1. Il fatto
Viene richiesto, da coppia omogenitoriale femminile, agli uffici dello stato civile di una grande città, il rilascio di carta d’identità elettronica valida per l’espatrio per la figlia minore con l’indicazione, accanto ai nominativi, della qualifica per entrambe di “madre” o, in alternativa, di quella neutra di genitore. Tale richiesta, secondo l’ufficio, è contraria alle specifiche tecniche del programma informatico che corrisponde al decreto del Ministero dell’Interno del 31/10/2019, nel quale sono previste solo le diciture padre e madre.
Le due madri si rivolgono prima al giudice amministrativo per l’annullamento del decreto, ottenendo l’indicazione di rivolgersi alla giurisdizione ordinaria, in quanto giudice dei diritti soggettivi. Provvedono, di conseguenza, alla riassunzione, confermando le ragioni plurime d’illegittimità del decreto e chiedendone la disapplicazione, così da procedere alla corretta e veritiera indicazione della loro qualità di genitori nella carta d’identità elettronica della minore, essendo una, madre biologica, l’altra, madre adottiva ex art. 44 lettera d) come da sentenza del Tribunale per i minorenni coperta da giudicato.
2. Il provvedimento del Tribunale
Il tribunale, acquisita dal Ministero dell’Interno risposta positiva sulla fattibilità dell’adeguamento del software alle modifiche invocate dalle ricorrenti, chiarisce, in primo luogo, che le questioni da affrontare non riguardano l’impossibilità tecnica dell’adeguamento richiesto, ma i profili d’incompatibilità giuridica riscontrati nella ferma opposizione del Ministero dell’Interno, provenienti dalle norme codicistiche sulla filiazione, da quelle desumibili dalla l. n. 40 del 2004 nonché infine da quelle sull’adozione.
Ma, afferma, il Tribunale, questo “muro” di norme impeditive individuato dal Ministero dell’Interno è estraneo alla materia del contendere. Il regime probatorio della filiazione biologica eterosessuale, le condizioni di accesso alle p.m.a. o all’adozione legittimante prendono in esame alcuni effetti della filiazione biologica eterosessuale. Si occupano di questa tipologia di filiazione. Non indicano il modello esclusivo della genitorialità nel nostro ordinamento.
Il caso portato all’attenzione del Tribunale è di tutt’altro contenuto. Si parte da un giudicato sulla genitorialità adottiva, quella prevista e disciplinata dagli artt. 44 e seguenti della l. n. 184 del 1983 (di recente rafforzata per mezzo della sentenza della Corte Cost. n. 79 del 2022) che stabilisce una relazione giuridicamente qualificata tra madre adottiva e figlia minore, conforme a legge e definitiva. Questa relazione, per consentire al minore l’esercizio di una vasta gamma di diritti, primo fra tutti quello costituzionale ed unionale, alla libera circolazione, deve trovare riscontro nel documento d’identità del minore. Un riscontro corrispondente alla realtà effettuale che non stravolga od alteri l’identità di genere anche di uno solo dei genitori.
Afferma, al riguardo, molto efficacemente, il Tribunale che non c’è un obbligo giuridico di normare espressamente ed in ogni circostanza i genitori come padre e madre. Questo è un binomio che riguarda la filiazione biologica eterosessuale non potendo, perciò, trasformarsi in un modello distorsivo applicabile ad ogni occasione in cui si deve rappresentare una relazione genitoriale.
Ricorda come l’art. 30 Cost. non parla di madre e padre ma di genitori e che l’art. 29 in correlazione con l’art. 2 Cost. non impedisce il riconoscimento legislativo di altri modelli di relazione affettiva diversi dal matrimonio eterosessuale, così come non ostacola l’individuazione, grazie anche al diritto vivente (S.U. 12193 del 2019) anche per le coppie omogenitoriali, di un modello di filiazione adottiva. Quella, ex art. 44, lettera d) l. n. 184 del 1983, che le due madri hanno posto in essere e che si fonda su una sentenza del Tribunale per i minorenni coperta da giudicato, nella quale è stato imposto specificamente di provvedere alle dovute annotazioni sul registro dello stato civile. Annotazioni che devono essere corrispondenti e non in contrasto con la realtà e con il giudicato.
Il dato “incontrovertibile” secondo il Tribunale è che la minore ha una madre biologica ed una adottiva. Questa condizione, giuridicamente legittima, deve trovare riscontro nel documento d’identità della minore in modo conforme al genere ed al sesso o comunque in termini neutri ma non mediante un’alterata rappresentazione dei generi dei due genitori.
La risposta affermativa si fonda, questa volta si, su molteplici indici normativi pertinenti. Si farà sommariamente cenno dei primi tre, gli altri essendo tratti dalla normazione interna relativa agli atti dello stato civile, alla l. n. 76 del 2016 etc.
Il primo è l’art. 8 Cedu, declinato in funzione del diritto alla vita privata e familiare delle due madri le quali subirebbero un’ingiustificata discriminazione da un’attestazione di genitorialità non veritiera, non necessaria, (quale è il principio superiore da tutelare?) né proporzionale e sicuramente eccedente il margine di discrezionalità degli Stati. Una identificazione che indichi un ruolo sociale e parentale incongruo determinerebbe un’ingerenza illegittima anche in relazione al diritto alla vita familiare del minore, soprattutto nella declinazione del diritto all’identità e alla dignità. L’alterazione della realtà effettuale e giuridica della genitorialità determinata dall’indicazione nella carta d’identità di un genere e un ruolo diverso (il padre) da quello reale costituirebbe un vulnus grave per il minore nel necessario processo di riconoscimento e rispecchiamento nella propria effettiva genealogia. Tale processo, che costituisce un tassello ineliminabile dello sviluppo della sua personalità, sarebbe ostacolato dall’indicazione di una relazione parentale incongrua e del tutto contrastante con la realtà contenuta in un documento personale di primaria importanza e di molto frequente utilizzo come la carta d’identità.
Il secondo è l’art. 21, par. 1 TFUE che garantisce la libertà di circolazione e soggiorno negli stati membri. La recente pronuncia CGUE (C-490/20 V.M.A. Stolichna Obshtina rayon “Pancharevo”, sent. del 14/12/2021) ha stabilito che della medesima libertà deve godere il minore di età che abbia due madri che debba circolare o soggiornare in uno stato membro diverso da quello che ha riconosciuto lo status genitoriale. La Corte ha stabilito il diritto del minore di essere accompagnato da ciascuna delle madri all’interno dell’UE ed a questo fine gli deve essere riconosciuto lo status acquisito in un altro Stato membro pur se in quello di transito o soggiorno non sia consentita la omogenitorialità o sia consentita con modalità diverse. Secondo la Corte «il rapporto del minore interessato con ciascuna delle due persone con cui ha una vita familiare effettiva nello Stato membro ospitante e che sono menzionate come suoi genitori nell’atto di nascita emesso dalle autorità di tale Stato è protetto dall’articolo 7 della Carta». Peraltro, alla luce degli artt. 7 e 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e gli artt. 2 e 7 della già ricordata Convenzione di New York, la Corte sottolinea il divieto di discriminazioni, «comprese quelle basate sull’orientamento sessuale dei suoi genitori».
E la discriminazione sarebbe palese, se i minori aventi genitori dello stesso sesso dovessero esibire documenti di identità sui quali essi risultano indicati in termini manifestamente falsi e identici a quelli dei minori aventi genitori di sesso opposto.
Il terzo si ravvisa nel sistema di tutela della privacy, all’interno del quale si colloca un parere del Garante del 31 ottobre 2018 nel quale si sottolinea che la corretta indicazione del nome e del genere dei genitori (o l’assunzione di una formula neutrale) su documento d’identità del minore consente di identificare con certezza chi esercita la responsabilità genitoriale in applicazione dei principi eurounitari di minimizzazione (limitazione dei dati a quelli indispensabili dell’informazione necessaria allo scopo) e di esattezza.
In mancanza di un sostegno normativo specifico, rivolto allo scopo che perseguono i documenti d’identità, ed in presenza di un quadro costituzionale, eurounitario, convenzionale ed interno contrastante, il decreto ministeriale che impone le specifiche tecniche contestate e cioè quelle che non consentono di non indicare in modo errato e contrastante con la realtà il genere di uno dei genitori è, secondo il Tribunale, da disapplicare.
La conseguenza è l’ordine di indicare in modo neutro (questa è l’opzione, discutibile ma non discriminatoria, adottata dal Tribunale) con il termine “genitore” da far seguire ai nominativi delle due madri, la relazione parentale delle due madri con la figlia minore.
3. Conclusioni
Non può non sorgere spontanea una domanda: ma perché contrastare una domanda così ragionevole, oltre che, come esaminato, fondata su solidissime basi costituzionali, eurounitarie, convenzionali ed interne? Una domanda di riconoscimento in un documento di identità della verità di una relazione genitoriale consacrata in un giudicato, frutto del coerente adeguamento al diritto vivente?
Quali sono i valori che possono giustificare la indicazione con il genere maschile di un genitore di sesso femminile ponendolo in questo modo davvero a rischio di avere problemi con polizia di frontiera od agenzie pubbliche?
Quali principi fondanti la nostra convivenza civile si scardinano se si rappresenta una realtà relazionale giuridicamente qualificata senza alterarne la effettiva natura omogenitoriale?
Forse è meglio lasciare senza risposta questi interrogativi, tenendo presente che quando l’autorità statuale impone la rappresentazione dei soggetti e delle relazioni tagliando od alterando le caratteristiche umane e personali è la dignità stessa dell’individuo ad essere in pericolo.