Le (apparentemente) minime modifiche alle disposizioni in materia di espulsioni apportate dal dl n. 20/2023
Al fine dichiarato di velocizzare l’esecuzione dei provvedimenti espulsivi, il dl 10 marzo 2023, n. 10, all’art. 9, abroga due disposizioni poco note: quella che prevede la convalida, da parte del giudice di pace, dei provvedimenti di accompagnamento alla frontiera disposti dal giudice penale, e quella che prevede l’invito al volontario esodo disposto a corredo dei provvedimenti di rigetto delle istanze di rilascio/rinnovo dei permessi di soggiorno, prima di adottare provvedimenti di espulsione. Nel primo caso, qualora intercorra – come accade sovente – un significativo lasso temporale tra le due fasi, l’eventuale insorgenza, nelle more, di una condizione di inespellibilità non ha più una sede in cui poter essere valutata. La seconda previsione comporta che, contestualmente alla notificazione del diniego dell’istanza di rilascio/rinnovo di qualsiasi permesso di soggiorno, possa essere adottato ed eseguito un decreto di espulsione immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a impugnazione: ne deriva un grave ostacolo all’esercizio del diritto difesa e all’accesso ad un rimedio effettivo avverso i provvedimenti di diniego delle autorizzazioni al soggiorno, stante l’autonomia del giudizio avverso l’espulsione rispetto a quello avverso l’atto presupposto.
1. Premessa / 2. L’abrogazione della convalida dell’accompagnamento coattivo alla frontiera nei casi di espulsione disposta in sede penale e i suoi effetti / 3. L’abrogazione dell’invito al volontario esodo prima di procedere a espulsione, in tutti i casi di rigetto delle domande di rilascio e rinnovo dei permessi di soggiorno, e i suoi effetti
1. Premessa
Il capo II del decreto-legge n. 20/2023, rubricato «Disposizioni in materia di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare», prevede all’art. 9, commi 2 e 3, due brevi disposizioni in materia di espulsioni che abrogano, rispettivamente, l’obbligo di convalida giurisdizionale dell’accompagnamento coattivo alla frontiera nei casi di espulsione disposta come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale, e la previsione di cui all’art. 12, comma 2, dPR n. 394/1999, secondo cui il questore, in caso di rifiuto del permesso di soggiorno, concede(va) al denegato un termine non superiore a 15 giorni per il volontario esodo dal territorio dello Stato, prima di procedere all’adozione del provvedimento di espulsione in ipotesi di inottemperanza all’invito.
Entrambe le modifiche paiono giustificate dalla necessità di velocizzare l’esecuzione di provvedimenti ablativi.
Esaminiamole analiticamente.
2. L’abrogazione della convalida dell’accompagnamento coattivo alla frontiera nei casi di espulsione disposta in sede penale e i suoi effetti
L’art. 13, comma 5-bis, d.lgs n. 286/1998 prescrive che il questore comunichi al giudice di pace, entro 48 ore dalla sua adozione, il provvedimento con il quale è disposto l’accompagnamento alla frontiera dello straniero nei cui confronti sia stato adottato un provvedimento di espulsione (o di respingimento differito) per la necessaria convalida giurisdizionale, da assumersi entro le successive 48 ore. La previsione della convalida del decreto di accompagnamento coattivo alla frontiera consegue al costante insegnamento della giurisprudenza costituzionale, secondo cui non solo il trattenimento amministrativo, ma pure l’accompagnamento coatto alla frontiera comporta restrizione della libertà personale e, pertanto, soggiace alle garanzie cui all’art. 13, comma 3, Cost. (Corte cost., nn. 105/2001, 222/2004 e 275/2017).
I casi in cui l’espulsione (o il respingimento differito) sono disposti con le forme dell’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica sono specificati all’art. 13, comma 4, d.lgs n. 286/98 e, tra questi, alla lett. f «nelle ipotesi di cui agli artt. 15 e 16 e nelle altre ipotesi in cui sia stata disposta l’espulsione dello straniero come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale» è questa la disposizione ora abrogata.
Com’è facilmente intuibile, secondo la relazione illustrativa al ddl di conversione in legge del dl in commento, la modifica si rende necessaria «al fine di evitare di sottoporre a convalida del giudice di pace l’esecuzione del decreto di espulsione disposta da un’altra autorità giudiziaria, in forza degli artt. 15 e 16 dello stesso decreto legislativo. Si tratta di un alleggerimento dell’attuale procedura che non incide sulle garanzie di tutela giurisdizionale dello straniero». Siccome si tratta di provvedimenti disposti fin dall’origine dall’autorità giudiziaria, sarebbe ultronea la successiva convalida giurisdizionale. Trattandosi di provvedimenti non emessi dall’autorità di pubblica sicurezza, non trova applicazione la previsione dell’art. 13, comma 3, Cost., il che parrebbe ragionevole, almeno nei casi in cui non trascorra un apprezzabile lasso di tempo tra la decisione giudiziale e il rimpatrio coatto.
Qualora, invece, si verificasse in concreto uno iato temporale significativo tra l’adozione del provvedimento di espulsione e la sua esecuzione, l’eventuale insorgenza – nelle more – di condizioni di inespellibilità riconducibili all’ancora ampio novero dell’art. 19, d.lgs n. 286/98 non avrebbero una sede in cui essere adeguatamente valutate, con il rischio di allontanare coattivamente persone che sono – successivamente all’adozione giudiziale, ma prima della sua esecuzione – divenute inespellibili.
Al fine di verificare la fondatezza di questa preoccupazione, occorre esaminare la fase esecutiva delle espulsioni giudiziali (a titolo di sanzione penale o come conseguenza di sanzione penale) che sono sempre eseguite dal questore con le modalità di cui all’art. 13, comma 4, d.lgs n. 286/98, cioè sempre con le forme dell’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, derogabile solo alla ricorrenza degli ostacoli transitori di cui all’art. 14, comma 1 dello stesso decreto legislativo, principalmente l’indisponibilità del vettore (con esclusione delle ipotesi correlate alla necessità di identificazione dello straniero, che è un presupposto di applicabilità delle espulsioni giudiziali), che giustifica il trattenimento amministrativo o l’adozione del decreto questorile di allontanamento.
Viene innanzitutto in rilievo l’espulsione a titolo di misura di sicurezza che presuppone una valutazione di pericolosità sociale da parte del giudice del merito, che deve essere riesaminata dal magistrato di sorveglianza, di norma in prossimità del termine di espiazione della pena, di modo che la misura venga eseguita al fine pena. Non sempre, però, il riesame dell’attualità della pericolosità avviene tempestivamente: può invero accadere che avvenga dopo l’avvenuta scarcerazione; in tal caso, qualora la pericolosità venga confermata come attuale, si darà esecuzione alla misura di sicurezza quando lo straniero verrà rintracciato. È pertanto possibile che, nelle more, siano sopravvenute condizioni di inespellibilità. In questi casi, se lo straniero viene immediatamente espulso coattivamente, beninteso dopo essere rintracciato, senza procedere a convalida giurisdizionale, non avrà modo di far valere il suo diritto soggettivo a non essere rimpatriato.
Invece, qualora la misura di sicurezza, pur tempestivamente confermata dal magistrato di sorveglianza prima del termine di esecuzione della pena, non possa essere eseguita per indisponibilità del vettore (ipotesi frequente), il questore dispone il trattenimento in un centro per il rimpatrio, soggetto a convalida del giudice di pace.
Ebbene, posto che trattenimento amministrativo e accompagnamento alla frontiera costituiscono entrambi restrizione della libertà personale (secondo la citata giurisprudenza costituzionale), non pare chiara la ratio per cui per il primo caso si proceda alla convalida, mentre, per il secondo, non più.
Invece, per quanto concerne le espulsioni a titolo di sanzione sostitutiva (art. 16, commi 1 ss., d.lgs n. 286/98) e alternativa alla detenzione (art. 16, commi 5 ss., d.lgs n. 286/98), il comma 9 stabilisce espressamente che non si applichino ai casi di cui all’art. 19, mentre il successivo comma 9-bis (introdotto con dl n. 13/2017, convertito con modificazioni nella l. n. 46/2017) prescrive che «quando non è possibile effettuare il rimpatrio dello straniero per cause di forza maggiore, l’autorità giudiziaria dispone il ripristino dello stato di detenzione per il tempo strettamente necessario all’esecuzione del provvedimento di espulsione».
Tuttavia, a ben vedere, lo stato di detenzione può essere ripristinato a condizione che la pena detentiva non sia ancora stata interamente espiata; diversamente, tali espulsioni sono destinate a venir meno (essendo esaurite le pene principali, cioè quelle destinate a essere sostituite con l’espulsione).
Pertanto, o si effettua il passaggio diretto carcere/confine, oppure queste espulsioni si estinguono.
Infine, per quanto riguarda le residue ipotesi di espulsioni giudiziali, disposte dal giudice di pace a titolo di sanzione sostitutiva dell’ammenda in caso di condanna per la contravvenzione di cui all’art. 10-bis, d.lgs n. 286/98, ovvero a titolo di pena sostitutiva della multa, in caso di condanna per i delitti d’inosservanza, anche reiterata, del decreto questorile di allontanamento di cui all’art. 14, commi 5-ter e 5-quater, d.lgs n. 286/98, esse possono essere disposte nell’ambito di procedimenti penali in cui certamente l’imputato è a piede libero, spesso assente o contumace, celebrati a distanza di mesi o anni dall’accertamento del fatto. Quindi, nelle more dell’esecuzione dell’espulsione disposta dal giudice di pace a titolo di sanzione sostitutiva della pena pecuniaria, il condannato/espulso può trovarsi in condizioni di inespellibilità che non sussistevano al momento dell’adozione del provvedimento ovvero che non erano note. E siccome, evidentemente, non può trovare applicazione la citata previsione di cui all’art. 16, comma 9-bis, d.lgs n. 286/98, atteso che non è possibile disporre il ripristino di uno stato di detenzione che non è previsto dalla legge per questi reati, a maggior ragione è gravemente lesiva della tutela delle eventuali condizioni d’inespellibilità dello straniero l’abrogazione dell’udienza di convalida dell’accompagnamento coattivo.
3. L’abrogazione dell’invito al volontario esodo prima di procedere a espulsione, in tutti i casi di rigetto delle domande di rilascio e rinnovo dei permessi di soggiorno, e i suoi effetti
La seconda modifica comporta, come all’inizio accennato, l’abrogazione della concessione del termine di 15 giorni per il volontario esodo dal territorio dello Stato, concesso dal questore in caso di rifiuto del permesso di soggiorno. Si tratta della disposizione contenuta nel comma 2 dell’art. 12 dPR n. 394/1999 (regolamento di attuazione del Testo unico n. 286/98).
Per ben comprendere la portata della modifica, occorre illustrare questa disposizione regolamentare, peraltro poco esaminata dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
Sotto la rubrica «Rifiuto del permesso di soggiorno», l’art. 12 dPR n. 394/99 prescrive al comma 1 che il questore, quando il permesso di soggiorno è rifiutato (senza distinzione alcuna tra primo rilascio e rinnovo), avvisa l’interessato, facendone menzione nel provvedimento di rifiuto, che, sussistendone i presupposti (quando non è rilasciabile un permesso di soggiorno diverso da quello richiesto), si procederà all’esecuzione dell’espulsione, ovviamente se lo straniero continua a permanere sul territorio dello Stato illegalmente. Il comma 2, che si pone in logica correlazione col comma precedente, prescrive che con il provvedimento di rigetto il questore concede allo straniero un termine non superiore a 15 giorni lavorativi per presentarsi al posto di frontiera indicato e lasciare volontariamente il territorio dello Stato, avvisandolo che, in difetto, si procederà all’adozione dell’espulsione. Occorre ancora precisare che l’incipit del comma 1 prevede che l’avviso in questione venga disposto «salvo che debba disporsi il respingimento o l’espulsione immediata con accompagnamento alla frontiera». Questa previsione, risalente al 1999, era conseguente al regime espulsivo disegnato dalla legge “Turco-Napolitano”, secondo cui non tutte le espulsioni erano immediatamente esecutive. Fu solo a partire dal 2002, con le modifiche apportate dalla legge “Bossi-Fini”, che si introdusse la previsione, tutt’ora vigente, secondo cui «L’espulsione è disposta in ogni caso con decreto motivato immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o impugnativa» (art. 13, comma 3, d.lgs n. 286/98), ma la norma regolamentare non venne aggiornata e ha sempre trovato puntuale applicazione nelle prassi.
In effetti, trattasi di disposizione utilissima: dal momento della notifica del rifiuto di rilascio/rinnovo del titolo di soggiorno lo straniero è irregolare e – non potendo smaterializzarsi come d’incanto – è logica l’attribuzione di un termine entro il quale allontanarsi: il cd. “volontario esodo”, che, se rispettato, gli consente di fare successivo ingresso legale in Italia e nell’area Schengen sussistendone i presupposti, evitando così le conseguenze dell’espulsione consistenti nel divieto di reingresso da 3 a 5 anni e nella segnalazione, ai fini della non ammissione, nel sistema d’informazione Schengen (SIS).
Si consideri, ancora, che i provvedimenti di rigetto delle domande di permesso di soggiorno sono immediatamente esecutivi, salvo impugnazione innanzi al tar, ovvero innanzi alle sezioni specializzate per l’immigrazione, nei casi delineati dall’art. 3, l. n. 46/2017, con richiesta di domanda cautelare, sicché la previsione del termine per il volontario esodo consente di proporre tempestivamente i necessari mezzi d’impugnazione e di attendere la pronuncia cautelare.
A ciò si aggiunga che, nei numerosissimi casi di rifiuto del rilascio/rinnovo dei titoli di soggiorno per motivi di lavoro (per sopravvenuta disoccupazione determinata dalla crisi economica, per carenza dei limiti reddituali, etc.), che riguardano sovente lavoratori stranieri con un pregresso di regolarità – talvolta pure risalente, nel nostro Paese –, il riparto di giurisdizione impedisce al giudice ordinario, cui compete il sindacato di legittimità del decreto di espulsione disposto a seguito del rifiuto del permesso di soggiorno, di conoscere – seppur incidentalmente – la legittimità dell’atto presupposto. Infatti, la Cassazione statuì che al giudice ordinario non spetta alcuna valutazione relativa al permesso di soggiorno poiché tale sindacato spetta al giudice amministrativo, sicché la disapplicazione incidentale dell’atto amministrativo comporterebbe un’usurpazione di attribuzioni da parte del giudice ordinario rispetto a quello amministrativo (Cass., sez. unite, 16 ottobre 2006, n. 22217).
È, pertanto, di solare evidenza che l’abrogazione del cd. termine di grazia di 15 gg. per evitare di essere espulsi, contestualmente alla notifica del provvedimento di diniego di qualsiasi permesso di soggiorno, rappresenta un gravissimo vulnus all’esercizio in concreto del diritto di difesa e del diritto a un rimedio effettivo contro i provvedimenti della p.a.
Stando alla relazione illustrativa al ddl di conversione in legge del dl in commento, la modifica si renderebbe necessaria perché il termine in questione sarebbe superato dalle norme unionali:
«La novella in esame costituisce la puntuale attuazione dell’art. 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115/CE [nota come “direttiva rimpatri” - ndr] (…) l’invito del questore configge proprio con la predetta direttiva. È nell’ambito del provvedimento di rimpatrio che può essere conferito un termine per la partenza volontaria. Valutazione, questa, a cura del prefetto (ai sensi dell’art. 13 del T.U.Imm.) e non del questore. L’invito previsto dal citato art. 12 allunga irragionevolmente, disallineando l’orientamento interno dalla disciplina unionale, i tempi dell’avvio del procedimento di rimpatrio (…). Tale disciplina recepisce le indicazioni contenute nei punti 1 e 2 della raccomandazione relativa alla correzione delle carenze nella valutazione 2021 dell’Italia sull’applicazione dell’acquis di Schengen in materia di rimpatrio di cui alla decisione di esecuzione del Consiglio del 17.6.2022 (doc. 10402/22)».
La citata raccomandazione invita l’Italia a:
«1. assicurare che sia emessa senza inutili ritardi una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di paese terzo la cui domanda di soggiorno regolare o di protezione internazionale sia stata rigettata in linea con l’art. 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115/CE;
2. garantire che le decisioni di rimpatrio e i provvedimenti di allontanamento impongano un chiaro obbligo di rimpatrio in un paese terzo conformemente alla definizione di rimpatrio di cui all’art. 3, punto 3 della direttiva 2008/115/CE».
Peccato, però, che la relazione illustrativa dimentichi altre raccomandazioni, pure indicate all’Italia nella citata raccomandazione del Consiglio. Ci si riferisce, tra la altre, alla racc. n. 3, ove si legge che l’Italia dovrebbe «garantire il rispetto al diritto di essere ascoltati prima di adottare una decisione di rimpatrio, al fine di tenere debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti di ogni singolo caso»; previsione, questa, non recepita nell’ordinamento interno, posto che i provvedimenti di espulsione sono adottati inaudita altera parte, immediatamente esecutivi anche se sottoposti a gravame o impugnativa (art. 13, comma 3, d.lgs n. 286/98), sicché può ben ritenersi che la disposizione abrogata costituisca un temperamento al rigido automatismo espulsivo, consentendo la tutela giurisdizionale, almeno a livello cautelare, avverso i provvedimenti di diniego di una «domanda di soggiorno regolare o di protezione internazionale» prima di accedere alla decisione di rimpatrio. È esattamente in questo contesto che va esaminata la possibilità di accedere all’espulsione con concessione di un termine per la partenza volontaria, cui si fa cenno nella relazione illustrativa, rispetto alla quale risulterebbe superflua la previsione ora abrogata. A questo proposito, occorre sottolineare che l’esecuzione dell’espulsione con concessione della partenza volontaria, pur privilegiata dalla direttiva rimpatri, ha avuto attuazione a dir poco “omeopatica” nell’ordinamento nazionale, stante l’estrema ampiezza del perimetro di esclusione come delineato all’art. 13, commi 4, 4-bis, 5, 5.1 e 5.2, dlgs n. 286/98, sicché non si può certo sostenere che possa adeguatamente fronteggiare le elementari esigenze di tutela del diritto di difesa, a differenza della disposizione soppressa.
L’art. 6, par. 1 della citata direttiva prescrive: «Gli stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5». Ebbene, il par. 4 indica un’importante deroga alla decisione di rimpatrio, prevedendo che «In qualsiasi momento gli Stati membri possono decidere di rilasciare per motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura un permesso di soggiorno autonomo (…) che conferisca il diritto di soggiorno a un cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare. In tal caso non è emessa la decisione di rimpatrio». Tale previsione è destinata a restare sulla carta in assenza di modalità concrete di attuazione, come nell’ipotesi – ora prevista dal dl in esame – in cui non vi sia soluzione di continuità tra diniego del titolo autorizzatorio al soggiorno e l’espulsione immediatamente esecutiva anche se sottoposta a impugnazione, e, con essa, si verrebbero a travolgere le possibilità di richiedere, prima ancora di rilasciare, il permesso di soggiorno per protezione speciale in presenza degli obblighi di cui all’art. 5, comma 6, d.lgs n. 286/98, vincolanti per l’Italia ma anche, a maggior ragione, in caso di divieti inderogabili di espulsione o respingimento indicati nei commi 1 e 1.1, prima parte, dell’art. 19, o ancora in tutti i casi dell’art. 19, comma 2 del medesimo Testo unico immigrazione.
Infine, un ulteriore argomento a contrasto della novella in oggetto si desume dal combinato disposto dell’art. 13, comma 2, lett. b, d.lgs n. 286/98 con l’art. 1, Protocollo n. 7 Cedu: la prima disposizione prevede che il prefetto disponga l’espulsione quando il permesso di soggiorno è stato revocato, annullato o rifiutato, ma tenendo conto dei criteri di cui al comma 2-bis della medesima disposizione, mentre la seconda prescrive che «uno straniero legalmente residente nel territorio di uno Stato non ne può essere espulso se non in esecuzione di una decisione presa conformemente alla legge e deve poter: (a) far valere le ragioni che si oppongono alla sua espulsione; (b) far esaminare il suo caso; e (c) farsi rappresentare a tali fini davanti all’autorità competente o a una o più persone designate da tale autorità. Uno straniero può essere espulso prima dell’esercizio dei diritti enunciati al paragrafo 1 a, b e c del presente articolo, qualora tale espulsione sia necessaria nell’interesse dell’ordine pubblico o sia motivata da ragioni di sicurezza nazionale».
Occorre precisare che regolarmente soggiornante è la persona straniera che, anche se priva di titolo formale, versi in una condizione di inespellibilità, pur se debba essere formalizzata in un permesso di soggiorno, poiché trattasi di condizione che preesiste al suo accertamento, alla pari della protezione internazionale.
Dunque, l’abrogazione dell’art. 12, comma 2, dPR n. 394/99 confligge con le disposizioni convenzionali, di rango superiore, oltre che con precise norme nazionali, rendendo di dubbia legittimità costituzionale la disposizione abrogante, che potrebbe essere superata pervenendo a un’interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente conforme del vigente sistema, nel senso che ogni provvedimento amministrativo di espulsione di uno straniero già regolarmente soggiornante, ma il cui titolo di soggiorno sia stato revocato, annullato o non rinnovato, non può essere adottata ed eseguita prima che gli sia fornita la possibilità di presentare un ricorso giurisdizionale.
E allora, delle due l’una: o si abroga la norma che prescrive sempre l’immediata esecutività dei provvedimenti ablativi, anche se sottoposti a impugnazione, oppure si mantiene la previsione di cui all’art. 12, comma 2, dPR n. 394/99.