Magistratura democratica

Un pubblico ministero “finalmente separato”? Una scelta poco o per nulla consapevole della posta in gioco. E l’Europa ce lo dimostra

di Mariarosaria Guglielmi

Per avere piena consapevolezza della vera posta in gioco di un processo di riforma avviato verso il superamento del modello costituzionale che vuole il pm inserito nella giurisdizione, è necessario allargare lo sguardo al di là dei confini nazionali e a ciò che succede nello spazio comune di giustizia che abbiamo contribuito a costruire: dall’elaborazione dei principi sull’indipendenza del pm – quale necessario corollario dell’indipendenza dei sistemi giudiziari –, ai meccanismi di tutela messi in atto per difendere questa indipendenza – come valore chiave dello Stato di diritto – dagli attacchi portati dall’interno dell’Unione, alle scelte istituzionali con la creazione di una Procura sovranazionale “indipendente” (EPPO). L’Europa va in un’altra direzione…

1. La separazione delle carriere: un evergreen e – oggi – un obiettivo a portata di mano / 2. Un dibattito interno dallo sguardo molto corto / 3. L’indipendenza del pubblico ministero in Europa: dai principi scritti nelle Carte alle riforme dirompenti per lo Stato di diritto / 3.1. I principi / 3.2. L’esperienza / 3.3. Il pm e lo Stato di diritto / 4. Una scelta istituzionale chiara: la Procura europea

 

1. La separazione delle carriere: un evergreen e – oggi – un obiettivo a portata di mano

Con i ritocchi alla disciplina sul passaggio di funzioni apportati con l’approvazione della riforma Cartabia, si è giunti a distanza di pochissimi giorni dall’insuccesso della consultazione referendaria per una “Giustizia Giusta” a ottenere lo stesso risultato perseguito – intervenendo su ben cinque leggi diverse – con il quesito più difettoso ed astruso: tagliare i ponti fra giudici e pubblici ministeri[1].

L’art. 13 d.lgs n. 160/2006, nella sua nuova formulazione, giunge a un passo dalla rottura formale con l’assetto unitario dell’ordine giudiziario voluto dalla Costituzione: la possibilità di cambiare le funzioni non viene del tutto eliminata ma, di fatto, ostacolata e limitata in modo che resti una opzione sulla carta

Sarà infatti possibile cambiare funzioni, ma una sola volta nell’arco dell’intera carriera; se il passaggio avviene «entro il termine di sei anni dal maturare per la prima volta della legittimazione al tramutamento previsto dall’articolo 194 dell’ordinamento giudiziario» (art. 13, comma 3) – vale a dire, entro nove anni dal conferimento delle funzioni per i magistrati di prima nomina –, varranno i limiti già previsti dalla normativa originaria che non sono stati eliminati; per il passaggio in una fase successiva della carriera, sono state introdotte nuove preclusioni e incompatibilità che, inevitabilmente, porteranno di fatto alla creazione di due corpi separati dall’origine e destinati a rimanere tali: stando al tenore letterale della norma, decorsi i nove anni dalla nomina, un giudice che svolge da sempre o ha svolto in passato le funzioni penali non potrà mai – e a nessuna condizione – effettuare il suo “unico” passaggio alle funzioni requirenti[2].

La riforma frettolosamente votata dal Parlamento, nonostante gli evidenti (e voluti) effetti di sistema che produrrà sull’assetto del pubblico ministero e dell’intero ordine giudiziario, è per molti un sogno nel cassetto che si avvera: il nuovo sistema non può certo dirsi rispondente a oggettive e pressanti esigenze di buona amministrazione della giurisdizione e pone, anzi, nell’immediato una serie di problematiche applicative di non facile soluzione[3]

Se si guarda ai numeri irrilevanti dei magistrati che hanno effettuato il cambio di funzioni alle stringenti condizioni già poste dalla normativa di riforma del 2007[4], si può affermare che questa ulteriore e definitiva stretta risponde a un’unica reale necessità politica: conseguire – come obiettivo intermedio – una separazione di fatto e nei fatti delle carriere, in attesa di tempi migliori per intervenire con modifiche costituzionali sullo statuto complessivo del pubblico ministero che, secondo il disegno del Costituente, garantisce la sua indipendenza e l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. 

Il superamento definitivo del nostro modello costituzionale, dunque, come ulteriore tappa che, nel nuovo scenario politico come quello che potrebbe aprirsi dopo le elezioni di settembre, appare sempre più un risultato a portata di mano[5].

Gli argomenti spesi in questi anni nel dibattito evergreen a sostegno della separazione delle carriere sono fin troppo noti per essere qui di nuovo tutti analiticamente richiamati e confutati[6]

Basta dare uno sguardo al resoconto del dibattito parlamentare che ha portato all’approvazione della riforma per ritrovare le ragioni di sempre. A cominciare dal tema della contiguità fra giudice e pubblico ministero e del condizionamento delle sue decisioni, dovuto alla vicinanza a una delle parti del processo e allo spirito di appartenenza a uno stesso corpo[7]

Un’affermazione divenuta convinzione diffusa, una “verità” che non ammette prova e ragioni contrarie, sebbene rechi in sé una suggestione dirompente: si propone l’idea di una giurisdizione che strutturalmente non è in grado di assicurare equidistanza, e di tutto un sistema di garanzie, istituzionali e processuali, poste a presidio della terzietà del giudice, che viene messo nel nulla dalla sua arrendevolezza verso il pubblico ministero e dall’occhio benevolo con il quale valuta le sue richieste. 

Senza alcun riferimento ai dati di fatto che dovrebbero avallare questa tesi e a quelli relativi ad assoluzioni e accoglimenti delle richieste di misure cautelari che, al contrario, la smentiscono[8], ritornano negli stessi termini slogan e argomenti di chi, oggi come in passato, ha interesse ad avallare l’idea di una giustizia di parte.

Tutte le “buone ragioni” che abbiamo proposto in questi anni a difesa di un modello di pubblico ministero agganciato alla giurisdizione, ed esempio per le magistrature di altri Paesi, non hanno cambiato i termini del dibattito né, evidentemente, portato maggiore consapevolezza delle ricadute di scelte che indeboliscono un assetto ordinamentale delineato a garanzia della effettività della giurisdizione nell’attuazione dei diritti e nella tutela dei valori della legalità. 

Non ci siamo mai sottratti, in questi anni, al confronto con tutte le reali preoccupazioni – impropriamente trasposte sul piano ordinamentale della separazione delle carriere – relative alla crisi del processo penale, agli squilibri fra accusa e difesa prodotti dall’allontanamento del momento della verifica dibattimentale dei risultati delle indagini e dalla fase cautelare. E abbiamo sempre manifestato la nostra contrarietà alla scelta di “separazione” segnalando i rischi di un definitivo distacco del pm dalla giurisdizione: il progressivo scivolamento verso forme sempre più evidenti di personalizzazione e di protagonismo, la ricerca ad ogni costo del risultato per l’accusa, la perdita della cultura delle garanzie. 

Al punto in cui siamo giunti, prendiamo atto della volontà di aprire una breccia nell’assetto costituzionale, senza però rinunciare a osservare che le modalità con le quali si è giunti all’approvazione di una riforma che – come risulta nel dibattito parlamentare, è propedeutica alla definitiva creazione di due corpi separati[9] – ci danno ragione delle preoccupazioni che abbiamo sempre espresso sulle finalità di questa soluzione: per molti, si tratta di chiudere una partita aperta con la magistratura e di ridefinire il complessivo rapporto di equilibrio fra i poteri dello Stato.

 

2. Un dibattito interno dallo sguardo molto corto

Nel tentativo di portare il confronto sulla vera posta in gioco di una riforma avviata verso il superamento del modello costituzionale, e delle possibili ulteriori modifiche di completamento del nuovo assetto che si profilano all’orizzonte – come la creazione di due Consigli superiori separati per i giudici e i pubblici ministeri[10] – dobbiamo provare ad allargare lo sguardo al di là dei confini nazionali. 

Nel nostro dibattito sulla giustizia, la prospettiva che offre questo più ampio angolo visuale continua ad essere trascurata, se non del tutto ignorata. Gli unici richiami a ciò che ci chiede l’Europa che abbiamo sentito in questi anni sono stati utilizzati unicamente in funzione di uno dei cavalli di battaglia dei sostenitori della separazione: il modello italiano rappresenterebbe una assoluta anomalia, posto che nessun altro ordinamento conosce una figura di pubblico ministero con un assetto così forte di indipendenza, derivante dalla sua appartenenza ad un unico ordine giudiziario.

Un argomento smentito dalla direzione tracciata da tempo dagli sviluppi del confronto che, su questi temi, si svolge in ambito sovranazionale. 

La crescita del ruolo del pubblico ministero, l’ampliamento della sua discrezionalità, la posizione chiave che questa figura riveste rispetto al funzionamento della giustizia: su questi profili di sistema, legati al rapporto fra pubblico ministero e Stato democratico di diritto, si è infatti sviluppata una riflessione sempre più attenta ai temi dell’indipendenza – esterna e interna –, dell’accountability e della legittimazione democratica[11]

E sempre maggiore è apparsa la consapevolezza che la collocazione istituzionale del pubblico ministero riveste un’importanza decisiva per i complessivi equilibri fra poteri dello Stato: nell’osservazione delle dinamiche che rendono per il potere esecutivo, interessato a ridefinire a suo vantaggio questi equilibri, molto più attrattivo erodere l’indipendenza del pubblico ministero che compromettere quella dei giudici, si è sempre più chiaramente definito il ruolo chiave del pm indipendente nella tenuta dello Stato di diritto[12].

Argomenti e problematiche di ampia portata, che manifestano tutta la loro rilevanza e attualità anche rispetto a un contesto come il nostro, dove l’indipendenza del pm è scritta (ancora) in Costituzione, ma si sconta un ritardo culturale circa gli strumenti di accountability necessari a controbilanciarla e i meccanismi istituzionali attraverso cui il pm assume la responsabilità sociale, professionale e istituzionale di scelte comunque connotate da discrezionalità[13]

Il tema della separazione della carriere che da sempre domina il nostro confronto sul pm, e che da sempre è incentrato sull’argomento della colleganza con il giudice, ha portato a una polarizzazione delle posizioni (anche difensive) e a non fare passi in avanti: un dibattito ripiegato sulle dinamiche interne, che mostra tutta la sua distanza dalla riflessione di più ampio respiro che oggi richiede la complessità di questa figura istituzionale, e che ritroviamo invece nell’esperienza europea.

 

3. L’indipendenza del pubblico ministero in Europa: dai principi scritti nelle Carte alle riforme dirompenti per lo Stato di diritto

Negli ultimi due decenni, il tema dell’indipendenza del pm, collegato a quello dell’indipendenza dei sistemi giudiziari, ha assunto in Europa assoluta centralità, sia per l’elaborazione di principi e di possibili standard comuni a presidio delle sue funzioni, sia in ragione delle concrete implicazioni del processo di integrazione europea sui sistemi giudiziari nazionali e sulla giurisdizione.

Principi, ma anche esperienza: l’Europa ci pone di fronte ad esempi concreti e attuali di processi di regressione democratica, innescati negli Stati membri da riforme strutturali finalizzate alla presa di controllo dell’esecutivo sull’ordine giudiziario e allo smantellamento di tutto il sistema di checks and balances

Il pm si è rivelato una utile pedina per questa strategia e, comunque, lo strumento duttile per conservare un assetto funzionale al controllo sui giudici.

Non si vuole qui agitare genericamente lo spauracchio dei rischi per la democrazia rappresentati da un pm “braccio armato” dell’esecutivo, o – prospettiva egualmente preoccupante – di un pm “corpo separato”, che detiene un potere e risponde solo a se stesso del modo in cui lo esercita[14], ma sottolineare l’importanza dei valori sottesi alla garanzia di uno statuto di indipendenza del pubblico ministero, e richiamare i rischi rappresentati dalla scelta di rivedere l’ordinamento che lo ha sino ad ora garantito e, in definitiva, dal possibile punto di approdo delle modifiche di equilibri costituzionali posti in funzione della separazione dei poteri.

 

3.1. I principi

Partendo dalle differenze, anche molto significative, degli ordinamenti nazionali sullo statuto del pubblico ministero, e sulla sua collocazione istituzionale, lo sforzo costante di elaborazione sostenuto anche dagli organismi europei ha portato a costruire un quadro condiviso di principi intorno al binomio “indipendenza-responsabilità”.

Nella produzione crescente di soft law degli ultimi due decenni – Carte, pareri, raccomandazioni, report –, in questo binomio sono state riassunte le condizioni dell’azione che il pm svolge per conto della società e nell’interesse pubblico, per rispettare e proteggere i diritti umani e le libertà, come stabilito, in particolare, dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo[15]

In questa elaborazione, il tema dell’assetto e delle garanzie statutarie di indipendenza appare strettamente collegato al ruolo che il pm svolge quale organo di giustizia, promotore e garante dei diritti: il suo agire in modo equo e imparziale è il presupposto per una giustizia efficace e imparziale, e la verifica delle condizioni di indipendenza e di assenza di interferenze esterne ed interne è necessaria in vista dei valori finali della giurisdizione alla cui attuazione il pm concorre[16].

Abbiamo dato conto, in altre occasioni, dell’evoluzione del quadro comune di principi elaborati nelle Carte verso un modello europeo di pubblico ministero, assistito da garanzie statutarie minime necessarie per garantire la sua indipendenza ed accountability (come quelle che riguardano la nomina, la rimozione, le forme di responsabilità)[17].

E anche di recente, il Consiglio consultivo dei procuratori europei ha riaffermato che, in un quadro di differenze e specificità dei sistemi nazionali europei, il requisito di indipendenza del pubblico ministero, «in quanto prerequisito dello Stato di diritto e dell’indipendenza del sistema giudiziario», deve considerarsi «l’importante elemento di convergenza» acquisito negli ultimi anni[18].

Con sempre maggiore enfasi, si è sottolineata la stretta connessione fra l’indipendenza e l’autonomia del pubblico ministero e quella del potere giudiziario[19], e la funzione di ulteriore garanzia di salvaguardia che l’indipendenza del pm svolge rispetto al mantenimento dell’indipendenza dei giudici[20].

E, in questa prospettiva del pm quale parte essenziale della machinery of justice, si è affermato il principio della necessità di garanzie statutarie di indipendenza parallele a quelle dei giudici[21].

Questa prospettiva è destinata a rafforzarsi nella dimensione sovranazionale assunta dalla giurisdizione: nello spazio giuridico comune, basato sulla fiducia reciproca tra i sistemi giudiziari e sulla cooperazione, si impone una verifica costante sull’effettiva capacità di tutte le giurisdizioni nazionali di garantire lo stesso livello di protezione dei diritti fondamentali[22] che investe necessariamente anche la capacità della Procura di agire in modo indipendente e di concorrere in questo modo a decisioni giudiziarie eque e imparziali.

Una verifica che, per il pm, ha trovato spazio nelle decisioni della Corte di giustizia dell’Ue in merito alla definizione del concetto di “autorità giudiziaria” ai fini del mandato d’arresto europeo e nella valutazione dello statuto di pubblici ministeri nazionali che appartengono a una struttura gerarchica e sono soggetti a poteri esterni, come quello di dipendenza dal Ministro, che può esercitare il potere di supervisione, direzione e istruzione, e influenzare le decisioni di un ufficio del pubblico ministero[23].

 

3.2. L’esperienza

L’affermazione delle democrazie illiberali nei confini dell’Unione e l’assalto populista ai suoi valori rappresentano una drammatica sfida ai principi e al complesso di valori costitutivi dello Stato di diritto, e un effettivo banco di prova per la loro tenuta. 

La lezione che da questa esperienza si può trarre è che (in un quadro generale di sistemi costituzionali, giuridici e politici degli Stati membri che - come sottolineato dalla Commissione europea nella prima relazione sullo Stato di diritto nell’Ue presentata nel settembre del 2020 - mostrano generalmente livelli elevati in materia di Stato di diritto e sanciscono nelle Costituzioni e nelle leggi i principi fondamentali di legalità, certezza del diritto, divieto dell’esercizio arbitrario del potere esecutivo, tutela giurisdizionale effettiva da parte di organi giurisdizionali indipendenti e imparziali, anche per quanto riguarda il rispetto dei diritti fondamentali, separazione dei poteri e uguaglianza davanti alla legge) nessuno Stato membro è immune dai rischi del populismo, e che i sistemi giudiziari rappresentano il facile e principale “punto di attacco” dei processi di arretramento democratico. 

In Paesi membri dell’Unione europea, abbiamo osservato come l’assetto istituzionale del pubblico ministero sia risultato strategico in questi processi per modificare gli equilibri istituzionali a vantaggio del potere esecutivo, e per garantirgli una salda presa su tutto il sistema giudiziario e, in definitiva, sui giudici.

La Polonia fornisce l’esempio più eclatante di quanto si è detto. Subito dopo la “cattura” della Corte costituzionale, la riforma della prokuratura del 2016 ha interrotto e invertito il percorso di costruzione di un ufficio indipendente e democratico, iniziato nel 2009: il ruolo del Ministro della giustizia è stato riunificato con quello del Procuratore generale, in modo da accentrare nella stessa persona maggiori poteri di indagine e di intervento diretto in casi specifici pendenti presso le giurisdizioni. Una concentrazione di potere che ha comportato l’eliminazione di qualsiasi forma di indipendenza interna per i singoli procuratori.

La nuova struttura dell’Ufficio di procura ha assunto i caratteri di un sistema militare, con procuratori sottomessi promossi agli uffici più alti, senza procedura competitiva, e quelli recalcitranti puniti con l’assegnazione a posizioni inferiori o con il trasferimento ad altre sedi[24].

Come sottolineato nelle relazioni sullo Stato di diritto della Commissione europea del 2021 e 2022, il potere di disporre dei pubblici ministeri, e di esercitare l’azione penale e disciplinare, opera nella pratica come uno strumento contro i procuratori che esprimono opinioni critiche sul funzionamento della procura[25]

Questo “nuovo assetto” della Procura si è rivelato funzionale al controllo e alle pressioni sui giudici[26] e, più in generale, a influenzare il controllo di legalità: l’esercizio, da parte del procuratore generale e del procuratore nazionale, del potere di riassegnare discrezionalmente le cause tra i procuratori può dunque essere influenzato da considerazioni di natura politica, al fine di incidere sullo svolgimento dei procedimenti penali; secondo il Consiglio nazionale forense, di recente le procure hanno preso di mira anche gli avvocati difensori che agiscono in procedimenti su questioni sensibili dal punto di vista politico, minacciando in tal modo il diritto al segreto professionale. La situazione è aggravata dal fatto che i pubblici ministeri hanno il potere di sospendere l’abilitazione di un avvocato senza il previo consenso del giudice[27]

Ma anche in altri contesti, dove e quando lo Stato di diritto si è rivelato instabile, l’assetto del pm ha rappresentato la chiave di volta per un trasferimento occulto di prerogative al potere esecutivo e come strumento di pressione sui giudici: basti considerare le osservazioni della Commissione di Venezia, le decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo e i rapporti della Commissione europea (emessi nell’ambito del meccanismo di cooperazione e verifica) sulla nomina e il licenziamento dei pubblici ministeri in Romania, e sulle carenze della struttura e del ruolo della Procura in Bulgaria, apparsi funzionali alla fusione piuttosto che alla separazione dei poteri, con prerogative di irragionevole ampiezza e mancanza di responsabilità, in un contesto di enorme pressione sui giudici[28]

 

3.3. Il pm e lo Stato di diritto

A partire dal 2014, dopo le prime manifestazioni di crisi sistemica dello Stato di diritto nei Paesi membri dell’Unione, abbiamo assistito al progressivo rafforzamento del quadro di tutela e, da ultimo, alla costruzione di un meccanismo di monitoraggio da parte della Commissione europea e di dialogo con gli Stati membri. A ciò si sono aggiunte le reazioni mirate, arrivate dalle istituzioni europee, a fronte del progredire della demolizione dell’indipendenza della magistratura e dello Stato di diritto in Stati membri come la Polonia e l’Ungheria. Un processo che non accenna a fermarsi, e che non rimane confinato negli Stati membri interessati, poiché scuote dalle basi la costruzione dell’Unione fondata sullo Stato di diritto. 

L’assenza dei requisiti di reciproca affidabilità delle giurisdizioni nazionali sulla loro capacità di rendere decisioni in condizioni di indipendenza, e di svolgere un ruolo effettivo di tutela dei diritti, rimette in discussione tutta la comune architettura giudiziaria – costituita non solo dalle corti, ma anche dai giudici nazionali che agiscono come giudici europei.

E i giudici – nei procedimenti nazionali, agendo come giudici europei con i rinvii pregiudiziali indirizzati alla Corte di giustizia dell’Ue – hanno affrontato le sfide poste all’indipendenza giudiziaria e al primato dello Stato di diritto: ciò ha permesso alla Cgue di definire il concetto di “indipendenza giudiziaria” come elemento di connessione tra il diritto dell’Ue e l’applicazione dei valori dell’articolo 2 del Tue, e di sviluppare una giurisprudenza che si confronta con gli effetti dell’arretramento dello Stato di diritto nei Paesi membri. 

Il pm è protagonista e partecipe di queste sfide e, come parte del dialogo tra giurisdizioni nazionali e Corti europee, del sistema di tutela dei valori dello Stato di diritto[29]. E attore fondamentale dello spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia. 

In questo spazio comune, la garanzia di tutela dei diritti e dello Stato di diritto comporta una riduzione degli spazi di manovra autonomi per interventi strutturali che possano compromettere la capacità dei sistemi giudiziari nazionali di operare nella loro funzione di effettiva garanzia[30]

La prospettiva europea è dunque la cartina di tornasole per valutare l’impatto e le ricadute di tutte le modifiche che incidono sulla qualità ed efficacia della giurisdizione.

Ciò che oggi l’Europa ci chiede è valutare ogni riforma istituzionale alla luce dei principi dello Stato di diritto, come insieme dei valori non negoziabili che sono a fondamento dell’Unione: fra questi, l’indipendenza dei sistemi giudiziari e degli attori della giurisdizione, che deve garantire l’effettiva tutela dei diritti e dei singoli contro ogni arbitro del potere.

Quello che noi oggi dovremmo chiederci è dove approderà una revisione dell’assetto istituzionale del pubblico ministero e quale effetto avrà sull’indipendenza dei giudici e, dunque, sulla giurisdizione.

 

4. Una scelta istituzionale chiara: la Procura europea

È singolare che, di fronte alla prospettiva di un pm finalmente separato e alla riforma epocale del suo statuto costituzionale, il nostro dibattito non faccia i conti con la nuova presenza nel contesto europeo rappresentata dall’EPPO (European Public Prosecutor’s Office): una presenza dirompente se si pensa che, in un contesto ordinamentale molto diversificato nei Paesi membri, ha fatto ingresso una istituzione sovranazionale di Procura pienamente indipendente. 

Il regolamento istitutivo individua nell’indipendenza e nell’accountability i principi di base e i tratti identitari dell’EPPO, e disciplina le garanzie fondamentali di indipendenza dei suoi organi e della sua autonomia[31]

Garanzie statutarie, in linea con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che riguardano le modalità di nomina dei procuratori europei, la durata del loro mandato, la loro rimozione e la tutela dell’indipendenza esterna dei procuratori europei delegati: come parte integrante dell’EPPO, essi devono agire nel suo esclusivo interesse, e deve essere loro conferito «uno status funzionalmente e giuridicamente indipendente, diverso da qualunque status conferito a livello di diritto nazionale» (cons. 32); quali «membri attivi (…) della magistratura dei rispettivi Stati membri (…) [e]ssi offrono tutte le garanzie di indipendenza» (art. 17, comma 2)[32].

Una istituzione sovranazionale dotata di un forte assetto di indipendenza, compatibile con un quadro di Stato di diritto, richiede una base forte di legittimazione democratica, derivante dai meccanismi che garantiscono trasparenza, correttezza ed efficienza nel suo agire. E dunque l’obbligo di rendere conto del proprio operato (art. 6)[33]: da qui controlli e contrappesi introdotti dal regolamento, che mirano ad assicurare l’esercizio delle funzioni del pubblico ministero indipendente e imparziale, nel rispetto dei principi dello Stato di diritto e di proporzionalità (art. 5), in modo da garantire la protezione dei diritti dei cittadini, il diritto a un processo equo e l’uguaglianza davanti alla legge.

L’EPPO rappresenta un decisivo passo in avanti verso la costruzione di un comune sistema giudiziario europeo e verso un modello di pm all’altezza del suo ruolo di organo di giustizia così come disegnato nelle Carte europee. 

La sua istituzione è destinata ad avere un impatto sugli ordinamenti nazionali, e a spingere verso l’integrazione di strutture e dei diversi sistemi nazionali: una Procura europea indipendente e dotata di legittimazione democratica può non solo consolidare lo Stato di diritto europeo, ma anche armonizzare la giustizia degli Stati membri[34]

Pochi mesi prima dell’entrata in funzione dell’EPPO, il Procuratore generale presso la Corte di cassazione francese, François Molins, e uno dei suoi predecessori, Jean-Louis Nadal, sottolineavano che l’imminente avvio della Procura europea, dotata di uno statuto di indipendenza e integrata nell’ordinamento francese, avrebbe posto con forza la questione della “necessaria indipendenza statutaria del parquet francese” e di una riforma indispensabile sia per il buon funzionamento della giustizia che per l’eguaglianza dei cittadini[35].

Nei dibattiti in corso negli stessi giorni nel nostro Paese, è stato più volte osservato che nei tratti fondamentali della Procura europea si ritrova molto della esperienza italiana e del nostro modello di pubblico ministero indipendente[36]

Anche su questo dovremmo riflettere prima di decidere che è giunto per noi il momento di abbandonarlo.

 

 

1. Così N. Rossi, La riforma della giustizia penale e la variabile referendum, in questa Rivista trimestrale, n. 4/2021, www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/la-riforma-della-giustizia-penale-e-la-variabile-i-referendum-i, e Referendum sulla giustizia. È possibile parlarne nel “merito”?, in Questione giustizia online, 9 giugno 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/referendum-sulla-giustizia-e-possibile-parlarne-nel-merito.

2. Per i magistrati di prima nomina, il passaggio potrà avvenire con le limitazioni già previste di incompatibilità regionale nell’ambito del settore penale, e provinciale per i passaggi di funzioni da e verso il settore civile, con il limite che, nel caso di passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente, il giudice civile non abbia svolto per cinque anni le funzioni penali.
L’art. 13 modificato prevede che – decorsi i nove anni dalla prima assegnazione di funzioni – «[sia] consentito, per una sola volta, il passaggio dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti, quando l’interessato non abbia mai svolto funzioni giudicanti penali, nonché il passaggio dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti civili o del lavoro in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, ove vi siano posti vacanti in una sezione che tratti esclusivamente affari civili o del lavoro».

3. Per un’analisi delle questioni applicative poste dalla normativa sul passaggio di funzioni dopo la riforma del 2006/2007 e di quelle che si pongono in relazione al testo emendato, vds. P. Serrao D’Aquino, Separazione delle carriere a Costituzione invariata. Problemi applicativi dell’art. 12 della legge n. 71 del 2022, in Giustizia insieme, 28 giugno 2022 (www.giustiziainsieme.it/en/ordinamento-giudiziario/2388-separazione-delle-carriere-a-costituzione-invariata-problemi-applicativi-dell-art-12-della-legge-n-71-del-2022).

4. Per l’analisi dei dati aggiornati al 2021 si rinvia a G. Mazzotta, La procedura tabellare per l’adozione del documento organizzativo delle Procure della Repubblica: un ritorno al passato o un ponte verso il futuro?, pubblicato in anteprima su Questione giustizia online, 28 aprile 2022 (www.questionegiustizia.it/articolo/la-procedura-tabellare), ora in questo fascicolo: «Sarebbe difficile negare che il problema della separazione delle funzioni sia stato sempre di dimensioni minimali già ancor prima delle riforme del 2006, che per la prima volta posero il divieto generale, derogabile sulla base di alcune condizioni (tra le quali principalmente l’obbligo di trasferirsi in altro distretto di Corte d’appello). (…) L’insistenza sul tema è, perciò, essenzialmente ideologica e costituisce la premessa su cui realizzare la definitiva e formale separazione tra giudici e pubblici ministeri, ponendoli in “ordinamenti” distinti».

5. Al punto 3 («Riforme istituzionali, della giustizia e della Pubblica Amministrazione secondo Costituzione»), l’«Accordo quadro di programma per un Governo di centrodestra» (Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e Noi Moderati) prevede: «Riforma della giustizia e dell’ordinamento giudiziario: separazione delle carriere e riforma del CSM»; il programma elettorale di Azione e Italia Viva inserisce al primo punto degli interventi necessari per risolvere «i mali trasversali che causano un pessimo funzionamento dell’intero comparto [Giustizia]» le carriere dei magistrati: «Approvazione del DDL di iniziativa popolare promosso dalle Camere Penali sulla separazione delle carriere fra giudici e PM, per assicurare la effettiva parità fra accusa e difesa».

6. Un’analisi completa di tutti gli argomenti portati nel dibattito sulla separazione delle carriere si può leggere in A. Spataro, La separazione delle carriere dei magistrati: una proposta di riforma anacronistica ed inutile, in Giustizia insieme, 24 dicembre 2017 (www.giustiziainsieme.it/en/organizzazione-della-giustizia/299-la-separazione-delle-carriere-dei-magistrati-una-proposta-di-riforma-anacronistica-ed-inutile).

7. Gli stessi argomenti si ritrovano anche a sostegno della proposta di emendamento volta a introdurre due diversi concorsi per giudici e pm, propedeutica anche questa alla riforma «verso la quale il nostro ordinamento giudiziario deve avviarsi della separazione delle carriere (…). La funzione inquirente e la funzione giudicante rispondono a requisiti, norme, forma mentis e abito mentale assolutamente distinti e distanti tra loro. Un conto è il pubblico ministero, che deve ricercare ogni prova, certo anche quelle a favore dell’indagato, ma ogni prova, e quindi rappresentarsi ogni situazione, anche la più inverosimile, per arrivare ad accertare la verità; egli sostanzialmente deve essere animato da una cultura che definirei una cultura del sospetto, esattamente il contrario del giudice. Il giudice deve essere invece, come vuole la nostra Costituzione, assolutamente imparziale e deve giudicare avendo di fronte un’accusa e una difesa che hanno gli stessi diritti, gli stessi doveri, le stesse facoltà e prerogative. E allora si capisce molto bene che un giudice che giudica, avendo fatto la stessa carriera magari con il collega pubblico ministero; avendo fatto il concorso insieme; avendo svolto il ruolo di uditore giudiziario insieme; avendo una sorta di comunanza e anche di colleganza professionale, anche non volendo, potrebbe non riuscire a spogliarsi completamente della cultura che ha acquisito nel suo percorso professionale; a maggior ragione se magari fino a un anno prima, sia pure in un altro distretto e in un’altra Regione, svolgeva il ruolo di pubblico ministero. La forma mentis, la cultura e la mentalità del pubblico ministero sono assolutamente incompatibili con quelle del giudice» (intervento del Sen. A. Balboni, dal resoconto stenografico della seduta del 15 giugno 2022, n. 440).

8. Sul punto, vds. G. Pignatone, Carriere separate per le toghe: una svolta che bisogna evitare, La Stampa, 7 luglio 2021; C. Castelli, La fine della magistratura costituzionale: DDL sulla separazione delle carriere,  in Questione giustizia online, 22 ottobre 2019, www.questionegiustizia.it/articolo/la-fine-della-magistratura-costituzionale-ddl-sulla-separazione-delle-carriere_22-10-2019.php.

9. «Troppo debole è anche la soluzione adottata per la separazione delle funzioni tra pm e giudici. Mantenere un solo passaggio entro i nove anni che senso ha? (…). È una scelta ideologica, una scelta che serve ad affermare la piena equivalenza tra pubblico ministero e giudice e a negare l’evidenza, ossia che le due funzioni rispondono a requisiti, a mentalità, a modalità di azione, ad abito mentale e a forma mentis del tutto opposti tra loro. Chi giudica deve essere imparziale, come impone la nostra Costituzione. Non così, ovviamente, chi deve sostenere l’accusa, per ragioni che sono talmente evidenti che non mi ci soffermo. Fino a quando non si raggiungerà la piena indipendenza delle due carriere, non si potrà dire, secondo Fratelli d’Italia, pienamente realizzato il principio del giusto processo, che vuole accusa e difesa su un piano di assoluta parità, ciò che oggi purtroppo ancora non avviene» (intervento del Sen. A. Balboni, dal resoconto stenografico della seduta del 16 giugno 2022, n. 441).

10. La riforma per la creazione di due distinti Consigli è articolata nella proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare delle UCP «Separazione delle carriere» n. 14 che, come si è osservato, a dispetto del titolo ha una portata molto più ampia, «poiché investe direttamente il tema della autonomia e della indipendenza della magistratura, operando un radicale mutamento dell’attuale assetto costituzionale della magistratura, requirente, ma anche giudicante» (vds. E. Bruti Liberati, Lo statuto del Pubblico Ministero nel progetto di legge costituzionale n 14. Non solo separazione delle carriere, in Sistema penale, 9 marzo 2020, www.sistemapenale.it/it/opinioni/bruti-liberati-statuto-pm-progetto-legge-costituzionale-14).

11. In What makes prosecutors independent? Analysing the institutional determinants of prosecutorial independence (pubblicato online il 31 maggio 2017 da Cambridge University Press, poi nel Journal of Institutional Economics, vol. 15, n. 1/2019, pp. 99-120), S. Voigt e A.J. Wulf osservano che, per fronteggiare il problema dei sistemi giudiziari sovraccarichi, molte giurisdizioni hanno “spostato” poteri e responsabilità dai giudici ai pubblici ministeri, e questa tendenza ha portato molti studiosi a considerare il pubblico ministero come l’attore potenzialmente più potente del sistema di giustizia penale. Da qui l’importanza di riflettere sulla sua indipendenza ed accountability

12. Senza questa indipendenza, l’esecutivo può esercitare un’influenza impropria sui procuratori per proteggere dalle indagini penali se stesso, gruppi di interesse, e le élite che lo supportano o, al contrario, usare questa influenza per reprimere le libertà dei cittadini e gli oppositori politici – vds. S. Voigt e A.J. Wulf, What makes, op. cit.

13. Per una riflessione su questi temi, vds. in particolare N. Rossi, Per una cultura della discrezionalità del pubblico ministero e G. Salvi, Discrezionalità, responsabilità, legittimazione democratica del pubblico ministero, entrambi in questa Rivista trimestrale, n. 2/2021 (Pubblico ministero e Stato di diritto in Europa), www.questionegiustizia.it/rivista/pubblico-ministero-e-stato-di-diritto-in-europa.

14. «Un pm indipendente dalla politica, un giudice indipendente dal pm»: questo lo slogan coniato dalla UPC a sostegno della proposta di separazione delle carriere. In sostanza, un corpo separato, che concentra una pluralità di poteri e risponde a un proprio Csm, sull’esempio del pm portoghese. Una soluzione ordinamentale che, come spiega E. Maia Costa (Un’esperienza di separazione delle carriere: l’ordinamento portoghese, in questa Rivista trimestrale, n. 1/2018, www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/un-esperienza-di-separazione-delle-carriere-l-ordinamento-portoghese_514.php), ha prodotto burocratizzazione e una gerarchizzazione dell’ufficio. Sul modello portoghese, vds. anche J.P. Ribeiro De Albuquerque, Il pubblico ministero portoghese: architettura istituzionale, principi, garanzie, sfide, ivi, n. 2/2021: «La Procura generale è l’organo di vertice del pm» e «[l]a nomina del Procuratore generale, che non deve necessariamente essere un magistrato, è un atto puramente politico, non sottoposto a specifiche condizioni (…) secondo la Costituzione, la nomina è effettuata dal Presidente della Repubblica, su proposta del Governo»; il Procuratore generale ha competenza di direzione funzionale su tutta la magistratura requirente e presiede  il Consiglio-CSMP, «composto da 19 membri, 7 dei quali eletti dai loro pari, dai 4 viceprocuratori generali regionali, da 5 membri eletti dall’Assemblea della Repubblica, da 2 membri nominati dal Governo».

15. CCPE («Consiglio Consultivo dei Procuratori Europei»), Norme e principi europei concernenti il pubblico ministero (cd. “Carta di Roma”), parere n. 9 del 2014, punto II. 

16. Nel parere n. 13 del 2018, «Indipendenza, accountability ed etica del pubblico ministero», il CCPE ha sottolineato che la giurisprudenza della Corte Edu sostiene l’indipendenza del pm dall’esecutivo, poiché il suo venir meno comprometterebbe la legittimità del suo intervento nella fase preparatoria e nella conduzione del processo penale, nonché nei suoi ambiti di competenza al di fuori del settore penale: «Il pubblico ministero deve essere il garante del rispetto della legge e il difensore della società; non deve essere uno strumento nell’interesse di alcun gruppo sociale, politico e religioso, di alcuna frazione del governo o il protettore dei suoi sostenitori. Questo requisito è particolarmente importante quando l’intervento del pubblico ministero mira a combattere la criminalità organizzata o la corruzione, o ha un impatto sui diritti e le libertà individuali, in particolare sulla privazione della libertà» (pp. 32-33).

17. Cfr. il numero monografico di Questione giustizia trimestrale n. 2/2021, Pubblico ministero e Stato di diritto in Europa.

18. CCPE, Implicazioni delle decisioni dei tribunali internazionali e degli organi dei trattati per quanto riguarda l’indipendenza pratica dei pubblici ministeri, parere n. 16 del 2021, punto 4 dell’Introduzione.

19. Frequentemente richiamata è la definizione dell’indipendenza del PM come «corollario indispensabile dell’indipendenza dei sistemi giudiziari» (Carta di Roma, punto IV).

20. Così il joint report Challenges for judicial independence and impartiality in the member States of the Council of Europe, adottato dai Bureau del CCJE («Consiglio consultivo dei Giudici Europei») e del CCPE nel 2016 (https://rm.coe.int/1680700a8e).

21. Principi che sono stati ribaditi anche nelle raccomandazioni formulate nel parere n. 13 del 2018 adottato dal CCPE: «i. Negli Stati membri dovrebbero essere adottate disposizioni appropriate, parallelamente all’indipendenza dei giudici, per rafforzare l’indipendenza, la responsabilità e l’etica dei pubblici ministeri, sia nel campo del diritto penale che in altri settori di competenza. L’influenza politica non dovrebbe essere accettabile (…) iii. Lo status, l’indipendenza, l’assunzione e la carriera dei pubblici ministeri dovrebbero, analogamente ai giudici, essere chiaramente stabiliti dalla legge e regolati da criteri trasparenti e oggettivi. Gli Stati membri dovrebbero garantire uno status ai pubblici ministeri che ne assicuri l’indipendenza esterna e interna, preferibilmente mediante disposizioni al più alto livello giuridico e garantendone l’applicazione da parte di un organo indipendente come un consiglio della procura, in particolare per le nomine, le carriere e la disciplina».
A partire dalla Dichiarazione di Palermo («Elements of a European Statute of the Judiciary»), adottata il 16 gennaio 1993, MEDEL («Magistrats européens pour la démocratie et les libertés») ha costantemente sottolineato la necessità di un quadro giuridico parallelo per giudici e pubblici ministeri, in cui questi ultimi possano contare su uno status pienamente conforme ai principi dello Stato di diritto, soggetto a un monitoraggio continuo da parte delle istituzioni europee sul rispetto degli standard comuni europei, che garantisca – anche attraverso istituzioni autonome di autogoverno – l’esercizio imparziale e indipendente delle funzioni di pubblico ministero (vds., sul punto, F. Marques, Introduzione al numero monografico di Questione giustizia trimestrale, n. 2/2021, op. cit., www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/introduzione-60727).

22. Cfr., in particolare, Cgue [GS], 25 luglio 2018, C-216/18 PPU, e 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C-64/16, che ai fini di tale verifica sottolineano la centralità dell’indipendenza del potere giudiziario, che attiene al contenuto essenziale del diritto fondamentale a un equo processo e riveste importanza cardinale quale garanzia della tutela dell’insieme dei diritti derivanti al singolo dal diritto dell’Unione e della salvaguardia dei valori comuni agli Stati membri enunciati all’articolo 2 Tue.

23. Sul tema, vds. A. Rosanò, La chimera e il pubblico ministero: considerazioni relative alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di indipendenza del pm, in questa Rivista trimestrale, n. 2/2021, www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/939/2-2021_qg_rosano.pdf.

24. Così W. Sadurski, Poland’s constitutional breakdown, Oxford University Press, Oxford (UK), 2019, p. 126.

25. Cfr. il report dell’associazione di pubblici ministeri polacchi “Lex Super Omnia”, The Stick Method – The “Good change” system of persecuting independent prosecutors, 21 luglio 2021, https://lexso.org.pl/2021/07/21/the-stick-method-the-good-change-system-of-persecuting-independent-prosecutors/.

26. Sempre il report sullo Stato di diritto della Commissione europea del 2021 segnala che i giudici coinvolti nelle decisioni sulle controversie in cui i distacchi dei procuratori sono contestati, sono stati chiamati dalle procure a testimoniare nell’ambito di indagini penali. 
Il «Dipartimento per gli Affari interni», creato per «condurre e sovraintendere ai procedimenti preliminari nei casi di reati intenzionali perseguibili d’ufficio mediante atto della pubblica accusa compiuto da giudici, procuratori, giudici tirocinanti o procuratori tirocinanti», è stato collocato al vertice della struttura organizzativa del pubblico ministero e il Ministro della giustizia-Procuratore generale è il supervisore della struttura.

27. Vds. la Relazione sullo Stato di diritto della Commissione europea del 2021, part. il capitolo sulla Polonia (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A52021SC0722).

28. Nella sentenza della Cgue (C-83/19) relativa alla costituzione della sezione specializzata della Procura per i reati commessi da giudici e pubblici ministeri, introdotta in Romania, si evidenzia che simili strutture devono rispondere a esigenze di buona amministrazione, che non possono essere utilizzate come uno strumento di controllo politico sull’attività di tali giudici e pubblici ministeri e devono esercitare la loro competenza nel rispetto dei requisiti della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Diversamente, potrebbero essere percepite come un tentativo di istituire uno strumento di pressione e intimidazione nei confronti dei giudici, il che pregiudicherebbe la fiducia dei singoli nella giustizia.

29. Vds., sul punto, L. Salazar, La funzione requirente nel rapporto EJTN sullo Stato di diritto in Europa, in questa Rivista trimestrale, n. 2/2021, www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/la-funzione-requirente-nel-rapporto-ejtn-sullo-stato-di-diritto-in-europa.

30. Come affermato dalla Commissione europea nella prima relazione sullo Stato di diritto per il 2020, «un sistema giudiziario efficace e un solido equilibrio dei poteri istituzionali sono centrali per il rispetto dello Stato di diritto nelle nostre democrazie (…) quale che sia il modello dell’ordinamento giudiziario nazionale e la tradizione a cui è ancorato, l’indipendenza, la qualità e l’efficienza sono i parametri di un sistema giudiziario efficace. Sebbene l’organizzazione della giustizia negli Stati membri rientri nella competenza di questi ultimi, nell’esercizio di tale competenza gli Stati membri sono tenuti ad assicurare che i loro ordinamenti giuridici offrano una tutela giurisdizionale effettiva. Per garantire quest’ultima è essenziale l’indipendenza degli organi giurisdizionali» (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52020DC0580).

31. «L’EPPO è organo dell’Unione indivisibile che opera come un ufficio con struttura decentrata» (art.8); «è indipendente, agisce nell’interesse dell’Unione nel suo complesso e gli Stati membri, le istituzioni e gli organi dell’UE devono rispettarne l’indipendenza» (art. 6). 

32. Per una analisi dei profili di indipendenza e autonomia dell’EPPO, si rinvia a L. De Matteis, Autonomia e indipendenza della Procura europea come garanzia dello Stato di diritto, in questa Rivista trimestrale, n. 2/2021, www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/autonomia-e-indipendenza-della-procura-europea-come-garanzia-dello-stato-di-diritto

33. Un momento di verifica sulle attività generali dell’EPPO è rappresentato dalla relazione annuale sulle attività che l’EPPO propone al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione europea.

34. «Lungi dal minacciare la sovranità nazionale, la Procura Europea contribuirà a una regolamentazione mondiale multipolare. Una Procura Europea indipendente, al tempo stesso legittima rispetto allo Stato di diritto (controllo giudiziario migliorato) ed efficace di fronte alla globalizzazione (poteri rafforzati) potrebbe non solo consolidare lo Stato di diritto europeo, ma armonizzare la giustizia degli Stati membri senza uniformarla. Da una procura all’altra, la giovane Procura Europea potrebbe prefigurare allora un futuro ordine giuridico mondiale, pluralista e tuttavia ordinato, di cui diventerebbe attore» – M. Delmas-Marty, Le parquet européen pourrait préfigurer un futur ordre juridique mondial, Le Monde, 6 ottobre 2020. 

35. F. Molins e J.-L. Nadal, Il est urgent de garantir l’indépendance statutaire des magistrats du parquet, Le Monde, 2 settembre 2020.

36. Vds. A. Mura, Pubblico ministero in Europa. Modelli, esperienze, prospettive, in questa Rivista trimestrale, n. 2/2021 (www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/pubblico-ministero-in-europa-modelli-esperienze-prospettive), che richiama come aspetto acquisito dall’EPPO anche la concezione della Procura come organo di conduzione dell’indagine «conforme a un’impostazione certo a noi familiare, ma sostanzialmente sconosciuta alla legislazione di altri Paesi che pure aderiscono alla cooperazione rafforzata», sottolineando l’importanza della «vera e propria sfida culturale» posta dall’EPPO, «che postula un’evoluzione anche nella nostra concezione della giurisdizione, nella fedeltà ai principi costituzionali che le si riferiscono. In questo modo, non solo si offre all’Italia l’occasione di essere protagonista dell’evoluzione della collettività dell’Unione, ma la realizzazione della Procura europea potrà essere occasione e veicolo per la diffusione nel continente di quei valori – imparzialità, indipendenza, cultura della giurisdizione – che caratterizzano il pubblico ministero nella tradizione italiana».