Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

CSM, da un Porcellum al Marta-rellum: una prima lettura della proposta di legge elettorale

di Valerio Savio
Presidente Aggiunto Sezione GIP-GUP Tribunale Roma

1. Nell’operare una prima lettura della legge elettorale per il CSM proposta i giorni scorsi dal Governo deve innanzitutto darsi atto alla Ministro Marta Cartabia della cultura costituzionale con la quale ha rifiutato l’idea di introdurre il sorteggio nella selezione dei candidati magistrati (idea non dimentichiamolo sorretta da un non marginale fronte trasversale composto anche da forze politiche di maggioranza) e della sensibilità istituzionale (inerente ai rapporti tra Esecutivo e Magistratura) con la quale ha voluto al contempo mostrare di dare ascolto al recente referendum consultivo indetto dall’Associazione Nazionale Magistrati espressosi all’81 % a favore di sistemi elettorali ad effetti proporzionali, modificando precedente disegno di legge incentrato unicamente su collegi maggioritari binominali.

Né può pretermettersi, in una valutazione complessiva della sua proposta, l’evidente intento di raggiungere una soluzione che possa ragionevolmente essere approvata in tempi brevi, insieme al resto della Riforma di ordinamento giudiziario, in un Parlamento politicamente balcanizzato come quello mostratosi nelle recenti elezioni presidenziali ed in cui il sentimento dominante in tutti i settori dell’emiciclo parlamentare rifugge il proporzionale perché ritenuto (senza ragione) meno adatto del maggioritario a superare quello che anche nella Relazione Illustrativa è indicato espressamente come il nemico da battere: il “controllo correntizio” sulle elezioni. 

Così, non volendosi ascoltare le voci pro sorteggio, e ritenendosi politicamente improponibile un sistema del tutto proporzionale o a prevalenti effetti proporzionali, via Arenula propone un sistema che vuole essere, ed appare, di compromesso: per i componenti magistrati del Consiglio, 13 eletti con meccanismi maggioritari, cinque eletti con meccanismo proporzionale.           

Se la legge elettorale vigente si è dimostrata indiscutibilmente il Porcellum della Magistratura per la sua attitudine a creare un CSM (piuttosto che di eletti) di nominati dalla dirigenze dei gruppi, la normativa proposta potrebbe esserne il Mattarellum – o se la Ministro ci consente: il Martarellum - per similitudine con la legge elettorale per le Camere del 1993 fondata appunto su tre quarti di maggioritario ed un quarto di proporzionale, come il testo che ora si propone. Con la differenza, non certo di poco conto, che ciò che poteva far apprezzare il Mattarellum per il Parlamento – la possibilità di garantire che dalle elezioni uscisse, pur in presenza di una tutela delle opposizioni, una chiara indicazione di maggioranza, a garantire la governabilità in una alternanza di coalizioni (alla fine in qualche modo attuatasi nelle elezioni politiche dal 1994 al 2008) – lo è molto meno con riguardo al Consiglio Superiore della Magistratura, dove un problema di governabilità notoriamente non si pone, e dove anzi è preferibile che maggioranze precostituite non ve ne siano.

Ma qui siamo alle criticità della proposta, e dobbiamo prima vedere di che si discute.

 

2. La normativa porta a venti i componenti “togati” e a dieci quelli di nomina parlamentare, prevedendo innanzitutto che quest’ultimi siano “scelti” tra i soggetti indicati all’art. 104 Cost. “nel rispetto della parità di genere garantita dagli articoli 3 e 51 della Costituzione, secondo principi di trasparenza nelle procedure di candidatura e di selezione”.

Per i componenti “togati”, si prevedono : a) un collegio unico nazionale per due componenti che esercitano funzioni di legittimità in Cassazione e relativa Procura Generale, maggioritario, in cui vengono eletti i due candidati più votati, a qualunque genere appartengano; b) due macrocollegi territoriali binominali maggioritari per cinque magistrati che esercitano funzioni di pm presso uffici di merito e presso la Direzione Nazionale Antimafia, in ciascuno dei quali vengono eletti i due candidati più votati nonché il “miglior terzo” per percentuale di voti presi sul totale degli aventi diritto al voto; c) quattro macrocollegi territoriali binominali maggioritari per l’elezione di otto magistrati con funzioni di merito o destinati alla Cassazione ex art. 115 R.D. 12 / 1941, in ciascuno dei quali vengono eletti i due candidati più votati ; d) un collegio unico nazionale definibile come “virtuale” in cui vengono eletti cinque magistrati con funzioni di merito o destinati alla Cassazione ex art. 115 R.D. 12 / 1941, con ripartizione proporzionale dei seggi.

I collegi territoriali vengono composti aggregando “in continuità territoriale” distretti e se del caso circondari, per garantire che abbiano corpo elettorale tendenzialmente equivalente. I magistrati di legittimità “sono conteggiati” nel distretto di Roma. I fuori ruolo dove lavoravano prima.

In ogni collegio devono esserci almeno sei candidati, con rappresentanza di genere necessariamente al 50%. Se non si raggiungono tali soglie, si integrano le candidature “volontarie” con un sorteggio tra gli eleggibili non dichiaratisi indisponibili “da elenchi separati per genere”, sino a raggiungere il detto rapporto tra candidati di genere ovvero, se i candidati sono meno di sei, estraendo a sorte un numero pari al triplo di quelli necessari per raggiungere quota sei.

Per candidarsi è necessaria la terza valutazione di professionalità, non servono firme di presentatori. Ci si può candidare nel macrocollegio o nel collegio di legittimità in cui si esercitano le funzioni, senza necessità di firme di presentazione (norma idonea a superare se approvata il referendum in itinere). Ci si può candidare come singoli, ovvero collegandosi “con uno o più candidati dello stesso o di altri collegi”. Ogni candidato non può appartenere a più di un gruppo di candidati collegati e il collegamento non opera se non è reciproco tra tutti i candidati del gruppo.

Il collegamento è funzionale alla ripartizione dei cinque seggi nel collegio “virtuale” proporzionale per giudici “di merito”. Infatti, eletti gli otto componenti di cui ai quattro collegi maggioritari (in ciascuno, i due più votati), per ripartire i cinque seggi “proporzionali” si considerano da un lato i voti conseguiti in tali collegi da ciascun singolo candidato non collegato e dall’altro la somma dei voti conseguiti da ciascun gruppo di candidati collegati in uno o più collegi, per poi dividere questo voto “di lista” per il quoziente (numero dei voti validi diviso cinque, il numero dei seggi) e attribuire i seggi a seconda dei quozienti pieni colti da ciascuna “lista” di collegati, e a seguire a seconda dei maggiori resti. Con il fondamentale previo accorgimento – utile a dare tutela rinforzata ai gruppi di collegati minoritari e/o ai candidati non collegati – di sottrarre dalla somma dei voti conseguiti da ciascun gruppo nei quattro collegi binominali per giudici di merito i voti avuti dai candidati in quei collegi eletti (se insomma i magistrati nei quattro collegi maggioritari binominali hanno espresso complessivamente 7500 voti validi, 2800 per i magistrati collegati Bianchi, 2200 per i collegati Verdi – Bianchi e Verdi arrivati primi e secondi in tutti i collegi conquistando gli otto seggi --, 1000 per i collegati Blu, 500 per i Rossi, 300 per i Gialli, e in un collegio un candidato Non Collegato ha riportato 700 voti; se i candidati Bianchi e Verdi hanno utilizzato per così eleggere i loro candidati complessivamente 2600 voti i Bianchi e 1950 voti i Verdi, ecco che le cifre elettorali utilizzabili per il riparto proporzionale saranno 200 per i Bianchi, 250 per i Verdi, 1000 per i Blu, 500 per i Rossi, 300 per i Gialli, 700 per il candidato indipendente; ecco che il quoziente sarà 1500 – vale a dire 7500 voti validi diviso cinque --, ecco che nessuna cifra elettorale raggiunge tale elevato quoziente, ecco che con i resti vengono eletti il Blu con 1000, il Non Collegato con 700, il Rosso con 500, il Giallo con 300, e che i Bianchi conseguiranno un altro seggio con 250 che va a sommarsi ai quattro eletti nei collegi maggioritari).

Assegnati i seggi proporzionali, «nell’ambito del medesimo gruppo di candidati collegati sono eletti coloro che hanno ottenuto» la percentuale più alta, non sui voti validamente espressi ma sul totale degli «aventi diritto al voto» (scelta che vuole neutralizzare eventuali differenze tra collegio e collegio nell’astensionismo, nelle schede bianche, nelle nulle).

Con questa rilevante correzione a tutela delle minoranze, il meccanismo è una trasposizione su collegi plurinominali del collegamento tra candidati, in vista di una ripartizione proporzionale dei seggi, proprio del sistema a suo tempo proposto dal prof. Gaetano Silvestri, sistema ripreso dalla legge elettorale per il Senato del 1957 e fondato su collegi invece uninominali.

Il singolo magistrato vota con tre schede, una per i candidati del collegio “di legittimità”, le altre due per i collegi per pm e giudici di merito candidati nei macrocollegi cui appartiene l’ufficio in cui lavora. Sulla singola scheda si vota un solo candidato.

Al netto delle disposizioni di natura regolamentare e organizzativa, queste le norme architrave del modello proposto.

 

3. Lo si è detto e ripetuto in tante sedi, da Magistratura associata e dalla migliore cultura costituzionalistica.

Il sistema elettorale “buono”, quello che meglio si attaglia al ruolo costituzionale del Consiglio: 

a) è quello che meglio garantisce ed esalta la rappresentatività dell’Organo, e l’ineliminabile pluralismo della Magistratura, i diversi orientamenti culturali e politici in senso lato dei magistrati, e che quindi evita il rischio di maggioranze precostituite e/o culturalmente “monocolori” o un esercizio delle funzioni casuale e disordinato; 

b) è quello che meglio può portare il CSM ad un esercizio delle funzioni figlio di “visioni” nazionali delle questioni di giustizia e non della considerazione di localismi e/o di interessi particolaristici; 

c) è quello che “promuove la pari opportunità tra donne e uomini” (51 comma 1 Cost.); 

d) è quello che facendo tutte queste cose riesca anche a garantire in Consiglio la presenza di tutte le “categorie” (giudici, pubblici ministeri, magistrati con funzioni di legittimità), ancora una volta per ragioni di rappresentatività del consesso oltre che per le esigenze della Sezione Disciplinare.

Il sistema proposto garantisce senz’altro la presenza delle tre “categorie” e in proporzione che si crede non si presti a particolari critiche, tenuto conto di quella che è la composizione della magistratura tra giudicanti, pubblici ministeri, magistrati di legittimità. 

Per quanto concerne la rappresentatività di genere, due le novità di rilievo, in attuazione della «promozione delle pari opportunità» di cui all’art. 51 comma 1 Cost. 

La prima riguarda i componenti laici eletti dal Parlamento. Ferma per l’elezione, a garanzia di una rappresentatività ampia, la necessità per il singolo candidato di essere votato dalla maggioranza dei tre quinti delle Camere riunite (dei votanti, dal terzo scrutinio), per la prima volta si statuisce, come si è visto, che l’elezione di professori universitari di diritto e di avvocati con almeno 15 anni di esercizio effettivo debba avvenire «nel rispetto della parità di genere garantita dagli articoli 3 e 51 della Costituzione» e, novità altrettanto rilevante, «secondo principi di trasparenza nelle procedure di candidatura e di selezione». 

Se il richiamo agli articoli 3 e 51, in combinato disposto con l’introduzione di «procedure di candidatura e di selezione», sembra voler innanzitutto attuare la “pari opportunità” nella selezione e nel numero delle candidature, è altrettanto certo che nulla impedisce che la nuova disposizione – che a ben guardare parla non di rispetto delle “pari opportunità” ma di “rispetto della parità di genere” - possa essere letta come norma che imponga anche un identico numero di uomini e donne tra gli eletti, e ciò tanto più evidentemente in relazione ad una elezione parlamentare e quindi per definizione politicamente “libera”. L’istituzione di “procedure di candidatura” e ancora prima di “selezione” delle medesime sembrando imporre peraltro l’introduzione di nuove norme regolamentari per il Parlamento in seduta comune che appunto regolino le une e le altre. Con un richiamo alla loro pubblica “trasparenza” che appare figlio delle polemiche degli ultimi anni sul Consiglio, e che hanno seppur marginalmente toccato anche le modalità di elezione dei “laici”.

La seconda novità di rilievo in materia di “pari opportunità di genere” è invece nella regola, per i componenti magistrati, per la quale in ciascuno dei tre collegi “ogni genere” debba essere “rappresentato in misura non inferiore alla metà dei candidati effettivi”, con previsione, ove le candidature spontanee non raggiungano tale soglia, di un sorteggio -- tra tutti gli eleggibili disponibili del singolo collegio (evidentemente: del solo genere meno rappresentato) -- di un numero di candidati pari a quello utile a raggiungere il rapporto di parità tra generi.

Siamo alle c.d. “quote di chance “.

Resta che nel meccanismo proposto, contati i voti, nulla impedisce che gli eletti nei diversi collegi, maggioritari come proporzionali, siano tutti uomini o tutti donne. Si è lasciato il risultato alle dinamiche politico associative, e al voto. 

Con riguardo alla necessità di non favorire “eccessivi localismi” (come si esprime la Relazione Illustrativa) il sistema proposto non si presta invece a critiche di rilievo. Non cedendosi al mantra di consentire con collegi piccoli il voto del “collega della porta accanto” (null’altro che un mito, in concreto privo oltretutto di sostanziale significato vista l’ampiezza dei distretti e le odierne possibilità di comunicazione che annullano le distanze), si prevede che il collegio per i componenti di legittimità sia nazionale, che quelli per i componenti pm siano solo due, solo quattro quelli per i giudici di merito, creandosi così dei macrocollegi.

Macrocollegi, sulla cui concreta composizione il testo proposto si limita a dire che si dovrà rispettare un criterio di “continuità territoriale”, che si dovrà «garantire che tutti i magistrati del singolo distretto di Corte di Appello siano inclusi nel medesimo collegio», salva la facoltà, per garantire la composizione numericamente equivalente del corpo elettorale dei diversi collegi, «di sottrarre dai singoli distretti uno o più uffici» – espressione impropria, da riferirsi necessariamente ai circondari – «per aggregarli al collegio territorialmente più vicino», facoltà che attesa tale finalità quasi certamente dovrà essere utilizzata dal “decreto del Ministro della Giustizia emanato almeno quattro mesi prima del giorno fissato per le elezioni”: formulazione quest’ultima con cui si vuole che la composizione dei macrocollegi non sia scelta una volta per tutte ma decisa in occasione di ogni singola elezione del Consiglio, evidentemente in relazione ai possibili mutamenti di  organici di distretti e circondari. 

Una decisione, questa, che prevedibilmente potrà comportare scelte anche non agevoli, o comunque non scontate, tenuto conto della “popolazione” dei distretti e della geografia nazionale (si pensi ad es. alle diverse possibili destinazioni degli uffici sardi, o alla composizione dei macrocollegi per pm e giudici di merito che dovranno includere il distretto di Roma, ove si consideri che in tale distretto, come si è visto, saranno «conteggiati» «i magistrati che esercitano le funzioni presso uffici con competenza nazionale», e quindi Cassazione e relativa Procura Generale).

Si tratterà in ogni caso, per pm e giudici di merito, di collegi includenti più Distretti, e quindi certo sufficientemente grandi da costituire antidoto ad eccessivi localismi.

 

4. Analizzando il modello proposto non nella prospettiva politica in relazione alla quale può essere stato pensato e varato in un’ottica di compromesso bensì per quello che è, le criticità del meccanismo si presentano soprattutto per il profilo del pluralismo e della sua tutela nell’organo di governo autonomo della Magistratura. 

In generale, come per tutte le soluzioni di compromesso, può innanzitutto rilevarsi che la “filosofia” che il modello esprime appare contraddittoria.

Così, si crea una “riserva” di proporzionale, ed anzi una riserva di proporzionale a tutela rinforzata delle minoranze, riconoscendosi il valore del pluralismo e della presenza in Consiglio di formazioni rimaste minoritarie, ma il tutto si innesta su un sistema, e come deroga e palliativo ad un sistema, che è invece per tredici diciottesimi, e quindi largamente, maggioritario, a favorire la formazione in Consiglio di due grandi “blocchi” di rappresentanza, ciascuno dei quali con grande facilità sarà di sei-sette componenti, e che, come si vedrà, potrà anche essere più ampio. 

Come se il problema principale sia garantire quella “governabilità” che in CSM non è necessaria ed evitare quella eccessiva frammentazione della rappresentanza che potrebbe invece essere un fattore idoneo ad impedire maggioranze stabili o tendenzialmente stabili e quegli accordi “di potere” consolidati tra gruppi che unanimemente si dichiara di voler rendere difficoltosi (e al riguardo, tutte le componenti associative della magistratura hanno altresì sottolineato i mesi scorsi i rischi che uno dei due “blocchi” che il sistema è idoneo a produrre possa fare stabilmente maggioranza con componenti “laici” che potrebbero anche essere espressione per lo più di una medesima forza politica, o di più forze politiche diverse ma accomunate dalla finalità di pesare in modo decisivo nelle scelte consiliari).

Ancora: in partenza si rifugge come idea del demonio, e quale ritenuta base del correntismo deteriore, il tornare al proporzionale per liste già della legge elettorale del 1975. 

Ma poi si prevede che nei quattro collegi maggioritari binominali il singolo candidato possa collegarsi “con uno o più candidati dello stesso o di altri collegi”, il che non è altro che prevedere proprio la creazione di vere e proprie liste, che la singola “cordata” di candidati avrà interesse a rendere la più lunga possibile (con candidature magari destinate all’insuccesso ma capaci di attrarre voti amicali, “personali”, locali, di stima professionale), per aumentare il più possibile il totale dei voti utilizzabile nel collegio virtuale per la ripartizione dei cinque seggi proporzionali. E ancora una volta, sfugge la “filosofia” complessiva.

Di certo, e se non altro, proprio la convenienza che il singolo gruppo di candidati collegati ha ad allungare le liste in ipotesi a decine di candidati per alzare la cifra elettorale spendibile nel collegio proporzionale virtuale renderà puramente teorica la possibilità che nel collegio dei giudici di merito si debba arrivare al sorteggio per raggiungere la soglia minima dei sei candidati. 

Del pari, in un panorama associativo che vede allo stato cinque-sei possibili “formazioni” organizzate, e che consente ai singoli di candidarsi e collegarsi senza un numero minimo di firme di presentatori, altrettanto teorica appare la possibilità che si debba arrivare al sorteggio per giungere al minimo di sei candidati nei due collegi per i pubblici ministeri e nel collegio unico nazionale per i componenti di legittimità (anche perché è evidentemente possibile che, al limite, i gruppi organizzati – ad esempio nel collegio unico nazionale di legittimità -- possano presentare “candidature di servizio” per arrivare al numero di sei ed evitare comunque l’operatività del sorteggio (essendo invece meno “gestibile” il risultato della parità di genere nelle candidature: qui, presentatisi nei tre collegi tutti i candidati “volontari”, evidentemente fisiologico potrà essere che uno dei due generi sia meno rappresentato o anche largamente meno rappresentato dell’altro, ad innescare il meccanismo aleatorio per arrivare al risultato che ogni genere abbia “la metà dei candidati effettivi”; sorteggio, sia detto incidentalmente, che in tali sussidiari ed anzi residuali termini non pare presentare profili di illegittimità costituzionale, non intaccando neanche in minima parte il diritto di elettorato passivo dei singoli magistrati, anzi esaltato dalla previsione – tra l’altro idonea a rendere inutile il referendum in itinere – per cui ogni magistrato potrà candidarsi con una semplice personale dichiarazione, senza un numero minimo di firme di presentatori). 

Un fatto pare certo: il meccanismo garantisce che non si possa riprodurre, in nessun collegio, la situazione “quattro pm per quattro seggi”, ed anzi sembra figlio della ricercata volontà di evitare simili situazioni. Nei singoli macrocollegi per giudici di merito, poi, per quanto si è detto e per il collegamento con il collegio proporzionale “virtuale” è probabile che l’elettore si trovi di fronte decine di candidati, collegati come non collegati: essendo tra l’altro non remota la possibilità, come si è visto nell’esempio di cui sopra, che possa risultare eletto, magari con i resti, nel collegio proporzionale, un candidato non collegato con grosso seguito personale nel proprio collegio di appartenenza. 

 

5. Ulteriori dinamiche che è possibile il sistema possa innescare riguardano, nei quattro macrocollegi binominali maggioritari per giudici di merito, le strategie elettorali delle liste (pardon: dei gruppi «di candidati collegati dello stesso o di altri collegi»). 

Innanzitutto, se è fatto del tutto prevedibile che i gruppi organizzati esprimeranno nei quattro macrocollegi/“giudici di merito” liste il più possibile lunghe per alzare il totale dei voti spendibili nel collegio proporzionale, è altrettanto prevedibile che al contempo decideranno però anche su chi concentrare il voto per puntare in sicurezza ad uno dei primi due posti, restando in condizione di decidere di fatto il candidato con più probabilità di essere eletto così come con la legge attuale, e forse con ancora minore margine di incertezza sull’esito. 

E’ poi possibile e del tutto prevedibile che possa avvenire, sempre nei collegi binominali per componenti giudici di merito, che un gruppo di candidati collegati elettoralmente “forte” (si immagini: un gruppo che ritenga di poter contare, poniamo, su 2800 voti sufficientemente pronti a seguire date indicazioni), dopo avere calcolato il numero di voti sufficiente a garantire al candidato Tizio di arrivare almeno secondo, pianifichi di dirottare gli altri voti in eccesso su altri candidati (o su un altro specifico candidato su cui si vuole puntare), in modo da renderli utilizzabili e da farli partecipare alla ripartizione su base nazionale dei cinque seggi “proporzionali” (possibilità, questa, che pare in concreto più praticabile e agevole di quella di costituire, con lo stesso obiettivo, un secondo gruppo di candidati collegati, una seconda lista “civetta” parallela a quella “principale”).

L’effetto possibile, in un tale scenario, potrebbe essere quello che i due gruppi più forti, eletto ciascuno un componente di legittimità, un pm, e quattro giudici di merito nei collegi maggioritari, riescano come nell’esempio di cui sopra a prendere un seggio, o perché no?, più seggi, anche nel collegio a ripartizione proporzionale, arrivando a sette/otto seggi (e uno di loro magari a nove, con il “miglior terzo” tra i pm). 

Conseguenza ipotizzabile, in un siffatto contesto, è che la tutela dei gruppi meno rappresentativi, già soccombenti nei collegi maggioritari binominali per i giudici di merito, possa essere ridotta ad una sorta di diritto di tribuna, con per lo più un solo consigliere per “lista” (unico consigliere che peraltro, va riconosciuto in favore del meccanismo, potrebbe risultare eletto con i resti, in più che concreta ipotesi, anche con poche centinaia di voti, come nella simulazione sopra illustrata). 

Si tratta di dinamiche possibili. 

Ma tra il dire ed il fare c’è notoriamente di mezzo il mare, e si tratta di dinamiche immaginabili solo a partire dall’ipotesi di una forte “tenuta” della capacità dei gruppi organizzati di organizzare e blindare il voto su singoli candidati, “tenuta” che nelle prime elezioni CSM post Champagne, nell’attuale assai fluida situazione interna alla Magistratura e dopo quanto avvenuto negli ultimi anni è tutta da dimostrare, almeno in un certo grado. 

La possibilità di candidarsi senza un numero minimo di presentatori, e la conseguente possibilità che – soprattutto nei quattro macrocollegi giudicanti/merito – possano presentarsi, a determinare alla fine una platea di candidati molto ampia, anche diverse cordate di candidati estranei alle correnti “storiche”, o anche solo “trasversali” a settori diversi della Magistratura, potrebbe creare situazioni inedite in cui la pianificazione degli esiti elettorali potrebbe presentarsi assai difficoltosa, e potrebbe perfino diventare una delle novità più rilevanti della nuova disciplina.

 

6. In definitiva, pur con le non certo marginali criticità evidenziate, al Martarellum va comunque riconosciuto di rifiutare l’incostituzionale ed irrazionale sorteggio dei candidati quale regola primaria e non eventuale e residuale, e di consentire comunque una composizione consiliare pluralista. 

Il concreto funzionamento della democrazia dell’autogoverno dipenderà, come sempre, non dalle regole, ma dalla partecipazione dei magistrati.

Più saranno i candidati, e i gruppi di candidati collegati tra loro, e perché no i candidati non collegati, più ci sarà confronto sui contenuti dell’azione consiliare, meno sarà possibile il dirigismo dei gruppi. 

Come la vicenda delle degenerazioni correntizie ha assai bene evidenziato, e come avviene in tutte le Comunità “politiche” in senso ampio, più è ridotta la partecipazione più avanza il potere delle oligarchie.

21/02/2022
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