Giacomo Matteotti, la cui memoria si concentra prevalentemente sul rapimento, il 10 giugno 1924, e l’assassinio che ne seguì, scrisse per oltre vent’anni una straordinaria quantità articoli lucidi e appassionati su argomenti diversi: politica internazionale, equità e progressività tributaria, imprenditoria parassitaria, conseguenze negative del protezionismo, temi di amministrazione pubblica; e fu autore di scritti giuridici, in particolare di diritto e procedura penale[1].
La forza argomentativa di questi suoi interventi si ritrova nei discorsi parlamentari e si ritiene da parte di alcuni che la decisione della sua eliminazione fu determinata proprio dall’efficacia della sua attività parlamentare, fonte di reale ostacolo per la maggioranza fascista.
In un articolo pubblicato sul giornale socialista La Giustizia, il 1° maggio 1923, Matteotti vede in anticipo qual è la deriva che il progressivo superamento da parte del fascismo dei limiti costituzionali ha prodotto e produrrà.
L’occasione dell’intervento è l’entrata in vigore del decreto-legge del 19 aprile 1923 con cui il governo fascista aveva abolito la Festa dei lavoratori accorpandola al “natale di Roma” del 21 aprile.
La volontà del regime di imporre forzatamente le proprie liturgie ebbe come conseguenza che all’atto normativo facessero seguito episodi di intimidazione di lavoratori, cittadini e organizzazioni che intendevano comunque mantenere viva la celebrazione della Festa dei lavoratori[2].
La descrizione sintetica e amara che Matteotti ci offre di come una democrazia costituzionale possa insensibilmente arrendersi arretrando nella difesa dei diritti è un monito sempre valido.
La memoria di quella deriva e delle forme in cui si era presentata è uno dei fili della trama di recupero della dignità e della libertà che troverà espressione nel superamento dell’esperienza totalitaria, con la Resistenza, i lavori dell’Assemblea Costituente e la Costituzione repubblicana.
E’ il valore della memoria di come la democrazia possa essere fragile e di come debba essere costruita – anche - dal diritto e difesa - anche - dalla sua applicazione con uno sguardo alto e aperto.
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«Non basta abolire la festa del Primo Maggio. C’è un’altra festa ormai da abolire.
Come dopo vinto il proletariato in due anni di lotta, la democrazia costituzionale rese le armi al fascismo in otto giorni, così, dopo il Primo Maggio, può essere cancellata dal calendario anche la festa dello Statuto.
Lo Statuto per lo meno è già decaduto in Italia. I professori d’università che ci esaltarono le magnanimità del Re concedente, e la fine dei tempi dell’arbitrio, non hanno più voce per ricordarsene.
L’articolo 24 dello Statuto garantiva a tutti i cittadini “i diritti civili e politici e l’ammissibilità alle cariche civili e militari”.
Ma il partito fascista al potere licenzia dalle Amministrazioni i cittadini socialisti e costituisce accanto all’esercito, un nuovo esercito, tutto suo, obbediente personalmente al capo del fascismo, costituito da tutti i fascisti e solo di fascisti, un partito armato si accampa in Italia come in un paese di conquista, e reclama da tutti gli altri l’obbedienza più assoluta.
L’articolo 26 “garantisce la libertà individuale”. Ma sembra in facoltà di ciascun direttorio locale fascista di decretare il bando a chicchessia, di assalire i viaggiatori nei treni, ecc.
Lo stesso articolo 26 ammette “l’arresto solo nei casi e nelle forme di legge”.
Ma qualunque camicia nera, anche non irreggimentata nella milizia, si è assunta il potere della legge, anche per puri motivi di persecuzione politica.
L’articolo 27 assicura: “il domicilio è inviolabile. Niuna visita domiciliare può aver luogo se non in forza della legge”.
Ma il domicilio dei lavoratori e dei socialisti è aperto a chiunque, chi di giorno o di notte vi s’introduca, terrorizzando donne e fanciulli. Niuno oserà farne denuncia. Nessuno oserà punire la violazione.
L’articolo 28 garantisce “la libertà di stampa”.
Ma nell’attuale regime un Questore può minacciare punizioni ai giornali che osino pubblicare certe notizie. E ogni dirigente di fascio può minacciare la distruzione della tipografia se il giornale segue certe direttive; minacciare la vita dei redattori se accentuano il tono; bruciare le copie che contengono un articolo sgradito; imporre il licenziamento di un direttore o di un redattore, ecc.
Articolo 29 “Tutte le proprietà sono inviolabili, senza alcuna eccezione”.
Ma in nuovo regime permette un’eccezione per i beni collettivi dei lavoratori, cooperative, case del popolo, e simili. Esse possono essere minacciate, accaparrate, incendiate, tenute in possesso dai fascisti, senza risarcimento o pagamento, per diritto di conquista.
L’articolo 32: “E’ riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente e senz’armi, uniformandosi alle leggi” è ormai sostituito dal seguente:
I socialisti non possono tenere riunioni pubbliche. Per le riunioni private, sono soggetti all’accusa di complotto e all’incarceramento; quanto meno potranno essere perquisiti e inquisiti. I sindacati operai si riuniscono solo secondo il bene placido fascista, e purché non prendano deliberazioni sgradite al fascismo. Qualche eccezione potrà essere sopportata nelle più grandi città; ma nelle campagne anche l’incontro di tre persone è immediatamente soggetto a repressione fascista.
Non importa continuare in enumerazione degli articoli; e non ricorderemo quelli che riguardano le prerogative della Camera, del Senato o del re. Ognuno è padrone di rinunciare alle sue cose.
Ma resta il fatto che la rivoluzione fascista ci riporta più indietro del 1818 o della rivoluzione francese.
La borghesia, che ha rinunziato alla libertà per paura del bolscevismo verbale, vi ha rinunciato definitivamente, rinnegando tutte le ragioni di progresso civile ed economico che un secolo fa l’indussero al movimento opposto. E poiché si potrebbe dimostrare che vi ha rinunziato proprio quando il proletariato aveva già abbandonate le inutili esagerazioni, e che la rinunzia lede anche i suoi stessi interessi, basterà la viltà a perpetrarne la nuova schiavitù a una fazione?
Questo è il problema di oggi.
I lavoratori che in altri tempi hanno aiutato la prima borghesia a conquistarsi la sua libertà, hanno appreso in quel tempo che la libertà politica è la prima loro necessità: che dovranno essi diventarne i difensori diretti.
Frattanto il Governo può preparare un altro decreto: ‘in seguito all’abolizione e proibizione del Primo Maggio anche la festa dello Statuto è abolita’».
[1] La raccolta, in due volumi, degli scritti giuridici di Giacomo Matteotti è stata curata da Stefano Caretti, per Nistri-Lischi, Pisa (2003); un’ampia trattazione della figura di Matteotti giurista e uomo politico si trova nell’intervento del professor Giuliano Vassalli alla cerimonia tenutasi il 10 giugno 2004 nella Sala della Lupa di Palazzo Montecitorio, in occasione dell’ottantesimo anniversario della morte (http://legxiv.camera.it/serv_cittadini/553/554/9100/8034/8043/documentotesto.asp)
[2] Fino ad arrivare alla “caccia al tortellino” (e al cappelletto…) il cui consumo il 1° Maggio nell’Emilia e nella Romagna “rosse” veniva considerato dai fascisti atto sovversivo, in quanto espressione di inammissibile “festa” (https://www.voxzerocinquantuno.it/i-tortellini-antifascisti-del-primo-maggio-di-riccardo-angiolini/)