Organizzazione per cellule del terrorismo Jihadista
Innanzitutto premetto che la sola cosa che dobbiamo temere è la paura della paura stessa, indotta appunto dal terrorismo. Mi riferisco all’ingiustificato ed irragionevole terrore che oggi rischia di paralizzare il progresso dello Stato di diritto ed infine di convertirlo per così dire in una ritirata.
La struttura per cellule è stata per la prima volta adottata dal terrorismo di estrema destra statunitense. La rottura con la tradizionale struttura piramidale, in favore della struttura cellulare, ha costituito infatti la risposta dei terroristi di destra alla forte repressione messa in atto dal Governo statunitense.
Questa nuova formula organizzativa del terrorismo è stata ripresa da alcuni membri di spicco nell’universo del jihad, come Mustafa al-QadirSetmariam Nasar alias Abu Musab Al-Suri, e Muhammad Ibrahim Makkawi.
Al-Suri, in Appello alla resistenza islamica mondiale, scrive, riprendendo quanto già teorizzato da Beam, che l’organizzazione gerarchica e centralizzata dei gruppi terroristici è ormai obsoleta. Infatti, la struttura gerarchica renderebbe le attività di Al-Qaeda più facilmente tracciabili ed indebolirebbe l’organizzazione, rendendola più vulnerabile alle operazioni delle forze anti-terroristiche. Al-Suri propone di sostituire la struttura gerarchica accentrata con una rete di cellule indipendenti, sganciate da ogni forma di gerarchia. Tali cellule dovrebbero essere costituite da un individuo o al massimo due, e tra le diverse cellule non dovrebbe esserci alcun legame organizzativo, ma esclusivamente uno ideologico, ovvero un programma ed un obiettivo comune. Al-Suri ritiene infine che tra la leadership di Al-Qaeda e le cellule non dovrebbe esserci alcun contatto. Quella che propone Al-Suri è una costruzione teorica organizzativa che assicura la segretezza e l’inaccessibilità dell’organizzazione, a detrimento del coordinamento. Tale forma comporta necessariamente la completa frammentazione dell’organizzazione.
Makkawi, in La strategia di Al-Qaeda fino al 2020, teorizza che l’organizzazione terroristica dovrebbe trasformarsi in una rete infinita di cellule che agiscono al di fuori di ogni gerarchia.
La preconizzata struttura per cellule individuali, teorizzata da Al-Sari e da Makkawi, non ha tardato manifestarsi violentemente con una serie di attentati che sono stati compiuti da cellule individuali, indipendentemente da direttive provenienti dalla testa di un’organizzazione. Tali sono l’attentato di Madrid nel marzo 2004, ove le autorità inquirenti hanno dimostrato che l’attacco era stato perpetrato da una cellula locale ispirata ad Al-Qaeda ma che non aveva ricevuto l’ordine diretto dai leader dell’organizzazione; l’attacco a Yanbu in Arabia Saudita nel maggio 2004; gli attentati a Taba in Egitto nell’ottobre 2004; il tentato attacco all’aeroporto di Amsterdam sempre nel 2004; il tentativo di far saltare il palazzo di giustizia di Madrid nell’ottobre 2004; l’attentato sventato a Sarajevo nell’ottobre 2005; i tentativi di attacco a Toronto, Chicago e in Danimarca nel 2006; gli attacchi sventati a Londra e Glasgow nel 2007.
Vi è poi una lunga serie di attentati ove le autorità inquirenti non sono riuscite a provare che vi fosse stato un ordine diretto alla cellula di attaccare da parte della testa dell’organizzazione.
In proposito, emblematici sono gli attentati a Charlie Hebdo e quelli più recenti del 13 novembre 2015.
L’attentato alla testata Charlie Hebdo, è stato rivendicato da Al-Qaeda tramite un video intitolato: Vengeance for the Prophet: message regarding the blessed battle of Paris. Nel video, Nasser bin Ali al-Ansi, membro della leadership di Al-Qaeda, acclama come eroi i fratelli Kouachi, e Coulibaly, che, secondo quanto da lui dichiarato, avrebbero agito per conto di Al-Qaeda. Due elementi possono far dubitare della veridicità della affiliazione diretta degli attentatori di Parigi ad Al-Qaeda. Primo, il video divulgato da Al-Qaeda non è altro che un bricolage delle immagini già diffuse dai media occidentali, e non contiene alcuna immagine inedita degli attentatori idonea a far ritenere sussistente un legame di natura organizzativa tra questi ultimi e Al-Qaeda. Secondo, Coulibaly ha giurato fedeltà al Califfo e all’all'organizzazione dello Stato islamico (Osi).
Per quanto concerne gli attacchi di Parigi dello scorso 13 novembre 2015, la totalità dei media italiani e stranieri afferma che siano stati il risultato di un ordine diretto proveniente dal califfo dello Stato Islamico. Ebbene, mentre è certa la totale affiliazione ideologica degli attentatori, ad oggi non vi sono elementi fattuali noti sulla cui base ritenere che gli attentatori abbiano agito dietro disposizioni delle alte gerarchie dello Stato Islamico. Infatti, la teoria per cui gli attentatori avrebbero agito su ordine dello Stato Islamico si fonda esclusivamente sulle generiche rivendicazioni ad opera di agenti dello stesso Stato.
In conclusione, gli attacchi a Parigi sembrano mostrare una certa frammentazione, nonché un deficit strutturale, che dominano l’universo delle cellule jihadiste, le quali, più che rappresentare la longa manus di Al-Qaeda o dello Stato Islamico, potrebbero altro non essere che “lone offender”, la cui affiliazione alle organizzazioni jihadiste resta principalmente ideologica, senza divenire gerarchica.
Questa ricostruzione dovrebbe essere tenuta in conto nel mettere in atto la strategia antiterrorismo.
Tuttavia, si rammenta, gli attentati di Parigi hanno determinato il Governo francese a dichiarare guerra totale allo Stato Islamico e a proclamare lo Stato d’emergenza. Questo approccio sta comportando una progressiva compressione delle libertà fondamentali, e la svolta da Stato di diritto a Stato di sicurezza, ove i poteri dell’autorità giudiziaria sono rimpiazzati da quelli di polizia, con aumento della discrezionalità e diminuzione della controllabilità.
Questa tendenza del Governo francese in particolare, ma più in generale di tutti i governi occidentali, è (nella migliore delle ipotesi) dettata da due principali fattori. Primo, i governi occidentali non riescono ad operare, entro i confini dello Stato di diritto (che, a parere di chi scrive, sono già stati valicati nel momento in cui è stato proclamato lo Stato d’emergenza) un corretto bilanciamento tra il diritto dei cittadini al godimento delle libertà fondamentali e il dovere dello Stato di proteggere tali libertà. Secondo, i governi occidentali stanno affrontando la minaccia jihadista trattandola come un fenomeno unico, e seguendo la relazione: “attentati a Parigi: azione = bombardamenti contro lo Stato Islamico: reazione”.
Quel bilanciamento tra diritti e sicurezza non potrà essere effettuato a livello teorico, ma dovrà essere costruito tramite una programmazione di interventi ad hoc nella lotta al terrorismo per cellule entro le garanzie dello Stato di diritto. Ciò implica innanzitutto una conoscenza approfondita delle cause e dei canali della radicalizzazione (dal carcere a internet, ai ghetti), sulla cui base pianificare un’azione variegata di prevenzione, che spazi dalla creazione di occasioni di effettiva integrazione e dall’abbandono delle politiche di segregazione (che privilegiano investimenti in sicurezza ed erezione di barriere a scapito di interventi che creano inclusione sociale) a un’intelligence realizzata da servizi d’informazione democratici e democraticamente controllati. Certamente non è possibile contrastare una minaccia come quella terroristica per cellule senza servizi di sicurezza; ciò che è però necessario è una riflessione su come tali servizi dovrebbero operare per essere efficaci e chi – e con quali poteri – (esecutivo o autorità giudiziaria) dovrebbe essere preposto alla loro direzione e/o controllo.
Sin d’ora si può comunque affermare che lo Stato Islamico e la jihad per cellule sono fenomeni certamente non privi di interconnessioni, ma che tuttavia rimangono indipendenti l’uno dall’altro; e come tali, devono essere combattuti. Perciò, la strategia per cui un attacco frontale allo Stato Islamico è funzionale a debellare le cellule jihadiste presenti in Europa potrebbe mancare di visione complessiva dell’universo jihadista, e soprattutto della necessaria consapevolezza della forte eterogeneità che lo caratterizza.
È in effetti una reazione dettata da quella che all’inizio del mio intervento ho definito come terrore irragionevole ed ingiustificato che rischia di compromettere tutte le conquiste dello Stato di diritto.