Magistratura democratica
Magistratura e società

Sul delitto Matteotti, e oltre

di Giuseppe Battarino
già magistrato, presidente del Comitato comasco Giacomo Matteotti

Il libro di Giampiero Buonomo Sul delitto Matteotti. Documenti, ricerche e riflessioni cent’anni dopo (Biblion Edizioni, 2024) si inserisce a pieno titolo nel filone di pensiero che, in occasione del centenario della morte di Giacomo Matteotti, ha corrisposto alla necessità di una conoscenza della vicenda che superasse la semplice celebrazione di una vittima del fascismo. Agli argomenti a favore del “movente politico” del delitto si associa una puntuale analisi del contesto storico che suggerisce più d’una riflessione sul presente.

Il libro di Giampiero Buonomo Sul delitto Matteotti. Documenti, ricerche e riflessioni cent’anni dopo (Biblion Edizioni, 2024) si inserisce a pieno titolo nel filone di pensiero che, in occasione del centenario della morte di Giacomo Matteotti, ha corrisposto alla necessità di una conoscenza della vicenda che superasse la semplice celebrazione di una vittima del fascismo.

Affermazione che può suonare singolare a fronte di un titolo direttamente evocativo del delitto fascista del 10 giugno 1924: ma la capacità di Giampiero Buonomo è quella di collocarlo in un contesto che tiene conto del ruolo di Matteotti quale antagonista di Mussolini nella difesa delle istituzioni, in primo luogo del Parlamento, di fronte alla progressiva torsione autoritaria che il partito autore della marcia su Roma e poi vincitore, con un “listone”, delle elezioni del 1924, intendeva imporre all’Italia.

Nel fare questo, sempre per riprendere il titolo del libro, le “riflessioni” dell’autore si basano integralmente e coerentemente su “documenti” e “ricerche”.

Obiettivo immediato e dichiarato è quello di ribadire la riconducibilità del delitto al “movente politico” e non a quello “affaristico”.

Si designano così, sinteticamente, i possibili moventi dell’iniziativa, riconducibile al capo del governo, di “dare una lezione” al deputato socialista.

Secondo alcuni storici il delitto fu determinato dalla volontà di Mussolini di mettere preventivamente a tacere la rivelazione di uno scandalo legato alla “convenzione Sinclair”[1], strumento destinato a regolare concessioni petrolifere e che avrebbe prodotto – diremmo in termini contemporanei – delle “maxitangenti”.

Ma secondo la tesi ormai prevalente, di cui Buonomo è documentato sostenitore, Mussolini individua in Matteotti un intollerabile ostacolo politico all’affermazione del proprio incipiente dominio, che, attraverso la retorica della “vittoria” e dell’adesione del popolo alla guida del “capo”, era destinata a porre nel nulla le istituzioni per consentire la nascita di un regime fascista.

L’odio e il timore di Mussolini, amplificati dal discorso tenuto alla Camera il 30 maggio 2024 dal deputato socialista, con cui, in maniera argomentata e politicamente poderosa si contestava il risultato delle elezioni condizionate dai brogli e dalle violenze dei fascisti, sono l’elemento scatenante dell’attivazione della squadra che sequestrerà e ucciderà Giacomo Matteotti e ne occulterà il cadavere.

E’ nelle stanze del potere governativo – come Buonomo documenta – che gli squadristi sequestratori e assassini si organizzano e poi cercano rifugio; è lì che poche ore dopo l’omicidio arrivano nelle mani di Benito Mussolini i documenti insanguinati del deputato appena ucciso: senza che questo gli impedisca subito dopo di proclamare, davanti a testimoni, mentre tutti si chiedono che ne è di Giacomo Matteotti, scomparso misteriosamente e non rientrato a casa nemmeno di notte, che «sarà andato a puttane». 

Con quella – chiamiamola così – immediatezza comunicativa che tanto (allora…) piaceva a molti italiani.

Buonomo ricostruisce coerentemente il clima «intorno al 30 maggio».

Matteotti, che aveva studiato il fascismo sin dal suo sorgere, si pone, e pone al Paese, la questione di evitare «una scorciatoia per ridurre la complessità della vita pubblica mediante il ricorso alla natura monocratica del decisore e l’abbandono della divisione dei poteri».

La vittoria elettorale del candidato “decisore unico” Mussolini è di fatto avvenuta con una logica di coalizione nel “listone”: e una costante iniziativa parlamentare di opposizione, guidata da Matteotti avrebbe potuto, come scrive Buonomo, aprire «delle linee di faglia» nella maggioranza.

E’ particolarmente interessante, nel libro, l’esame di alcune vicende parlamentari dell’inizio della Legislatura che dimostrano come Giacomo Matteotti fosse «il più tecnicamente qualificato per far esplodere in Parlamento le contraddizioni dei suoi avversari»; a fronte della «impreparazione della nuova maggioranza».

Il “movente affaristico” viene escluso dall’autore sulla base di considerazioni di stretta logica, fondate sui documenti: l’assenza di indici di rivelazione dell’“affare Sinclair” ai compagni del partito o del gruppo parlamentare, l’assenza di alcun cenno al malaffare nel libro Un anno di dominazione fascista che Matteotti stava aggiornando al momento del delitto, la debole significatività della pubblicazione di un articolo postumo a lui attribuito, su una rivista conservatrice inglese; ma Giampiero Buonomo va oltre, collocandolo nell’ambito degli intenti di depistaggio che animano da subito il “cerchio magico” mussoliniano.

Le direttive del governo ai giornali amici, manganellatori mediatici all’occorrenza, sono contenute nei documenti esaminati e citati dall’autore del libro: e se, subito dopo il discorso del 30 maggio, l’indicazione è quella di additare Matteotti come un provocatore antipatriottico, i fedeli patrioti del quotidiano Il Nuovo Paese – il cui direttore Carlo Bazzi è destinatario delle direttive del governo - già il 13 giugno 2024 scrivono: «si vuole che l’on. Matteotti dovesse pronunziare alla Camera – in sede di discussione sull’esercizio provvisorio – un discorso di critica alla convenzione Sinclair».

E’ l’esordio del “movente affaristico” sullo sfondo della cui costruzione compaiono le lotte interne al “cerchio magico”, con soggetti diversi impegnati a mettersi in migliore luce agli occhi del “capo”; mentre l’attività investigativa e giudiziaria almeno nella prima fase, con una polizia e una magistratura ancora non del tutto controllate dal governo Mussolini, riesce quantomeno a individuare e incriminare gli autori materiali del delitto[2].

Matteotti, ci ricorda l’autore citando le dichiarazioni fasciste di quel periodo, è descritto come un provocatore antipatriottico perché nega il «formidabile consenso» elettorale dei fascisti, perché offende «la volontà del popolo italiano» che ai fascisti ha dato una maggioranza parlamentare; un armamentario propagandistico che è destinato anche a produrre «l’inevitabile e doverosa reazione» dei fascisti.

Quella stessa che Benito Mussolini aveva pubblicamente sollecitato ai suoi arditi il 22 febbraio 1924 nei confronti di Piero Gobetti con le parole: «Ha bisogno di una severa lezione fascista. Ve ne incaricherete voi»; mentre, da capo del governo, qualche giorno dopo telegrafava al prefetto di Torino ordinandogli di «rendere nuovamente difficile vita questo insulso oppositore governo e fascismo». Il 9 giugno 1924 ossequienti poliziotti perquisiscono la casa di Piero Gobetti a Torino e sequestrano tutte le sue carte. E’ il giorno che precede il delitto Matteotti. La maschia volontà fascista colpirà con la violenza entrambi.

Questo è il contesto in cui il fascismo agisce e ha sempre agito: la finezza di storico non impedisce a Giampiero Buonomo di offrirci affermazioni nette, anche attraverso puntuali citazioni, volte alla contemporaneità: quella di Montesquieu, di cui Matteotti era lettore: «tutto sarebbe perduto se lo stesso uomo, o lo stesso corpo di maggiorenti, o di nobili, o di popolo, esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le decisioni pubbliche, e quello di giudicare i delitti o le controversie dei privati»; quella di Piero Calamandrei, con cui si chiude il suo libro, che ci richiama al valore della Costituzione repubblicana come lascito di chi è caduto nella lunga lotta per la libertà, a partire da tutte le vittime della nascente violenta storia del fascismo, la cui cifra costante è sempre stata «la forza, esercitata in tutte le sue forme». 

A fronte della quale, la difesa dell’istituzione parlamentare, costata la vita a Giacomo Matteotti, fu una delle più alte espressioni di quella che Giampiero Buonomo descrive come «insanabile diversità politica, morale e si direbbe quasi antropologica di Matteotti e Mussolini, che condannava il primo a essere l’irriducibile ostacolo del secondo alla conquista del potere assoluto». 

 


 
[1] Sostiene in principalità questa tesi Mauro Canali (Il delitto Matteotti, Il Mulino, 2024). La tesi del “movente politico” è tra gli altri sostenuta da Marzio Breda e Stefano Caretti (Il nemico di Mussolini, Solferino, 2024); recensito in QGonline, 10 giugno 2024, www.questionegiustizia.it/articolo/giacomo-matteotti-l-antagonista; sempre sul tema: Giampiero Buonomo, Il diversivo affaristico, QG online 8 giugno 2024, www.questionegiustizia.it/articolo/matteotti-diversivo. La registrazione integrale del dibattito tenutosi a Roma il 16 maggio 2023 alla Fondazione Giacomo Matteotti sul tema Alla ricerca del movente del delitto Matteotti. Il dibattito su Critica Sociale e Tempo Presente, in cui si sono confrontati Alberto Aghemo, Massimiliano Amato, Antonio Tedesco, Lucio Villari, Giampiero Buonomo, Mauro Canali, è disponibile su Radio Radicale, www.radioradicale.it/scheda/698273/alla-ricerca-del-movente-del-delitto-matteotti-il-dibattito-su-critica-sociale-e-tempo.

[2] I depistaggi intesi ad ostacolare le indagini del giudice istruttore Mauro Del Giudice (che un ordinamento giudiziario debole nella tutela dei magistrati consentirà in seguito al regime di “allontanare”) non riuscirono a impedire di individuare l’auto utilizzata per il sequestro, identificare gli squadristi fascisti autori del delitto, acquisire gli elementi che collegavano gli autori materiali ai più alti livelli del governo.

 

14/12/2024
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