione.

In definitiva una ricognizione più ampia della posizione ordinamentale del pubblico ministero restituisce una complessità del suo ruolo ben superiore a quella che “esige” la separazione delle carriere – o, per meglio dire, la costruzione ex novo di un’appartenenza ordinamentale isolata – al solo fine di garantire meglio la parità d’armi nel procedimento penale.

Ed è bene interrogarsi sui costi reali per l’intero ordinamento giudiziario di scelte che recidono il legame del pubblico ministero con la giurisdizione.

D’altro canto, dall’interno della magistratura, non ci si può attestare sulla difesa senza ragionare sull’investimento in correttezza deontologica e consapevolezza della complessità del ruolo che il pubblico ministero deve esercitare come istituzione di garanzia, per meritare la sua permanenza nella giurisdizione, e senza esaminare criticamente i comportamenti che da essa tendono ad allontanarsi, in vista della effettiva tenuta e legittimazione del sistema che oggi gli riconosce uno Statuto forte di indipendenza e l’appartenenza “a pieno titolo” all’ordine giudiziario.

[1] Per un pubblico ministero come istituzione di garanzia, Luigi Ferrajoli, in questa Rivista, edizione cartacea Franco Angeli, Milano, n. 1 del 2012, pp. 31 ss.

[2] Numerosi sono i documenti internazionali che affrontano la questione della posizione istituzionale del pubblico ministero collegandola al suo ruolo di organo di garanzia rispetto alla tutela dei diritti. Così la Raccomandazione 19(2000) del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sul ruolo del pubblico ministero nel sistema della giustizia penale, che fin dal Preambolo definisce il pubblico ministero come un organo imparziale e indipendente dal potere esecutivo poiché «autorità incaricata di vigilare, a nome della società e nell’interesse generale, sull’applicazione della legge quando quest’ultima è sanzionata a livello penale, in considerazione da un lato dei diritti degli individui e d’altro lato della necessaria efficacia dell’ordinamento penale».

[3] «In tutti gli ordinamenti giuridici, i membri del pubblico ministero … contribuiscono ad assicurare che lo Stato di diritto sia garantito, in particolare da un’amministrazione della giustizia equa, imparziale ed efficiente, in tutti i casi e gradi dei procedimenti di loro competenza» (punto I Carta di Roma)

[4] Si ricorda anche il documento della Rete dei procuratori generali del 28 maggio 2011 che adotta espressamente la definizione di pubblico ministero come organo «che si riconosce nel ruolo di garanzia e di promozione dei diritti, che deve essere svolto con indipendenza e imparzialità».

[5] Il ruolo e i compiti dei procuratori, sia all’interno sia all’esterno del campo della giustizia penale, dovrebbero essere definiti al più alto livello legislativo e adempiuti nella rigorosa osservanza dei valori e dei principi democratici del Consiglio d’Europa (punto III).

L’indipendenza e l’autonomia del pubblico ministero costituiscono un corollario indispensabile dell’indipendenza del potere giudiziario. Pertanto, dovrebbe essere incoraggiata la tendenza generale a rafforzare l’indipendenza e l’effettiva autonomia del pubblico ministero (punto IV).

I procuratori dovrebbero essere autonomi nel prendere le loro decisioni e dovrebbero svolgere i loro compiti senza pressioni esterne o interferenze, tenuto conto dei principi di separazione dei poteri e di responsabilità (punto V).

[6] I procuratori dovrebbero attenersi al più alto standard etico e professionale, comportandosi sempre con imparzialità ed obiettività. Perciò, dovrebbero cercare di essere – ed essere visti come – indipendenti e imparziali, dovrebbero astenersi da attività politiche incompatibili con il principio di imparzialità e non dovrebbero trattare procedimenti nei quali i loro interessi personali, o i loro rapporti con le persone interessate, potrebbero pregiudicare la loro piena imparzialità (punto VI).

La trasparenza nell’attività dei procuratori è essenziale in una moderna democrazia. Codici deontologici e di condotta, basati su standard internazionali, dovrebbero essere adottati e resi pubblici (punto VII).

Nell’adempimento delle loro funzioni, i procuratori dovrebbero rispettare la presunzione d’innocenza, il diritto ad un giusto processo, l’eguaglianza delle armi, la separazione dei poteri, l’indipendenza delle corti e la forza vincolante delle decisioni giudiziarie definitive. Essi dovrebbero concentrarsi sul fatto di essere al servizio della società e dovrebbero porgere un’attenzione particolare alla situazione delle persone vulnerabili, in particolare ai minori e alle vittime (punto VIII).

[7] Paolo Ferrua, Il modello costituzionale dei pubblici ministeri e la curiosa proposta del processo breve, in questa Rivista, edizione cartacea Franco Angeli, Milano, n. 1 del 2010, p. 21.