Magistratura democratica

La riforma 2023 della protezione speciale: eterogenesi dei fini?

di Nazzarena Zorzella

Il dl n. 20/2023 ha riformato vari istituti del diritto d’asilo e dell’immigrazione, nel tentativo, coerente con le restrittive politiche europee, di impedire l’accesso al territorio nazionale e alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale, indifferente all’aumento del bisogno di protezione a causa dell’aggravarsi delle situazioni in molti Paesi nel mondo e nonostante la mancanza di effettivi canali d’ingresso regolari. Nel contempo, l’Esecutivo ha ristretto anche l’istituto della protezione speciale, che riguarda migliaia di persone già presenti in Italia, in gran parte inserite nel tessuto economico-sociale, la cui  condizione comunque sottende diritti fondamentali, per le quali il cd. “decreto Lamorgese” del 2020 aveva delineato una concreta possibilità di ottenere un titolo di soggiorno, nel rispetto della Costituzione italiana. Con un’operazione tecnicamente ambigua, il dl n. 20/2023 ha disposto due modifiche alla protezione speciale: l’abrogazione dell’esplicita possibilità di chiederne il riconoscimento al di fuori del sistema della protezione internazionale e la “soppressione” dei criteri per l’accertamento del diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 Cedu).
L’articolo analizza sotto il profilo giuridico la riforma, proponendone un’interpretazione che, attraverso la lettura coordinata degli artt. 5, comma 6, e 19 TU immigrazione (d.lgs n. 286/1998), consente ancora oggi, a dispetto della volontà politica dell’attuale legislatore, di ritenere riconoscibile la protezione, qualunque nome le si voglia attribuire, alla persona straniera la cui condizione afferisca a diritti costituzionalmente e internazionalmente protetti.

L’obbedienza non è più una virtù

Don Lorenzo Milani

 

1. Il contesto / 2. Il percorso accidentato della protezione speciale, già umanitaria / 3. L’intervento del dl n. 20/2023 e della sua legge di conversione n. 50 / 3.1. La protezione speciale può essere riconosciuta solo nell’ambito della protezione internazionale? / 3.2. I divieti dell’art. 19 e gli obblighi positivi dell’art. 5, comma 6 TU 286/98 / 4. Nello specifico del diritto al rispetto della vita privata e familiare ex art. 8 Cedu / 4.1. Il bilanciamento per l’accertamento del diritto al rispetto della vita privata e familiare

 

1. Il contesto 

Negli ultimi mesi la questione migratoria è tornata prepotentemente al primo posto dell’agenda politica europea e di quella italiana. Nel corso del 2022 sono senz’altro aumentati gli arrivi di richiedenti asilo in Europa rispetto al 2021, ma è un dato che da solo non può né giustificare né legittimare la restrizione dei diritti che sta avanzando, a meno che si ritenga che i diritti fondamentali siano oramai un orpello[1] che le democrazie occidentali stanno abbandonando, dopo averne fatto il tratto distintivo, fino a poco tempo fa, rispetto ad altri sistemi di governo e ad altre epoche storiche[2]. Analizzando le statistiche pubblicate di recente da Eurostat[3] e, in particolare, le nazionalità di coloro che hanno presentato domanda di protezione, si vede che si tratta per il 40% di siriani/e, afghani/e, venezuelani/e e turchi/e, cioè di richiedenti asilo provenienti da Paesi nei quali è acclarata la guerra o la violazione gravissima di diritti umani e libertà fondamentali, dunque con i presupposti per il riconoscimento di una delle forme di protezione internazionale di cui alla direttiva 2011/95/UE. Sempre Eurostat indica che, nel 2022, le decisioni di riconoscimento della protezione internazionale sono state 384.245, pari al 49% delle domande esaminate (632.620), con un aumento del 40% rispetto al 2021 (di cui il 44% di rifugio politico, il 31% di protezione sussidiaria e il 25% di tipo umanitario, tutela presente nella maggior parte dei Paesi Ue e che ha registrato un aumento del 72% rispetto all’anno precedente). Dati che non tengono conto del numero di pendenze giudiziali che potrebbe aumentare ancora di più la percentuale di riconoscimento della tutela[4].

Non è questa la sede per approfondire i dati riportati da Eurostat, ma la domanda che impongono è come i/le richiedenti asilo siano giunti/e sui suoli europei, tenuto conto che non esistono canali di ingresso finalizzati alla richiesta di asilo (e assai scarsi sono quelli per altri motivi). Il “vuoto” della statistica è riempito in parte dai dati pubblicati da Frontex, secondo cui nel 2022 ci sono stati circa 330.000 attraversamenti illegali delle frontiere, di cui 145.000 attraverso la cd. rotta balcanica (le nazionalità maggiormente rappresentative sono state Siria, Afghanistan e Tunisia, complessivamente il 47%, con il numero dei siriani raddoppiato rispetto al 2021) e 102.500 gli arrivi dal Mediterraneo (maggiori nazionalità: Egitto, Tunisia e Bangladesh)[5]. Dunque, l’arrivo irregolare dei/delle richiedenti asilo è un percorso obbligato, con l’unica risibile eccezione dei pochi corridoi umanitari attivati da qualche Paese europeo[6] e quella ben più consistente delle persone profughe dall’Ucraina per le quali l’accesso ai Paesi UE è, invece, libero (circa 4 milioni, ma sono 13 milioni gli attraversamenti delle frontiere europee dal 24 febbraio 2022)[7]

Percorso illegale, rischiosissimo ma obbligatorio, che confligge oggettivamente sia con il dovere di garantire i diritti umani fondamentali, primo fra tutti l’asilo (art. 18 Carta fondamentale dell’Unione europea), sia con gli avvenuti riconoscimenti di una forma di protezione in Europa ad almeno la metà di coloro che chiedono protezione, e dunque quei dati certificano l’incapacità e la sempre più ostinata volontà dell’Unione europea di abdicare al proprio ruolo di democrazia, non aprendo effettivi canali d’ingresso anche per asilo, nonostante nel mondo aumenti sempre più il bisogno di protezione a causa di guerre, conflitti, crisi umanitarie e nonostante siano comunque ancora i Paesi a più basso reddito a farsi carico dell’accoglienza della maggior parte dei rifugiati o degli sfollati[8].

In questo scenario, l’Unione europea si sta preparando a un ennesimo restringimento delle procedure per l’esame delle domande di protezione internazionale (attraverso la forte implementazione delle cd. procedure di frontiera, così da tenere ai margini i richiedenti asilo ed essere pronti a rimpatriarli senza troppe difficoltà) e ad attivare un meccanismo che potrebbe consentire il rinvio dei/delle richiedenti asilo verso Paesi terzi ritenuti sicuri nei quali hanno transitato (verosimilmente: Balcani e Nord Africa), in tal modo completando quel processo di esternalizzazione delle frontiere avviato quasi un decennio fa, che assegna a Paesi al di fuori dell’Ue la gestione (meglio sarebbe parlare di blocco) del fenomeno migratorio. In questo senso va letto l’accordo raggiunto l’8 giugno 2023 in sede di Consiglio dell’Unione europea[9], che dovrà certamente passare al vaglio del Parlamento europeo, ma le prospettive non sono rosee nel contesto politico attuale e di quello che potrebbe essere dopo le elezioni europee del 2024. 

Nel contempo, va ribadito, nessun atto o accordo o proposta concreta sono stati formulati in sede Ue per introdurre o ampliare i canali regolari di accesso in Europa, sia per protezione che per lavoro, nonostante sia enorme, in relazione a quest’ultimo, il fabbisogno di mano d’opera straniera in moltissimi Paesi europei, attestato dalla stessa Commissione europea[10].

Nel contesto italiano, il nuovo governo insediatosi dopo le elezioni del 25 settembre 2022 ha in parte anticipato le ulteriormente restrittive linee politiche europee, dando immediatamente precisi segnali di come intenda gestire la questione migratoria. Infatti, già il 2 gennaio 2023 ha emanato il dl n. 1/2023 (cd. “decreto Piantedosi”, convertito con modifiche in legge n. 15/2023) con cui sono state modificate le condizioni per il soccorso in mare da parte delle Ong, rendendone più gravose le attività. Di conseguenza è oggi maggiore la difficoltà per le persone naufraghe in mare di essere salvate e di arrivare in Europa (per sottrarsi ai lager libici o a condizioni di vita inumane)[11], nell’impossibilità di arrivare con regolari visti d’ingresso. Finalità che, coerente con le politiche europee e quelle italiane oramai da un decennio, persegue palesemente l’obiettivo di creare ostacoli – di varia natura – per fermare il fenomeno migratorio e provare a bilanciare il rispetto dei diritti umani con la volontà dello Stato di proteggere i confini della “Nazione”, dando preminenza assoluta a quest’ultima. 

Approccio restrittivo alla questione migratoria che il nuovo legislatore ha perseguito anche con il dl n. 20/2023, e soprattutto con la sua legge di conversione, n. 50/2023, in cui sono state inserite varie disposizioni non presenti nel testo originario del decreto legge, delineando un quadro giuridico non solo estraneo a ragioni di urgenza e indifferibilità che dovrebbero caratterizzare lo strumento legislativo dell’Esecutivo, ma anche e soprattutto estremamente preoccupante perché restrittivo del diritto d’asilo, con una fortissima implementazione delle cd. “procedure di frontiera” e un consistente aumento delle tipologie di detenzione amministrativa[12], estesa anche ai richiedenti asilo al di fuori delle ipotesi consentite dalla direttiva 2013/32/UE[13]. Disegno legislativo completato dal dm 17 marzo 2023 del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale[14], con cui è stato integrato l’elenco del 2019 dei Paesi definiti «di origine sicura», comprensivo oggi anche di Nigeria, Georgia, Costa d’Avorio e Gambia (che si aggiungono ad Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Senegal, Serbia, Tunisia)[15] e dunque con esame accelerato e di frontiera per i/le richiedenti asilo provenienti da essi[16].

Se molti di questi interventi si collocano nel tentativo di evitare gli arrivi in Italia (o in Europa) di potenziali richiedenti asilo, o, quando riescono ad arrivare, di esaminare velocemente le loro domande di protezione e, nel caso, disporre veloci (!!!) rimpatri (o farli rimanere perennemente irregolari), l’odierno legislatore non si è dimenticato nemmeno delle persone straniere che già vivono sul territorio nazionale e ha, infatti, messo mano anche all’istituto della protezione speciale, cercando di restringerne l’ambito di applicazione e la sua efficacia concreta. Governo e Parlamento si sono, al solito, “dimenticati” di introdurre nuovi ed efficaci canali di ingresso regolari, approntando solo una timida quanto problematica semplificazione del cd. “decreto flussi”, senza intaccarne l’irrealistico meccanismo dell’incontro a distanza tra domanda e offerta di lavoro[17], oltre a implementare il criterio selettivo di chi fare entrare per lavoro.

 

2. Il percorso accidentato della protezione speciale, già umanitaria 

Prima di affrontare il contenuto e gli effetti sulla protezione speciale recati dall’art. 7 dl 20/2023 e dalla sua legge di conversione con modifiche, n. 50/2023, è utile ricordare brevemente che l’istituto è stato denominato «speciale» nel 2018 con il dl n. 113/2018, con cui si è abrogata la protezione umanitaria prevista nell’art. 5, comma 6, TU immigrazione – d.lgs n. 286/1998 –, secondo cui il questore, in caso di ritenuta insussistenza dei presupposti per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno secondo le regole ordinarie (per le varie tipologie di permessi), era tenuto a verificare l’esistenza di «seri motivi, in particolare di carattere umanitario o derivanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano», tali da consentire comunque il rilascio del titolo di soggiorno. La norma era nata nel 1998 ed è stata implementata nel 2004 con l’introduzione, nel regolamento di attuazione (dPR n. 394/1999), dell’art. 11, comma 1, lett. c-ter[18], che ha espressamente previsto il rilascio del permesso per protezione umanitaria (in relazione sia all’art. 5, comma 6, che all’art. 19, comma 1, TU) e, infine, completata nel 2011 con l’inserimento della previsione secondo cui «[i]l permesso di soggiorno per motivi umanitari è rilasciato dal questore secondo le modalità previste nel regolamento di attuazione»[19]. Essa rappresenta(va) la norma di chiusura dell’intero sistema regolatorio della condizione giuridica della persona straniera, misura di salvaguardia dei doveri costituzionali e internazionali dello Stato, che trovano fonte nella Costituzione e in particolare (ma non solo) nell’art. 10.

Fin dalla sua introduzione, questa tutela era riconoscibile direttamente dal questore (art. 5, comma 6, TU) oppure nel sistema asilo[20] (dapprima da parte della Commissione centrale per il diritto d’asilo[21] e, dal 2002, dalle commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato)[22] e dal 2008 espressamente prevista dall’art. 32, comma 3, d.lgs n. 25/2008 (che insieme al d.lgs n. 251/2007 attuava il diritto dell’Unione europea in materia di protezione internazionale)[23], quale forma complementare al rifugio politico e alla protezione sussidiaria qualora queste non fossero riconoscibili ma la commissione rinvenisse i presupposti per il rinvio al questore ai sensi dell’art. 5, comma 6, d.lgs n. 286/98[24]

Dunque, fino al 2018 la protezione umanitaria poteva essere riconosciuta in due distinti percorsi amministrativi, anche se va detto che quello diretto al questore ha avuto esigua applicazione[25], a causa di scarsa conoscenza delle sue potenzialità e comunque di una realtà migratoria diversa da quella dell’ultimo decennio. È così che ha avuto un forte impatto soprattutto nel sistema asilo, diventando preziosa occasione per un amplissimo approfondimento giuridico, che ha riguardato la natura di diritto fondamentale alla pari della protezione internazionale, attuazione del diritto d’asilo di cui all’art. 10, comma 3 della Costituzione e, dunque, assegnata alla giurisdizione ordinaria in luogo di quella amministrativa precedentemente indicata (Cass., sez. unite, nn. 19393/2009, 11535/2009, 5059/2017), con declinazione del suo contenuto che, nel corso del tempo, si è confrontata sempre più con l’ampio catalogo dei diritti umani (Cass., n. 4455/2018 - tra le tante). Forma di protezione il cui tasso di riconoscimento già in sede amministrativa è risultato superiore a quelli del rifugio e della protezione sussidiaria (legati a requisiti più restrittivi e tassativi), raggiungendo nel 2017 il 25% e nel 2018 il 21% delle decisioni positive (oltre a quelle in sede giudiziale)[26]

Tuttavia, la ritenuta ampiezza o indeterminatezza dell’istituto della protezione umanitaria ha indotto il legislatore del 2018 ad abrogarla, come detto, con il dl n. 113/2018, sopprimendo nell’art. 5, comma 6, TU 286/98 la previsione dell’obbligo di rispetto delle serie ragioni umanitarie o degli obblighi costituzionali o internazionali, nel contempo delimitando la riconoscibilità della nuova protezione, rinominata «speciale», nel solo sistema asilo e limitatamente ai rischi persecutori di cui all’art. 19, commi 1 e 1.1, TU, nella prassi rinvenibili solo in presenza delle cause ostative di cui agli artt. 10, 12 e 16 d.lgs n. 251/2007. L’effetto immediato è stato la precipitazione del tasso di riconoscimento all’1% nel 2019 e al 2% nel 2020[27]

Nel contempo, il dl n. 113/2018 ha abrogato l’art. 11, comma 1, lett. c-ter dPR n. 394/99 ed espunta dall’intero TU immigrazione la parola «umanitaria» (che, verosimilmente, urticava quel legislatore) e ha sostituito la protezione di cui all’art. 5, comma 6, con il permesso per cure mediche (art. 19, comma 2, lett. d-bis, TU 286/98) e per calamità (art. 20-bis TU 286/98)[28], con i quali intendeva completare il catalogo degli obblighi costituzionali o internazionali insieme ai già esistenti permessi per casi speciali per vittime di sfruttamento criminale (art. 18 TU), di violenza di genere (art. 18-bis TU), di sfruttamento lavorativo (art. 22, comma 12-quater, TU) o a tutela dei minori (art. 31, comma 3, TU), oltre ai divieti di espulsione di cui all’art. 19, comma 2, TU 286/98.

Nonostante la volontà del legislatore di tipizzare gli obblighi costituzionali e internazionali ai quali l’Italia è tenuta, è apparso subito evidente che l’introduzione delle due nuove tipologie di permessi di soggiorno non poteva di certo abrogare i variegati obblighi costituzionali o internazionali dello Stato, i quali trovano la fonte principale direttamente nella Costituzione (come sottolineato dal Presidente della Repubblica in sede di firma alla legge di conversione) e non sono racchiudibili in un numero chiuso e tassativo[29].

Mutata la compagine governativa, nel 2020 è stato emanato il dl n. 130/2020 (convertito con modifiche in legge n. 173/2020), che innanzitutto ha ripristinato parzialmente l’art. 5, comma 6, TU 286/98 (senza la clausola delle «serie ragioni umanitarie» e senza espressa previsione del rilascio del permesso da parte del questore), esplicitando nuovamente il dovere dello Stato di tenere conto degli obblighi costituzionali o internazionali prima di negare il permesso di soggiorno alla persona straniera che ne faccia richiesta (anche ad altro titolo). Inoltre, ha profondamente trasformato l’istituto della protezione speciale di cui all’art. 19 d.lgs n. 286/98, aggiungendo al catalogo dei divieti assoluti di espulsione, respingimento o estradizione («in nessun caso») di cui al comma 1 i rischi persecutori per motivi di orientamento sessuale e di identità di genere[30], e al comma 1.1 il rischio di trattamenti inumani e degradanti, oltre al rischio di tortura introdotto nel 2017[31], e in sede di conversione in legge ha posto anche il limite all’espulsione e al respingimento in relazione al dovere di rispetto dell’art. 5, comma 6, TU 286/98. Ulteriore innovazione è stata la specificazione, al comma 1.1, del limite all’allontanamento della persona nel caso comporti la violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, con indicazione dei criteri di suo accertamento (natura ed effettività dei vincoli familiari, effettivo inserimento sociale in Italia, durata del soggiorno nel territorio nazionale, esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il Paese d’origine).

Infine, il dl n. 130/2020 ha reintrodotto il doppio canale attraverso cui chiedere il riconoscimento della protezione speciale secondo gli ampi presupposti delineati nei commi 1 e 1.1: nell’ambito della procedura di protezione internazionale oppure, alternativamente, con domanda presentata direttamente al questore, con onere di acquisizione del parere obbligatorio e vincolante della commissione territoriale (art. 19, comma 1.2, TU 286/98).

Riforma di straordinaria importanza, che ha nuovamente conferito flessibilità al sistema rendendo esplicito il rispetto dei diritti umani e fondamentali[32], ma che ha subito incontrato fortissime resistenze da parte dell’apparato, centrale e periferico, del Ministero dell’interno, dapprima con negazione del canale diretto al questore e, poi, con frapposizione di innumerevoli difficoltà, sia nella presentazione della domanda che negli elementi per la sua ritenuta ammissibilità. Resistenza che ha ingenerato un contenzioso giudiziale, il cui esito è stato certamente coerente con il dettato legislativo[33], ma non può negarsi che i mille ostacoli amministrativi abbiano certamente rallentato una piena applicazione del nuovo istituto. Non si conosce il numero delle domande presentate negli anni 2021 e 2022 nel percorso amministrativo davanti al questore e quante siano ancora in attesa di conclusione, mentre si stima che le commissioni territoriali ne abbiano riconosciute circa 10.000, ma non è chiaro se sia il numero complessivo dei due procedimenti o afferente alla sola procedura della protezione internazionale. Rimane il fatto che, secondo stime Ismu, nel 2022 la protezione speciale ha riguardato il 55% degli esiti positivi delle domande di protezione internazionale[34].

 

3. L’intervento del dl n. 20/2023 e della sua legge di conversione n. 50

Come detto, appena insediatosi il nuovo Esecutivo ha subito voluto ingarbugliare ancora una volta il sistema, mettendo mano nuovamente alla protezione speciale nel tentativo di restringerne la portata o, quantomeno, di renderne estremamente problematica l’applicazione. 

La riforma 2023 dell’istituto della protezione speciale è contenuta in un decreto-legge che, per definizione, dovrebbe essere caratterizzato da requisiti di necessità e urgenza, i quali, tuttavia, non si rinvengono nel dl n. 20/2023, emanato nei giorni immediatamente successivi al tragico naufragio avvenuto il 26 febbraio 2023 a Steccato di Cutro, sulle coste calabre. Esso, infatti, contiene disposizioni eterogenee, che vanno dalla modifica delle procedure del decreto flussi a quella della durata di alcuni permessi di soggiorno, ai controlli sugli enti gestori dei centri di accoglienza straordinaria (Cas), all’introduzione di disposizioni penali per la lotta ai trafficanti «lungo tutto il globo terracqueo»[35] e, infine, alla voluta restrizione della protezione speciale. Per quest’ultima è davvero impossibile individuare le ragioni di necessità e urgenza, tenuto conto che si tratta di una disposizione che, al contrario, ha consentito (e avrebbe continuato a consentire) a migliaia di persone straniere in Italia di acquisire un permesso di soggiorno versando in una condizione protetta da precisi obblighi dello Stato. L’interesse dello Stato è – dovrebbe essere – avere una popolazione straniera regolare, non di risospingerla o mantenerla nell’irregolarità, esponendola a diventare vittima di ricattabilità lavorativa e sociale ed è, pertanto, evidente che l’urgenza e la necessità dell’intervento sulla protezione speciale operato dal dl n. 20/2023 è del tutto estraneo alla caratteristiche dello strumento normativo ed è in netta opposizione all’interesse generale dello Stato, rispondendo a mere esigenze politiche e propagandistiche. Invero, l’utilizzo improprio dei decreti legge non è certamente nuovo nella materia (non solo) del diritto dell’immigrazione, ma non per questo non è inutile denunciarlo, poiché sottrae al Parlamento la funzione principale della disciplina della condizione giuridica della persona straniera e, come evidenziava Cecilia Corsi nel 2021, «Non c’è dubbio che il ricorso alla decretazione d’urgenza come modalità di normazione di questa materia rappresenti una costante: come se il fenomeno migratorio produca da sé, sempre, situazioni straordinarie, quando invece la necessità e l’urgenza sono sovente l’effetto di una volontà di sottovalutazione del fenomeno come ordinario da parte dei pubblici poteri»[36]. Nulla di nuovo sotto il sole, dunque! 

Sulla protezione speciale l’odierno legislatore è intervenuto in due fasi. In primo luogo, con l’art. 7 dl n. 20, entrato in vigore l’11 marzo 2023[37], ha «soppresso»[38] il terzo e quarto periodo del comma 1.1 dell’art. 19 TU n. 286/98, laddove stabilivano che:

«Non sono altresì ammessi il respingimento o l’espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che esso sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica nonché di protezione della salute nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, resa esecutiva dalla legge 24 luglio 1954, n. 722, e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine». 

In sintesi, si trattava del quarto ambito di applicazione della protezione speciale introdotto dal dl n. 130/2020[39], che, pur non facendo espresso richiamo all’art. 8 Cedu, ad esso manifestamente si riferiva, indicando compiutamente i criteri per il suo accertamento. 

Nell’art. 7 si è previsto, inoltre, un confuso e confusivo regime transitorio applicabile sia alle istanze presentate prima dell’entrata in vigore del decreto-legge (comma 2), sia ai permessi di soggiorno in corso di validità già rilasciati in applicazione dei due periodi soppressi (comma 3).

Nella seconda fase, in sede di conversione in legge n. 50, entrata in vigore il 6 maggio 2023[40], il legislatore si è voluto smarcare ancora di più dall’intervento riformatore del 2020 e, pertanto, ha abrogato sia la parte dell’art. 19, comma 1.2, in cui era previsto il diritto a chiedere il riconoscimento della protezione speciale direttamente al questore, sia l’art. 6, comma 1-bis, lett. a, TU 286/98, che prevedeva la convertibilità del permesso per protezione speciale rilasciato ai sensi dell’art. 32, comma 3, d.lgs n. 25/2008. A completamento del disegno governativo, di restrizione dei diritti delle persone straniere, è stata abrogata la convertibilità anche dei permessi per calamità e per cure mediche[41], irrigidendone anche i presupposti accertativi. Per effetto di quegli interventi, attualmente la protezione speciale parrebbe riconoscibile solo all’interno della procedura di protezione internazionale e solo rispetto a tre (e non più quattro) ambiti, riferibili ai rischi persecutori (comma 1) o di tortura o di trattamenti inumani e degradanti o in riferimento agli obblighi internazionali o nazionali dello Stato (comma 1.1, prima parte).

Limitazione che, tuttavia, non ha raggiunto l’obiettivo perseguito dal legislatore attuale, né potrà raggiungerlo.

 

3.1. La protezione speciale può essere riconosciuta solo nell’ambito della protezione internazionale?

Davvero la persona straniera che versi in una condizione di vulnerabilità, tra quelle ampiamente (ancora oggi) indicate nell’art. 19, commi 1 e 1.1 TU, non potrà più chiedere direttamente protezione, e dunque un titolo di soggiorno, al di fuori della procedura di protezione internazionale? Riteniamo che la risposta non possa che essere nel senso di riconoscere ancora oggi la protezione, comunque la si voglia denominare, al di fuori del sistema asilo, in tal modo confermando non solo la cogenza degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato, ma anche il diritto della persona di scegliere quale percorso giuridico sia più coerente alla propria condizione e confacente alle proprie esigenze, in ossequio anche al principio di autodeterminazione di cui all’art. 2 della Costituzione. 

L’abrogazione, infatti, del comma 1.2 dell’art. 19 TU, operata dalla legge di conversione n. 50/2023, nella parte in cui disponeva che «Nel caso in cui sia presentata una domanda di rilascio di un permesso di soggiorno, ove ricorrano i requisiti di cui ai commi 1 e 1.1, il Questore, previo parere della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, rilascia un permesso di soggiorno per protezione speciale», non elimina la possibilità per la persona straniera di essere protetta dall’allontanamento chiedendo l’accertamento della propria condizione al di fuori del sistema asilo, perché non può essere il percorso amministrativo a condizionare l’accertamento (rectius: il riconoscimento) di un diritto fondamentale che è tuttora indicato quale presupposto di un preciso divieto di espulsione o di respingimento, né può essere circoscritto in una sola procedura (quella dell’asilo), retta da differenti regole e presupposti, i quali non coincidono necessariamente con la condizione generale di inespellibilità.

La protezione internazionale, di derivazione europea, afferisce a una condizione giuridica che sottende rischi persecutori ben precisi (ex art. 1A Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati) o rischi di danno grave altrettanto precisi (art. 14 d.lgs n. 251/2007), i quali non solo non comprendono tutti i divieti di espulsione o respingimento indicati nell’art. 19 TU, ma vanno accertati partendo dalla valutazione della credibilità della vicenda personale del/della richiedente asilo, che deve rispondere ai parametri legali, sia soggettivi che oggettivi, descritti nella normativa (art. 3 d.lgs n. 251/2007 e artt. 8, comma 3, e 27, comma 1-bis, d.lgs n. 25/2008) per verificare se sia riconoscibile una delle due forme di protezione internazionale. La protezione speciale, invece, ha radice innanzitutto nell’ordinamento nazionale e, secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza, prescinde dalla credibilità soggettiva (Cass., nn. 10922/2019, 7985/2020, 1433/2021, 25734/2021, 447/2022)[42], dovendosi considerare il “solo” rischio di violazione dei diritti umani fondamentali, «a compasso largo»[43], e che si ritiene attuazione del diritto d’asilo di cui all’art. 10, comma 3, Costituzione, forma complementare di tutela che si aggiunge a quella internazionale. 

Si tratta di due sistemi che si completano, è indubbio, ma assai diversi tra loro, sia per fonte normativa che per regole di accertamento, e l’abrogazione dell’art. 19, comma 1.2, che tale autonomia esplicitava non impedisce oggi di continuare a riconoscerla al di fuori del sistema di derivazione unionale, poiché l’art. 19 TU immigrazione non solo preesiste al sistema della protezione internazionale, ma soprattutto la sua collocazione generale tra i divieti di espulsione/respingimento/estradizione lo qualifica come norma di chiusura, alla pari dell’art. 5, comma 6, dell’intero sistema regolatorio della condizione giuridica della persona straniera, in coerenza, applicazione e conformità con i precetti di cui all’art. 10, commi 1, 2, 3 e 4 della Costituzione.

 

3.2. I divieti dell’art. 19 e gli obblighi positivi dell’art. 5, comma 6, TU 286/98 

L’art. 19 del d.lgs n. 286/1998, è titolato «Divieti di espulsione e di respingimento. Disposizioni in materia di categorie vulnerabili» e, insieme con altre disposizioni contenute nel medesimo TU (art. 5, commi 5 e 6, artt. 18, 18-bis e 22, comma 12-quater, art. 31, comma 3), rappresenta una deroga alle regole ordinarie che presidiano la condizione giuridica della persona straniera, riconoscendole il diritto a non essere allontanata dal territorio nazionale, né respinta prima del suo ingresso, in presenza di una serie ampia e non tassativa di situazioni che rispondono a vari e diversificati imperativi costituzionali o internazionali dello Stato. Il primo ambito di deroga riguarda i rischi persecutori (comma 1), i quali non coincidono strettamente con i fattori di protezione delineati nell’art. 1A della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati (razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale, opinioni politiche), giacché li integra con quelli relativi a sesso, orientamento sessuale, identità di genere, lingua, condizioni personali o sociali. Se alcuni di essi possono essere fatti rientrare, in via interpretativa e applicativa, nel “gruppo sociale” protetto dalla Convenzione di Ginevra, così non è per i rischi connessi alla condizione personale o sociale, che afferisce alla singola persona, non necessariamente condivisa con altri al punto da costituire un gruppo sociale (i cui requisiti sono essenzialmente possedere una caratteristica innata o una storia comune con altri) e che trova il suo riferimento negli artt. 2 e 3 della Costituzione, oltre che nel suo art. 10, comma 3. Già sotto questo profilo non vi è piena coincidenza tra i presupposti per il rifugio politico e quelli delineati dall’art. 19, comma 1, TU immigrazione.

Il secondo ambito di applicazione della disposizione in esame riguarda i rischi di tortura o di trattamenti inumani e degradanti (comma 1.1, prima parte), i quali già sono presupposti per l’accertamento del rischio di danno grave e irreparabile per il riconoscimento della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. b, d.lgs n. 251/2007[44] e, pertanto, non possono ritenersi un’inutile duplicazione dei presupposti per la tutela sussidiaria internazionale. 

Sia il comma 1 che il comma 1.1, primo periodo, non sono perfettamente sovrapponibili all’istituto della protezione internazionale e nella prassi vengono in rilievo quando non sia possibile riconoscere la protezione internazionale per la presenza delle cause ostative di cui agli artt. 10, 12 e 16 d.lgs n. 251/2007 (cd. cause di esclusione). Prassi che lascia perplessi, perché diritti fondamentali di pari natura di quelli che esprimono la protezione internazionale determinano uno status giuridico di minore protezione, destinato (oggi più che mai) alla precarietà. In disparte ogni approfondimento su questo aspetto, se la protezione speciale può senz’altro integrare la disciplina della protezione internazionale, non è argomento di per sé sufficiente per escludere che l’art. 19, commi 1 e 1.1, TU possa far parte di una domanda autonoma, poiché è la sua collocazione nel sistema regolatorio generale della condizione giuridica della persona straniera – come limite al potere dello Stato in presenza di quei rischi – che ne consente l’applicazione a chiunque versi in una delle fattispecie ivi indicate, come avviene per i successivi commi 1-bis e 2 della medesima norma generale. Certamente, quel limite dello Stato è motivo anche per riconoscere la tutela complementare se esclusa quella internazionale (per precisa scelta dello Stato), ma è operazione forzata ritenere che si esaurisca nel sistema asilo.

Basta considerare che i limiti al potere statale di allontanamento o respingimento, di cui all’intero art. 19 TU immigrazione, sono pacificamente fatti valere al di fuori del sistema asilo e propriamente in materia di espulsione, come anche di recente affermato dalla Cassazione (n. 2874/2023), che ha censurato una decisione del giudice di pace che non aveva considerato il diritto al rispetto della vita privata dello straniero espulso, richiamando espressamente l’art. 8 Cedu, compreso nell’art. 19 TU 286/98. Dopo aver ricordato l’autonomia della vita privata rispetto a quella familiare, la Corte afferma che «la giurisprudenza di questa Corte si è espressa in conformità, osservando che in tema di espulsione del cittadino straniero, in ossequio al disposto dell’art. 8 Cedu, va riconosciuta autonoma tutela al diritto alla vita privata, e non soltanto alla vita familiare, assumendo così rilievo, ai fini della decisione sull’opposizione all’espulsione, i legami sociali che il cittadino straniero alleghi di avere intrattenuto sul territorio nazionale (Cass. n. 19815 del 20/06/2022). Deve altresì tenersi presente che il rispetto della vita privata e familiare non si configura come diritto assoluto, ma bilanciabile su base legale con una serie di altri valori, espressamente indicati dall’art 19 cit. tutelando non soltanto le relazioni familiari, ma anche quelle affettive e sociali e le relazioni lavorative ed economiche, le quali pure concorrono a comporre la vita privata di una persona, rendendola irripetibile, nella molteplicità dei suoi aspetti, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (Cass.n. 7861 del 10/03/2022)». In termini anche Cass., n. 22508/2023.

Non è altrettanto privo di rilievo che lo stesso art. 19, comma 2-bis, TU immigrazione imponga al prefetto di tenere conto dei vincoli familiari dell’espellendo con i medesimi criteri dell’art. 8 Cedu (natura ed effettività dei vincoli familiari, durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine).

In definitiva, l’art. 19 TU immigrazione è (da sempre) il limite al potere dello Stato che non esaurisce la sua efficacia all’interno del sistema asilo, e pertanto è l’art. 19 TU che estende la sua efficacia all’art. 32, comma 3, d.lgs n. 25/2008, non quest’ultimo che assorbe il primo spostandolo dal corpo normativo originario (il TU immigrazione) ed esautorandolo dalla sua valenza generale, e il comma 1.2 dell’art. 19, riformato dal dl n. 20/2023, esplicita detta estensione, ribadendo che anche nella materia della protezione internazionale è applicabile il limite generale posto dalla norma («Nelle ipotesi di rigetto della domanda di protezione internazionale, ove ricorrano i requisiti di cui ai commi 1 e 1.1., la Commissione territoriale trasmette ai sensi dell’articolo 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, gli atti al Questore per il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale»). 

Una volta introdotto nell’ordinamento un corpo normativo espresso di tutela dei diritti fondamentali, quale limite generale dello Stato al potere regolatorio, la loro riconoscibilità non può essere costretta in un unico percorso amministrativo che è nato e si sviluppa secondo differenti e più restrittivi presupposti, pena lo snaturamento dei diritti stessi e della loro (per gran parte) inderogabilità. Senza ignorare l’irragionevolezza di un sistema che pretenda l’ingresso in una determinata complessa procedura (la protezione internazionale) anche quando la persona ha una condizione che afferisce a un diverso quadro giuridico[45].

Va ricordato, in aggiunta, che l’art. 2, comma 1, TU 286/98 contempla un’altra disposizione perfettamente coerente con la natura dell’art. 19, stabilendo che «[a]llo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti».

Norma che pacificamente si applica alle persone straniere prive di titolo di soggiorno (“comunque presenti”) e che non pone nessuna condizionalità all’esercizio dei diritti fondamentali, rinviando sia all’ordinamento interno che a quello internazionale e, come detto, trova applicazione concreta nell’art. 19.

L’autonomia dell’art. 19 TU rispetto alla protezione internazionale è ancora più chiara guardando al terzo ambito contenuto nella disposizione, cioè il divieto di espulsione o respingimento per rischio di violazione di obblighi costituzionali o internazionali di cui all’art. 5, comma 6, TU 286/98. Norma, quest’ultima, che, ripristinata (sia pur parzialmente) in via autonoma dal dl n. 130/2020 dopo l’abrogazione operata dal dl n. 113/2018, e inserita anche nell’art. 19 TU, è sopravvissuta alla scure del legislatore attuale, memore forse del monito del Presidente della Repubblica al momento dell’emanazione del decreto legge del 2018, secondo cui «restano “fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato”, pur se non espressamente richiamati nel testo normativo, e, in particolare, quanto direttamente disposto dall’art. 10 della Costituzione e quanto discende dagli impegni internazionali assunti dall’Italia»[46].

L’art. 5, comma 6, è collocato in due parti del medesimo TU immigrazione (quella dell’art. 5, che disciplina ordinariamente il permesso di soggiorno, e quella dell’art. 19, contenente i divieti di espulsione o respingimento), a significarne la natura fondamentale e inderogabile in entrambi i contesti, a fronte della quale lo Stato non può limitarsi ad astenersi dal disporre l’allontanamento della persona dal territorio nazionale, ma è tenuto a rilasciare un titolo di soggiorno. Non solo obbligo negativo (divieto di allontanamento), ma obbligo positivo di legittimazione al soggiorno in presenza di un imperativo costituzionale o internazionale. L’inserimento dell’art. 5, comma 6, anche all’interno dell’art. 19, comma 1.1 del TU 286/98 non è inutile duplicazione di un medesimo dispositivo giuridico, bensì rafforzamento o esplicitazione dell’obbligo positivo dello Stato di rilasciare un permesso di soggiorno a colui/colei che versi in una delle ampie fattispecie corrispondenti al dispositivo normativo. Detto in altri termini, l’obbligo negativo dello Stato (di non allontanare o respingere) di cui all’art. 19, commi 1 e 1.1, TU (ma lo stesso vale per i commi 1-bis e 2) si traduce espressamente in obbligo positivo mediante l’art. 5, comma 6, TU, che impedisce il rifiuto del permesso di soggiorno in presenza di obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano imponendone il rilascio. Previsione rafforzata dal successivo comma 9 dell’art. 5 TU, a mente del quale «[i]l permesso di soggiorno è rilasciato, rinnovato o convertito entro sessanta giorni dalla data in cui è stata presentata la domanda, se sussistono i requisiti e le condizioni previsti dal presente testo unico e dal regolamento di attuazione per il permesso di soggiorno richiesto ovvero, in mancanza di questo, per altro tipo di permesso da rilasciare in applicazione del presente testo unico».

Il divieto di allontanamento (ma anche di respingimento, e la differenza non è di poco conto) contenuto nell’art. 19 trova concretezza nell’obbligo di espressa certificazione (il permesso) della condizione sottesa a uno dei divieti, come avviene per le fattispecie delineate nel comma 2 del medesimo art. 19, per le quali il regolamento di attuazione, dPR n. 394/1999, all’art. 28 dispone la tipologia di permesso di soggiorno.

Non si ignora che l’art. 11, comma 1, lett. c-ter, dPR n. 394/99, che prevedeva il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari in riferimento all’art. 5, comma 6, e all’art. 19 TU 286/98, sia stato abrogato con il dl n. 113/2018 e che la riforma del 2020 non abbia provveduto a ripristinarlo (perché la disciplina era già delineata nell’art. 19 riformato, che al comma 1.2 prevedeva il rilascio del permesso di soggiorno, il cui contenuto era disciplinato dall’art. 32, comma 3, d.lgs n. 25/2008). Tuttavia, l’assenza di normazione secondaria, in particolare della tipologia di permesso rilasciabile ai sensi dell’art. 19, commi 1 e 1.1, o dell’art. 5, comma 6, TU immigrazione, non può certamente elidere la norma primaria al punto da renderla inattuabile, pena la violazione dei diritti fondamentali sottostanti e anche del principio di gerarchia delle fonti. 

Come già detto, dottrina e giurisprudenza prevalenti ritengono che la protezione umanitaria e poi speciale discenda in via diretta dall’asilo costituzionale ex art. 10, comma 3, Cost. (da ultimo: Cass., sez. unite, nn. 29159/2019 e 24413/2021 e, ancor prima, Cass., nn. 10686/2012 e 16362/2016, nonché Corte cost., n. 194/2019), condividendo con la protezione internazionale la natura di diritto umano fondamentale (Cass., sez. unite, n. 19393/2009) e oggi sempre più qualificata come complementare, «termine che consente di sottolinearne al tempo stesso tanto la prossimità rispetto alla protezione internazionale quanto l’autonomia»[47]

Se, pertanto, la protezione speciale/umanitaria fa parte del complessivo diritto d’asilo, di derivazione in parte unionale in parte nazionale, è proprio l’unitarietà del sistema che non permette di escludere il riconoscimento di un diritto fondamentale, che fa parte del medesimo dispositivo costituzionale, individuando un unico percorso procedurale di accertamento (quello della protezione internazionale), e dunque la lacuna regolamentare va riempita applicando analogicamente la medesima qualificazione di richiedente asilo per la persona straniera che chieda autonomamente e direttamente il riconoscimento della protezione in applicazione dell’art. 19, commi 1 e 1.1, TU 286/98, cioè senza passare obbligatoriamente dalla procedura di protezione internazionale.

Il permesso di soggiorno che verrà, in tal caso, rilasciato sarà quello previsto dall’art. 11, comma 1, lett. a, dPR n. 394/99, ovverosia: «per richiesta di asilo, per la durata della procedura occorrente, e per asilo»[48].

Riprende vigore, dunque, quanto già ritenuto dalla Corte di cassazione a sezioni unite con la sentenza n. 4674/1997, in cui si poneva la questione «se, in mancanza di una specifica normativa di attuazione del precetto dell’art. 10, terzo comma, Cost., la normativa che disciplina il riconoscimento dello status di rifugiato politico sia applicabile anche in tema di riconoscimento del diritto di asilo», domanda a cui le sezioni unite hanno risposto negando la coincidenza dei due diritti e affermando «il carattere precettivo e la conseguente immediata operatività della disposizione costituzionale (…) anche in mancanza di una legge che, del diritto stesso, specifichi le condizioni di esercizio e le modalità di godimento».

Importante è anche quanto di recente affermato dalla Cassazione (n. 8400/2023) proprio con riguardo alla natura dell’art. 5, comma 6, TU 286/98:

«Con la reintroduzione, nell’art. 5 T.U.I della clausola di salvaguardia del rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato il D.L. n. 130 del 2020 ha rinforzato l’attuazione del diritto costituzionale di asilo di cui all’art. 10 Cost., comma 3; posto che gli obblighi costituzionali o internazionali gravanti sullo Stato sono ovviamente cogenti a prescindere dal loro richiamo nel decreto legge de quo, a tale richiamo non può attribuirsi altro senso, se non lo si voglia degradare a mero orpello retorico, che quello di segnalare la possibilità di situazioni nelle quali detti obblighi non risultino compiutamente soddisfatti dalle previsioni normative relative alle protezioni maggiori ed alle protezioni speciali introdotte dal D.L. n. 113 del 2018 e incrementate dallo stesso D.L. n. 130 del 2020; vale a dire che il sistema non può ritenersi completo se sfornito di una misura in funzione di chiusura, che consenta di estendere la protezione anche ad ipotesi non legislativamente tipizzate, pur se saldamente ancorate ai precetti costituzionali e delle convenzioni internazionali».

Pertanto, se anche oggi manca una disciplina attuativa completa (anche) del diritto d’asilo costituzionale, per effetto dell’inopportuna abrogazione della parte dell’art. 19, comma 1.2, TU 286/98 che esplicitava l’autonomia della domanda di suo accertamento, non può essere il solo difetto di disciplina regolamentare a impedire l’attuazione del precetto costituzionale. 

Alle medesime conclusioni si perviene anche nel caso in cui si ritenga (ad avviso di chi scrive, del tutto infondatamente) che l’art. 19, commi 1 e 1.1, TU 286/98 sia oggi applicabile solo nel contesto della protezione internazionale. In detta prospettiva, infatti, rimane comunque la valenza giuridica autonoma dell’art. 5, comma 6, TU 286/98, che impone allo Stato di rilasciare un permesso di soggiorno in presenza di obblighi costituzionali o internazionali, ed è incontestabile che non siano racchiudibili in un numero tassativo ma soggetti all’evoluzione del catalogo dei diritti umani e all’azione interpretativa di essi. Tra i tanti, possono elencarsi: il diritto a una vita dignitosa e non discriminatoria (artt. 2 e 3 Cost.), il diritto all’asilo come declinato ampiamente nell’art. 10, comma 3, Cost., che comprende tutte le libertà fondamentali indicate nella Carta costituzionale, il diritto alla pace (art. 11 Cost.), il diritto all’abitazione (Corte cost., nn. 44/2020 e 145/2023, con ampi riferimenti a precedenti pronunce), il diritto alla famiglia e alla parità di genere (artt. 3, 29 e 30 Cost. e art. 8 Cedu), il diritto del minore alla protezione e all’istruzione (artt. 30 e 34 Cost.), il diritto alla difesa (art. 24 e 113 Cost.), il diritto alla libertà personale (art. 13 Cost.), il diritto alla salute (art. 32 Cost.), il diritto alla tutela dell’ambiente (artt. 9 e 41 Cost.), l’obbligo di tutela del lavoro in tutte le sue forme (art. 35 Cost.), i diritti declinati nel Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali del 1966 e del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966 (ratificati con legge n. 881/1977), quelli della Convenzione europea dei diritti umani (alcuni dei quali inderogabili: artt. 2, 3, 4, par. 1, e 7), i diritti definiti nella Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989 (ratif. con legge n. 176/1991), quelli della Convenzione di Istanbul del 2011 a tutela della violenza basata sul genere (ratif. con legge n. 77/2013), i diritti della Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni del 2006 (ratif. con legge n. 131/2015), i diritti della Convenzione di Varsavia contro la tratta degli esseri umani (ratif. con legge n. 108/2010), i diritti della Convenzione Onu contro la tortura e i trattamenti inumani e degradanti (ratif. con leggi nn. 498/1988 e 195/2012 - di ratifica del Protocollo addizionale), etc.

Obblighi tutti gravanti sullo Stato italiano in forza dell’art. 10, commi 1 e 2 della Costituzione; a ben vedere, alcuni sono esplicitati anche nell’art. 19, commi 1 (rischi persecutori per i vari fattori ivi indicati) e 1.1, prima parte (rischio tortura o trattamenti inumani e degradanti), ma sono indubbiamente tutti compresi nell’art. 5, comma 6, TU 286/98. 

Questo significa che, per effetto della riforma all’art. 19 TU operata dal dl n. 20/2023 e dalla sua legge di conversione (n. 50/2023), l’art. 5, comma 6, torna a riespandersi in tutta la sua portata originaria, divenendo fonte e legittimazione per il rilascio del permesso di soggiorno in presenza di obblighi costituzionali o internazionali, rafforzato (anche) in riferimento ai divieti generali posti nell’art. 19 TU 286/98, e l’insieme delle due disposizioni non può che coniugare l’obbligo negativo dello Stato con il suo obbligo positivo di certificazione della condizione afferente a un diritto fondamentale, da attuarsi mediante il rilascio di un permesso di soggiorno. Chiarissimo è, infatti, il disposto dell’art. 5, comma 6, TU:

«Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano». 

Norma che, è bene precisare, impone la verifica dell’esistenza di detti obblighi non solo in fase di richiesta di rinnovo di un permesso originariamente ad altro titolo, ma anche in sede di primo rilascio (il «rifiuto»), occasione in cui la persona deve indicare i presupposti costituzionali o internazionali afferenti alla propria ritenuta condizione. 

 

4. Nello specifico del diritto al rispetto della vita privata e familiare ex art. 8 Cedu

L’abrogazione del terzo e del quarto periodo del comma 1.1 dell’art. 19 TU 286/98 esprime chiaramente la volontà politica della nuova compagine governativa e parlamentare di eliminare il diritto alla protezione speciale in caso di violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare. Nonostante quel chiaro intento, la lettura giuridica della norma esclude l’effetto abrogativo di un diritto che in sé non è abrogabile, sia perché contenuto in una norma internazionale (la Convenzione europea dei diritti umani) a valenza costituzionale (artt. 10, commi 1 e 2, e 117 Cost.), sia perché fa parte dell’ambito di applicazione dell’art 5, comma 6, e dunque anche dell’art. 19 TU 286/98.

Anche se non esplicitato nella riforma del 2020, il diritto al rispetto della vita privata e familiare afferiva all’art. 8 Cedu, con la particolarità che il dl n. 130 indicava alle pubbliche autorità italiane i criteri per il suo accertamento, da bilanciare con elementi in parte diversi da quelli indicati nella norma convenzionale[49]. Diritto pacificamente riferibile in modo autonomo e disgiunto alla vita privata o alla vita familiare[50], rilevando, con riguardo alla prima, la verifica dell’integrazione sociale della persona straniera, derivante non solo da attività lavorativa ma in ragione di tutte le relazioni intessute sul territorio nazionale (Cass., sez. unite, n. 24413/2021, con ampi riferimenti alla giurisprudenza Cedu)[51]

Diritto al rispetto della vita privata che, in confronto alle altre fattispecie indicate nell’art 19, ha avuto certamente maggiore applicazione, perché più facilmente allegabile la condizione rispetto ad altri rischi, e infatti decine di migliaia di persone straniere, con statuti personali diversificati ma integranti tutti i requisiti di quel diritto, hanno avuto il riconoscimento della protezione speciale. Non è chiaro perché l’odierno legislatore abbia voluto abrogare quella parte dell’art. 19, comma 1.1, TU 286/98, che rispondeva sia alla possibilità della persona di acquisire un titolo di soggiorno a tutela di un diritto fondamentale, sia al correlato interesse dello Stato di far emergere l’irregolarità della presenza straniera sul territorio nazionale (conseguente all’assenza di effettivi canali regolari d’ingresso) e combattere una consistente fetta di lavoro in nero, con beneficio anche per le casse erariali oltre che della legalità. 

Tuttavia, nonostante l’oggettiva incomprensione della ratio sottesa all’abrogazione in esame, è incontestabile che attraverso l’art. 5, comma 6, TU – sia nella collocazione autonoma che all’interno dell’art. 19, comma 1.1, TU 286/98 – il diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all’art. 8 Cedu sia ancora oggi pienamente riconoscibile e comporti il rilascio del permesso di soggiorno. Esso infatti – già si è detto – è un obbligo internazionale dell’Italia (che ha ratificato la Convenzione europea dei diritti umani con legge n. 848/1955) e anche obbligo costituzionale (art. 10, commi 1 e 2, e art. 117 Cost., parametro interposto di costituzionalità), collegabile anche al dovere di riconoscimento, comunque, dei diritti fondamentali ex art. 2 TU 286/98 e, pertanto, è dovere dello Stato garantirlo concretamente. 

La questione che può porsi, dopo la riforma abrogatrice del dl n. 20/2023, riguarda i criteri di valutazione che dovranno essere utilizzati per l’accertamento di questo diritto, posto che quelli esplicitati dal legislatore del 2020 (durata della presenza sul territorio nazionale, effettività dei vincoli familiari, effettivo inserimento sociale, esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il Paese d’origine) sono stati oggi espunti dalla norma. Quei criteri, tuttavia, sono gli stessi elaborati dalla Corte di Strasburgo[52], per cui continueranno a dover essere utilizzati nell’opera di bilanciamento tra le esigenze dello Stato e la tutela del diritto in esame.

Il problema più complesso riguarda, invece, i destinatari del diritto convenzionale, in quanto l’elaborazione dei criteri da parte della Corte Edu ha riguardato quasi esclusivamente i «settled migrants», ovverosia persone straniere originariamente regolari le quali, per svariati motivi, hanno poi perso il diritto di residenza, anche se è stato notato che recentemente quella limitazione si sta pian piano erodendo[53]

Tuttavia, quei limiti di applicazione non possono valere nell’ordinamento italiano, innanzitutto perché confliggerebbero con i divieti generali di espulsione di cui all’art. 19 e con l’obbligo positivo di cui all’art. 5, comma 6, TU 286/98, i quali non presentano nell’ordinamento italiano nessuna condizione soggettiva di applicazione, perché, come già detto, rappresentano norme di chiusura della complessiva regolamentazione della condizione giuridica delle persone straniere, di per sé derogatorie alla disciplina ordinaria e dunque limite per il potere statale, confermato dall’art. 2 TU, anche in relazione all’art. 8 Cedu. 

Già nella sentenza n. 202/2013, la Corte costituzionale aveva affermato che, se «al legislatore è riconosciuta un’ampia discrezionalità nella regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale, in considerazione della pluralità degli interessi che tale regolazione riguarda», «peraltro, si deve altresì sottolineare che la medesima Corte ha regolarmente ribadito che tale discrezionalità legislativa non è assoluta, dovendo rispecchiare un ragionevole e proporzionato bilanciamento di tutti i diritti e gli interessi coinvolti, soprattutto quando la disciplina dell’immigrazione sia suscettibile di incidere sui diritti fondamentali, che la Costituzione protegge egualmente nei confronti del cittadino e del non cittadino (sentenze n. 172 del 2012, n. 245 del 2011, nn. 299 e 249 del 2010, n. 148 del 2008, n. 206 del 2006, n. 78 del 2005)». Più di recente, in relazione all’automatismo preclusivo all’ingresso e al soggiorno di cui all’art. 4, comma 3, TU 286/98 (dichiarato incostituzionale con sent. n. 88/2023), richiamando sia la pronuncia n. 202/2013 che la precedente, n. 172/2012, il Giudice delle leggi ha precisato che «nel vagliare la complessiva ragionevolezza e proporzionalità delle previsioni che, come nel caso oggi in esame, implicano l’allontanamento dal territorio nazionale di uno straniero, questa Corte ha affermato la necessità di “un conveniente bilanciamento” tra le ragioni che giustificano la misura di volta in volta prescelta dal legislatore, tra le quali, segnatamente, la commissione di reati da parte dello straniero, “e le confliggenti ragioni di tutela del diritto dell’interessato, fondato appunto sull’art. 8 CEDU, a non essere sradicato dal luogo in cui intrattenga la parte più significativa dei propri rapporti sociali, lavorativi, familiari, affettivi” (ordinanza n. 217 del 2021, di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE)».

Il caso esaminato dalla Corte riguardava il rinnovo del permesso di soggiorno per un cittadino straniero gravato da condanna penale per uno dei reati ostativi di cui all’art. 4, comma 3, TU 286/98, che preclude(va) automaticamente il rinnovo, ma è significativo innanzitutto che la censura costituzionale abbia riguardato proprio quell’automatismo, in quanto è «contrario al principio di proporzionalità, letto anche alla luce dell’art. 8 CEDU, escludere, in dette ipotesi, la possibilità che l’amministrazione valuti la situazione concreta, in relazione al percorso di inserimento nella società. Tanto più ove si consideri che si fa qui riferimento, come chiarito, alla sola ipotesi di rinnovo, e non di rilascio, del permesso di soggiorno: ciò che lascia intravvedere, particolarmente in considerazione della circostanza che si tratta di permesso per lavoro, un possibile processo di integrazione dello straniero, processo che sarebbe irreversibilmente compromesso ove non si consentisse la prosecuzione del percorso lavorativo intrapreso».

Dunque, nella pronuncia della Corte, è stata rilevante la presenza sul territorio nazionale della persona straniera e l’integrazione mostrata attraverso il lavoro, e chiaro è l’imperativo espresso del dovere di effettuare sempre un bilanciamento tra le esigenze dello Stato e la tutela di diritti fondamentali, tra i quali quello ex art. 8 Cedu. Necessità di bilanciamento che non è, però, limitata ai “già regolari”, se si considera che nella sentenza n. 88/2023 il Giudice delle leggi ha ribadito i principi espressi nelle precedenti pronunce nn. 202/2013 e 172/2012, le quali si riferivano, invece, a persone totalmente prive di permesso.

Un’ulteriore argomentazione può essere svolta a conforto dell’applicabilità dell’art. 8 Cedu anche alle persone straniere prive di titolo di soggiorno. Se nel biennio di vigenza dell’esplicitazione dei criteri oggi abrogati si è ritenuto che fosse il rimpatrio in sé a rappresentare rischio di violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare accertabile attraverso di essi, e se si condivide che quei criteri sono quelli elaborati dalla Corte di Strasburgo, non vi è ragione logica, né giuridica, per non confermare i medesimi assunti anche oggi, dopo l’intervento abrogatore, perché le fonti normative sono esattamente le stesse (l’art. 8 Cedu e l’art. 19 TU, con i suoi plurimi divieti di espulsione, comprensivi anche del primo) e non c’è dubbio alcuno che l’art. 19 riguardi indistintamente sia i già regolari che gli irregolari. La ricomprensione dell’art. 8 Cedu nell’art. 19 TU immigrazione mediante l’art. 5, comma 6, impedisce che il diritto convenzionale sia destinato alle sole persone straniere con pregressa regolarità di soggiorno perché – giova ribadirlo – l’art. 19 è destinato alla generalità delle persone straniere e lo stesso vale con riguardo all’art. 5, comma 6, che, come si è visto nel precedente paragrafo, riguarda anche il rifiuto e non solo il rinnovo del titolo di soggiorno.

 Dunque, nell’ordinamento nazionale l’art. 8 Cedu rappresenta il limite al potere dello Stato a prescindere dalla condizione soggettiva, con l’importante conseguenza che i criteri di accertamento elaborati dalla Corte di Strasburgo vanno utilizzati qualora, in applicazione dell’art. 5, comma 6, TU 286/98, la persona straniera chieda il riconoscimento del diritto al rispetto della vita privata e familiare. 

Quanto agli elementi afferenti alle esigenze dello Stato, con i quali bilanciare detti criteri soggettivi, saranno tutti quelli previsti dall’art. 8 Cedu, cioè più ampi rispetto a quelli indicati nel quarto periodo oggi espunto dal comma 1.1 dell’art. 19 TU[54], poiché ai motivi pertinenti alla sicurezza e all’ordine pubblico e alla salute pubblica si aggiungeranno quelli indicati nell’art. 8 Cedu, cioè anche il benessere economico del Paese, la protezione della morale o dei diritti e delle libertà altrui, fermo restando il dovere di applicazione del principio di proporzionalità, che trova indiretta espressione anche nella sentenza della Corte costituzionale n. 88/2023.

Sotto altro profilo, premesso che il diritto al rispetto della vita familiare trova già nel TU immigrazione importanti e precise norme che lo garantiscono e sono applicabili a prescindere sia dall’art. 5, comma 6, che dall’art. 19 (art. 5, comma 5, come interpretato da Corte cost., n. 202/2013; artt. 30 e 31, comma 3, TU 286/98), per quanto riguarda il diritto al rispetto della vita privata, autorevole dottrina ha evidenziato non solo un parziale allargamento della giurisprudenza Cedu anche a coloro che non siano «settled migrants», ma soprattutto ha offerto spunti importanti di individuazione del diritto alla vita privata conseguenti a interventi della Corte di giustizia dell’Unione europea che, proprio con riguardo ad esso, fanno riferimento non tanto alle norme convenzionali Cedu quanto al diritto dell’Unione europea e, in particolare, all’art. 7 della Carta fondamentale[55]. Percorso argomentativo che merita senz’altro di essere implementato, per definire il quadro completo della tutela riconoscibile alla persona straniera a garanzia di diritti fondamentali. 

 

4.1. Il bilanciamento per l’accertamento del diritto al rispetto della vita privata e familiare 

La riconoscibilità ancora oggi del diritto al rispetto della vita privata e familiare, nonostante la riforma attuata con il dl n. 20/2023, pone un’ulteriore questione, ovverosia se per il bilanciamento sotteso all’art. 8 Cedu si debba utilizzare ancora il parametro della comparazione inaugurato dalla sentenza n. 4455/2018 della Corte di cassazione e, poi, fatto proprio dalla giurisprudenza di legittimità e di merito.

Ad avviso di chi scrive, tale parametro non è oggi utilizzabile nei termini indicati in detta pronuncia; come è noto, esso era fondato sul raffronto tra la condizione di vulnerabilità del/della richiedente asilo, accertata a partire dalle ragioni che hanno determinato la partenza dal Paese di origine e comparata con il rischio di violazione dei diritti umani in tale Paese in caso di rimpatrio («al di sotto nel nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale»), dopo avere intrapreso un percorso di integrazione in Italia[56]. Quel parametro ha subito, nel corso degli anni, un’evoluzione interpretativa con l’introduzione del concetto di comparazione attenuata, inaugurato da Cass., n. 1104/2020, che ha posto in evidenza che «[i]l giudizio comparativo tra la condizione personale della richiedente asilo e le conseguenze di un suo eventuale rimpatrio (…) non può prescindere dall’analisi e dal significato del sintagma “condizione di vulnerabilità” – vulnerabilità che, alla luce dell’insegnamento delle sezioni unite, rappresenta soltanto una delle ipotesi per le quali può riconoscersi la protezione umanitaria» e che il grado di integrazione sociale effettiva «è sintagma del tutto diverso da quello rappresentato dalla condizione di vulnerabilità del richiedente asilo», arrivando a concludere che «quanto più risulti accertata in giudizio (...) una situazione di particolare o eccezionale vulnerabilità, tanto più è consentito al giudice di valutare con minor rigore il secundum comparationis, costituito dalla situazione oggettiva del paese di rimpatrio, onde la conseguente attenuazione dei criteri – predicati, si ripete, con esclusivo riferimento alla comparazione del livello di integrazione raggiunto in Italia – rappresentati “dalla privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”»[57]

L’individuazione della condizione di vulnerabilità[58] ha via via spostato la lente da quella intrecciata tra passato e futuro (in cui l’integrazione sociale era certamente un importante elemento di raffronto ma, di per sé, non prevalente se non raffrontata con il rischio nel Paese di origine) a un paradigma in cui è il vissuto sul territorio nazionale ad assumere un peso sempre maggiore man mano che si estrinseca, con correlato minor peso del fattore rischio di violazione dei diritti umani nel Paese di rimpatrio. In questi termini si è posta, infatti, la pronuncia della Cassazione a sezioni unite n. 24413/2021, che ha confermato il modello della comparazione attenuata per l’accertamento della protezione umanitaria, e la cui importanza sta anche nell’avere declinato in maniera non tassativa ed elastica gli indici di integrazione, comprensivi di tutti gli aspetti della vita di relazione sociale, che la successiva giurisprudenza ha applicato in differenti contesti soggettivi[59]. A partire da quell’evoluzione, con cui si è sempre più approfondita l’incidenza dell’art. 8 Cedu nell’ordinamento italiano, con la riforma all’art. 19 attuata dal dl n. 130/2020, che sostanzialmente lo richiamava, quel paradigma comparativo è stato del tutto abbandonato poiché era il rimpatrio in sé a rappresentare violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all’art. 8 Cedu[60].

Ora il dl n. 20/2023 ha soppresso l’esplicitazione dei criteri di accertamento del diritto al rispetto della vita privata e familiare, ma non ha certamente abrogato l’art. 8 Cedu, per le ragioni svolte nei precedenti paragrafi; pertanto, se è vero questo, e se è vero che i criteri di accertamento sono esattamente quelli frutto della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, non potrà più essere applicato il paradigma della comparazione, né rigida né mobile, ma dovrà essere effettuato il solo bilanciamento tra quei criteri e le esigenze dello Stato indicate nella norma convenzionale. Ancora oggi, dunque, è il rimpatrio in sé che può rappresentare rischio di violazione del diritto alla vita privata e familiare nella misura in cui sradica la persona straniera dalla vita di relazione costruita nella comunità italiana.

 Bilanciamento che dovrà essere informato dal principio di proporzionalità evocato anche di recente da Corte costituzionale, n. 88/2023, proprio in riferimento all’art. 8 Cedu. In quest’ottica, l’esigenza dello Stato di far rispettare, ad esempio, le regole ordinarie del diritto dell’immigrazione (afferente al «benessere economico del Paese» indicato nell’art. 8 Cedu) dovrà recedere di fronte sia alla mancanza di fatto di canali d’ingresso regolari, sia a indici di integrazione concreti, che esprimano un vissuto nella comunità nazionale a prescindere dalle modalità di ingresso.

 

 

1. Cassazione, sez. unite, n. 24413/2021 utilizza questo emblematico termine per ribadire la forza cogente degli obblighi costituzionali o internazionali (cfr. p.to 30).

2. N. Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 2014; F. Rimoli, Universalizzazione dei diritti fondamentali e globalismo giuridico: qualche considerazione critica, in Aa.Vv., Studi in onore di G. Ferrara, vol. III, Giappichelli, Torino, 2005, pp. 321-362 (vds. www.associazionedeicostituzionalisti.it/old_sites/sito_AIC_2003-2010/materiali/anticipazioni/dirittifondamentali/index.html); I. Belloni, I diritti umani, questi (s)conosciuti, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n. 25/2019 (https://riviste.unimi.it/index.php/statoechiese/article/view/11913/11135); T. Mazzarese, Minimalismo dei diritti: pragmatismo antiretorico o liberalismo individualista?, in Ragion pratica, n. 26/2006, pp. 179-208, consultabile in Jura gentium, 2007 (www.juragentium.org/forum/ignatief/it/mazzares.htm); A. Sciurba, Il dovere di proteggere e il principio di non-refoulement. Storia e confinamenti di una Legge ancestrale, in Cosmopolis, vol. XVIII, n. 2/2021 (www.cosmopolisonline.it/articolo.php?numero=XVI12019&id=9).

3. https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Annual_asylum_statistics.

4. In Italia, ad esempio, il tempo medio di definizione delle cause di protezione internazionale è di almeno 3 anni, con punte che raggiungono anche i 5 anni.

5. https://integrazionemigranti.gov.it/it-it/Ricerca-news/Dettaglio-news/id/2996/Frontiere-esterne-UE-nel-2022-oltre-300-mila-gli-attraversamenti-irregolari-di-migranti-e-rifugiati; Frontex, EU’s external borders in 2022: Number of irregular border crossings highest since 2016, 13 gennaio 2023 (https://frontex.europa.eu/media-centre/news/news-release/eu-s-external-borders-in-2022-number-of-irregular-border-crossings-highest-since-2016-YsAZ29). Vds. anche Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (EUAA), Relazione sull’asilo 2022. Relazione annuale sulla situazione dell’asilo nell’Unione europea, Lussemburgo, 2022 (https://euaa.europa.eu/sites/default/files/publications/2022-07/2022_Asylum_Report_Executive_Summary_IT_0.pdf).

6. Sulla questione dei cd. “corridoi umanitari” in Europa, vds. C. Siccardi, Quali vie di ingresso legale per i richiedenti protezione in Europa? Contesto europeo e costituzionale, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 2/2022, pp. 74-132 (www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-saggi-commenti/saggi/fascicolo-n-2-2022/965-quali-vie-di-ingresso-legale-per-i-richiedenti-protezione-in-europa-contesto-europeo-e-costituzionale) e L. Galli, Quale ruolo degli attori pubblici nella sponsorship privata dei rifugiati? Una riflessione sull’esperienza italiana alla luce di quella canadese, ivi, pp. 133-165 (www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-saggi-commenti/saggi/fascicolo-n-2-2022/966-quale-ruolo-degli-attori-pubblici-nella-sponsorship-privata-dei-rifugiati-una-riflessione-sull-esperienza-italiana-alla-luce-di-quella-canadese). 

7. https://integrazionemigranti.gov.it/it-it/Ricerca-news/Dettaglio-news/id/2996/Frontiere-esterne-UE-nel-2022-oltre-300-mila-gli-attraversamenti-irregolari-di-migranti-e-rifugiati.

8. Secondo l’Unhcr, nel 2022 è aumentato del 21% il numero di rifugiati nel mondo, arrivando all’impressionante complessivo numero di 108,4 milioni, di cui 35,3 milioni hanno attraversato un confine internazionale per trovare protezione, mentre 62,5 milioni di persone sono sfollate interne (il 58%). La maggior parte dei rifugiati continua ad essere accolta in Paesi a basso reddito (www.unhcr.org/news/press-releases/unhcr-calls-concerted-action-forced-displacement-hits-new-record-2022). Per il rapporto completo, vds. Unhcr (Statistics and Demographics Section), Global Trends. Forced Displacement in 2022, Copenhagen, 14 giugno 2023 (www.unhcr.org/global-trends-report-2022). 

9. https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-10443-2023-INIT/en/pdf; https://agenparl.eu/2023/06/13/st-10444-2023-init/; https://it.euronews.com/my-europe/2023/06/08/ue-accordo-tra-i-paesi-membri-sul-nuovo-patto-migrazione-presidenza-svedese-di-turno. Per una prima lettura critica dell’accordo, vds. l’editoriale del Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli (ECRE) del 9 giugno 2023, Migration Pact Agreement Point by Point (https://ecre.org/editorial-migration-pact-agreement-point-by-point/).

10. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, Attirare competenze e talenti nell’UE, COM(2022) 657 final, 27 aprile 2022 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52022DC0657&from=EN).

11. Sul dl n. 1/2023 vds. Asgi, Il decreto legge 2 gennaio 2023, n. 1, convertito in legge 24 febbraio 2023, n. 15 (Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori). Una prima lettura dell’ASGI, (aggiornato al) 4 marzo 2023 (www.asgi.it/wp-content/uploads/2023/03/Commento-d.l.-1.2023_def_6marzo.docx.pdf). Vds. anche L. Masera, Il D.L. Piantedosi sulle operazioni di soccorso in mare: l’ennesimo tentativo di impedire ciò che il diritto internazionale impone e il problema della depenalizzazione come fuga dalla giurisdizione, in Sistema penale, n. 2/2023 (www.sistemapenale.it/pdf_contenuti/1683798228_sp-2023-2-masera.pdf).

12. M. Veglio, La bestia tentacolare. Forme, tempi e luoghi del trattenimento degli stranieri in Italia, in questo fascicolo (anticipato nella rubrica Asgi Diritti senza confini, www.asgi.it/allontamento-espulsione/la-bestia-tentacolare-forme-tempi-e-luoghi-del-trattenimento-degli-stranieri-in-italia/ e in Questione giustizia online, 21 giugno 2023, www.questionegiustizia.it/articolo/la-bestia-tentacolare).

13. Basti evidenziare che l’art. 26 della direttiva 2013/32/UE afferma che «[g]li Stati membri non trattengono una persona per il solo motivo che si tratta di un richiedente. I motivi e le condizioni del trattenimento e le garanzie per i richiedenti trattenuti sono conformi alla direttiva 2013/33/UE.» (par. 1), mentre, a seguito delle modifiche introdotte dalla l. n. 50/2023 all’art. 6 d.lgs n. 142/2015, la lettera d oggi prevede che il richiedente asilo possa essere trattenuto se «è necessario determinare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale che non potrebbero essere acquisiti senza il trattenimento e sussiste rischio di fuga, ai sensi dell’articolo 13, comma 4-bis, lettere a), c), d) ed e), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. La valutazione sulla sussistenza del rischio di fuga è effettuata caso per caso».

14. Decreto del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale del 17 marzo 2023 («Aggiornamento periodico della lista dei Paesi di origine sicuri per i richiedenti protezione internazionale», 23A01952), in GU, 25 marzo 2023, n. 72.

15. È interessante la lettura delle schede acquisite da Asgi, sulla base delle quali l’elenco dei Paesi di origine sicuri è stato implementato con il dm 2023: www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/accesso-civico-asgi-le-schede-dei-paesi-di-origine-sicuri/.

16. M. Flamini, La protezione dei cittadini stranieri provenienti da c.d. Paesi sicuri in seguito alle modifiche introdotte dal d.l. n. 20 del 2023, in Questione giustizia online, 3 luglio 2023 (www.questionegiustizia.it/articolo/protezione-stranieri). 

17. M. Paggi, Le “nuove” disposizioni in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri: il vecchio che avanza, in Questione giustizia online, 6 aprile 2023 (www.questionegiustizia.it/articolo/flussi-paggi).

18. Introdotta con dPR n. 334/2004.

19. Dl n. 89/2011, conv. in legge n. 144/2011.

20. Anche prima dell’introduzione del diritto europeo, la protezione umanitaria era riconosciuta in alternativa al rifugio politico dopo l’eliminazione della riserva di legge alla Convenzione di Ginevra del 1951, attuata dal dl n. 416/1989 e in attuazione della l. n. 388/1993 di ratifica dell’Accordo di Schengen del 1990. Vds., al riguardo, il «Quaderno statistico dal 1990 al 2020» della Commissione nazionale asilo, in cui sono riportate le pur esigue, in rapporto al rifugio politico, statistiche della protezione umanitaria già dal 1990: www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/it/documentazione/statistica/i-numeri-dellasilo.

21. A cui era attribuita la competenza all’esame delle domande ex art. 1 dl n. 416/1989 (conv. con mod. in l. n. 39/90, cd. “legge Martelli”), con cui l’Italia aveva levato la riserva geografica apposta all’atto della ratifica della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, così consentendo l’accesso al rifugio politico a prescindere dal Paese di provenienza.

22. Le Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato sono state istituite dalla legge n. 189/2002 (art. 32, che ha inserito l’art. 1-quater al dl n. 416/1989), in sostituzione della Commissione centrale per il diritto d’asilo, che da allora svolge funzioni di coordinamento e indirizzo.

23. Direttiva 2004/83/CE (poi trasfusa nella dir. 2011/95/UE), cd. “direttiva qualifiche”, e direttiva 2005/85/CE (poi trasfusa nella dir. 2013/32/UE), cd. “direttiva procedure”.

24. P. Bonetti, Il diritto d’asilo in Italia dopo l’attuazione della direttiva comunitaria sulle qualifiche e sugli «status» di rifugiato e di protezione sussidiaria, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1/2008, pp. 13-53; M. Benvenuti, Andata e ritorno per il diritto di asilo costituzionale, ivi, n. 2/2010, pp. 36-58; M. Acierno, La protezione umanitaria nel sistema dei diritti umani, in questa Rivista trimestrale, n. 2/2018, pp. 99-107 (www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/la-protezione-umanitaria-nelsistema-deidiritti-umani_536.php).

25. Trib. Prato 21 dicembre 2013, RG 4857/2013, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1/2014 (Rassegna online, pp. 1 ss.); Trib. Milano, 10 febbraio 2014, RG 42165/201; Trib. Firenze, 19 maggio 2014, RG 6494/2013; Corte appello Roma, 14 luglio 2015, RG 6679/2014; Trib. Firenze, 8 giugno 2016, RG 10617/2015; Trib. Aosta, 2 ottobre 2017, RG 659/2016; Trib. Firenze, 12 giugno 2017, RG 7636/2014, inedite.
Sull’istituto della protezione umanitaria, tra i vari scritti, si vedano: M. Acierno, La protezione umanitaria prima e dopo il decreto legge n. 113 del 2018, in M. Giovannetti e N. Zorzella (a cura di), Ius migrandi. Trent’anni di politiche e legislazione sull’immigrazione in Italia, Franco Angeli, Milano, 2020, pp. 805-820; V. Marengoni, Il permesso di soggiorno per motivi umanitari, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 4/2012, pp. 59-86; P. Morozzo della Rocca, Protezione umanitaria una e trina, in questa Rivista trimestrale, n. 2/2018, pp. 108-116 (www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/protezione-umanitaria-una-e-trina_537.php). Sia consentito il rinvio a N. Zorzella, La protezione umanitaria nel sistema giuridico italiano, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1/2018, pp. 1-32 (www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-saggi-commenti/saggi/fascicolo-n-1-2018-1/208-la-protezione-umanitaria-nel-sistema-giuridico-italiano/file).

26. Per un’analisi dei dati, sia in sede amministrativa che giudiziale, vds. M. Giovannetti, I perimetri incerti della tutela: la protezione internazionale nei procedimenti amministrativi e giudiziari, in Questione giustizia online, 3 maggio 2021 (www.questionegiustizia.it/articolo/i-perimetri-incerti-della-tutela-la-protezione-internazionale-nei-procedimenti-amministrativi-e-giudiziari). 

27. www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/sites/default/files/allegati/quaderno_statistico_per_gli_anni_1990_2020.pdf; www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/sites/default/files/allegati/riepilogo_anno_2021__0.pdf.

28. Oltre a introdurre il permesso per «atti di particolare valore civile» (art. 42-bis TU 286/98), dall’evidente sapore retorico.

29. www.associazionemagistrati.it/allegati/parere-commissioni-civile-e-penale-su-dl-sicurezza-25nov18.pdf. Vds. C. Favilli, Il Re è morto, lunga vita al Re! Brevi note sull’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, in Riv. dir. internaz., n. 1/2019, pp. 164-171; G. Serra, La Corte di cassazione e l’irretroattività del dl 113/2018: tra una decisione annunciata e spunti interpretativi futuri sul permesso di soggiorno per motivi umanitari, in Questione giustizia online, 24 febbraio 2019 (www.questionegiustizia.it/articolo/la-corte-di-cassazione-e-l-irretroattivita-del-dl-_24-02-2019.php); C. Padula, Quale sorte per il permesso di soggiorno umanitario dopo il dl 113/2018?, per Asgi (Diritti senza confini, www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/permesso-umanitario-dopo-decreto-11-2018/) e in Questione giustizia online, 21 novembre 2018 (www.questionegiustizia.it/articolo/quale-sorte-per-il-permesso-di-soggiorno-umanitario-dopo-il-dl-1132018-_21-11-2018.php); M. Benvenuti, Il dito e la luna. La protezione delle esigenze di carattere umanitario degli stranieri prima e dopo il decreto Salvini, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1/2019, pp. 1-39 (www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-saggi-commenti/saggi/fascicolo-n-1-2019-1/345-il-dito-e-la-luna-la-protezione-delle-esigenze-di-carattere-umanitario-degli-stranieri-prima-e-dopo-il-decreto-salvini); L. Minniti, La Costituzione italiana come limite alla regressione e spinta al rafforzamento della protezione dello straniero in Europa (Introduzione), in questa Rivista trimestrale, n. 2/2018, pp. 7-13 (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/505/qg_2018-2_02.pdf); M. Acierno, La protezione umanitaria nel sistema dei diritti umani, ivi, pp. 99-107 (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/511/qg_2018-2_08.pdf); E. Colombo, Il ruolo della protezione umanitaria nel panorama normativo europeo e le possibili implicazioni della sua abolizione, in Eurojus, n. 1/2019, pp. 1-19 (www.eurojus.it/pdf/colombo-erika.docx.pdf); M. Benvenuti, La forma dell’acqua. Il diritto di asilo costituzionale tra attuazione, applicazione e attualità, in questa Rivista trimestrale, n. 2/2018, pp. 14-27 (www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/la-forma-dell-acqua-il-diritto-diasilo-costituzionale-traattuazione-applicazione-eattualita_531.php).

30. I quali si sono aggiunti ai fattori di rischio per razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali.

31. Il comma 1.1 dell’art. 19, inerente al divieto di espulsione o respingimento per rischio di tortura, è stato introdotto dall’art. 3 l. n. 110/2017 – «Introduzione del delitto di tortura nell’ordinamento italiano».

32. Ha, tuttavia, perso l’occasione di ripristinare la sua denominazione da speciale a umanitaria. Tra i tanti scritti, si vedano: P. Bonetti, Il permesso di soggiorno per protezione speciale dopo il decreto legge n. 130/2020: una importante innovazione nel diritto degli stranieri, in Fondazione Migrantes, Il diritto d’asilo. Report 2021, Tau Editrice, Todi (PG); E. Rossi, Novità in tema di permessi di soggiorno e protezione speciale nel d.l. n. 130 del 2020, in Forum di Quaderni costituzionali, n. 1/2021, pp. 74-86 (www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/2021/01/05-Rossi-FQC-1-21.pdf); Scuola superiore della magistratura, Il diritto dell’immigrazione, Quaderno n. 22, Roma, 2022 (stampa: marzo 2023); www.scuolamagistratura.it/nuovi-quaderni-ssm-frontend); M. Betti, I fondamenti unionali e costituzionali della protezione complementare e la protezione speciale direttamente fondata sugli obblighi costituzionali ed internazionali dello Stato, in Questione giustizia online, 28 giugno 2023 (www.questionegiustizia.it/articolo/protezione-complementare); E. Masetti Zannini, Le vulnerabilità tutelabili. La comparazione con il Paese d’origine, in Questione giustizia online, 14 luglio 2023 (www.questionegiustizia.it/articolo/le-vulnerabilita-tutelabili-la-comparazione-con-il-paese-d-origine). Si consenta anche il rinvio al mio La nuova protezione speciale introdotta dal d.l. 130/2020. Tra principio di flessibilità, resistenze amministrative e problematiche applicative, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 2/2021, pp. 129-154 (www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-saggi-commenti/saggi/fascicolo-n-2-2021-1/763-la-nuova-protezione-speciale-introdotta-dal-d-l-130-2020-tra-principio-di-flessibilita-resistenze-amministrative-e-problematiche-applicative); vds., ancora, M. Giovannetti e N. Zorzella (a cura di), Immigrazione, protezione internazionale e misure penali. Commento al decreto legge n. 130/2020, conv. con mod. in legge 18 dicembre 2020, n. 173, Pacini, Pisa, 2021.

33. Per una rassegna delle pronunce succedutesi dal 2021 in poi, vds. “Asilo e protezione internazionale”, nella Rivista Diritto, immigrazione e cittadinanza (www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/rassegne/rassegna-di-giurisprudenza-italiana/asilo-e-protezione-internazionale).

34. Fondazione Ismu («Iniziative e studi sulla multietnicità»), cs del 19 giugno 2023: www.ismu.org/nel-2022-sono-oltre-384-mila-i-permessi-di-protezione-concessi-dai-paesi-ue-comunicato-stampa-19-6-2023/

35. Espressione usata dalla Presidente del Consiglio dei ministri il 10 marzo 2023 a Cutro, nella conferenza stampa di presentazione del nuovo decreto-legge.

36. C. Corsi, Il decreto legge n. 130/2020 tra continuità e cambiamento. Cenni introduttivi sui profili dell’immigrazione e dell’asilo, in Forum di Quaderni costituzionali, n. 1/2021, pp. 67-73 (www.forumcostituzionale.it/wordpress/?p=16148). Vds. anche Id., L’incessante disciplina “emergenziale” dell’immigrazione e dell’asilo, in M. Giovannetti e N. Zorzella (a cura di), Immigrazione, protezione internazionale e misure penali, op. cit., pp.  15-26.

37. Pubblicato in GU, serie generale, 10 marzo 2023, n. 59.

38. Termine usato dal legislatore.

39. Sia consentito il rinvio al mio articolo, L’inammissibile fretta e furia del legislatore sulla protezione speciale. Prime considerazioni, in Questione giustizia online, 4 aprile 2023 (www.questionegiustizia.it/articolo/protezione-speciale-zorzella).

40. In GU, serie generale, 5 maggio 2023, n. 104 – entrata in vigore il 6 maggio 2023.

41. Artt. 19, comma 2, lett. d-bis, e 20-bis TU 286/98. Abrogate le lettere b e h-bis dell’art 6, comma 1-bis, TU immigrazione. 

42. Vds. anche L. Minniti, La valutazione di credibilità come strumento di valutazione della prova dichiarativa. Ragioni e conseguenze, in questa Rivista online, n. 3/2020, pp. 22-42 (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/853/qg_2020-3_minniti.pdf).

43. Cass, sez. unite, n. 29460/2019 (p.to 10).

44. Quando non di quello persecutorio per il riconoscimento del rifugio politico ex art. 7, comma 1, lett. a e b, d.lgs n. 251/2007.

45. La natura autodeterminata della domanda di protezione internazionale non può, infatti, essere confusa con l’imposizione d’ufficio della sua presentazione.

46. www.quirinale.it/elementi/18098.

47. Trib. Bologna, ord. 13 febbraio 2023, RG 12960/2022, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1/2023 (rassegna di giurisprudenza “Asilo e protezione internazionale”, www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-fascicoli/fascicolo-2023-n-1). Vds. A. Di Florio, Dalla protezione umanitaria alla protezione complementare: cos’è cambiato?, in Questione giustizia online, 24 marzo 2023 (www.questionegiustizia.it/articolo/protezione-umanitaria-e-complementare).

48. Interessanti la pronuncia del Tribunale di Bologna del 4 febbraio 2023, RG 10625/2022, che ha applicato l’istituto dell’analogia per il permesso per protezione speciale su domanda diretta al questore, e quella, con differente argomentazione ma con medesimo risultato, indicata nella nota 48. Entrambe pubblicate in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1/2023 (rassegna di giurisprudenza “Asilo e protezione internazionale”, www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-fascicoli/fascicolo-2023-n-1).

49. Il quarto periodo dell’art. 19, comma 1.1, TU 286/98 (oggi abrogato) indicava gli elementi utilizzabili per il bilanciamento tra il diritto al rispetto della vita privata e familiare: «ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica nonché di protezione della salute nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, resa esecutiva dalla legge 24 luglio 1954, n. 722, e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea». Diversamente, l’ingerenza dello Stato nella vita privata e familiare indicata nell’art. 8 Cedu riguarda una misura non solo prevista dalla legge, ma «necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».

50. Corte Edu, Narijs c. Italia, 14 febbraio 2019, ma si veda anche l’ampia rassegna e analisi di M. Ferri, La tutela della vita privata quale limite all’allontanamento: l’attuazione (e l’ampliamento) degli obblighi sovranazionali attraverso la nuova protezione speciale per integrazione sociale, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 2/2021, pp. 77-128 (www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-saggi-commenti/saggi/fascicolo-n-2-2021-1/762-la-tutela-della-vita-privata-quale-limite-all-allontanamento-l-attuazione-e-l-ampliamento-degli-obblighi-sovranazionali-attraverso-la-nuova-protezione-speciale-per-integrazione-sociale). Vds., inoltre, P. Morozzo della Rocca, Il radicamento in Italia come prova del bisogno di protezione e come impedimento al rimpatrio, in Questione giustizia online, 2 dicembre 2021 (www.questionegiustizia.it/articolo/il-radicamento-in-italia-come-prova-del-bisogno-di-protezione-e-come-impedimento-al-rimpatrio).

51. Un’ampia rassegna delle pronunce, di Cassazione e di merito, è rinvenibile nella Rivista online Diritto, immigrazione e cittadinanza, rass. “Asilo e protezione internazionale” (www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it).

52. M. Ferri, La tutela della vita privata, op. cit.

53. M. Ferri, La tutela del diritto alla vita privata quale limite all’allontanamento dello straniero derivante dal diritto dell’Unione europea. Note a margine del d. l. 20/2023, in Eurojus, 17 aprile 2023 (https://rivista.eurojus.it/la-tutela-del-diritto-alla-vita-privata-quale-limite-allallontanamento-dello-straniero-derivante-dal-diritto-dellunione-europea/).

54. «a meno che esso sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica nonché di protezione della salute nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, resa esecutiva dalla legge 24 luglio 1954, n. 722, e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea».

55. M. Ferri, La tutela del diritto alla vita privata, op. cit.

56. «al fine di valutare l’esistenza e l’entità della lesione dei diritti contenuti nell’art. 8 Cedu, occorrerà partire dalla situazione oggettiva del paese di origine del richiedente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza (…). Non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel paese di accoglienza, sotto il profilo del radicamento affettivo, sociale e/o lavorativo, indicandone genericamente la carenza nel paese d’origine, ma è necessaria una valutazione comparativa che consenta, in concreto, di verificare che ci si è allontanati da una condizione di vulnerabilità effettiva, sotto il profilo specifico della violazione o dell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili».
Per un interessante commento, vds. C. Favilli, La protezione umanitaria per motivi di integrazione sociale. Prime riflessioni a margine della sentenza della Corte di cassazione n. 4455/2018, in Questione giustizia online, 14 marzo 2018 (www.questionegiustizia.it/articolo/la-protezione-umanitaria-per-motivi-di-integrazion_14-03-2018.php).

57. In termini anche Cass., n. 11912/2020. 

58. Per un’interessante analisi, anche critica, del concetto di vulnerabilità in rapporto alla protezione umanitaria/speciale, vds. G. Travaglino, La protezione umanitaria tra passato e futuro, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1/2022, pp. 96-139 (www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-saggi-commenti/saggi/fascicolo-n-1-2022/885-la-protezione-umanitaria-tra-passato-e-futuro).
Sul concetto di vulnerabilità è utile riportare il passo di una pronuncia del Tribunale di Milano del 12 maggio 2021, in cui si afferma che «il requisito della “vulnerabilità” nell’individuazione delle condizioni soggettive in presenza delle quali sono ravvisabili seri motivi di carattere umanitario – sufficienti a riconoscere il diritto al rilascio di un permesso di soggiorno ex art. 5 co. 6 del T.U.I. – non va[da] inteso come limitato a concrete situazioni di “pericolo” cui sarebbe esposto un diritto fondamentale dello straniero se costretto al rimpatrio, ma [che] tale vulnerabilità può ravvisarsi anche (in assenza di pericolo) allorché, sulla base di un giudizio prognostico sorretto da una concreta comparazione fra le condizioni soggettive che caratterizzano la sua vita nel nostro Paese e quelle in cui verrebbe a trovarsi nel Paese di origine, si possa ragionevolmente presumere che, se costretto a far rientro nel suo Paese, lo straniero vedrebbe compromesse in modo apprezzabile la sua dignità e il suo diritto ad un’esistenza libera e dignitosa che risulta aver raggiunto» (www.adir.unifi.it/odv/adirmigranti/tribunale-milano-Masetti-Zannini.pdf).

59. Cass., nn. 25734/2021, 41778/2021, 40357/2021, 465/2022, 676/2022, 677/2022, 5467/2022, 10130/2022, 26089/2022, tra le varie.

60. Cass., nn. 7861/2022 e 8373/2022, ma soprattutto Cass., nn. 18455/2022, 37275/2022 e 8400/2023 hanno espressamente escluso che il giudizio di comparazione possa riguardare la protezione speciale innovata dal dl n. 130/2020. Si vedano: C. De Chiara, Il diritto di asilo e il d.l. 130/2020: progressi e occasioni mancate, in Questione giustizia online, 9 dicembre 2020 (www.questionegiustizia.it/articolo/il-diritto-di-asilo-e-il-d-l-130-2020-progressi-e-occasioni-mancate); C. Corsi, Il decreto legge n. 130/2020 tra continuità e cambiamento. Cenni introduttivi sui profili dell’immigrazione e dell’asilo, in Forum di Quaderni costituzionali, n. 1/2021, pp. 67-73 (www.forumcostituzionale.it/wordpress/?p=15680); N. Zorzella, La nuova protezione speciale introdotta dal d.l. 130/2020, op. cit.; A. Di Florio, Dalla protezione umanitaria alla protezione complementare, op. cit.