Da 45 anni il popolo iraniano è impegnato in una resistenza per l’ottenimento della libertà, per uno stato democratico iraniano contro un regime che cerca di distruggere una cultura millenaria, quella persiana.
La teocrazia negli anni ha riconosciuto quali nemici della morale e dello stato studenti, politici, professori, avvocati ma soprattutto vede nella donna il nemico principale.
Questa propaganda politica ha continuato a perpetuare abusi e violenze non solo nei confronti delle donne ma contro tutti coloro i quali nei decenni hanno messo in dubbio la cultura del patriarcato. Cultura o dovremmo chiamarla consuetudine che va oltre ogni confine?
La morte violenta di Masha Jina Amini, 22enne curda, la cui colpa è stata il sol fatto di esser donna, ha scosso una popolazione intera. Un popolo, che va ben oltre i confini dell’Iran.
Il motto donna vita libertà ha riecheggiato nelle piazze di tutto il mondo e ha mostrato che vogliamo dare il nostro contributo al mondo e lo vogliamo fare come donne, perché è nostro diritto contare!
Quello che una prima chiave di lettura, pressappochista a mio avviso, ha evidenziato è che questa sia una rivolta che riguarda solo le donne iraniane. Invece i primi ad abbracciare questa resistenza sono stati gli uomini. Quei padri e figli vittime loro stessi di una cultura patriarcale. Vittime doppiamente per aver tradito quel codice che vede l’uomo possedere la donna, l’uomo educare la donna, l’uomo schiacciare la donna.
Questa resistenza è universale. C’è un popolo che urla libertà, e questa passa dalla nostra libertà, dalla nostra vita, da noi donne.
Sono otto i ragazzi impiccati per aver partecipato alle manifestazioni, sono centinaia gli stupri ai danni di donne, uomini e adolescenti. 448 le persone uccise durante le manifestazioni tra cui 63 minorenni. Questo regime ha avvelenato le giovani studentesse con dei gas nelle scuole superiori perché hanno continuato a parlare e urlare la loro libertà.
In una delle ultime lettere recapitateci da Narges Mohammadi, premio Nobel per la Pace 2023 «per la sua lotta contro l'oppressione delle donne in Iran e per la sua lotta a favore dei diritti umani e della libertà per tutti», scritta di suo pugno nel carcere di Evin ci ricorda il continuo impegno e sacrificio di un popolo: «La resistenza, continua non violenta, è la nostra strategia migliore. Sono fiduciosa che la luce della libertà e della giustizia risplenderà luminosamente sulla terra d'Iran. […] Ma sono profondamente scioccata per il modo in cui il mondo assiste impassibile al massacro e alle esecuzioni del popolo iraniano. Pensano che le esecuzioni dei giovani della nostra terra sia un fatto scontato in questo angolo dell'Oriente? O forse credono che le condanne a morte siano state eseguite sulla base delle leggi e ordinate da tribunali equi e aperti, dove la difesa dell'imputato è tutelata?»
Proprio questa richiesta di riconoscimento dei diritti delle donne quali diritti umani inviolabili, che si sta alzando dall’Iran in tutto il mondo, deve vederci, con fermezza, dissociarci e denunciare anche qui in Italia le brutalità e le violazioni commesse dal regime della Repubblica Islamica dell’Iran.
In questa macchina dittatoriale l’abuso si propaga con la diversità di genere, una violenza che si attua attraverso vie puramente simboliche della comunicazione e della coscienza, lo si fa attraverso una falsa morale religiosa, attraverso il simbolo del velo. Un «potere ipnotico del dominio» che soffoca i rapporti sociali e ad ogni anelito di libertà risponde con la più feroce violenza.
Continuano in Iran da parte del regime i processi farsa e le esecuzioni capitali per chi ha partecipato alle manifestazioni, continuano gli arresti, le torture, gli stupri e le minacce.
È evidente che queste manifestazioni, che questa resistenza non rappresentino più solo una questione domestica iraniana ma riguarda ormai tutta la comunità internazionale.
Il mondo che viviamo non è una civiltà per noi donne.
La Repubblica Islamica dell’Iran non è un attore internazionale con cui chiudere accordi di pace, accordi economici e commerciali. Questa è una dittatura e promuove terrorismo, mafia e guerre.
Il nostro è un cammino di pace straziante lungo millenni che ci ha insegnato a rispondere alle brutalità subite a chi ci ritiene nulla con la nostra voce, la nostra presenza, la nostra vita con la speranza del futuro. Siamo portatrici di pace in una guerra perenne.
Continua Narges Mohammani nella sua lettera: «Ciò che nel frattempo viene fatto a pezzi è l'“umanità” e nient'altro. In questo mondo in cui tutto è globalizzato, l'“umanità” è forse un'eccezione?»
Il silenzio che accompagna la resistenza delle donne e degli uomini in Iran è diventato insopportabile e trova eco nel resto del mondo.
È nostro compito come cittadini europei e italiani far riecheggiare il canto di libertà e democrazia di tutti i popoli.
Invito il popolo iraniano a non lasciare sole e soli coloro che cercano giustizia e a lasciare che le coscienze vigili siano la voce risonante delle persone condannate a morte e la voce di chi protesta contro le esecuzioni in questa terra martoriata
Per noi tutti, per la pace, per la democrazia.
Donna, vita, libertà sempre e ovunque!