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Abuso d'ufficio: una partita ancora aperta

di Lorenzo Bernardini
dottore in giurisprudenza, tirocinante ex art. 73 legge 98/2013 presso la Corte di Cassazione

La recente abrogazione del reato di abuso d’ufficio ha sollevato forti preoccupazioni in merito alla tutela dei cittadini contro gli abusi di poteri pubblici. Si avverte l’esigenza di una nuova riforma che possa dare vita stabile alla fattispecie, facendo altresì fedele applicazione dei principi di tassatività e determinatezza.

1. Premessa

Il 10 luglio 2024 la Camera ha approvato, in seconda lettura, il cd. “disegno di legge Nordio[1]”, nel testo licenziato dal Senato il 13 febbraio 2024. Si è così concluso l’iter legislativo iniziato il 15 giugno del 2023 con l’approvazione del disegno di legge da parte del Consiglio dei Ministri.

La normativa prodotta incide in vario modo sul diritto penale, sia sostanziale che procedurale. L’intervento che ha suscitato più reazioni tra gli addetti ai lavori riguarda la definitiva abrogazione del reato di abuso d’ufficio, fortemente voluta dal Ministro della Giustizia e propugnata da quanti ritenevano fosse giunta l’ora di tagliare con un colpo netto e definitivo il nodo gordiano intrecciato da una serie di insoddisfacenti riforme.

Tale ordine di idee, sicuramente minoritario in dottrina e praticamente insussistente in giurisprudenza, viene giustificato guardando alla storia normativa dell’art. 323 cp, caratterizzata dalla ricerca continua – e continuamente fallimentare – di tassatività e determinatezza. 

Le tre riforme[2] che hanno preceduto l’abrogazione della fattispecie – senza considerare il mero innalzamento dei limiti edittali intervenuto nel 2012[3] – hanno tentato di modificare la formulazione di un’ipotesi delittuosa che, concepita nel 1930 quale ipotesi di reato residuale ed assolutamente indeterminata, si è ritrovata nel 1990 a svolgere un inedito ruolo centrale nella lotta al fenomeno corruttivo. 

Dati gli insuccessi delle riforme legislative susseguitesi – legati anche ad una sindacabile applicazione giurisprudenziale, tesa a ridimensionare la portata restrittiva delle varie modifiche di volta in volta intervenute –, taluno è arrivato alla conclusione che l’unica via praticabile fosse quella dell’abrogazione in tronco dell’art. 323 cp.

Nelle pagine che seguono, dopo aver analizzato la recente introduzione del nuovo reato di indebita destinazione di denaro o cose mobili (§ 2), si analizzeranno i lati più critici della riforma intervenuta, sia in riferimento al profilo più strettamente penalistico (§ 3), che a quello amministrativo e sovranazionale (§ 4).

 

2. La reincarnazione del peculato per distrazione nel delitto di indebita destinazione (art. 314-bis cp)

Come confermato dalle parole del Ministro Nordio, espresse a più riprese[4], i sostenitori dell’orientamento abrogazionista ritengono che il sistema di repressione della corruzione pubblica possa risultare adeguato ed efficiente anche in assenza del reato di abuso d’ufficio. Una simile conclusione, oltreché a nostro avviso errata, è stata già parzialmente smentita dal recente operato del Governo.

È opportuno ricordare brevemente che nel 1990 il legislatore decise di abrogare il reato di peculato per distrazione, mantenendo in vita la sola figura del peculato per appropriazione (art. 314 cp). 

Nel 2017, tuttavia, l’Unione Europea emanò la cd. Direttiva Pif[5], e con essa introdusse, a carico degli Stati membri, un obbligo di tutela penale riferito proprio alla fattispecie di peculato, ivi compresa la sua abrogata variante distrattiva.  

Di fronte all’inerzia del legislatore, che avrebbe sicuramente condotto l’Italia verso una procedura di infrazione per violazione dell’obbligo di tutela euro unitariamente imposto, la giurisprudenza ha, tramite il ricorso all’interpretazione estensiva, sussunto il peculato per distrazione all’interno dell’area applicativa proprio dell’art. 323 cp. 

Inconsapevole di un simile orientamento giurisprudenziale, il legislatore del 2024 ha proceduto ad abrogare il reato di abuso d’ufficio, così esponendo nuovamente l’Italia al rischio di una procedura di infrazione.

Acquisita tardivamente la cognizione della situazione in atto, il Governo è corso ai ripari tramite l’adozione, durante il periodo a disposizione del Presidente della Repubblica per promulgare la legge n. 114 del 2024[6], di un decreto-legge[7] contenente l’introduzione del nuovo articolo 314-bis cp, consistente, sostanzialmente, nella reintroduzione del peculato per distrazione. 

Non ci si può soffermare, in tal sede, sulla legittimità di un simile decreto-legge, con riferimento agli imperativi requisiti di necessità ed urgenza, oltreché di omogeneità del contenuto – si pensi, in merito, che l’introduzione del reato citato è avvenuta nell’ambito di una decretazione emergenziale riferita alla situazione delle carceri –, ma appare già evidente la frenesia e la disorganizzazione che hanno accompagnato la riforma oggetto di analisi. 

Inoltre, vi è da considerare che con l’introduzione dell’articolo 314-bis si è deciso di mantenere in vita solo una esigua parte del reato di abuso d’ufficio, scegliendo peraltro di riprodurre una parte della formulazione letterale dell’art. 323 cp già fortemente criticata dalla dottrina. 

Più precisamente, l’art. 314-bis sanziona il pubblico ufficiale che destina taluni beni ad un uso diverso da quello previsto da “specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità”, con ciò richiedendo, ai fini della punibilità del soggetto agente, l’inosservanza di un dovere vincolato non solo nell’an, ma persino nel quid e nel quomodo dell’attività.

Tuttavia, come avverte oggi la dottrina, i casi in cui la legge determina il se, il cosa ed il come della condotta del pubblico funzionario non solo sono molto rari, ma riguardano una sfera molto ridotta dell’attività amministrativa, ovvero quella di mera esecuzione.

 

3. Il vuoto di tutela

Sempre con riferimento alla presunta autosufficienza del sistema anti-corruttivo dall’art. 323 cp, è riscontrabile un’attenta dottrina[8] che ha evidenziato come, a seguito del duplice intervento normativo in esame, vi sia una serie di condotte, indubbiamente gravi, che risultano del tutto depenalizzate, non potendo essere ricondotte nella sfera di applicazione di altre fattispecie di reato. 

Difatti, non risulterà più punibile il cd. “abuso di vantaggio” – consistente nel procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio – nel caso in cui non sia provato uno scambio o promessa di denaro o di altre utilità, che permetterebbe di configurarlo quale ipotesi di corruzione (art. 318 cp).

Inoltre, ancor più problematica è la depenalizzazione del cd. “abuso di danno” – consistente nel procurare ad altri un danno ingiusto – nel caso in cui non vengano usate violenza o minaccia (il che renderebbe la condotta punibile in base ad una serie di reati, quali la concussione, art. 317 cp), con il conseguente serio rischio che i privati si possano trovare alla mercé dei comportamenti arbitrari dei pubblici ufficiali, avendo a loro tutela esclusivamente la giustizia amministrativa o quella civile.

Non risulterà più punibile, infine, il cd. “abuso da conflitto di interessi”, sempre nel caso in cui non si rientri nel campo di applicazione del reato di corruzione.

Per porre alcuni esempi, si pensi anzitutto ai vari tentativi di truccare i concorsi pubblici. In assenza della prova di uno scambio di denaro o altre utilità, l’unica fattispecie applicabile risultava quella di cui all’art. 323 cp.

Si pensi, inoltre, al demansionamento di un dipendente comunale attuato con mero intento discriminatorio o ritorsivo[9], o alla simile condotta di un sindaco che, per mero spirito di ritorsione, revochi l’incarico di un dirigente di un settore comunale[10].

In parte diverso è il discorso concernente la critica degli “abrogazionisti” relativa alle varie applicazioni giurisprudenziali dell’articolo 323 cp, le quali, come detto pocanzi, sono spesso risultate svincolate dalle strette maglie dell’interpretazione letterale. Tale considerazione, di per sé fondata, non sembra poter trovare una soluzione nell’abrogazione dell’ipotesi delittuosa in esame.

Se da un lato è vero che le Corti hanno più volte forzato la previgente fattispecie di abuso d’ufficio per farvi rientrare taluni fatti che, nel caso di una sua applicazione in termini di stretta legalità, ne sarebbero rimasti esclusi, ben potrebbe accadere, dall’altro, che in seguito all’abrogazione dell’art. 323, tale attività di forzatura avvenga relativamente alle altre fattispecie, spesso più gravi, contigue all’abuso d’ufficio.

Si pensi, per esempio, al magistrato che, animato da motivi di risentimento personale, emani contro un terzo un mandato di cattura, ben conscio dell’assenza delle condizioni che lo legittimano[11].

Tale fatto di reato, precedentemente qualificabile in termini di abuso d’ufficio, potrebbe, certo non senza qualche difficoltà, essere ricondotto sotto l’area applicativa del sequestro di persona.

Tuttavia, a ben vedere, l’art. 605 cp prevede, al secondo comma, una pena da uno a dieci anni se il fatto è stato commesso da un pubblico ufficiale, con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni. Dunque, in astratto, risulterebbe applicabile una pena ben più elevata di quella precedentemente prevista dall’articolo 323, con possibile violazione, di conseguenza, dei principi di proporzionalità e ragionevolezza. 

Alla luce di queste brevi considerazioni, appare evidente che la definitiva abrogazione dell’abuso d’ufficio, con contestuale introduzione dell’art. 314-bis, non solo non pone rimedio ai numerosi problemi relativi al sistema dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, ma potrà risultare persino foriera di ulteriori e più gravi conseguenze che dovranno essere oggetto di attento studio.

In primo luogo, occorre evidenziare, dal punto di vista strettamente penale, che si assisterà ad un vulnus di tutela decisamente preoccupante. Come pocanzi accennato, è infatti intervenuta una totale depenalizzazione di una serie di condotte di abusi di potere. 

«Un diritto penale liberale deve avere a cuore la tutela del privato dagli abusi del potere pubblico[12]», ed è opinione diffusa che l’abuso d’ufficio fosse «l’unica potenziale forma di protezione di fronte a prevaricazioni provenienti dai rappresentanti dello Stato[13]».

Inoltre, essendo intervenuta un’abolitio criminis, il giudice dell’esecuzione sarà tenuto a revocare tutte le sentenze o i decreti penali nei confronti dei soggetti che hanno ricevuto una condanna ex art. 323 cp. Ciò, in base al combinato disposto dell’art. 2, comma 2 cp e dell’art. 673 cpp.

E tali considerazioni valgono anche relativamente alla condotta distrattiva, attualmente sanzionata in base al nuovo articolo 314-bis, non potendosi ravvisare una ipotesi di "abolitio sine abolitione", non venendo qui in rilievo un rapporto di specialità unilaterale tra le due norme.

Vi è anche da considerare che, a seguito dell’intervento normativo in esame, talune classi di condotte distrattive saranno definitivamente depenalizzate, non potendo trovare accoglimento nella sfera di applicazione del nuovo 314-bis. Si pensi, per esempio, alla cd. “distrazione di energie umane lavorative”.

Difatti, come correttamente evidenziato da una certa dottrina[14], secondo orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, integrava la fattispecie di abuso d’ufficio, e non di peculato o di peculato d’uso, la distrazione da parte del pubblico ufficiale di energie lavorative, in quanto le fattispecie di peculato richiedono l’appropriazione o la distrazione di “cose mobili”, tra le quali certamente non rientra l’attività umana.

Analoga depenalizzazione è avvenuta con riferimento alla distrazione posta in essere violando disposizioni di regolamenti o di circolari, atteso che il nuovo articolo 314-bis richiede, ai fini della punibilità, la violazione di disposizioni di legge o di atti aventi forza di legge. Discorso che vale, peraltro, anche con riferimento alla violazione di tutte quelle disposizioni dalle quali residuino margini di discrezionalità in capo ai pubblici funzionari. 

Sarà sicuramente compito del giurista analizzare le future decisioni delle Corti di giustizia inerenti alle citate classi di condotte apparentemente abrogate. Come si accennava in precedenza, infatti, la giurisprudenza ha sempre mostrato una certa creatività interpretativa in materia di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, e non sarebbe una sorpresa se tentasse di ridimensionare la portata depenalizzante delle riforme intervenute.

 

4. Incoerenza con il diritto amministrativo e contrasto con il diritto sovranazionale

Spostando brevemente l’attenzione sul diritto amministrativo, invece, è opportuno ricordare che nel 2023 è stato introdotto il nuovo Codice dei contratti pubblici[15], testo che si basa su alcuni principi fondamentali. Tra questi, ai fini della disamina che stiamo svolgendo, assumono particolare rilievo i principi del risultato e della fiducia.

A seguito di un’innovazione legislativa certamente improntata alla centralità del risultato, si è invero spostata l’attenzione dalla mera legalità e concorrenza, spesso fini a sé stesse, al risultato, non più identificato con la concorrenza stessa – la quale, dunque, da “fine” diventa “mezzo” –, ma con la stipulazione dell’atto finale.

In un simile contesto, il principio di fiducia avvalora ancora di più la scelta legislativa di basare la procedura di evidenza pubblica sull’esercizio del potere discrezionale e sulla auto-responsabilizzazione della stazione appaltante. Si valorizza e si favorisce l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, e tramite il concetto di “fiducia” si tenta di abbandonare quell’aura di sospetto che ha sempre accompagnato l’esercizio dei pubblici poteri negli ultimi anni.

Se è giusto consentire ai pubblici funzionari di operare in un contesto più sereno e meno diffidente, svincolandoli dal costante timore di incorrere in un’incriminazione per abuso d’ufficio, è importante, però, dotarsi di sistemi idonei a sanzionare chi, di quella fiducia, abusi.

Dunque, se sul piano amministrativo si propende per aumentare i poteri discrezionali in capo ai pubblici ufficiali, permettendo loro, in casi eccezionali, persino di sacrificare la concorrenza in favore del risultato, è bene predisporre un sistema repressivo adeguato. Adeguatezza che è stata sicuramente messa a dura prova dall’intervenuta abrogazione del reato di abuso d’ufficio.

A ciò si aggiunga che l’abrogazione dell’illecito penale non è stata, neanche in parte, controbilanciata dall’introduzione di specifici nuovi illeciti amministrativi, il che avrebbe potuto garantire ai cittadini una tutela maggiore, seppur non efficiente quanto quella penalistica.

Inoltre, occorre considerare il profilo sovranazionale. 

Difatti, non può non evidenziarsi che la depenalizzazione del reato di abuso d’ufficio potrebbe, da un lato, risultare incostituzionale per contrasto con il diritto internazionale, dall’altro, comportare la futura apertura di un procedimento di infrazione contro l’Italia per inadempimento di un obbligo di tutela comunitariamente imposto.

Sotto il primo profilo, infatti, viene in rilievo la Convenzione Onu di Merida contro la corruzione del 2003, ratificata dall’Italia con la legge n. 116/2009.

Più precisamente, il II Titolo di tale Convenzione è interamente dedicato alla strategia normativa degli Stati parte per l’adozione di efficaci politiche di prevenzione della corruzione. Di conseguenza, l’abrogazione dell’abuso d’ufficio potrebbe comportare una dichiarazione di incostituzionalità per violazione del diritto internazionale ex art. 117, comma 1, della Costituzione, qualora si ravvisasse la sussistenza di un obbligo di incriminazione, piuttosto che di un mero “suggerimento”. 

Tramite un’ordinanza del Tribunale di Firenze[16] è stata sollevata la prima delle (presumibilmente molteplici) questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lett. b) della legge Nordio, nella parte in cui viene abrogato l’articolo 323 cp.

Il Tribunale ha evidenziato il possibile contrasto della norma con gli articoli 11, 97 e 117, comma 1, della Costituzione, sottolineando come l’eliminazione tout court dell’abuso d’ufficio potrebbe violare gli obblighi derivanti dal diritto internazionale, con particolare riferimento proprio alla Convenzione Onu di Merida. 

I giudici fiorentini hanno sottoposto all’attenzione della Consulta anche il possibile profilo di contrasto con i principi di buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., principi che risultano in parte svuotati di contenuto dall’abrogazione dell’art. 323 cp.

Non ci si può soffermare, in questa sede, sull’analisi dettagliata dell’ordinanza, alla cui lettura si rimanda[17], ma era opportuno evidenziare la pronta risposta della giurisprudenza ad un intervento normativo della cui legittimità costituzionale è lecito dubitare.

Sotto il secondo profilo, invece, viene in rilievo una recente proposta di direttiva europea[18], al cui articolo 11 viene imposto agli Stati un obbligo di tutela. Tale articolo, rubricato «Abuso d’ufficio», prevede espressamente che «gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché sia punibile come reato la condotta seguente, se intenzionale», proseguendo poi tramite la descrizione di due condotte perfettamente riconducibili alla definizione nostrana di abuso d’ufficio. 

Tale problema è stato affrontato dalla Relazione al «d.d.l. Nordio», ma è stato risolto in modo alquanto peculiare. Difatti, nel testo si afferma espressamente che «resta ferma, peraltro, la possibilità di valutare in prospettiva futura specifici interventi additivi volti a sanzionare, con formulazioni circoscritte e precise, condotte meritevoli di pena in forza di eventuali indicazioni di matrice euro-unitaria che dovessero sopravvenire».

Dunque, si prevede già la possibilità di dover inserire una nuova fattispecie di abuso d’ufficio, ma anziché provvedere ad una sua riforma, si è deciso di abrogarla, così rimandando il problema a quando sarà adottata la direttiva europea.

A rendere il quadro ancora più sfavorevole per il nostro Paese è, inoltre, la recente pubblicazione del rapporto dell’Ue sullo Stato di diritto in Italia, nel quale, in merito alle riforme in esame, si ricorda espressamente che «la criminalizzazione dell’abuso d’ufficio e del traffico di influenze illecite è prevista dalle convenzioni internazionali sulla corruzione ed è quindi uno strumento essenziale per le autorità di contrasto e le procure ai fini della lotta contro la corruzione. I portatori di interessi hanno osservato che l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio potrebbe comportare una diminuzione dei livelli di rilevamento e investigazione della frode e della corruzione[19]». 

È dunque forte la preoccupazione dell’Unione europea a seguito delle recenti riforme volute dal Ministro Nordio, e ciò non potrà che comportare la necessità di intervenire nuovamente in materia.

 

5. Conclusioni

Alla luce di quanto detto, pertanto, appare molto probabile che in un futuro non troppo lontano sarà reintrodotta una nuova fattispecie di abuso d’ufficio, con tutti i problemi del caso relativi ai profili di diritto intertemporale ed al grave vulnus di tutela nel frattempo sussistente. 

La soluzione preferibile sarebbe stata quella di un’ulteriore riforma dell’articolo 323 del codice penale, piuttosto che l’abrogazione di un’ipotesi di reato posta a tutela sia di rilevanti interessi pubblici generali, che di particolari interessi dei singoli privati cittadini. 

Una valida soluzione, in questo senso, potrebbe essere quella proposta verso la fine degli anni ’90 dalla Commissione Morbidelli, che per la prima volta ideò una teoria sicuramente efficace, anche se mai adottata in sede legislativa.

Tale teoria, meglio conosciuta con il nome di “spacchettamento dell’abuso d’ufficio” – e recentemente riproposta in dottrina[20] - si basa sulla considerazione che le diverse sub-fattispecie contenute all’interno del reato in esame non potranno mai essere oggetto di sufficiente determinazione, se non tramite la previsione di ipotesi incriminatrici contigue, ma autonome.

Il reato in esame, infatti, ha indubbiamente due anime al suo interno. Da un lato, vi è l’anima prevaricatrice, vessatoria, fatta di antipatie, di dispetti, di vendette.

Dall’altro, vi è l’anima affaristica, caratterizzata dal mercimonio della funzione pubblica per ottenere vantaggi personali o per favorire interessi privati, a scapito dell’interesse pubblico generale e della corretta amministrazione.

In una prospettiva di riforma, dunque, non si dovrebbe mai perdere di vista tale dualità “soggettiva”, e si dovrebbe procedere alla predisposizione di un sistema repressivo che sia in grado di non lasciare vuoti di tutela, oltreché idoneo a colmare quelli attualmente sussistenti.

Per tale motivo, la Commissione Morbidelli propose di “spacchettare” l’abuso d’ufficio, suddividendolo in tre ipotesi di reato distinte, consistenti nei delitti di “prevaricazione”, “favoritismo affaristico” e “sfruttamento privato dell’ufficio”. Tramite il mercimonio della funzione pubblica, dunque, si potrebbero verificare tre esiti diversi, consistenti rispettivamente: nel danno ingiusto a carico di terzi; nell’indebito vantaggio patrimoniale a favore di terzi; nell’indebito vantaggio patrimoniale a favore del pubblico ufficiale stesso.

La suddivisione dell’abuso d’ufficio in più reati sembra una valida via da seguire (se non l’unica) per poter finalmente pervenire a delle fattispecie chiare, determinate, tassative.

In tal modo si potrebbe adeguare la formulazione del testo alle specificità della condotta penalmente rilevante, consegnando all’abuso di potere quella determinatezza che, come detto, non ha mai realmente avuto.

In sintesi, ci preme evidenziare che non è sostenibile la tesi di coloro che hanno ceduto alle tentazioni “sireniche” dell’abrogazione dell’abuso d’ufficio, ritenendo che fosse meglio recidere l’arto infetto, piuttosto che tentare di curarlo. 

Continuare a giustificare un simile intervento normativo non può che tradursi in un sofisma, frutto di un mero esercizio di dialettica eristica. L’ordinamento, infatti, non può fare a meno di una fattispecie quale l’abuso d’ufficio. Si auspica che il legislatore possa, con una nuova riforma, definire una formulazione stabile e adeguata, che sia idonea a difendere gli interessi meritevoli di tutela, e che al contempo risulti applicazione dei principi di determinatezza e tassatività, pur lesi sotto la vigenza delle precedenti formulazioni dell’articolo 323 cp.


 
[1] Disegno di legge divenuto legge n. 114 del 9 agosto 2024.

[2] Riforme operate dalla legge n. 86 del 26 aprile 1990, dalla legge n. 234 del 16 luglio 1997 e, da ultimo, dal decreto-legge n. 76 del 16 luglio 2020, convertito, con modificazioni, in legge n. 120 dell’11 settembre 2020.

[3] Cd. Legge Severino (legge n. 190 del 6 novembre del 2012).

[4] Si veda, tra le altre, la conferenza stampa n. 39 del 15 giugno 2023.

[5] Direttiva Ue n. 1371 del 2017. Si veda, in particolare, il terzo comma dell’art. 4.

[6] Si tenga presente, infatti, che il Presidente della Repubblica ha promulgato la legge Nordio insolitamente in ritardo, sfruttando tutti e 30 i giorni a sua disposizione. Ritardo presumibilmente dovuto proprio alla necessità che la legge n. 112/2024 entrasse in vigore prima della legge n. 114/2024.

[7] Decreto-legge n. 92 del 2024, convertito, con modificazioni, in legge n. 112 dell’8 agosto 2024.

[8] Si confronti, sul tema, la disamina di G. L. Gatta, Morte dell’abuso d’ufficio, recupero in zona Cesarini del ‘peculato per distrazione’ (art. 314-bis c.p.) e obblighi (non pienamente soddisfatti) di attuazione della direttiva UE 2017/1371, in Sistema penale online, 10 luglio 2024.

[9] Cass. Pen., Sez. VI, n. 19/22871; cfr. G. Forti, S. Seminara, Commentario breve al Codice penale, Milano, 2022, p. 1612.

[10] Cass. Pen., Sez. VI, n. 09/19135, cfr. ibidem, p. 1616.

[11] Sez. Un. Pen., n. 20 giugno 1990, ric. Monaco ed altri; cfr. Il Foro italiano, Vol. 113, parte II: giurisprudenza penale (1990).

[12] F. Giunta, La scomparsa dell’abuso d’ufficio ed il ritorno del peculato per distrazione, testo pubblicato su PQM, supplemento del quotidiano Il Riformista, 20 luglio 2024.

[13] Ibidem.

[14] M. Gambardella, Peculato, abuso d’ufficio e nuovo delitto di “indebita destinazione di denaro o cose mobili” (art. 314-bisc.p.). I riflessi intertemporali del decreto-legge n. 92/2024, in Sistema Penale online, 17 luglio 2024.

[15] Decreto legislativo n. 36 del 31 marzo 2023, in attuazione dell’art. 1 della legge n. 78 del 21 giugno 2022.

[16] Ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale di questione di legittimità costituzionale, emanata in data 24 settembre 2024.

[17] Si veda altresì il contributo di S. Spina, Taking Treaties Seriously. Diritto internazionale pattizio e abrogazione del reato di abuso d’ufficio al banco di prova della Corte costituzionale, in questa Rivista online (https://www.questionegiustizia.it/articolo/i-taking-treaties-seriously-i-diritto-internazionale-pattizio-e-abrogazione-del-reato-di-abuso-d-ufficio-al-banco-di-prova-della-corte-costituzionale).

[18] Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla lotta contro la corruzione, che sostituisce la decisione quadro n. 2003/568/GAI del Consiglio.

[19] Documento di lavoro dei servizi della Commissione. Relazione sullo Stato di diritto 2024. Capitolo sulla situazione dello Stato di diritto in Italia.

[20] T. Padovani, Vita, morte e miracoli dell’abuso d’ufficio, in Giurisprudenza penale online, 2020.

05/11/2024
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Con ordinanza del 24 settembre 2024 il Tribunale di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, primo comma, lettera b) della legge 9 agosto 2024, n. 114, con cui è stato abrogato il reato di abuso d’ufficio. Di tale norma abrogativa è stato, più in particolare, denunciato il contrasto sia con i vincoli derivanti dagli obblighi internazionali assunti dall’Italia con l’adesione, ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata a Merida nell’anno 2003, sia con il principio di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione.

03/10/2024
La “Fabbrica di San Pietro” della giustizia penale

Per descrivere lo stato dell’arte dei lavori legislativi sulla giustizia penale è ormai d’obbligo attingere alle metafore “stanche” che designano un eterno lavorio, il rifacimento dell’appena fatto, la riscrittura del già deciso: la Fabbrica di San Pietro, la tela di Penelope, la fatica di Sisifo et similia. Mentre ci si accinge ad abrogare totalmente il reato di abuso d’ufficio, ignorando le argomentate critiche di larga parte della dottrina penalistica e dei magistrati impegnati sul campo, si propone anche di rimettere mano alla tormentata disciplina della prescrizione, già oggetto di tre interventi riformatori succedutisi nell’arco di pochi anni. L’auspicio di quanti operano nel mondo della giustizia è che la normativa in tema di prescrizione, per la straordinaria rilevanza degli interessi in gioco, cessi di essere terreno di uno scontro pregiudiziale delle forze politiche e divenga oggetto di una soluzione largamente condivisa e perciò destinata – finalmente – a durare nel tempo. 

17/07/2023