Il 3 dicembre del 2013, avanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, si è svolta udienza nell’ambito del caso Al-Nashiri e Hunayn contro Polonia (rich. n. 28761/2011) che ha visto i ricorrenti, ritenuti implicati in vicende di terrorismo, venire consegnati agli agenti della CIA per essere successivamente trasportati a Guantanamo, ove venivano sottoposti a tortura al fine di confessare i presunti crimini che venivano loro attribuiti.
Il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla lotta al terrorismo e ai diritti umani Ben Emmerson, intervenuto all’udienza, ha osservato come le autorità giudiziarie italiane siano state le uniche sinora in grado di accertare la responsabilità degli agenti della CIA.
L’affermazione risponde certamente al vero, tuttavia non si può omettere di considerare come i casi in questione pongano problemi estremamente più complessi di quanto apparentemente si potrebbe pensare. Ed infatti, se è certamente vero che le condotte realizzate ai danni di soggetti sottoposti a consegna straordinaria – si pensi per quanto concerne il nostro paese alla nota vicenda dell’Imam Abu Omar – integrano una chiara violazione dei diritti umani ai sensi di varie disposizioni della CEDU, non è men vero che la possibilità di processare gli agenti americani in paesi ove siano state realizzate le consegne facenti parte, al pari degli USA, della North Atlantic Treaty Organization è regolata da altre norme sovrannazionali, e precisamente dallo Status of Forces Agreement, detto anche NATO SOFA, che disciplina la giurisdizione per le forze di un paese dell’Alleanza che siano di stanza in altro paese dell’Organizzazione. Tale trattato è stato firmato a Londra il 19.6.1951 e reso esecutivo, per quanto riguarda l’Italia, con la legge 30.11.1955 n. 1335. Il successivo D.P.R. 1666 del 1956 ne ha poi ulteriormente regolato alcuni aspetti particolari.
Da un punto di vista concreto, quindi, per lo Stato italiano si è trattato di affermare la responsabilità penale di soggetti appartenenti ad altra nazione facente parte della NATO che hanno compiuto azioni costituenti reato in altro Stato (detto “di soggiorno”), facente pure parte dell’Alleanza, nell’esercizio delle proprie mansioni.
Per tali situazioni, tuttavia, il sopra menzionato trattato NATO SOFA – che trova riconoscimento interno, oltre che per la previsione di cui al citato d.p.r., per il noto richiamo di cui all’art. 117 comma 1 Cost. – prevede esplicitamente, oltre ad una giurisdizione esclusiva nel caso in cui i fatti commessi siano previsti come reato solamente dalla legislazione dello Stato cui appartengono i militari ovvero da quello di soggiorno, una giurisdizione concorrente di entrambi per l’eventualità che le condotte siano sanzionate penalmente dalle norme di ambedue i paesi.
In tali casi è tuttavia riconosciuta dall’art. VII, comma 3, lett. a) n. ii), la giurisdizione prioritaria dello stato di origine o di invio, per “i reati risultanti da qualsiasi atto o negligenza compiuti nell’esecuzione del servizio”. Condizione per poter esercitare tale giurisdizione in via primaria è l’affermazione, posta in essere da parte del Procuratore dello Stato predetto, dell’intenzione di esercitare la propria giurisdizione.
La normativa in questione è quindi frutto di accordi sovrannazionali che derivano da scelte di opportunità politica, forse non più attuali, ma tuttavia sussistenti. Peraltro, va notato come il NATO SOFA non sia l’unico trattato che per ragioni di opportunità sottrae fattispecie astrattamente ricadenti sotto la giurisdizione penale dello Stato italiano.
Si pensi, solo per fare un esempio, alla convenzione di Montego Bay del 1982, entrata in vigore il 16 novembre 1994 e ratificata dall’Italia con legge n. 689 del 1994 che all’articolo 27 prevede, nei reati commessi a bordo di navi, per i quali vige in via generale il principio della giurisdizione dello Stato di cui la nave batte bandiera, la giurisdizione dello Stato costiero per reati connessi ad incidenti marittimi in quattro specifiche ipotesi tutte afferenti alla circostanza che il reato abbia in qualche modo leso interessi più o meno rilevanti del paese rivierasco.
La possibilità di derogare all’esercizio della giurisdizione penale in casi di questo genere è peraltro espressamente riconosciuta dal codice penale che al comma 1 dell’articolo 3 prescrive “la legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato, salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale”.
Nel confermare la condanna dei militari americani per sequestro di persona, posta la realizzazione di tali attività nell’esecuzione del servizio, la Corte di Cassazione italiana (cfr. sent. n. 46430 del 2012) ha riconosciuto la propria giurisdizione esclusiva sulla base della circostanza che il reato non sarebbe stato punito dalla legislazione americana. Ed infatti, come osservato dal giudice di legittimità, nonostante l’astratta previsione del reato di sequestro di persona punito dall’art. 605 c.p. anche in America (kidnapping), esso non verrebbe in realtà applicato ai reati commessi dai militari.
Questo in quanto la legislazione successiva all’attentato delle torri gemelle del 2011 – in particolare il Comprehensive terrorism Prevention Act del 24 settembre 2011 – aveva cristallizzato regole estremamente aspre, in un primo tempo introdotte dall’ Omnibus counterterrorism act e successivamente rimodulate dall’Antiterrorism Emendament act del 1995, che esplicitamente prevedevano la pratica delle extraordinary renditions, consistenti nelle consegne straordinarie di persone sospettate di terrorismo al fine di essere condotte in luoghi in cui la legislazione consente di effettuare interrogatori mediante lo strumento della tortura.
L’articolo 134 del codice penale militare americano – che contiene le norme applicabili ai militari nell’esercizio delle loro funzioni – prevede che il kindnapping possa essere sanzionato se posto in essere wilfully, cioè con dolo, e wrongfully, ossia senza giustificazione o scusa. Proprio su tale ultimo elemento è stata fondata l’affermazione della giurisdizione esclusiva italiana, nel senso che la Corte ha ritenuto tale previsione normativa non una causa di giustificazione – che avrebbe comportato l’impossibilità di riconoscere l’esclusività, in quanto il reato sarebbe stato astrattamente sanzionato, salvo poi essere la condotta giudicata lecita in presenza di determinate condizioni – ma un elemento costitutivo del reato, poiché i summenzionati interventi normativi avrebbero reso le extraordinary rendition pratica lecita all’interno del diritto penale militare statunitense.
Al di là del merito della correttezza dell’esegesi compiuta dal giudice di legittimità sul termine “wrongfully”, che per ragione di spazio non può compiutamente essere analizzata in questa sede, appare evidente come la sanzionabilità penale delle extraordinary renditions all’interno dello Stato in cui esse sono realizzate – ed in particolare nello Stato italiano – ponga delicatissimi problemi concernenti l’applicazione di norme sovrannazionali contrastanti contenute in Trattati differenti.
Ed infatti, da un lato, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, pone a carico degli Stati membri precisi obblighi positivi di tutela, tra i quali rientrano quelli di accertare fatti di reato che ledano i diritti garantiti dalla Convenzione e di individuarne i responsabili. Dall’altro, però, il summenzionato NATO SOFA, rispondendo evidentemente ad esigenze differenti, ha posto un riparto di giurisdizione apparentemente chiaro.
Non sorprende, quindi, che il Presidente della Repubblica abbia deciso di intervenire con un provvedimento di grazia nei confronti di uno degli agenti della CIA, probabilmente al fine di evitare una possibile crisi dei rapporti tra i due Stati nascente da quello che poteva essere interpretato come il mancato rispetto di un accordo sovrannazionale.
L’impressione è, tuttavia, che con riferimento alla condanna degli agenti statunitensi, il problema sia destinato a riproporsi in maniera estremamente più ampia di quanto sinora accaduto e ciò anche per un’ulteriore considerazione. La Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha recentemente pronunciato un’importante sentenza di condanna a carico di uno Stato contraente nell’ambito delle pratiche di extraordinary rendition (Corte EDU, Grande Camera, sentenza El Masri c. Macedonia, sent. 13 dicembre 2012, ric. n. 39630/09). In tale pronuncia, i giudici di Strasburgo hanno recisamente condannato la Macedonia per avere cooperato alle pratiche di consegna ed inoltre per non avere effettuato indagini atte ad accertare ciò che era avvenuto e ad individuare i responsabili, tra i quali dovevano rientrare – affermazione che è stata fatta per la prima volta – anche gli agenti della CIA.
La Macedonia però, differentemente dall’Italia, non fa parte della NATO e ad essa non è quindi applicabile il predetto NATO SOFA con l’annessa ripartizione di giurisdizione, apparendo quindi scontata la necessità che uno Stato debba accertare i fatti di sequestro in esso realizzati e provvedere all’individuazione dei responsabili.
La questione più rilevante in punto di diritto pare quindi essere: posto che uno Stato membro deve certamente rispondere per la cooperazione fornita dalle proprie autorità alla realizzazione dei sequestri da parte degli agenti della CIA, come si atteggerà la Corte Edu con specifico riguardo al mancato accertamento delle azioni compiute dai militari americani nel caso in cui altri paesi facenti parte di NATO e Consiglio d’Europa dovessero interpretare – cosa che appare pure giuridicamente sostenibile – il trattato in senso differente da quello fatto proprio dalla Corte di Cassazione nostrana, ritenendo quindi le condotte di sequestro ricadenti sotto una fattispecie penale prevista anche negli USA, con conseguente attribuzione della giurisdizione prioritaria a tale Stato?
Proprio il caso attualmente pendente avanti alla Corte Edu, sovra citato, potrebbe fornire indicazioni utili, poiché la Polonia fa parte tanto dell’Alleanza Atlantica quanto del Consiglio d’Europa. Una condanna pronunciata per non aver processato i militari della CIA nei confronti di un paese facente parte della NATO – e quindi per avere in sostanza rispettato un altro accordo internazionale – potrebbe avere conseguenze dirompenti sugli equilibri internazionali.
Peraltro, sul punto non è nemmeno possibile escludere un intervento dell’Unione europea. Poco più tardi di un anno fa, infatti, il Parlamento Europeo, con risoluzione 11 settembre 2012, avendone accertato la realizzazione in larga scala sul territorio dell’Unione, ha condannato duramente “le pratiche quali la consegna straordinaria, le prigioni segrete e la tortura, che sono proibite a norma del diritto nazionale ed internazionale in materia di diritti umani e che violano, tra l'altro, i diritti alla libertà, alla sicurezza, al trattamento umano, a non subire torture, al non respingimento, alla presunzione di innocenza, al giusto processo, alla assistenza legale e all'uguale protezione da parte della legge”.
E’ di tutta evidenza come, anche un intervento del legislatore europeo, non potrà non tener conto dei complessi problemi di diritto internazionale qui brevemente tratteggiati.