Massimo Turtulici, classe 1965, è entrato nell'Amministrazione nel 1990 ed è stato, immediatamente assegnato in sede centrale alla allora Direzione generale dell'organizzazione giudiziaria e degli affari generali.
Ha avuto la “fortuna” di partecipare all'èra dei grandi concorsi del Ministero della giustizia degli anni '90, così come la “sfortuna” di vivere il blocco del turnover e il conseguente impoverimento di esperienze professionali nell'Amministrazione giudiziaria in tema di assunzioni.
È entrato come operatore giudiziario ed è ancora operatore giudiziario, “vittima”, come del resto tutto il nostro personale amministrativo, della totale assenza di procedure di riqualificazione di questi anni.
Quando sono arrivata alla Direzione generale del personale del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria ho trovato un reparto concorsi formato da tre persone e un reparto assunzioni da quattro. L'èra dei reclutamenti era terminata e, nel tempo, erano stati rafforzati altri reparti di gestione.
Disperse le specifiche competenze, sapevo che per affrontare un concorso per il personale degli uffici giudiziari nel 2016 occorreva reinventarsi, aprirsi a nuove prospettive, cercando anche una dimensione corale nel Ministero, considerato che in altri Dipartimenti (Amministrazione giudiziaria e Minorile) dei concorsi, anche in tempi recenti, erano stati comunque banditi.
Gli occhi attenti di chi il clima e la fatica di un concorso per gli uffici giudiziari aveva vissuto, erano per me comunque importanti, soprattutto per cogliere le “sfumature” nell’impostare ex novo l’organizzazione di una tale procedura selettiva.
Ho chiesto quindi se ci fosse in servizio ancora qualcuno in tutta la Direzione che avesse direttamente partecipato all'èra dei grandi concorsi del Ministero della giustizia e ne conservasse la memoria.
In tutta la direzione, anzi in tutto il Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, solo tre persone e tra queste, appunto, Massimo Turtulici.
Ed è a Massimo – che nel tempo libero coltiva da sempre la passione per la lettura e soprattutto per la scrittura tanto da aver scritto diversi articoli di critica di saggistica, pubblicati da alcuni editori nazionali – che questa Direzione ha ritenuto di dover “lasciare la penna” per una descrizione del cd. “concorsone”, visto appunto dalla parte del Ministero e di chi ha preso parte a questa sfida.
Con l’auspicio – aggiungiamo – che questo piccolo “affresco” possa costituire un insolito ma utile spunto allo sviluppo di un dibattito sugli scenari che apre un tale concorso – i cui orali sono partiti il 30 agosto – e soprattutto sulle prospettive future per il nostro personale amministrativo.
Barbara Fabbrini
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I dati sempre altalenanti della disoccupazione in Italia registrano, secondo l’Istat, soprattutto negli ultimi mesi, lievi miglioramenti, segnali positivi per qualcuno, impalpabili per altri. Di certo c’è che prima del 2008 i disoccupati erano circa la metà degli attuali 2.800.000. Senza contare che più di un giovane su tre è senza lavoro. Ma è il numero degli inattivi, di coloro che non lo cercano più un lavoro, a rendere ancora più preoccupante l’orizzonte. Sullo sfondo di questo scenario, si inserisce la non meno delicata situazione dell’amministrazione della Giustizia. Un mondo che mostra, limitandosi all’aspetto relativo agli organici, carenze di amministrativi, la cui età media è ormai attestata ben oltre i cinquant’anni, pressoché in tutti gli uffici giudiziari. Diretta conseguenza del blocco delle assunzioni che solo di recente ha visto finalmente una inversione di tendenza. Non può meravigliare allora l’elevato numero di domande di partecipazione pervenute al primo concorso bandito dal Ministero della giustizia dopo quasi vent’anni e per una qualifica come quella dell’assistente giudiziario che certo non promette stipendi d’oro.
Forse questa breve escursione non accontenterà chi della Pubblica amministrazione, nello specifico del Ministero della giustizia, ha una visione superficiale e sommaria. Troppo facilmente si cade nel pittoresco, nel folcloristico, se non direttamente nell’offesa dei tanti lavoratori che proprio in questa circostanza, dinanzi a questo cosiddetto concorsone, hanno saputo mostrare competenze e professionalità assai preziose e forse pure imprevedibili. Un patrimonio davvero meritevole di rispetto e valorizzazione. Si diceva dei numeri, almeno in questo caso erano davvero inquietanti, enfasi per nulla fuori luogo, non è cosa da tutti i giorni organizzare un concorso che ha ricevuto più di trecentomila domande di partecipazione. Una città come Catania, tanto per avere un’idea. Ce n’era di che rimanerne scioccati ed incapaci di immaginare, organizzare e avere il coraggio di condurre in porto un’avventura che non poteva certo rifarsi solamente ai fasti, ormai sbiaditi, di un lontano passato. Era un’altra Italia, quella degli anni novanta, e l’amministrazione della giustizia, non solo nei racconti di chi quella stagione l’ha vissuta in prima persona, era all’avanguardia in materia di reclutamento del personale, al punto che in meno di un decennio era stato possibile assumere decine di migliaia di persone, le stesse che adesso costituiscono il nucleo amministrativo portante dell’amministrazione. Ma non si vive di ricordi. Sarebbe stato inimmaginabile riproporre modelli e metodologie adottati all’epoca per affrontare un concorso senza precedenti per numeri, soluzioni logistiche, tre settimane circa di prove preselettive prima e scritte poi presso la Nuova Fiera di Roma, e tecniche adottate, lo svolgimento di entrambe le prove con l’ausilio di notebook ed in wi-fi. Non sarà facile dimenticare l’impatto emotivo suscitato dall’immagine di uno dei padiglioni allestiti per le prove scritte non solo con i tavolini, come dire di ordinanza, usati per qualsiasi concorso, ma anche dei notebook accesi, luminosi come finestre aperte sul futuro. Un po’ come gli sguardi e i volti dei tanti partecipanti, concentrati nell’ultimo ripasso che dovrebbe risolvere dubbi e incertezze, delle loro chiacchiere carpite, sul treno per la Fiera di Roma confuso tra la folla all’andata e al ritorno. Un carico di sogni e disillusioni, esperienze e testimonianze di un futuro sempre troppo impalpabile. Occorreva, dunque, un approccio sicuramente diverso, i numeri lo imponevano, le attese dei partecipanti, l’attenzione dei media hanno obbligato un’amministrazione dal passato forse troppo languido, a risvegliarsi, a trovare o ritrovare soprattutto al proprio interno le energie e le professionalità senza le quali difficilmente si sarebbe andati oltre alla giustificatissima ansia iniziale. Non avrei mai immaginato di rivivere il clima operoso e collaborativo di quegli anni con la stessa forza, eppure è quello che ha alimentato il lavoro delle tante persone impegnate in questa sfida. Perché di fatto si è trattato di un esperimento, che aveva avuto una sorta di prova generale con le prime procedure di riqualificazione positivamente conclusesi per i cancellieri e ufficiali giudiziari. Un azzardo, ha detto qualcuno, che ha reso necessaria la collaborazione con le altre anime dell’amministrazione della giustizia, troppo spesso chiuse in compartimenti stagni, con il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria in primis senza il cui contributo, prezioso in termini di esperienza e di operatività sul campo, difficilmente staremmo parlando di quello che si è rivelato un successo. Reso possibile dall’apporto della Direzione dei sistemi informativi e automatizzati che ha garantito un imprescindibile intervento tecnologico che certo vent’anni fa sarebbe stato inimmaginabile. Ancora una volta, a dispetto dei detrattori, l’amministrazione della giustizia ha saputo porsi all’avanguardia, ha sperimentato soluzioni tecnologiche e mostrato di sé un aspetto vincente e convincente.
Eppure non è questo l’elemento che rende maggiormente orgogliosi quanti di questa avventura sono stati protagonisti, a vari livelli certo anche se tutti accomunati da un sorprendente spirito di unità che è stata forse l’arma vincente nella gestione di una macchina organizzativa tanto impegnativa. C’è qualcosa di ancora più prezioso che ha animato il lavoro di tutte le forze messe in campo. La convinzione di avere reso possibile per qualcuno la realizzazione di piccoli grandi sogni come costruire una famiglia, comprare una casa, avere dei figli, o solo il conseguimento di aspirazioni personali. Forse dei trecentottomila concorrenti iniziali farà parte qualcuno di quei disillusi cronici che magari arriverà all’assunzione, avrà la possibilità non solo di avere un posto di lavoro non precario, ma di immaginare un futuro. Non ci è dato sapere se migliore ma forse meno fosco sì.
Come diceva Seneca (Lettere a Lucilio XIII) «anche se il timore avrà più argomenti, scegli la speranza e metti fine alle tue angosce». Forse è chiedere troppo persino alla speranza che per Albert Camus non era molto diversa dalla rassegnazione. «E vivere non è rassegnarsi» (L’estate a Algeri, in Noces 1936-1938) Appunto, non rassegnarsi alla vulgata corrente che vede l’amministrazione pubblica solo come un freno allo sviluppo, una pachidermica struttura che toglierebbe energie e risorse al Paese. Non rassegnarsi ad una navigazione a vista, ma impegnarsi con determinazione ed una buona dose di coraggio in una impresa in mare aperto che avrebbe spaventato chiunque, anche i più ottimisti. Perché c’è forse una forma di ottimismo ancor più forte di quello espresso dai discorsi di circostanza ed è quello del fare, con pazienza, con dedizione, con professionalità, con sacrificio. I migliori strumenti, i soli forse che possano condurre ad un esito felice qualsiasi impresa.