Contrasto al terrorismo internazionale e il diritto penale al limite
1. Dal diritto penale del nemico al diritto penale al limite
Da quando le riflessioni di Gunther Jakobs hanno portato all’interno della discussione penalistica la contrapposizione tra diritto penale del nemico e diritto penale del cittadino[1], anche la dottrina italiana si è chiesta a quale modello si ispirassero le politiche criminali di contrasto al terrorismo, specie nella sua dimensione internazionale, più imprevedibile nelle strategie di offesa e quindi più pericolosa e difficilmente controllabile da parte degli organi di investigazione e di intelligence[2]. Se per diritto penale del nemico si intende il trattamento che l’ordinamento riserva a chi, tradendo per la sua pericolosità la fiducia dei consociati nell’aspettativa di comportamenti conformi alle norme, si autoesclude dalla comunità, perdendo così il diritto alle garanzie e ad essere «trattato come persona»[3], allora questo modello di diritto penale – sempre che di diritto penale ancora si tratti[4] – può essere strumento utile per decifrare le politiche penali avviate contro il terrorismo, ma non per legittimarle: può dunque essere utilizzato in termini descrittivi, ma non prescrittivi.Se alcune scelte di intervento possono essere lette in questa chiave di neutralizzazione del nemico, come nell’emblematico “spazio del non diritto” costituito da Guantanamo e dalla figura ibrida del «nemico combattente», al quale non sono riconosciute né le normali garanzie processuali né lo status convenzionale di prigioniero di guerra[5], con riferimento all’evoluzione del diritto penale italiano di contrasto al terrorismo mi parrebbe scorretto ravvisare elementi propri del modello del diritto penale del nemico: il sacrificio delle garanzie individuali a tutela dell’ordinamento è di fatto avvenuto solo in relazione al caso Abu Omar ed alla sua extraordinary rendition, dove peraltro non si trattò di una scelta di politica criminale, ma di una gestione extra e contra ordinem condotta dai servizi segreti italiani e conclusasi con la condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo per il sequestro, i maltrattamenti, la detenzione illegale di Abu Omar e per le sofferenze subite dalla moglie: «L'Italia ha applicato il legittimo principio del segreto di Stato in modo improprio e tale da assicurare che i responsabili per il rapimento, la detenzione illegale e i maltrattamenti ad Abu Omar non dovessero rispondere delle loro azioni»[6].
Riterrei più adeguato a riflettere la disciplina italiana di contrasto al terrorismo il termine diritto penale al limite: si tratta cioè di scelte di politica penale nelle quali principi e garanzie proprie del diritto penale subiscono flessibilizzazioni che si muovono comunque in un’area limitrofa ad un confine pericoloso, quello al di là del quale si vanificano, in nome della ragion di Stato, garanzie e diritti individuali sui quali si fonda l’ordinamento democratico. È un diritto penale, dunque, legittimo, ma che si muove in un’area dove è sempre alto il rischio che la ragionevolezza delle scelte di incriminazione, delle strategie processuali e delle misure preventive si traduca in forme illegittime di violazione di diritti e libertà fondamentali, perché in tal caso lo Stato di diritto negherebbe se stesso[7].
La legittimazione del diritto penale al limite si muove, dunque, entro i limiti tracciati dai principi di proporzione e di ragionevolezzache, essendo principi argomentativi,presentano confini incerti che, in relazione alle norme di contrasto al terrorismo internazionale, si segnalano per due elementi: a) l’ampliamento per via normativa dell’intervento penale, spesso attraverso l’incriminazione di condotte preparatorie che, ad una prima lettura, si presentano del tutto ragionevoli; b) la rimessione alla magistratura dell’opera di non sconfinamento del limite.
2. L’anticipazione dell’intervento penale e la marginalizzazione del ruolo dei delitti di attentato
La tecnica di tutela, che colloca il diritto penale di contrasto al terrorismo entro la fascia vicino al limite della sua delegittimazione, consiste nell’anticipazione della tutela attraverso i delitti di attentato e la previsione di fattispecie che incriminano condotte preparatorie: si trattadi una classica forma di tutela propria del diritto penale politico di cui le norme penali anti-terrorismo non sono che l’espressione moderna; riflette al contempo la tendenza dell’attuale diritto penale a potenziare la prevenzione, specie nel contrasto al terrorismo, rispetto al quale sussiste «l’esigenza di una risposta preventiva accentuata, che controlli alla radice le fonti di rischio, piuttosto che i pericoli concreti»[8]. Senza scomodare la storia del crimen laesae maiestatis, che con l’anticipazione e l’ampliamento della tutela penale segnalava quanto il diritto penale potesse essere strumento malleabile a tutela del potere sovrano[9], è sufficiente guardare alle tecniche di tutela dei delitti contro la personalità dello Stato nel codice Rocco per rendersi conto dell’importanza strategica rivestita dall’anticipazione della punibilità realizzata attraverso l’ampio ricorso ai delitti di attentato, ai reati associativi, ai reati di istigazione (anche privata) e di accordo, in deroga all’art. 115 cp, all’incriminazione della propaganda e dell’apologia di delitto[10]. Gli stessi delitti di attentato erano stati letti dal Guardasigilli, nella relazione di accompagnamento al codice penale, come capaci di incriminare gli atti meramente preparatori ed a supporto di questa lettura non si esitò a sostenere che un’analoga scelta era stata già espressa dal liberale codice Zanardelli (una lettura, come noto, del tutto falsificata, se si considera che la struttura dei delitti di attentato, nella volontà del legislatore del 1889, doveva attestarsi sulla stessa soglia del tentativo punibile, e quindi su quella degli atti esecutivi)[11].
Con il mutamento del contesto politico e la valorizzazione dei principi costituzionali nella interpretazione dei principi di fondo del diritto penale cambia anche la lettura delle tecniche di anticipazione della tutela ed i delitti di attentato ne costituiscono il banco di prova: il proposito dei redattori del codice Rocco di assicurare attraverso queste fattispecie la tutela penale sin dal primo stadio degli atti preparatori risultò fallimentare, una volta calate queste fattispecie nel contesto delle garanzie costituzionali. Si assiste, infatti, alla interpretazione della struttura oggettiva dei delitti di attentato in termini corrispondenti ai limiti dell’inizio dell’attività punibile nel tentativo[12].
L’esclusione della punibilità degli atti preparatori e la punibilità dei soli atti esecutivi è stata desunta dall’espressa previsione di fattispecie che incriminano in modo autonomo atti preparatori (reati associativi, reati di istigazione di accordo) e che sarebbero inutili se già i delitti di attentato avessero un’estensione tale da coprire tali atti. Anche l’ampliamento, con l’art. 18 l. n. 152/1975, dei destinatari delle misure di prevenzione a coloro che «operanti in gruppo o isolatamente, pongono in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato» con la commissione di alcuni delitti contro la personalità dello Stato, tra cui anche delitti di attentato, evidenziava che questi ultimi non si possono estendere sino a incriminare gli atti preparatori, che sono lasciati alla più “agile” gestione delle misure di prevenzione.
Anche il requisito dell’idoneità viene recuperato valorizzando il principio di offensività: se in un primo momento la giurisprudenza aveva proposto una lettura dei delitti di attentato come reati a condotta pericolosa, ritenendo sufficiente ad integrare il fatto la semplice possibilità dell’offesa, spetta alle Sezioni Unite nel 1970 richiedere una più consistente grado di possibilità dell’evento[13].
La formulazione letterale dei delitti di attentato era rimasta invariata, ma ne era cambiata l’interpretazione, essendo mutato il rapporto, sempre conflittuale, tra tutela dello Stato e garanzie individuali: questi due interessi, lungi dal contrapporsi, si compenetrano, in quanto la tutela dell’ordinamento democratico-costituzionale passa anche attraverso il riconoscimento di diritti e libertà, a meno di non accogliere una pericolosa nozione di democrazia protetta.
Il rafforzamento del principio di offensività nei delitti di attentato è stato poi avallato dalla riforma sui delitti di opinione con la l. 85/2006 che, al di là delle contingenze politiche che portarono all’approvazione di quella legge, segnalava il legame tra delitti di attentato e libertà di manifestazione del pensiero. Con particolare riguardo al tema che ci interessa, è condiviso il rilievo secondo cui la legge sia intervenuta in modo timido, contraddittorio e disorganico in quanto ha riformato solo alcuni delitti di attentato, arricchendo il fatto tipico di alcune fattispecie con il requisito della violenza (artt. 241, 283 e 289 cp) ed inserendo in altre l’idoneità degli atti (artt. 241 e 283 cp): sistematicamente risulta poco comprensibile questo intervento a macchia di leopardo, considerato che il requisito dell’idoneità era stato ampiamente recuperato per via interpretativa dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Ora, a parte le asimmetrie di intervento legislativo, è comunque indubbio che la riforma del 2006 abbia segnalato un ulteriore passo verso la contrazione dei delitti di attentato.
In tal modo i delitti di attentato, lungi dall’avere l’ampiezza che riconosceva loro il Guardasigilli nel 1930, diventano fattispecie che fissano non la prima soglia di punibilità delle condotte offensive della personalità dello Stato, ma l’ultima soglia, quella oltre la quale si vanificherebbe in molti casi la stessa tutela del bene:emerge chiaramente la progressione di tutela del diritto penale politico costruita su fattispecie che incriminano stadi progressivi di offesa al bene finale, secondo una scala crescente di offesa che dalle condotte preparatorie, autonomamente punite (reati accordo, reati associativi, istigazione, propaganda), giunge allo stadio esecutivo dei delitti di attentato. In tal modo, però, la contrazione dell’ambito di applicazione dei delitti di attentato attraverso il recupero del principio di offensività e della non punibilità degli atti preparatori segna anche la crisi dei tradizionali delitti di attentato presenti nel codice Rocco come possibile strumento di tutela penale. Specie con riguardo ai fatti diretti alla realizzazione di eventi macro-offensivi, la rilettura dei delitti di attentato come reati ad evento pericoloso presenta tre profili critici: è problematica l’individuazione della base del giudizio che si fraziona in una pluralità di fatti distinti, più o meno dilatati nel tempo, il cui collante è costituito dall’obiettivo politico finale; problematico è il metro del giudizio che consente di attribuire significato prognostico alla base del giudizio; problematica è, infine, la determinazione del grado del pericolo, perché la graduazione quantitativa tra i possibili gradi (probabilità, non impossibilità) sfuma a fronte di eventi macro-lesivi rispetto ai quali la pericolosità oggettiva rischia di inclinare verso la pericolosità percepita. L’inquadramento giuridico rischia di essere fortemente condizionato da valutazioni politiche alle quali si presta la complessità dei fatti da decifrare.
3. L’autonoma incriminazione di condotte preparatorie e collaterali
È così accaduto che, a fronte della crisi del modello principe di tecnica di tutela dello Stato, i delitti di attentato hanno assunto un ruolo marginale a vantaggio dei reati associativi e delle fattispecie che danno rilevanza a specifiche condotte preparatorie o collaterali. Quanto ai reati di opinione, invece, la prassi applicativa, che si era mostrata interessata ad utilizzarli come strumento di controllo penale nel periodo della contestazione sociale tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta del secolo scorso[14], ha visto una progressiva riduzione della loro applicazione, mentre il legislatore da un lato ha sfoltito il sistema dai ramisecchi di alcuni delitti di opinione (l. 24 febbraio 2006, n. 85)[15] e dall’altro ha rafforzato la risposta sanzionatoria sul terreno del delitto di istigazione e apologia di delitto, a suo tempo salvato dalla Corte costituzionale (n. 65/1970), prevedendo all’art. 414, ultimo comma cp una circostanza aggravante ad effetto speciale (ma bilanciabile ex art. 69 cp) in caso di istigazione e apologia di delitti di terrorismo o di crimini contro l’umanità (introdotta dal d.l. 27 luglio 2005, conv. in l. 31 luglio 2005, n. 155)[16].
Sul versante dei reati associativi, è emblematico che alla loro già consistente presenza tra i delitti contro la personalità dello Stato (banda armata, cospirazione politica mediante accordo e mediante associazione, associazione sovversiva), il legislatore abbia affiancato il delitto di associazione con finalità di terrorismo o di eversione (art. 270-bis cp) per contrastare il terrorismo interno (l. n. 15/1980) e lo abbia ampliato agli inizi del nuovo millennio a fronte della dimensione internazionale assunta da terrorismo (dl 18 ottobre 2001, n. 374 conv. in l. 15 dicembre 2001, n. 438)[17].
I più recenti indirizzi di politica criminale, per lo più improntati alla logica dell’emergenza[18] e sollecitati da fonti sovranazionali[19],rafforzano la tutela penale attraverso l’introduzione di fattispecie preparatorie e collaterali rispetto ai delitti associativi.
In particolare, i delitti di attentato possono diventare norme di appoggio rispetto all’anticipazione dell’intervento penale secondo due tecniche di tutela.
Una prima soluzione consiste nel prevedere come delitto autonomo condotte preparatorie di un delitto di attentato. È il modello seguito dal codice penale tedesco: sono previsti come delitti di attentato l’alto tradimento contro la Federazione o un Land (§§ 81 e 82 StGB), mentre con disposizione di carattere generale si chiarisce che l’attentato include sia la consumazione che il tentativo (§ 11 StGB); a questi due crimini il § 83 StGB affianca la punibilità delle condotte preparatorie in ragione dell’importanza dei beni da tutelare. Si tratta di una consistente anticipazione della tutela penale che solleva difficoltà di accertamento della linea discretiva rispetto a condotte che sono rilevanti solo sul piano della prevenzione e delle attività di intelligence. Si spiega così perché la giurisprudenza delimiti l’ambito delle condotte penalmente rilevanti ai sensi del § 83 StGB alla preparazione di uno specifico alto tradimento, ossia quando dalla preparazione si sta passando alla fase esecutiva entro una distanza temporale non incerta e non imprevedibile; al contempo però non si richiede un pericolo concreto, altrimenti il fatto integrerebbe il più grave delitto di attentato[20].
Anche il nostro ordinamento non è estraneo a questo modello, come nella strage politica (art. 285 cp) costruita come attentato rispetto al delitto di strage “comune” (art. 422 cp), a sua volta strutturato come reato di pericolo concreto[21].
La seconda tecnica di tutela è, invece, costituita dalla previsione di reati che incriminano specifiche condotte preparatorie rispetto ai delitti di attentato o collaterali al fenomeno associativo. Anche qui il raffronto con la Germania si presenta interessante, in quanto con la Legge sulla repressione della preparazione di gravi fatti di violenza pericolosi per lo Stato (30 luglio 2009) il legislatore tedesco ha introdotto nuove fattispecie preparatorie ai §§ 89a, 89b, 91StGB[22].
Il § 89a StGB punisce con la reclusione da sei mesi a dieci anni «chi prepara un grave fatto violento pericoloso per lo Stato», ma, a differenza della generica fattispecie di cui al § 83, il legislatore ha tipizzato le condotte preparatorie[23]: da un lato, il grave fatto violento pericoloso per lo Stato consiste in delitti contro la vita che siano in concreto determinati ed idonei a mettere in pericolo l’esistenza o la sicurezza di uno Stato o di una organizzazione internazionale o a sopprimere, eludere o rendere ineffettivi principi costituzionali; dall’altro lato, le condotte preparatorie consistono nell’istruire o nel farsi istruire nella preparazione o nell’uso di armi da sparo, esplosivi, dispositivi esplosivi o incendiari, combustibile nucleare o radioattivo, sostanze velenose o altrimenti nocive alla salute, dispositivi necessari per la realizzazione dell’obiettivo, ovvero nel preparare o procurare armi, sostanze o dispositivi innanzi indicati, nel procurarsi o custodire oggetti o sostanze essenziali per la preparazione di armi, sostanze o dispositivi predetti, nonché nella raccolta, ricezione e messa a disposizione di valori patrimoniali non irrisori per la realizzazione di tali fatti. Nel 2015 il § 89a StGB è stato esteso anche al compimento di atti diretti a viaggiare all’estero per commettere all’esterno un grave fatto violento. La norma è stata inserita al fine di superare le difficoltà di prova in ordine alla responsabilità a titolo di partecipazione al reato associativo.
Il § 89b StGB punisce con la reclusione fino a tre anni o con la pena pecuniaria chi, al fine di prendere istruzioni per la commissione del reato di cui all’art. 89aStGB, attiva o mantiene contatti con un’associazione terroristica (§ 129StGB), anche straniera (§ 129aStGB). Se già l’anticipazione della tutela penale attraverso il § 89a StGB aveva destato perplessità in dottrina, ancor più drastici sono stati i rilievi critici in relazione al § 89b StGB che incrimina una condotta preparatoria rispetto ad un delitto a sua volta preparatorio[24].
Infine il § 91 prevede la pena della reclusione sino a due anni in alternativa alla pena pecuniaria per chi pubblicizza o rende accessibile ad un’altra persona uno scritto il cui contenuto sia idoneo a servire come istruzione per la commissione di un grave fatto violento pericoloso per lo Stato.
Nel 2015 è stato aggiunto anche il § 89c StGB che punisce, come fattispecie autonoma, il finanziamento del terrorismo[25].
In modo del tutto analogo in Italia, il controllo penale è stato ampliato, affiancando al reato associativo di cui all’art. 270-bis cp, i delitti collaterali di assistenza agli associati (art. 270-ter), arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale (270-quater), organizzazione di trasferimenti per finalità di terrorismo(270-quater.1), addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale (270-quinquies), atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi (280-bis).
Prescindendo dall’analisi delle singole norme[26], mi interessa focalizzare l’attenzione sul significato che riveste l’introduzione di nuove fattispecie che incriminano in modo autonomo condotte preparatorieo collaterali al fenomeno associativo.
4. I rischi di delegittimazione del controllo penale nella progressiva anticipazione della tutela
L’odierno diritto penale di contrasto al terrorismo si colloca nel solco del sistema di tutela progressiva proprio della tradizione del diritto penale politico e di questa valorizza le tecniche di tutela anticipata che consentono di intervenire ad uno stadio antecedente a quello tipizzato nei delitti di attentato. Questa scelta di politica criminale è funzionale a soddisfare diverse esigenze. Anzitutto le fattispecie a carattere preparatorio si adattano alle nuove forme d’azione del terrorismo internazionale che opera attraverso una rete, più che all’interno di un’organizzazione gerarchicamente strutturata[27]. Allo stesso tempo, queste fattispecie vengono incontro alla necessità di contrastare i cd. lupi solitari ed i cd. foreign fighters che sono stati l’obiettivo della riforma del 2015 (dl 7/2015 conv. in l. 43/2015): è stata data parziale rilevanza al cd. auto-addestramento, ma solo nel caso in cui seguano comportamenti univocamente finalizzati alla commissione delle condotte di cui all’art. 270-sexies cp (una soluzione che, sebbene eviti di sanzionare la condotta di mera acquisizione di informazioni, che di per sé potrebbe essere neutra, appare poco coerente con le intenzioni del legislatore di sanzionare l’auto-addestramento, in quanto si punisce «il compimento di condotte con finalità di terrorismo, rispetto alle quali il reperimento delle istruzioni rappresenta un antefatto»[28]); l’art. 270-quater, comma 2 cp punisce, accanto al fatto di chi arruola per il compimento di atti di violenza o di sabotaggio di servizi pubblici essenziali con finalità di terrorismo, anche la condotta di chi si arruola, sempre che non ricorrano gli estremi dell’addestramento o della partecipazione al reato associativo; infine è stata data rilevanza penale al fatto di chi organizza, finanzia o propaganda viaggi in territorio estero finalizzati al compimento di condotte con finalità di terrorismo (art. 270-quater.1 cp)[29]. Queste fattispecie vengono incontro ad una esigenza processuale, in quanto permettono di colpire condotte indipendentemente dalla prova della partecipazione del soggetto al reato associativo[30]: non a caso, tutte queste fattispecie presentano la clausola di riserva rispetto al reato di cui all’art. 270-bis cp.
Proprio nelle fattispecie a struttura fortemente anticipata si annida il progressivo avvicinamento del diritto penale al limite verso il confine della sua delegittimazione. Sino a quando la responsabilità penale rimane ancorata all’imputazione per un reato associativo, le condotte di partecipazione o di concorso esterno richiedono un più consistente corredo probatorio[31]. Quando invece le condotte preparatorie sono punite «al di fuori dei casi di cui all’art. 270-bis», si alleggerisce il quadro probatorio necessario a supportare l’imputazione: il rischio è che fattispecie, che formalmente non sembrano limitare la libertà di manifestazione del pensiero, possano entrare velocemente in un terreno che ne comporta invece la violazione: spetta allora al magistrato che deve interpretare la norma e valutare le prove garantire il confine di legittimità del controllo penale.
Un esempio positivo di giurisprudenza che funge da argine alla potenzialità espansiva del controllo penale è costituito da una sentenza della Cassazione in relazione alla fattispecie di addestramento di cui all’art. 270-quinquies cp: in una vicenda nella quale era stata disposta l’ordinanza cautelare in ragione anche del contesto ideologico nel quale il soggetto si muoveva desunto dai profili facebook e twitter e dalle ricerche in internet svolte dall’indagato (video relativi all’assemblaggio di prodotti esplosivi e filmati di addestramento militare), la Cassazione ha precisato che per la sussistenza del reato di addestramento è necessario che le nozioni fornite (od acquisite) di tipo militare siano «idonee a costituire in chi le riceve (o le acquisisce) un bagaglio tecnico sufficiente a preparare o ad usare armi e quant’altro, non solo ... a suscitare o ad aumentare il proprio o altrui interesse in tale settore»; soprattutto ha chiaramente affermato che «auto ed etero addestramento sono reato, l’informazione e il proselitismo no, rientrano nel perimetro delle libertà individuali costituzionalmente protette»[32].
Costituisce, invece, un esempio di sconfinamento del limite di legittima interpretazione della norma penale, la sentenza nella quale si afferma che il delitto di arruolamento (art. 270-quater cp) può configurarsi in forma tentata, non costituendo ostacolo all’applicazione della generale previsione di cui all’art. 56 cp la sua natura di reato di pericolo[33]. Sviluppando un’ampia indagine, la Cassazione identifica la condotta di arruolamento nel raggiungimento di un serio accordo tra le parti, dove la serietà va desunta dalla autorevolezza del proponente, che deve avere effettiva possibilità di inserire l’aspirante nella struttura organizzativa, e la ferma decisione dell’arruolato. Se già non è chiaro come possa accertarsi il confine tra impegno verbale “serio” ed il mero assenso al compimento di atti di terrorismo[34], ancor meno comprensibile è come si possa ammettere rispetto ad un delitto-accordo la configurabilità del tentativo: la Cassazione lo ammette sulla base dell’argomento formale della non incompatibilità strutturale, ma allo stesso tempo, rendendosi conto del significativo arretramento della soglia di punibilità, si affretta a richiedere «l’ovvia necessità di distinguere i caratteri del tentativo punibile rispetto alle attività di mero proselitismo o libera manifestazione del pensiero». Una necessità “ovvia”, ma difficile da concretizzare, perché non comprendo come sia possibile tracciare il confine tra libertà di manifestazione del pensiero e tentativo di un delitto-accordo. Il fatto è che proprio in relazione a fattispecie che già puniscono condotte preparatorie è lo stesso tentativo a dover restare fuori gioco[35].
Con l’arretramento della soglia di punibilità e lo sconfinamento verso la repressione di forme di manifestazione del pensiero, il diritto penale del fatto rischia di trasformarsi in diritto penale d’autore: la pericolosità soggettiva diventa il metro di lettura anche del corredo probatorio (come nell’ordinanza di custodia cautelare innanzi richiamata che aveva valorizzato il contesto ideologico del soggetto). Non è un caso che il dl 7/2015, che ha reso punibile sia la condotta dell’addestrato sia i trasferimenti all’estero per finalità di terrorismo, abbia ampliato anche l’ambito di applicazione delle misure di prevenzione, dove l’indizio diventa prova degli «atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti … a prendere parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un’organizzazione che persegue le finalità terroristiche di cui all’art. 270-sexies del codice penale» (art. 4, comma 1, lett. d) d.lgs 159/2011)[36].
In questo contesto, quale argine è possibile tracciare per garantire che il diritto penale si muove ai margini della sua legittimazione? Il diritto penale al limite è un diritto legittimo: una flessione delle garanzie si giustifica con la necessità di contrastare fenomeni criminali particolarmente invasivi e pericolosi. Poche speranze ci sono al momento per limitare il ricorso al diritto penale, anche perché sono le stesse fonti sovranazionali ad imporre introduzione di nuove fattispecie incriminatrici. Gli anticorpi devono, dunque, passare attraverso l’interpretazione giurisprudenziale. A fronte di un legislatore affannato da scelte fortemente simboliche di anticipazione ed ampliamento della tutela penale manca un corrispondente riscontro nella prassi applicativa di queste nuove fattispecie collaterali; se la loro scarsa applicazione non si tradurrà nel corrispondente ampliamento del reato di associazione con finalità di terrorismo, la giurisprudenza avrà svolto un ruolo di garanzia. In un contesto sempre più convulso di politica criminale, per lo più mossa da spinte emergenziali, spetta alla magistratura un compito gravoso, ma ineludibiledi evitare che le ansie preventive permeino anche l’interpretazione delle norme, travolgendo lo stato di diritto[37].
Il testo è pervenuto nel mese di luglio 2016.
[1] G. Jakobs, Bürgerstrafrecht und Feinsstrafrecht, in HRRS 2004, n. 3, pp. 88 ss.
[2] Tra i molti contributi v. M. Donini e M. Papa (a cura di), Diritto penale del nemico. Un dibattito internazionale, Milano, 2007; A. Gamberini - R. Orlandi (cura di), Delitto politico e diritto penale del nemico, Bologna, 2007; il numero monografico Verso un diritto penale del nemico?, in Questione Giustizia, 2006, n. 4; M. Donini, Il diritto penale di fronte al «nemico», in Cass. pen., 2006, pp. 735 ss.; G. Insolera, Terrorismo internazionale tra delitto politico e diritto penale del nemico, in Dir. pen. proc., 2006, pp. 895 ss.; F. Resta, Nemici e criminali. Le logiche del controllo, in Ind. pen. 2006, 181; F. Viganò, Terrorismo, guerra e sistema penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, p. 648. Di recente si rinvia agli ampi lavori monografici di F. Fasani, Terrorismo islamico e diritto penale, Milano, 2016, pp. 147 ss.; V. Masarone, Politica criminale e diritto penale nel contrasto al terrorismo internazionale, Napoli, 2013, pp. 186 ss.
[3] G. Jakobs, I terroristi non hanno diritti, in R.E. Kostoris-R. Orlandi (a cura di), Contrasto al terrorismo interno e internazionale, Torino, 2006, p. 3 (la citazione è tratta da p. 8).
[4] In tal senso la ferma posizione di F. Palazzo, Contrasto al terrorismo, diritto penale del nemico e principi fondamentali, in Verso un diritto penale del nemico?, cit., p. 681.
[5]V. Fanchiotti, Il diritto penale del nemico e i nemici del diritto (Strategie antiterrorismo e giurisdizione negli Stati Uniti), in Verso un diritto penale del nemico?, cit., 699 ss.; J. Vervaele, La legislazione antiterrorismo negli Stati Uniti: inter arma silentleges, in Riv. it. dir. proc. pen., 2005, pp. 739 ss.; M. Miraglia, Una nuova normalità: metamorfosi della giustizia penale statunitense dopo l’11 settembre, in Cass. pen.,2005, 2820 ss. Di recente v. F. Fasani, Terrorismo islamico e diritto penale, cit., pp. 111 ss.
[6] Corte eur. dir. uomo, 23 febbraio 2016, Nasr et Ghali c. Italia, ric. 44883/09 diventa definitiva il 26 maggio 2016.Sulla complessa vicenda processuale v. in termini riassuntivi Breve cronologia del processo relativo al rapimento di Abu Omar, in Questione Giustizia on-line, www.questionegiustizia.it/articolo/breve-cronologia-del-processo-relativo-al-rapimento-di-abu-omar_14-01-2014.php.
[7] Sulla necessità che nel contrasto al terrorismo «lo Stato di diritto non neghi se stesso, adottando lo stato d’assedio o d’eccezione o la logica del diritto penale del nemico», v. L. Ferrajoli, Due ordini di politiche e di garanzie in tema di lotta al terrorismo, in questo e-book. Sui rapporti tra sicurezza collettiva e diritti individuali e sui limiti di flessibilizzazione del diritto penale nel contrasto al terrorismo, v. con diversità di proposte, M. Donini, Diritto penale di lotta. Ciò che il dibattito sul diritto penale del nemico non deve limitarsi a esorcizzare, in Studi sulla questione criminale, 2007, pp. 55 ss.; R. Bartoli, Lotta al terrorismo internazionale tra diritto penale del nemico, ius in bello del criminale e annientamento del nemico assoluto, Torino, 2008; F. Fasani, Terrorismo islamico e diritto penale, cit., pp. 147 ss. e pp. 386 ss.
[8] M. Donini, Sicurezza e diritto penale, in Cass. pen., 2008, p. 3561. V. altresì R. Barberini, Il diritto penale e la legislazione di emergenza contro il terrorismo, in Questione Giustizia on-line, www.questionegiustizia.it/articolo/il-diritto-penale-e-la-legislazione-di-emergenza-contro-il-terrorismo_07-05-2015.php.
[9] Fondamentale M. Sbriccoli, Crimen laesae maiestatis. Il problema del reato politico alle soglie della scienza penalistica moderna, Milano, 1974.
[10] Per un quadro ampio delle fattispecie a tutela della personalità dello Stato anche in chiave di evoluzione storica, v. G. Marconi, I delitti contro la personalità dello Stato. Profili storico-sistematici, Milano, 1984.
[11] Sulla lettura dei delitti di attentato nel passaggio dal codice Zanardelli al codice Rocco, v. E. Gallo-E. Musco, Delitti contro l’ordine costituzionale, Bologna, 1984, pp. 148 ss.; G. Marconi, op. cit., pp. 150 ss.
[12] Fondamentale la monografia di E. Gallo, Il delitto di attentato nella teoria del reato, Milano, 1966; e più recentemente dello stesso Autore v. Attentato (delitti di), in Dig. disc. pen., I, 1988, pp. 340 ss. Sulla interpretazione in chiave oggettiva v. G. Marinucci-E. Dolcini, Corso di diritto penale. Nozione, struttura e sistematica del reato, Milano, 1999, pp. 584 ss.; G. Grasso, L’anticipazione della tutela penale: i reati di pericolo e i reati di attentato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1986, pp. 693 ss.; M. Pelissero, Reato politico e flessibilità delle categorie dogmatiche, Napoli, 2000, pp. 150 ss.
[13]Cass., Sez. Un., 14 marzo 1970, in Riv. pen., 1970, p. 974. Per una sintesi degli orientamenti giurisprudenziali si consenta il rinvio a M. Pelissero, Delitti di attentato, in Reati contro la personalità dello Stato e contro l’ordine pubblico, Torino, 2010, pp. 23 ss.
[14] Sui reati di opinione, da una prospettiva penalistica, v. C. Fiore, I reati di opinione, Padova, 1972; L. Alesiani, I reati di opinione. Una rilettura in chiave costituzionale, Milano, 2006; C. Visconti, Aspetti penalistici del discorso pubblico, Torino, 2008.
[15] M. Pelissero, Osservazioni critiche sulla legge in tema di reati di opinione: occasioni mancate e incoerenze sistematiche, in Dir.pen.proc., 2006, pp. 960 ss. e pp. 1197 ss.
[16] Per un’applicazione v. Cass., Sez. I, 6 ottobre 2015, con nota di S. Zirulia, Apologia dell’IS via internet e arresti domiciliari. Prime prove di tenuta del sistema penale rispetto alla nuova minaccia terroristica, in www.penalecontemporaneo.it, 14 dicembre 2015. Su tale aggravante si rinvia a V. Masarone, op. cit., 275 ss.;A. Barazzetta, sub Art. 414, in E. Dolcini-G. Gatta (a cura di), Codice penale commentato, II, Milano, 2015, p. 1550.
[17] Di recente, su tale evoluzione v. F. Fasani, Terrorismo islamico, cit., pp. 172 ss.
[18] A. Cavaliere, op. cit., p. 1.
[19] Ampiamente A. Peccioli, Unione europea e criminalità transnazionale. Nuovi sviluppi, Torino, 2005, pp. 13 ss.; V. Masarone, op. cit., pp. 77 ss.
[20] Sulla interpretazione di questa fattispecie v. A. Schönke- H. Schröder (a cura di), StrafgesetzbuchKommentar, sub § 83, München, 2006, pp. 1119 ss.
[21] E. Gallo-E. Musco, op. cit., p. 184.
[22] Per un commento a queste fattispecie si rinvia, anche per l’ampia dottrina critica sull’anticipazione della tutela penale, a N. Gazeas, Die neueTatbestände in Staatsschutzstrafrecht – VersucheinererstenAuslegungder §§ 89, 89b und 91 StGB, NStZ 2009, 593 ss.;T.Fischer, StrafgesetzbuchmitNebengesetze, München, 2016, 833; G.F. Gütge, §§ 89 a, 89 b, 91, in H. Satger-W. Schluckebier-G. Widmaier (a cura di), StrafgesetzbuchKommentar, Köln, 2012, 815 ss.; J. Schläfer, §§ 89 a, 89 b, 91, in MünchnerKommentarzumStrafgesetzbuch, III, München, 2012, 113 ss.; M. Zöller, §§ 89 a, 89 b, 91, in SystematischerKommentarzumStrafgesetzbuch, Köln, 2012.
[23] R. Wenin, L’addestramento per finalità di terrorismo alla luce delle novità introdotte dal dl 7/2015, in www.penalecontemporaneo.it, 3 aprile 2015.
[24] T. Fischer, op. cit., p. 849.
[25] T. Fischer, op. cit., 849 ss.
[26] Si rinvia al commento di A. Valsecchi, sub artt. 270-bis a 270-sexies, in E. Dolcini-G. Gatta (a cura di), Codice penale commentato, cit., pp. 2996 ss.; A. Cavaliere, Considerazioni critiche intorno al dl antiterrorismo, n. 7 del 18 febbraio 2015, in www.penalecontemporaneo.it, 31 marzo 2015; F. Fasani, Terrorismo islamico e diritto penale, cit., pp. 339 ss.; Id., Le nuove fattispecie antiterrorismo: una prima lettura, in Dir. pen. proc., 2015, pp. 918 ss.; V. Masarone, op. cit., 209 ss.; A. Varvaressos, Nuove misure sanzionatorie di contrasto al terrorismo di matrice islamica, in Leg. pen., 2016, pp. 1 ss.; S.Colaiocco, Prime osservazioni sulle nuove fattispecie antiterrorismo introdotte dal decreto-legge n. 7 del 2015, in Arch. pen., 2015, pp. 1 ss.
[27]F. Fasani, Terrorismo islamico e diritto penale, cit., 33 ss. In giurisprudenza v. Cass., Sez. VI, 12 luglio 2012, n. 46308, in Foro it., 2013, II, p. 434; Cass., sez. I, 6 ottobre 2015, n. 47489.
[28] R. Wenin, op. cit., p. 16.
[29] Su queste fattispecie v. il recente lavoro di F. Fasani, Terrorismo islamico e diritto penale, cit., pp. 325 ss.
[30]G. Leo, Nuove norme in materia di terrorismo, in www.penalecontemporaneo.it, 18 dicembre 2015, 7.L’addestrato e l’arruolato, una volta entrati nella compagine organizzativa, dovranno rispondere del reato associativo, perché con l’introduzione degli artt. 270-quater e 270-quinquies cp «il legislatore ha inteso estendere e non restringere l’area delle condotte penalmente sanzionabili» (Cass., Sez. V, 2 ottobre 2008, n. 39430).
[31] Sui problemi probatori v. F. Viganò, Il contrasto al terrorismo di matrice islamo-fondamentalistica: il diritto penale sostanziale, in C. de Maglie-S. Seminara (a cura di) Terrorismo internazionale, Padova, 2007, pp. 136 ss.
[32] Cass., Sez. I, 6 novembre 2013, n. 4433.
[33] Cass., Sez. I, 9 settembre 2015, n. 40699.
[34] Evidenzia a riguardo l’indeterminatezza della fattispecie A. Cavaliere, op. cit., 6; si veda altresì A. Varvaressos, op. cit., p. 8.
[35] S.Colaiocco, op. cit., p. 5.
[36] A. Balsamo, Decreto antiterrorismo e riforma del sistema delle misure di prevenzione, in www.penalecontemporaneo.it, 2 marzo, 2015, p. 5.
[37] Sulla necessità di riaffermare la tenuta delle garanzie nel contrasto al terrorismo v. A. Spataro, Le forme attuali di manifestazione del terrorismo nella esperienza giudiziaria: implicazioni etniche, religiose e tutela dei diritti umani, in Terrorismo internazionale e diritto penale, cit., pp. 213 ss.