Introduzione.
Giudicare del danno ingiusto
Questo obiettivo si colloca in ideale continuità con il numero monografico dedicato a Il giudice e la legge (fascicolo 4/2016)[1] e da quel numero prende il nome, La responsabilità civile fra il giudice e la legge. Per una migliore comprensione delle problematiche che sono al fondo dei temi trattati nei contributi che seguono rinviamo dunque subito agli interventi presenti in quel fascicolo. La responsabilità civile è uno dei punti di emersione più sensibile della tensione che è negli strati profondi dell’esperienza giuridica moderna, una volta che il diritto non è più esclusivamente quello pronunciato dai giudici, come era nell’epoca per noi lontanissima dell’ordine giuridico medievale, ma è anche, e soprattutto dopo l’affermazione del principio democratico, quello posto dall’autorità politica. La fine dell’ancien régime si compie con l’arrivo di un sovrano che decide cosa è diritto. Quel sovrano diventa poi democratico e successivamente, con le grandi costituzioni del Novecento, restituisce lo scettro al diritto (almeno qui nell’Europa continentale, perché le cose nell’universo anglosassone erano andate diversamente). È attraverso questa porta che torna in campo la iurisdictio, la quale resta fedele esecutrice della volontà della sovranità popolare, ma animandola di quella Costituzione cui la stessa sovranità popolare ha da principio scelto di vincolarsi. Quando Stefano Rodotà, nel grande libro del 1964, Il problema della responsabilità civile, legge la clausola generale del danno ingiusto prevista dall’art. 2043 del codice civile alla luce del principio di solidarietà contemplato dall’art. 2 della Costituzione, ci sta subito immettendo in questo snodo di problemi, nel cuore cioè dei rapporti fra diritto e politica nell’epoca del costituzionalismo democratico.
La formulazione dell’art. 2043, secondo cui qualunque fatto doloso o colposo, che cagioni ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno, evidenzia immediatamente come il “danno ingiusto” non possa che acquistare il proprio contenuto sulla base dell’interpretazione giurisdizionale. Qual è la soglia dell’ingiustizia del danno e quale il limite del danno risarcibile? Non è un caso che la Corte di cassazione nel 2008 per fissare i limiti del danno non patrimoniale abbia fatto ricorso ai diritti costituzionalmente garantiti. Il danno ingiusto è l’interfaccia fra il giudice e la legge, il punto in cui l’uno apre all’altro, secondo un nesso di reciprocità, perché non è solo il legislatore a conferire al giudice il potere di concretizzare la clausola generale, ma è anche il giudice a dovere concretizzare la norma elastica in un modo tale che sia rispettato il predicato dell’ingiustizia.
Si deve a Rodotà la liberazione della nozione di danno ingiusto sia dalle incrostazioni positivistiche della limitazione dell’ingiustizia del danno ai diritti assoluti protetti erga omnes che dalla prospettiva pan-penalistica dell’atto illecito, secondo cui meritevole di tutela risarcitoria sarebbe solo il danno risultante da una condotta non conforme a diritto. Con Rodotà il punto di vista cambia: dall’autore del fatto alla vittima, dall’atto illecito (non iure)al fatto dannoso (contra ius). Il problema della responsabilità civile è quello dell’allocazione del danno in base al principio costituzionale di solidarietà. Dal 1964 moltissima acqua è passata sotto i ponti. Un trattato con difficoltà riuscirebbe a contenere per intero cosa è stata la responsabilità civile in questi quasi sessant’anni. Si tratta in definitiva di un pezzo della storia di questo Paese.
I contributi che seguono mirano a rileggere l’esperienza contemporanea della responsabilità civile secondo un angolo prospettico ben determinato, che è quello, come abbiamo detto, del danno ingiusto come interfaccia fra il giudice e la legge. La pluralità di funzioni della responsabilità civile e il tema del danno non patrimoniale sono questioni oggi all’ordine del giorno, ma si affacciano anche problematiche particolari come quella del danno antitrust. Dopo la sentenza n. 500 del 1999 delle Sezioni unite della Corte di cassazione il tema del danno del privato nel diritto amministrativo, con le problematicità derivanti dal rappresentare questo diritto una deroga al diritto comune, ha ormai una lunga storia. La sentenza n. 500 segna comunque una pagina memorabile perché costituisce il momento di definitivo approdo nella giurisprudenza del danno ingiusto come clausola generale, in funzione di superamento della limitazione della tutela risarcitoria ai cd. diritti assoluti.
Una sezione dell’obiettivo è dedicata alla riforma della responsabilità medica. Abbiamo inteso richiamare l’attenzione dei lettori su questo importante capitolo della recente produzione legislativa nazionale non solo per l’evidente rilievo che ha la salute nel campo della determinazione dei confini del danno, ma anche perché, nell’ambito per la verità diverso da quello del danno ingiusto in senso proprio, e cioè nell’ambito della responsabilità professionale, la legge 8 marzo 2017 n. 24, «disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie», rappresenta un indicatore significativo di come l’ordinamento si evolva nell’avvicendarsi di provvedimenti legislativi ed indirizzi giurisprudenziali. Ancora una volta, il diritto fra il giudice e la legge.
Per tornare al danno ingiusto, è raro incontrare una categoria giuridica che dia conto in termini così chiari di cosa il diritto sia e di come non possa essere concepito all’infuori della dimensione aggiudicatrice della giurisdizione. Il diritto è una forma ideale e come tale vive solo nelle sue concretizzazioni, le quali devono restare tuttavia coerenti a quella forma ideale. La giurisdizione è tutta qui, nello sforzo di concretizzazione della forma dell’ingiustizia del danno mantenendo la coerenza al predicato dell’ingiustizia. Quale interesse è meritevole di tutela risarcitoria? Quali sono i danni risarcibili? Quando risponde a queste domande il giudice deve essere all’altezza della forma ideale che lo convoca. La legge esprime un ideale regolativo, il danno ingiusto: sta al giudice attuarlo in modo coerente.
La forza della giurisprudenza risiede nel fatto che il giudice non è solo di fronte alla legge. Noi non siamo monadi di fronte ad una porta destinata solo a noi, come nel racconto di Kafka «Davanti alla legge». I contributi che seguono testimoniano della comunità interpretativa che c’è intorno alla legge. La vicenda del danno ingiusto, degli interessi da tutelare e del danno da risarcire, viene da lontano e va verso lontano. È una grande catena narrativa direbbe Dworkin, nella quale ci siamo anche noi, responsabili verso l’autorità di chi ci ha preceduto, ma anche autorità per chi viene dopo di noi.