A Pistoia, capitale della cultura 2017, il prossimo 5 maggio – l’anniversario della liberazione del Lager di Mauthausen – si svolge un convegno organizzato dall’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea: La responsabilità economica tedesca per stragi e deportazioni in Italia: il risarcimento e la memoria. Se ne sente il bisogno, perché certe letture dei crimini nazifascisti sono astratte, catalogali, sempre prive di conseguenze.
Malgrado le atrocità commesse dal 1943 al 1945, oltre ventimila morti e quasi un milione di deportati, la Germania non ha mai risarcito le famiglie italiane colpite. Nel 2012 una sentenza sconcertante della Corte internazionale di giustizia dell’Aia ha rovesciato la storia, dichiarando l’Italia colpevole di aver solo provato a tutelare i suoi cittadini, permettendo alla magistratura qualche passo in direzione della realizzazione dei loro diritti. Il legislatore si è subito adeguato, con norme scritte contro le vittime. Nel 2014, una coraggiosa sentenza della Corte costituzionale ha spazzato via quelle leggi, ha fermato gli effetti della pronuncia della Corte dell’Aia e ha riaperto la strada alle condanne patrimoniali dello Stato tedesco. Da allora i processi civili sono ricominciati, e malgrado le lettere dell’ambasciata tedesca ai magistrati italiani, stigmatizzate anche dalla Corte di cassazione a sezioni unite civili, sono state emesse nuove condanne, che però faticano ad avere esecuzione.
Nel frattempo, sulla base di intese fra la Germania, il Ministero degli esteri e altri enti italiani, lo Stato tedesco ha finanziato con somme modestissime alcune iniziative culturali, per lo più di incerto spessore, come l’Atlante delle stragi, e a volte al limite della beffa (inaugurazioni di lapidi con nomi sbagliati, restauri di edifici preunitari senza legame con la guerra di Liberazione, finanziamenti di mostre che non si svolgono neppure in Italia). Alcune di queste iniziative sono state contestate dai sopravvissuti ai massacri e ai Lager.
Sembra prendere terreno un uso anomalo della storia, una torsione culturale a sfondo politico, uno spettacolo di beneficenza. Si confeziona una memoria furba che circonda di rispettabilità lo Stato responsabile di gravi crimini e lo ringrazia per la presa d’atto della sola colpa morale. È una linea che tende a sostituire alla responsabilità giuridica, quindi ai diritti economici delle vittime, la riparazione o il lenimento. La memoria diventa un surrogato della giustizia, cioè una maschera dell’ingiustizia.
Il tema è così indicibile, così scomodo, che il discorso pubblico è diventato ubbidiente. In 1984, George Orwell immagina lo stopreato come «una forma di stupidità protettiva», che comprende anche il provare noia o ripulsa di fronte a qualsiasi pensiero articolato che porterebbe a posizioni eretiche. Così la sentenza della Corte costituzionale, la n. 238 del 2014, di solito non viene nominata (eppure, fra i giudici che fecero parte del collegio c’era l’attuale capo dello Stato). L’inadempimento tedesco è dato per ineluttabile. Chi insiste per il risarcimento è visto come un fossile o un seccatore, quando non come un nemico della pace, della riconciliazione, dell’Europa. La responsabilità della Germania è così nobilmente e intrinsecamente morale, immensamente solenne e celeste, che ci si guarda bene dal proporne una prosaica quantificazione in denaro, anche approssimativa. Simmetricamente, le iniziative culturali spesate da Berlino hanno un valore scientifico fuori discussione, anche quando contengono errori vistosi, e sono soddisfacenti per le vittime anche se queste, forse, le potranno vedere in fotografia. Soprattutto, sul loro costo effettivo si tace, perché confrontarlo col debito produrrebbe effetti di umorismo nero negli osservatori, o forse di agitazione motoria in chi ha avuto fra i suoi cari un morto o un deportato.
Tutto questo non è diatriba su vicende superate, e neppure riguarda solo la Seconda guerra mondiale. È di poche settimane fa l’ennesima strage di civili in Medio Oriente. Dichiarazioni di politici, sdegno di intellettuali, proteste di gente dello spettacolo. Ma se chi ha commesso quel delitto avesse tempo di dare un’occhiata all’Europa, forse progetterebbe di fare tra settant’anni iniziative culturali in ricordo delle vittime di oggi, con poca spesa per lo Stato responsabile, senza pagare i danni e ricevendo ringraziamenti per aver fatto «i conti col passato».
Il convegno di Pistoia proverà a spezzare silenzi, a ridimensionare il senso comune della ragion di Stato, a ricomporre i tasselli di un mosaico difficile.
*In copertina, un fotogramma tratto dal film L'uomo che verrà di Giorgio Diritti (2009)