Articoli di Questione Giustizia su informazione
Le innovazioni legislative rivolte ad attuare la direttiva 2016/343/UE «sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza» si prestano a una lettura in chiaroscuro: ad apprezzabili intendimenti corrisponde infatti una traduzione discutibile, in cui convivono – accanto a cautele opportune – il troppo e il troppo poco.
Per un verso, il d.lgs. n. 188 del 2021 ha individuato come unici canali informativi ammessi il comunicato ufficiale e la conferenza stampa, consentita soltanto in casi che si vorrebbero normativamente individuati; per l’altro, preoccupato da eccessi comunicativi dell’autorità giudiziaria, il provvedimento ha finito per demandare alla discrezionalità del procuratore della Repubblica la scelta di informare sul procedimento penale e omesso di estendere agli operatori della comunicazione le prescrizioni che dovrebbero assicurare il rispetto dell’art. 27 comma 2 Cost.
L’impressione è che la disciplina vada pertanto rimeditata, a partire dall’idea che informare l’opinione pubblica di quanto accade nel procedimento penale debba essere la regola, mentre l’esclusione della comunicazione l’eccezione, e che a definirne le modalità debbano essere disposizioni essenziali, nitide nel contenuto ed efficacemente presidiate.
Domani la Rivista riapre dopo la pausa estiva. Ma prima di riprendere il flusso delle pubblicazioni dobbiamo dare notizia di una iniziativa. Questione Giustizia ha deciso di chiamare il quotidiano Il Giornale dinanzi al giudice civile per rispondere sia dell’articolo a firma di Luca Fazzo pubblicato il 14 agosto 2021, intitolato «Chiamata alla rivolta. GOLPE DEI MAGISTRATI CONTRO IL GREEN PASS» e sottotitolato «Le toghe rosse di Md: “E’ una misura anticostituzionale, non va applicata. Il rifiuto dei no vax è da proteggere”» sia del successivo rilancio dell’operazione denigratoria con un articolo, sempre a firma di Luca Fazzo, del 15 agosto. E’ un’azione a difesa della verità e della libertà della Rivista e di quanti vi scrivono. Se, infatti, nello scrivere o nel decidere di pubblicare articoli, saggi o documenti, si dovesse paventare l’infinita gamma di possibili falsificazioni attuate a partire da tali pubblicazioni, il risultato sarebbe la scelta del silenzio o dell’autocensura. Prospettive, entrambe, alle quali non intendiamo soggiacere. Di qui la decisione obbligata di agire in giudizio per accertare i fatti. In difesa della libertà di informazione.
I giudici amministrativi hanno accolto parzialmente il ricorso finalizzato ad ottenere l’accesso alla documentazione raccolta da giornalisti del servizio pubblico per realizzare una puntata della trasmissione Report in cui si erano espressi giudizi sulla vita personale e professionale del ricorrente.